Sermoni sul Cantico dei Cantici |
1. Se non conosci te stessa, esci ( Ct 1,7 ).
Duro e aspro rimprovero esprimono quelle parole: Esci.
Sono soliti sentire questa parola i seri dai padroni fortemente adirati e indignati, o le serve dalle loro padrone, allorché le hanno gravemente offese: « Esci di qui, via da me, esci dalla mia presenza e da questa casa ».
Lo Sposo usa queste parole assai aspre e amare, e che suonano grave rimprovero contro la diletta, a questa condizione tuttavia: che essa ignori se stessa.
Non poteva davvero rivolgerle parole più forti ed efficaci per spaventarla, che minacciandola di farla uscire.
E si potrà bene comprendere questo, se si riflette di dove dovrebbe uscire, e dove andare.
Di dove, se non dallo spirito alla carne, dai beni dell’anima ai desideri secolari, dall’interiore pace della mente allo strepito del mondo e all’inquietudine delle cure esteriori?
E in tutte queste cose non c’è se non travaglio e dolore e afflizione di spirito.
Quando infatti un’anima ha una volta; imparato dal Signore, ed ha avuto la grazia di entrare in se stessa, e sospirare nel suo intimo verso la presenza di Dio cercare senza posa la sua faccia, poiché Dio è spirito é coloro che lo cercarlo devono camminare secondo lo spirito, e non secondo la carne, una tale anima, dico, non so se stimi più orribile e penoso sperimentare per un certo tempo la stessa geenna, che dopo aver gustato la soavità di queste applicazioni spirituali, debba uscire nuovamente alle attrattive, o piuttosto alle molestie della carne, e andar dietro alla insaziabile curiosità dei sensi, come dice l’Ecclesiaste: Non si sazia l’occhio di guardare, né mai l’orecchio è sazio di udire ( Qo 1,8 ).
Senti che cosa dice un uomo che ha provato quello che diciamo: Tu sei buono, o Signore, per quelli che sperano in te, per l’anima che ti cerca ( Lam 3,25 ).
Se uno cercasse di distaccare quella santa anima da questo bene, penso che questa ne risentirebbe come se si vedesse strappata dal paradiso e dallo stesso ingresso nella gloria.
Sentiamone ancora uno simile a questo: Di te ha detto il mio cuore: cercate il suo volto; il tuo volto, Signore, io cerco ( Sal 27,8 ).
E perciò diceva: Il mio bene è stare vicino a Dio ( Sal 73,28 ); e ancora, rivolgendosi all’anima sua: Ritorna, anima mia, alla tua pace, poiché il Signore ti ha beneficato ( Sal 115,7 ).
Dico dunque a voi: non c’è nulla di cui abbia tanto paura chiunque ha ricevuto anche una sola volta questo beneficio, quanto di dover tornare, abbandonato dalla grazia alle consolazioni della carne, per non dire desolazioni, e a subire di nuovo disordini dei sensi carnali.
2. Terribile perciò e temibile minaccia: Esci, e pasci i tuoi capretti ( Ct 1,7 ).
Che vuol dire: sappi che non sei degna di quella tua familiare e soave contemplazione delle cose celesti, spirituali, divine.
Perciò esci dal mio santuario, dal tuo cuore, dove eri solita attingere con dolcezza gli intimi e sacri sensi della verità e della sapienza; sentiti per di più intricata come una secolare nel pascere e dar soddisfazione ai sensi carnali.
Per capretti infatti, che significano il peccato, e che nel giudizio saranno collocati alla sinistra, vuole indicare i capricciosi e petulanti sensi del corpo, per i quali, come morte dalle finestre, il peccato è entrato nell’anima.
E quel che segue corrisponde bene a questo senso: Presso le tende dei pastori.
I capretti infatti non pascolano « sopra », come gli agnelli, ma presso le tende dei pastori.
Poiché i pastori, che sono veramente pastori, sebbene abbiano tende terrene in terra, cioè dei corpi mentre militano in questa vita, sono soliti pascere i greggi del Signore non con pascoli terreni, ma celesti; predicano loro infatti non la loro propria volontà, ma quella del Signore.
I capretti invece, che sono i sensi del corpo, non cercano le cose del cielo, ma cercano non tanto di soddisfare, ma di stuzzicare le loro brame presso le tende dei pastori, vale a dire in tutti i beni sensibili di questo mondo.
3. Turpe cambiamento di sentimenti!
Uno si applicava prima a pascere la sua anima, esule e pellegrina, con sacre meditazioni, come di beni celesti, a scrutare il beneplacito di Dio e i misteri della sua volontà, a penetrare con la devozione i cieli, e con la mente a percorrere le superne mansioni, a salutare i padri e gli apostoli e i cori dei profeti, ad ammirare i trionfi dei martiri, a contemplare con stupore gli splendidi ordini angelici.
Ora, lasciate tutte queste cose, si dedica vergognosamente a servire il corpo e a obbedire alla carne, a soddisfare il ventre e la gola, a mendicare in ogni luogo dalla figura di questo mondo che passa qualche cosa da dare in pasto in qualche modo alla sua famelica curiosità.
Sgorghino torrenti di lacrime dai miei occhi sopra una tale anima, che già allevata sulla porpora ora ha abbracciato il letame.
Ha pasciuto, secondo la sentenza del beato Giobbe, la sterile senza figli, e non ha fatto del bene alla vedova ( Gb 24,21 ).
É nota che non dice semplicemente: Esci, ma: Va dietro i greggi dei tuoi compagni, e pasci i tuoi capretti.
Con le quali parole ci dà un grave ammonimento.Quale?
Ahi! Una nobile creatura, già appartenente al gregge, e ora miseramente caduta nella peggiore condizione, non è lasciata stare neppure nel gregge, ma le viene ordinato di venire dietro.
In che modo? Come sta scritto: L’uomo nella prosperità non comprende, è diventato come gli animali senza ragione e si è fatto simile a essi ( Sal 49,13 ).
Ecco come una nobile creatura è diventata parte del gregge.
Penso che i giumenti, se potessero parlare direbbero: Ecco, Adamo è divenuto come uno di noi ( Gen 3,22 ), lui che era in onore, dice il salmo.
« Quale onore? » domandi.
Abitava nel Paradiso, e la sua esistenza si svolgeva in un luogo di delizie.
Non sentiva alcuna molestia, alcun bisogno, era stipato da meli profumati, ornato di fiori, coronato di gloria e di onore, stabilito sopra le opere uscite dalla mano del Creatore; più ancora, si distingueva per il contrassegno della divina rassomiglianza, ed era ammesso alla società degli angeli e di tutta la milizia dell’esercito celeste.
4. Ma cambiò questa gloria di Dio con la somiglianza di un bue che mangia fieno.
Di qui viene che il pane degli angeli si fece fieno, posto nella mangiatoia, servito a noi come a giumenti.
Il Verbo, infatti, si è fatto carne ( Gv 1,14 ) e, secondo il Profeta, ogni carne è come erba ( Is 40,6.8 ).
Ma quest’erba non si è seccata, né da essa è caduto il fiore, perché si posò su di essa lo Spirito de! Signore.
L’erba, dice, si è disseccata ed è appassito il fiore; ma la Parola del Signore dura in eterno.
Dunque, se l’erba è il Verbo, e il Verbo resta in eterno, anche l’erba deve rimanere in eterno.
Diversamente, come darà la vita eterna, se essa non rimane in eterno?
5. Ma ricorda con me la parola del Figlio al Padre: Non lascerai che il tuo santo veda la corruzione ( Sal 16,10 ).
Non v’è dubbio che parla del suo corpo che giaceva senza vita nel sepolcro.
Lo ha infatti chiamato santo anche l’Angelo che portò l’annunzio alla Vergine, dicendo: E il Santo che nascerà da te, sarà chiamato Figlio di Dio ( Lc 1,35 ).
Come dunque poteva il santo fieno vedere la corruzione, mentre nato dall’incorrotto utero, in pascoli sempre verdeggianti, attirava a sé anche gli avidi sguardi degli angeli, che vi avrebbero trovato un insaziabile godimento?
Perda davvero l’erba la sua verde freschezza, se Maria ha perduto la sua verginità.
Dunque il cibo dell’uomo si cambiò in pascolo di animali, poiché l’uomo si era mutato in giumento.
Ahimè! triste e lacrimevole cambiamento!
L’uomo che abitava vicino al Paradiso, padrone della terra, cittadino del cielo e familiare del Signore degli eserciti, fratello dei beati Spiriti e coerede delle celesti Virtù, con un repentino cambiamento si è trovato a giacere infermo in una stalla, bisognoso di fieno, perché fatto simile ai bruti, e a causa dell’indomita selvatichezza legato alla mangiatoia, come sta scritto: Si piega la loro fierezza con morso e briglie, se no a te non si avvicinano ( Sal 32,9 ).
Riconosci tuttavia, o bue, il tuo padrone, e tu asino la stalla del tuo Signore, affinché i Profeti che hanno predetto queste meraviglie di Dio, siano trovati veritieri.
Riconosci, o giumento, quello che non hai riconosciuto come uomo; adora nella stalla colui che fuggivi in paradiso; onora la mangiatoia di colui del quale hai disprezzato il dominio; mangia il fieno, tu che ti sei nauseato del pane, e del pane degli angeli.
Ma quale la causa, si domanderà, di questa degradazione?
Certamente perché l’uomo nella prosperità non comprende.
Che cosa, non comprende?
Il salmista non lo dice; diciamolo noi.
Posto in onore l’uomo non ha capito che è fango mentre si compiaceva del fastigio dell’onore, e subito ha sperimentato in se stesso quello che tanto tempo dopo un esiliato prudentemente avvertì e con verità disse: Chi crede di essere qualcosa, mentre non è nulla, inganna se stesso ( Gal 6,3 ).
Guai a lui misero, perché non vi fu allora chi gli dicesse: Perché ti insuperbisci, terra e cenere? ( Sir 10,9 ).
Per questo la nobile creatura fu mescolata al gregge, per questo l’immagine di Dio fu mutata in somiglianza di animali, per questo l’uomo invece del consorzio degli angeli fece società con i giumenti.
Vedete come sia da fuggire questa ignoranza dalla quale vennero così innumerevoli mali a tutto il genere umano?
Si dice infatti che l’uomo è stato assimilato agli animali senza ragione per il fatto che non ha capito.
È dunque da evitare a tutti i costi l’ignoranza, affinché non ci accada che, se anche dopo il castigo saremo trovati senza intelletto, incontriamo mali molto più numerosi e gravi dei primi, e ci venga detto: Abbiamo curato Babilonia, e non è guarita ( Ger 51,9 ).
E giustamente, non essendo servita neppure l’umiliazione per farci comprendere.
7. E vedete come, forse non a caso, lo Sposo, cercando di stornare con un rimprovero così forte l’amata dall’ignoranza, non ha detto semplicemente: « Esci con il gregge », oppure « vattene al gregge », ma esci dietro i greggi dei tuoi compagni.
Perché questo? Certamente per dimostrare come la seconda ignoranza sia maggiormente da temere e sia più vergognosa della prima.
Gli uomini infatti, colpevoli di questa ignoranza, cioè i riprovati dovranno subire quel tremendo giudizio ed essere condannati al fuoco eterno; non così gli animali.
E non v’è dubbio che sarà peggiore la condizione di costoro che non di quelli che non saranno affatto.
Sarebbe meglio per quell’uomo se mai non fosse nato ( Mt 26,24 ).
Non se non fosse nato affatto, ma se non fosse nato uomo, ma per esempio, animale, o qualsiasi altra creatura.
Questa infatti non avendo ragione non sarebbe soggetta al giudizio, né per questo condannata al supplizio.
Sappia dunque l’anima ragionevole che si vergogna della prima ignoranza che sarà associata ai giumenti nell’uso dei beni della terra, ma non li avrà compagni nel subire i tormenti della geenna, e allora sarà scacciata anche dai greggi dei giumenti suoi compagni con vergogna, né sarà più unita a essi, ma andrà dietro a essi, in quanto essi non soffriranno alcun male, mentre essa sarà esposta a tutti i mali, dai quali non sarà liberata in eterno, se avrà continuato a starsene nell’ignoranza.
Esce dunque l’uomo, e solitario se ne va dietro i greggi dei suoi compagni allorché solo viene cacciato nell’inferno inferiore.
Non vi sembra che sia in luogo posteriore colui che, con mani e piedi legati viene gettato nelle tenebre esteriori?
E saranno davvero le ultime condizioni di lui peggiori delle prime, quando colui che era equiparato alle bestie ora si trova in condizioni peggiori delle loro.
8. Penso che anche in questa vita, se si riflette bene, si possono trovare uomini al di sotto delle bestie.
Non sembra forse più bestia delle bestie l’uomo provvisto di ragione, che non vive secondo ragione?
La bestia infatti, se non si regola secondo ragione, ha una scusa dalla stessa natura, da cui non ha avuto questo dono; ma l’uomo non ha questa scusa, essendo, per una speciale prerogativa, dotato di ragione.
A ragione pertanto l’uomo è considerato uscire e mettersi dietro i greggi degli animali per il solo fatto che egli, dotato di ragione ma trasgredendo i doveri di natura con una condotta degenere, imita con gli affetti e con i costumi gli animali irragionevoli.
Dà dunque prova di andare dietro i greggi un tale uomo, e in questa vita per la depravazione della natura, nell’altra poi per il castigo a lui solo riservato.
9. Ecco, così sarà maledetto l’uomo che sarà trovato nell’ignoranza di Dio.
Di Dio, dirò, o di sé? Certamente l’una cosa e l’altra.
Ambedue queste ignoranze sono dannabili, sia l’una che l’altra, è sufficiente per la dannazione.
Volete sapere che è così? Non c’è dubbio per quel che riguarda l’ignoranza di Dio, se pensate che altro non è la vita eterna se non che si conosca il Padre come Dio vero, e colui che egli ha mandato, Gesù Cristo.
Senti poi come lo Sposo chiaramente e apertamente condanna nell’anima anche l’ignoranza dell’anima.
Che cosa dice infatti? Non dice « Se ignori Dio », ma se ignori te stessa.
È chiaro dunque che sarà ignorato chi ignora se stesso, come chi ignora Dio.
Di questa duplice ignoranza, se Dio ci aiuta, dovremo fare una molto utile discussione.
Ma non adesso, perché stanchi, e senza aver pregato come il solito, o io tratti con minor diligenza del dovuto la materia, o voi ascoltiate con minor attenzione cose che vanno ricevute con grande desiderio.
Se infatti il cibo corporale, quando lo prendi sazio e senza appetito, non solo non giova, ma è molto nocivo, molto di più il pane dell’anima, preso con disgusto, produrrà non nutrimento alla scienza, ma tormento alla coscienza.
E da questo ci preservi lo Sposo della Chiesa, Cristo Gesù che è benedetto nei secoli.
Amen.
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