Promozione umana e salvezza cristiana |
Poiché i saggi di cui parliamo si appellano spesso alla Sacra Scrittura, conviene vedere più da vicino ciò che l'Antico e il Nuovo Testamento dicono del rapporto che collega la salvezza al benessere e ai diritti dell'uomo.
Qui è solo possibile uno studio parziale, è ovvio.
D'altra parte bisogna evitare un anacronismo che introduce nella Bibbia concetti odierni.
Ai nostri giorni, per determinare il rapporto esistente tra salvezza divina e promozione umana, si fa quasi sempre ricorso al racconto dell'Esodo.
In realtà l'uscita dall'Egitto ( cf. Es 1-24 ) è veramente il principale avvenimento di salvezza nell'Antico Testamento: è la liberazione che affranca da una dominazione straniera e dai lavori forzati.
Tuttavia l'Antico Testamento non fa consistere tutta la « liberazione » nel trarre il popolo fuori dall'Egitto e ricondurlo dall'esilio.
Questa liberazione è ordinata al culto dell'Alleanza celebratasi al Sinai ( cf. Es 24 ); in mancanza di questa finalità essa perderebbe il suo significato specifico.
Anche i Salmi, quando parlano di miseria e di lamenti, di soccorso e di ringraziamento, s'esprimono in formule di preghiera che menzionano la salvezza religiosa e la « liberazione » ( cf., per es., il Salmo 18 ).
La miseria non è semplicemente identificata con una condizione sociale di estrema povertà, ma anche con l'inimicizia, l'ingiustizia, la colpa e le conseguenze a cui questa conduce: la comminazione della morte e il vuoto che con essa si apre.
L'oggetto dei bisogni avvertiti nei diversi capi particolari è un elemento di minore importanza; elemento prevalente è l'esperienza in virtù della quale ci si aspetta solo da Dio la salvezza e il rimedio.
Non si può dunque parlare di questo genere di salvezza, in quanto concerne i diritti e il benessere dell'uomo, senza fare al tempo stesso una riflessione teologica globale secondo cui è Dio, non l'uomo, a cambiare le situazioni.
Del resto, per tutta la durata dell'esodo, Dio ha provveduto soprattutto alla liberazione e alla purificazione spirituale del suo popolo.
Esempio impressionante d'un'impresa ispirata da una rivelazione divina per tentare di migliorare le condizioni dell'esistenza umana è quello rappresentato dalle invettive dei profeti riguardanti le condizioni sociali, così come si ritrovano soprattutto in Amos ( Am 2,6s; Am 3,10; Am 5,11; Am 6,4ss; Am 8,4ss ).
I profeti successivi riprendono e sviluppano il tema iniziale di Amos, per esempio quando maledicono i grandi proprietari terrieri ( cf. Is 5,8s; Mi 2 ).
Osea rinfaccia energicamente ai suoi contemporanei la mancanza di solidarietà ( Os 4,1s; Os 6,4.6; Os 10,12 );
Isaia elenca in modo particolare, tra gli esseri umani che reclamano protezione, le vedove e gli orfani ( Is 1,17.23; Is 10,1s ), e profferisce questa minaccia: Dio farà sparire da Gerusalemme « il forte ed il potente », cioè gli alti dirigenti della società ( cf. Is 3,1ss; Is 1,21ss; Is 10,1ss ).
Egli deplora l'accaparramento dei beni nelle mani dei pochi ( cf. Is 5,8 ) e, più in generale, l'oppressione di cui i poveri sono vittima da parte dei ricchi ( cf. Is 1,21ss; Is 3,14ss ).
Ma, al tempo stesso, resta estraneo a una provocazione alla rivolta contro gli oppressori, anche se un tema del genere si riscontra in certi scritti veterotestamentari ( cf. Gdc 9,22s e 1 Re 12 ).
La prospettiva del disastro imminente non consente di stabilire un progetto di società più giusta ( cf. un inizio in Gl 3,1s ).
Nel pensiero dei profeti, i rimedi ai mali sociali possono venire attraverso le vie più diverse; tuttavia in essi si percepisce più uno scetticismo che si domanda se l'uomo sia veramente capace di costruire un mondo diverso da com'è, che non un ottimismo che alcuni credono fondato sopra una teologia della storia.
Una cosa è però certa: essi pongono come esigenza previa un atteggiamento che è propriamente quello della conversione interiore e della giustizia.
« Cessate di fare il male!
Imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l'oppresso, rendete giustizia all'orfano, difendete la causa della vedova » ( Is 1,16s ).
Ancora: è necessario che Dio accordi agli uomini la possibilità di realizzare una maggiore giustizia nei rapporti sociali; in fin dei conti solo Dio può provvedere efficacemente ai diritti e al vero bene degli uomini, soprattutto degli oppressi ( cf. Is 1,24ss; Es 3,7-9; Sal 103,6; Sal 72,12ss; Dt 10,17ss ).
Dio opera la salvezza al di là delle iniziative buone o cattive degli uomini.
In questo i profeti ravvisano l'esistenza di qualcosa come un « sistema perverso », ma nel loro spirito non è consentito di ridurre ogni cosa al punto in cui il male non sarebbe nient'altro che il segno e l'effetto di strutture sociali ingiuste, e in cui l'abolizione degli abusi potrebbe risultare dalla sola abolizione delle forme esistenti di proprietà.
Bisogna pure tener presente l'elemento personale che, secondo l'Antico Testamento, determina il processo di « liberazione », e che è soprattutto messo in luce e confermato dal principio della responsabilità individuale ( cf. Ez 18; Ger 31,29ss ).
In molti passi importanti dell'Antico Testamento ci si imbatte in intuizioni di una società nuova, non più organizzata secondo le strutture dappertutto in vigore a quell'epoca ( cf. per es., Is 55,3-5; Ez 34; Ez 40-48; Ger 31,31ss ).
Parecchi Salmi parlano esplicitamente di Dio come liberatore degli oppressi e difensore dei poveri ( cf. Sal 9; Sal 10; Sal 40; Sal 72; Sal 76; Sal 146 ).
Quando libera dall'oppressione il popolo d'Israele, Dio esige da esso che s'interdica ogni forma di oppressione dell'uomo ( cf. Es 22,10; Lv 19,13.18.33; Dt 10,18; Dt 24,14; Sal 82,2-4 ).
Il regno di Dio, che ben dovrà venire alla fine, eliminerà ogni dominazione dell'uomo sull'uomo.
Per l'Antico Testamento, per lungo tempo, questa speranza non è rimasta sufficientemente distinta dalla storia concreta né si appunta su realtà che la trascendano.
Fino ai giorni nostri, numerose ideologie d'una salvezza « secolarizzata » attendono l'attuazione di queste promesse divine solo all'interno dei limiti della storia e dell'azione umana.
E tuttavia, come abbiamo visto, siffatte idee sono respinte dall'Antico Testamento.
Bisogna sottolineare, infine, che, nei passi apocalittici della fine dell'Antico Testamento, la speranza d'una vita futura al di là dell'esistenza presente e la teologia della storia proclamano con singolare insistenza l'esperienza della debolezza umana e l'onnipotenza di Dio.
Il Nuovo Testamento riprende alcuni elementi molto importanti dell'Antico ( cf. per es., il libro d'Isaia, 61,1, in Lc 4,16ss ), o li suppone ( cf. Mc 12,29ss. e Lv 19,18 ).
Il discorso sulle beatitudini ( cf. Mt 5,1-7,29, specialmente Mt 5,3-12 ) dimostra in modo tutto speciale come le esigenze dell' Antico Testamento circa la conversione e il rinnovamento del cuore dell'uomo si trovano ribadite con maggior forza, e possono essere realizzate nella Nuova Alleanza mediante la forza dello Spirito Santo.
Tuttavia - come s'è fatto notare in molte occasioni - resta l'impressione che il Nuovo Testamento si interessi di meno alle realtà sociali e alla vita collettiva degli uomini.
L'inaudita novità del messaggio cristiano ha forse inizialmente moderato l'interessamento portato ai doveri concernenti la vita del mondo.
L'importanza trascendente dell'amore personale del Dio incarnato verso il suo nuovo popolo appariva tale da far passare al secondo posto i problemi posti dall'esistenza temporale ( cf. il tema della vicinanza del regno di Dio ).
Alla luce proiettata dal mistero del Signore sofferente e risuscitato, i bisogni umani hanno potuto assumere un carattere di minore urgenza.
D'altra parte la situazione politica dell'impero romano distoglieva i cristiani dal dedicare deliberatamente un grande interessamento al mondo.
Tuttavia non è necessario dilungarsi sul fatto che la Buona Novella del Cristo e l'etica del Nuovo Testamento hanno apportato molte norme direttive e modelli di condotta atti, per loro natura, ad ispirare una « critica sociale ».
Basta pensare al precetto dell'amore verso il prossimo e verso il nemico ( cf. Lc 6,35; Mt 25,31-46 ),
agli avvertimenti e alle minacce profferite nei riguardi dei ricchi e dei sazi ( per es. Lc 6,24ss; Mt 6,24; 1 Cor 11,20ss; Gc 2,1ss; Gc 5,1ss ),
all'obbligo di prendersi cura dei poveri e dei malati ( cf. Lc 6,20; 1 Cor 12,22ss ),
al comando dato indistintamente a tutti di soccorrere gli altri ( Mc 10,21; Lc 12,33 ),
alla diffida di ogni dominazione dell'uomo sull'uomo ( cf. Mc 10,42-45; Mt 20,25-28; Lc 22,25-27 )
a motivo della fraternità universale degli uomini ( cf. Mt 23,8; Mt 25,41ss ).
Il Nuovo Testamento mostra pure nei fedeli una disposizione ad accogliere forme « istituzionali » di carità cristiana, di cui si hanno esempi nelle collette organizzate a favore di Gerusalemme ( cf. 2 Cor 8,1ss ), e nel dispositivo dei ministeri di « diaconia » e d'assistenza caritativa ( cf. 1 Cor 12,28; 1 Cor 15,15; Rm 12,7; Rm 16,1; Fil 1,1; 1 Tm 3,8.12 ).
Evidentemente almeno agli inizi, tali forme « istituzionali » d'assistenza non oltrepassano i limiti e il livello delle comunità né sono ancora molto sviluppate.
Nel campo della liberazione, il Nuovo Testamento offre un altro elemento importante da considerare.
Bisogna, infatti, esaminare con particolare attenzione in qual senso è compresa tale liberazione.
Ciò, per esempio, che san Paolo dice della nuova libertà è strettamente associato al messaggio concernente la giustificazione; così la liberazione in quanto tale non costituisce un tema separato dagli altri.
L'opera salvifica del Cristo ha schiusa l'intimità stessa del cuore umano; così è facile sbagliarsi su quanto costituisce veramente la negazione della libertà e la vera schiavitù dell'uomo.
Con estrema penetrazione l'annunzio della giustificazione mostra che l'uomo è sottoposto a potenze malvage.
Non si potrebbe avere autentica e intera libertà senza che prima intervenga quella liberazione ( cf. Rm 5-7 ) che affranca dalla morte e dalla caducità ( sarx ), dal potere del peccato come dalla legge ( senza dimenticare gli « elementi del mondo » ).
« Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi » ( Gal 5,1 ).
Ora, la liberazione che ci affranca da tali potenze ci arreca una libertà nuova, la quale ci rende capaci di agire nello spirito di Gesù Cristo, secondo la carità e al servizio dei nostri fratelli ( cf. Gal 5,6.13 ).
Indubbiamente c'è in questo un'anticipazione di ciò che Dio compirà, come dono da lui conferito ai giusti, quando pronunzierà il suo giudizio su tutta la storia umana.
La giustizia di Dio, mediante lo Spirito e la sua potenza, ci accorda un'azione liberatrice nella quale siamo capaci di operare il bene, e che raggiunge la sua perfezione suprema nella carità.
Così, dunque, quando il Nuovo Testamento parla di « liberazione che libera » ( cf. Gal 5,1 ), che è grazia, stimolo morale e promessa escatologica, tali enunziati s'inseriscono nell'annunzio della giustificazione e, conseguentemente, trovano in essa il loro fondamento, da essa ricevendo tutta la loro forza ed autorità.
Solo considerando le cose a questo livello profondo si possono comprendere e rendere efficaci i dinamismi che i cristiani ritrovano nel Nuovo Testamento in vista d'un'azione liberatrice.
La luce irradiata dallo stesso Nuovo Testamento mostra che non c'è vero cambiamento della società senza riconciliazione dell'uomo con Dio e con gli altri uomini.
La vita umana può assumere, in maniera sufficiente e costante, una piega migliore solo se gli uomini diventano « nuove creature » mediante la conversione e la giustizia.
I diritti, il benessere, la liberazione dell'uomo si collocano dunque non nell'ordine dell'« avere », ma primordialmente all'interno dei limiti che definiscono l'« essere », e, ovviamente, con le conseguenze che ne derivano quanto alla riforma di tutte le condizioni dell'esistenza umana.
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