Concilio di Trento |
Il sacrosanto concilio ecumenico e generale Tridentino, riunito legittimamente nello Spirito Santo, sotto la presidenza dello stesso legato e degli stessi nunzi della santa sede, quantunque del sacramento della penitenza si sia parlato molto nel decreto sulla giustificazione quasi necessariamente, per la stretta relazione degli argomenti, è tanto, tuttavia, in questa nostra età, il cumulo dei diversi errori su di esso, che non sarà di poca utilità pubblica dare di esso una definizione più esatta e più completa.
In essa, messi a nudo e abbattuti tutti gli errori con l'aiuto dello Spirito Santo, la verità cattolica diverrà più chiara e più evidente.
Questo santo sinodo la propone ora a tutti i cristiani, perché la conservino per sempre.
Capitolo I
Se in tutti i rigenerati la gratitudine verso Dio fosse tale, da conservare per sempre la giustizia ricevuta, per suo beneficio e grazia, nel battesimo, non sarebbe stato necessario che fosse istituito un altro sacramento diverso dal battesimo stesso, per la remissione dei peccati.
Ma Dio, ricco di misericordia, ( Ef 2,4 ) conosce la nostra debolezza, ( Sal 103,14 ) ha trovato il rimedio della vita anche per quelli che si fossero, poi, consegnati alla schiavitù del peccato e al potere dei demoni, e cioè il sacramento della penitenza, con cui a chi cade dopo il battesimo, è applicato il beneficio della morte di Cristo.
La penitenza è stata sempre necessaria, per conseguire la grazia e la giustificazione, a qualsiasi uomo, che si fosse macchiato di peccato mortale, anche a quelli che domandano di essere lavati col sacramento del battesimo, perché, rinunciando al male e correggendolo, mostrassero di detestare una così grande offesa, fatta a Dio, con l'odio del peccato e col pio dolore dell'anima.
Per questo il profeta disse: Convertitevi e fate penitenza di tutte le vostre iniquità, e l'iniquità non vi sarà di rovina. ( Ez 18,30 )
Anche il Signore disse: Se non farete penitenza, perirete tutti allo stesso modo. ( Lc 13,3 )
E Pietro, il primo degli apostoli, ai peccatori che si preparavano al battesimo diceva, raccomandando la penitenza: Fate penitenza, e ognuno di voi sia battezzato. ( At 2,38 )
La penitenza, inoltre, né prima della venuta del Cristo era un sacramento, né dopo la sua venuta, per nessuno, prima del battesimo.
Il Signore, poi, istituì il sacramento della penitenza principalmente quando, risorto dai morti, soffiò sui suoi discepoli dicendo: Ricevete lo Spirito santo; a coloro, cui rimetterete i peccati, saranno rimessi.
A coloro cui li riterrete, saranno ritenuti. ( Gv 20,22-23 )
Che con questo avvenimento così importante e con queste parole così chiare, sia stato comunicato agli apostoli e ai loro legittimi successori il potere di rimettere o di ritenere i peccati, per riconciliare i fedeli caduti dopo il battesimo, il consenso di tutti i padri l'ha sempre così interpretato e la chiesa cattolica rigettò e condannò con piena ragione come eretici i Novaziani, che un tempo negavano ostinatamente il potere di rimettere i peccati.
Perciò questo santo sinodo, approvando e accogliendo questo verissimo senso di quelle parole del Signore, condanna le fantastiche interpretazioni di quelli che traggono falsamente quelle parole a significare il potere di predicare la parola di Dio e di annunziare il vangelo del Cristo, contro l'istituzione di questo sacramento.
Capitolo II
Del resto questo sacramento differisce dal battesimo per molte ragioni.
Infatti, oltre che esser diversissimi per la materia e la forma, che costituiscono l'essenza del sacramento, è certo che il ministro del battesimo non deve essere un giudice.
La chiesa, infatti, non esercita su nessuno il suo giudizio, se prima non è entrato a far parte di essa attraverso la porta del battesimo.
Che interessa a me ( afferma l'apostolo ) giudicare quelli che sono fuori?. ( 1 Cor 5,12 )
Diversamente, invece, agisce con quelli che sono suoi familiari nella fede, ( Gal 6,10 ) una volta che il signore Gesù li ha fatti membra del suo corpo col lavacro del battesimo. ( 1 Cor 12,12-13 )
Se questi, infatti, dopo, si fossero contaminati con qualche peccato, essa volle non già che fossero purificati ripetendo il battesimo ( cosa che nella chiesa cattolica non è in nessun modo possibile ), ma che comparissero dinanzi a questo tribunale come rei, affinché con la sentenza del sacerdote potessero essere liberati non una volta soltanto, ma tutte le volte che, pentendosi dei peccati commessi, cercassero rifugio presso di lui.
Altro, poi, è il frutto del battesimo, altro quello della penitenza.
Col battesimo, infatti, rivestendo Cristo ( Gal 3,27 ) diventiamo in lui una creatura del tutto nuova, conseguendo la piena e totale remissione di tutti i peccati.
Ora col sacramento della penitenza non è possibile giungere ad un tale rinnovamento ed integrità senza grandi gemiti e fatiche, date le esigenze della divina giustizia.
Così che a buon diritto la penitenza è stata chiamata dai santi padri,250 in certo modo, un battesimo laborioso.
Per coloro che sono caduti dopo il battesimo questo sacramento della penitenza è necessario alla salvezza, come lo stesso battesimo per quelli che non sono stati ancora rigenerati.
Capitolo III
Insegna, inoltre, il santo sinodo, che la forma del sacramento della penitenza, nella quale è posta tutta la sua efficacia, è in quelle parole del ministro: Io ti assolvo ecc., alle quali, nell'uso della santa chiesa, si aggiungono lodevolmente alcune preghiere, ma che non appartengono in nessun modo all'essenza della forma e non sono necessarie all'amministrazione del sacramento.
Sono quasi materia di questo sacramento gli atti dello stesso penitente e cioè: la contrizione, la confessione, la soddisfazione.
E poiché questi si richiedono, nel penitente, per l'integrità del sacramento e per la piena e perfetta remissione dei peccati, per questo sono considerati parti della penitenza.
Sostanza ed effetto di questo sacramento, per quanto riguarda la sua azione e la sua efficacia, è la riconciliazione con Dio, che non di rado nelle persone pie e che ricevono questo sacramento con devozione, suole essere accompagnata da pace e serenità della coscienza e da vivissima consolazione dello spirito.
Insegnando queste cose sulle parti e sull'effetto di questo sacramento, il concilio condanna nello stesso tempo le opinioni di coloro che affermano essere parti della penitenza i terrori della coscienza e la fede.
Capitolo IV
La contrizione, che tra i suddetti atti del penitente occupa il primo posto, è il dolore dell'animo e la detestazione del peccato commesso, col proposito di non peccare più in avvenire.
Questo atto della contrizione è stato sempre necessario per impetrare la remissione dei peccati.
Nell'uomo caduto in peccato dopo il battesimo, esso prepara alla remissione dei peccati solo se congiunto con la fiducia della divina misericordia e col desiderio di fare ciò che ancora si richiede per ricevere nel modo dovuto questo sacramento.
Dichiara, quindi, il santo sinodo, che questa contrizione include non solo la cessazione del peccato e il proposito e l'inizio di una nuova vita, ma anche l'odio della vecchia vita, conforme all'espressione: Allontanate da voi tutte le vostre iniquità, con cui avete prevaricato e costruitevi un cuore nuovo ed un'anima nuova. ( Ez 18,31 )
Certamente colui che riflette su quelle grida dei santi: Ho peccato contro te solo ed ho compiuto il male contro di te; ( Sal 51,6 ) sono stanco di gemere, vado lavando ogni notte il mio giaciglio; ( Sal 6,7 ) ripenserò a tutti i miei anni, nell'amarezza della mia anima, ( Is 38,15 ) e su altre simili, comprenderà facilmente che esse provenivano da un odio veramente profondo della vita passata e da una grande detestazione del peccato.
Insegna, inoltre, il concilio che, se anche avviene che questa contrizione talvolta possa esser perfetta nell'amore, e riconcilia l'uomo con Dio, già prima che questo sacramento realmente sia ricevuto, tuttavia questa riconciliazione non è da attribuirsi alla contrizione in sé senza il proposito di ricevere il sacramento incluso in essa.
E dichiara anche che quella contrizione imperfetta, che viene detta 'attrizione' perché prodotta comunemente o dalla considerazione della bruttezza del peccato o dal timore dell'inferno e delle pene, se esclude la volontà di peccare con la speranza del perdono, non solo non rende l'uomo ipocrita e maggiormente peccatore, ma è addirittura un dono di Dio ed un impulso dello Spirito Santo, - che non abita ancora nell'anima, ma che soltanto la sprona - da cui il penitente viene stimolato e con cui si prepara la via alla giustizia.
E quantunque per sé, senza il sacramento della penitenza, sia impotente a condurre il peccatore alla giustificazione, tuttavia lo dispone ad impetrare la grazia di Dio nel sacramento della penitenza.
Scossi, infatti, salutarmente da questo timore, gli abitanti di Ninive fecero penitenza alla predicazione di Giona, piena di minacce.
Ed ottennero misericordia da Dio. ( Gen 3,5 )
Perciò falsamente alcuni accusano gli scrittori cattolici, quasi abbiano insegnato che il sacramento della penitenza conferisca la grazia senza un moto interiore, buono, di chi lo riceve: cosa che la chiesa di Dio non ha mai insegnato e mai creduto.
Ma anche questo insegnano falsamente: che, cioè, la contrizione sia cosa estorta e forzata, non libera e volontaria.
Capitolo V
Dalla istituzione del sacramento della penitenza già spiegata, tutta la chiesa ha sempre creduto che sia stata istituita anche, dal Signore, la confessione completa dei peccati ( Gc 5,6; 1 Gv 1,9; Lc 5,14; Lc 17,14 ) e che per tutti quelli che dopo il battesimo siano caduti in peccato essa sia necessaria iure divino; Gesù Cristo, infatti, nostro signore, poco prima di salire dalla terra in cielo, lasciò i sacerdoti, suoi vicari, ( Mt 16,19; Mt 18,18; Gv 20,23 ) come capi e giudici,258 cui devono deferirsi tutte le colpe mortali, in cui i fedeli cristiani fossero caduti, perché, in virtù del potere delle chiavi, pronunzino la sentenza di remissione o di retenzione.
È chiaro, infatti, che i sacerdoti non avrebbero potuto esercitare questo giudizio senza conoscere la causa né imporre le penitenze con equità, se i penitenti avessero dichiarato i loro peccati solo genericamente, e non invece, nella loro specie ed uno per uno.
Si conclude da ciò che è necessario che i penitenti manifestino nella confessione tutti i peccati mortali, di cui hanno consapevolezza dopo un diligente esame di coscienza, anche se essi sono del tutto nascosti e sono stati commessi soltanto contro i due ultimi comandamenti del Decalogo, ( Es 20,17; Dt 5,21; Mt 5,28 ) che spesso feriscono più gravemente l'anima, e sono più pericolosi di quelli che si commettono alla luce del sole.
I veniali, infatti, dai quali non siamo privati della grazia di Dio, e nei quali cadiamo più facilmente, benché opportunamente ed utilmente e al di fuori di ogni presunzione vengano manifestati in confessione ( come dimostra l'uso di persone pie ), possono tuttavia esser taciuti senza colpa ed espiati con molti altri rimedi.
Ma poiché tutti i mortali, anche solo di pensiero, rendono gli uomini figli dell'ira ( Ef 2,3 ) e nemici di Dio, è anche necessario chiedere perdono di tutti a Dio con una esplicita ed umile confessione.
Quindi, mentre i fedeli cristiani si studiano di confessare tutti i peccati che vengono loro in mente, senza dubbio li espongono tutti alla divina misericordia perché li perdoni.
Quelli, invece, che fanno diversamente e ne tacciono consapevolmente qualcuno, non espongono nulla alla divina bontà perché li perdoni per mezzo del sacerdote.
Se infatti l'ammalato si vergognasse di mostrare al medico la ferita, il medico non potrebbe curare quello che non conosce.
Si deduce, inoltre, che nella confessione debbano manifestarsi anche quelle circostanze che mutano la specie del peccato: senza di esse, infatti, né il penitente espone completamente gli stessi peccati, né questi potrebbero venir conosciuti dai giudici e sarebbe impossibile ad essi percepire esattamente la gravità delle colpe ed imporre per essa ai penitenti la pena dovuta.
Non è quindi ragionevole insegnare che queste circostanze sono state inventate da uomini oziosi o che debba confessarsi questa sola circostanza: che si è peccato contro il fratello.
Ed è empio affermare che una tale confessione sia impossibile o chiamarla carneficina delle coscienze.
Tutti sanno, infatti, che la chiesa nient'altro richiede da chi si confessa, se non di confessare - dopo che ciascuno si è diligentemente esaminato ed ha esplorato tutti gli angoli più riposti della sua coscienza - quei peccati, con cui egli si ricorda di aver offeso mortalmente il suo Signore e suo Dio; gli altri peccati, che, pur esaminandosi diligentemente, non gli vengano in mente, si ritengono inclusi genericamente nella stessa confessione.
Per questi noi diciamo con fede assieme al profeta: Dai miei peccati occulti, purificami, Signore. ( Sal 19,13 )
Quanto poi alla difficoltà di questa confessione e alla vergogna di dover manifestare i peccati, può sembrare certamente grave; ma essa è alleggerita dai tanti e così grandi vantaggi e consolazioni, che con l'assoluzione vengono certissimamente elargiti a tutti quelli che si accostano degnamente a questo sacramento.
Del resto, per quanto riguarda il modo di confessarsi segretamente dinanzi al solo sacerdote, quantunque Cristo non abbia proibito che uno, in punizione dei suoi peccati e per propria umiliazione, sia come esempio per gli altri, che per edificazione della Chiesa, che è stata offesa, possa confessare pubblicamente i suoi peccati, ciò non è comandato da alcuna legge divina; e non sarebbe saggio comandare con una legge umana che si manifestassero le colpe, specie se segrete, con una pubblica confessione.
Poiché, quindi, la confessione sacramentale segreta, che la santa chiesa ha usato fin dall'inizio ed usa ancora, è stata sempre raccomandata con grande, unanime consenso dai padri più santi e più antichi, evidentemente risulta vana la calunnia di coloro che non hanno scrupolo di insegnare che essa è aliena dal comando divino, che è invenzione umana, e che ha avuto inizio dai padri del concilio Lateranense.
La chiesa, infatti, col concilio Lateranense non ha stabilito che i fedeli cristiani si confessassero, - cosa che essa sapeva bene essere necessaria ed essere stata istituita dal diritto divino -, ma che l'obbligo della confessione venisse adempiuto almeno una volta all'anno da tutti e singoli quelli che fossero giunti all'età della ragione.262
È per questo che in tutta la chiesa è invalso l'uso salutare, con grandissimo frutto per le anime, di confessarsi durante il tempo sacro e sommamente accetto della Quaresima.
Quest'uso, il santo sinodo lo approva sommamente e lo abbraccia come pio e degno di essere conservato.
Capitolo VI
Quanto al ministro di questo sacramento, il santo sinodo dichiara, che sono false e del tutto aliene dalla verità del vangelo tutte quelle dottrine che estendono perniciosamente a qualsiasi altro uomo, oltre i vescovi e i sacerdoti, il ministero delle chiavi.
Esse ritengono che quelle parole del Signore: Tutto ciò che legherete sulla terra, sarà legato anche in cielo, e tutto ciò che scioglierete sulla terra, sarà sciolto anche in cielo ( Mt 18,18 ) e: a quelli, di cui avrete rimesso i peccati, saranno rimessi, a quelli, di cui li avrete ritenuti, saranno ritenuti ( Gv 20,23 ) siano state dette a tutti i fedeli del Cristo, senza differenza alcuna e senza distinzione, contro l'istituzione di questo sacramento; così che ognuno abbia il potere di rimettere i peccati: quelli pubblici con la correzione, se chi viene corretto si sottomette; i segreti, attraverso una spontanea confessione, fatta a chiunque.
Il concilio insegna pure che anche quei sacerdoti che sono in peccato mortale, per la grazia dello Spirito Santo, conferita nell'ordinazione, esercitano la funzione di perdonare i peccati come ministri di Cristo e che non giudicano secondo verità quelli che sostengono che questo potere manchi ai sacerdoti cattivi.
Quantunque, poi, l'assoluzione del sacerdote sia l'elargizione di un beneficio che si fa ad altri, essa non è soltanto un nudo ministero di annunziare il vangelo o di dichiarare rimessi i peccati, ma come un atto giudiziario, essa è pronunciata come la sentenza di un giudice.
Perciò il penitente non deve compiacersi tanto della sua fede, da credere che, se anche non avesse alcuna contrizione, o mancasse al sacerdote l'intenzione di agire seriamente o di assolvere, egli sia davvero assolto, dinanzi a Dio, per la sola fede.
La fede, infatti, non potrebbe operare in nessun modo la remissione dei peccati e si dimostrerebbe negligentissimo della sua salvezza, chi si accorgesse che un sacerdote lo assolve per ischerzo, e non ne cercasse diligentemente un altro.
Capitolo VII
Poiché la natura e l'indole del giudizio richiede che la sentenza venga pronunziata solo sui sudditi, vi è stata sempre nella chiesa di Dio questa persuasione - e questo sinodo conferma essere verissimo - che debba essere di nessun valore quell'assoluzione che il sacerdote pronuncia su colui sul quale non abbia giurisdizione, ordinaria o delegata.
È sembrato anche ai santissimi nostri padri essere del più grande interesse per la formazione del popolo cristiano, che alcuni peccati più orribili e più gravi venissero assolti non da chiunque, ma solo dai sommi sacerdoti.
Giustamente, quindi, i pontefici massimi, in forza di quel supremo potere che è stato loro conferito su tutta la chiesa, hanno potuto riservare al loro particolare giudizio alcuni casi di colpe.
Né deve mettersi in dubbio ( dato che tutto ciò che viene da Dio, è ordinato ( Rm 13,1 ) ) che la stessa cosa sia concessa a tutti i vescovi, ciascuno nella sua diocesi, - in edificazione, tuttavia, non in distruzione ( 2 Cor 10,8; 2 Cor 13,10 ) - per quella autorità che è stata loro conferita sui sudditi in confronto agli altri sacerdoti inferiori, specie per quelle colpe, cui è annessa la censura di scomunica.
È anche in armonia con l'autorità divina che questa riserva delle colpe abbia forza non solo nella vita esterna della società, ma anche dinanzi a Dio.
E tuttavia con disposizione sommamente pia, perché nessuno a causa di ciò debba perire, si ebbe sempre cura nella chiesa di Dio, che non vi fosse alcuna riserva in punto di morte; e quindi tutti i sacerdoti possono assolvere qualsiasi penitente da qualsiasi peccato e da qualsiasi censura.
Fuori di questo caso, però, i sacerdoti, non avendo alcun potere nei casi riservati, cerchino di persuadere i penitenti di quest'unica cosa: che per la grazia dell'assoluzione vadano dai superiori e legittimi giudici.
Capitolo VIII
Finalmente, quanto alla soddisfazione - che, come fra tutte le parti della penitenza è stata sempre raccomandata al popolo cristiano dai nostri padri, così in questa nostra età è quella che, sotto il pretesto di una vivissima pietà, viene maggiormente presa d'assalto da coloro che mostrano certamente l'apparenza della pietà, ma ne negano la sostanza - il santo sinodo dichiara essere assolutamente falso e lontano dalla parola di Dio, che dal Signore mai venga rimessa la colpa, senza che venga completamente rimessa anche la pena.
Vi sono infatti, nella sacra Scrittura, esempi chiari ed evidenti, da cui, al di fuori della divina tradizione, questo errore può essere confutato. ( Gen 3,14-19; Nm 12,14-15; Nm 20,11-12; 2 Re 12,13-14 )
Del resto, sembra anche conforme alla divina giustizia, che siano diversamente ammessi alla grazia divina quelli che prima del battesimo hanno peccato per ignoranza, e quelli che, una volta liberati dalla servitù del peccato e del demonio e ricevuto il dono dello Spirito Santo, non hanno avuto ritegno a violare consapevolmente il tempio di Dio ( 1 Cor 3,17 ) e a contristare lo Spirito Santo. ( Ef 4,30 )
Ed è conforme alla divina clemenza, che non ci vengano rimessi i peccati senza alcuna nostra soddisfazione, perché non avvenga che noi, prendendo occasione da ciò, e credendo tutti i peccati leggeri, come gente sempre pronta a recare ingiuria ed offesa allo Spirito Santo, ( Eb 10,29 ) cadiamo in peccati più gravi, accumulando su noi la collera per il giorno dell'ira. ( Rm 2,5; Gc 5,3 )
Senza dubbio, infatti, ci trattengono molto dal peccato e quasi ci reprimono come un freno, queste pene imposte a soddisfazione e rendono assai più cauti e vigilanti i penitenti per il futuro.
Sono anche una medicina per ciò che rimane del peccato e, con le azioni contrarie delle virtù, contribuiscono a togliere le cattive abitudini acquistate col mal vivere.
Nella chiesa di Dio mai si è creduto che si potesse trovare una via più sicura per allontanare una punizione imminente da parte di Dio di quella che gli uomini pratichino queste opere di penitenza ( Mt 3,2.8; Mt 4,17; Mt 11,21 ) con vero dolore dell'animo.
Si aggiunge che mentre soffriamo in soddisfazione per i nostri peccati, noi diveniamo conformi a Gesù Cristo, che ha soddisfatto per i nostri peccati ( Rm 5,10; 1 Gv 2,1-2 ) e da cui viene ogni nostra sufficienza, ( 2 Cor 3,5 ) ed abbiamo una certissima caparra che, se soffriamo insieme, insieme saremo anche glorificati. ( Rm 8,17 )
Inoltre questa soddisfazione, che noi soffriamo per i nostri peccati, non è talmente nostra, da non esserlo per mezzo di Gesù Cristo.
Noi, infatti, che non possiamo nulla da noi stessi, ( 2 Cor 3,5 ) col suo aiuto però possiamo tutto in Lui che ci rende forti. ( Fil 4,13 )
Quindi l'uomo non ha di che gloriarsi; ma ogni motivo di lode è, per noi, riposto in Cristo, ( 1 Cor 1,31; 2 Cor 10,17; Gal 6,14 ) in cui viviamo, ( At 17,28 ) in cui meritiamo, in cui diamo soddisfazione, facendo degni frutti di penitenza, ( Lc 3,8; Mt 3,8 ) che da lui traggono il loro valore, da lui sono offerti al Padre, e che per via sua sono accettati da Dio.
I sacerdoti del Signore, quindi, secondo che suggerirà lo spirito e la prudenza, devono imporre salutari e giuste soddisfazioni, tenuto conto della qualità dei peccati, e delle possibilità dei penitenti, affinché, qualora fossero in qualche modo conniventi ai peccati e troppo indulgenti coi penitenti, imponendo leggerissime opere di penitenza per gravissime colpe, non diventino partecipi dei peccati degli altri.
Abbiano poi dinanzi agli occhi che la soddisfazione che impongono sia non soltanto presidio per la nuova vita e medicina per la debolezza, ma anche pena e castigo per i peccati passati.
Che, infatti, le chiavi dei sacerdoti siano state concesse non solo per sciogliere, ma anche per legare, ( Mt 16,19; Mt 18,18; Gv 20,23 ) lo credono e lo insegnano anche gli antichi padri.
Non per questo tuttavia essi pensarono che il sacramento della penitenza fosse il tribunale dell'ira e delle pene.
Così come nessun cattolico credette mai che da queste nostre soddisfazioni venisse oscurato, o in qualche parte diminuito il valore del merito e della soddisfazione del Signore nostro Gesù Cristo.
Quando i novatori dimostrano di non voler comprendere ciò, essi insegnano che la vita nuova è la miglior penitenza; ma in modo tale da togliere alla soddisfazione ogni valore ed ogni utilità.
Capitolo IX
Insegna, inoltre, questo sinodo che la larghezza della munificenza divina è così grande, che noi possiamo soddisfare presso Dio, per mezzo di Gesù Cristo, non solo con le penitenze da noi scelte spontaneamente per scontare il peccato o imposte a noi ad arbitrio del sacerdote secondo la gravità del peccato, ma anche ( ed è il segno più grande dell'amore ) con i flagelli temporali, da Dio inflittici e da noi accettati pazientemente.
Indice |
250 | Gregorio Nazianzeno, Oratio 39 in sancta lumina, n. 17 ( PG 36, 355-356 ) |
258 | Ambrogio, De Cain et Abel, II, 4 ( CSEL 32/1, 391 ) |
262 | Concilio Lateranense IV, c. 21 |