Dialogo della Divina Provvidenza |
E prima, del lume generale.
Alora Dio etterno, dilectandosi della sete e fame di quella anima e della schiectezza del cuore e del desiderio suo con che ella dimandava di volerli servire, volse l'occhio della pietá e misericordia sua verso di lei, dicendo:
- O dilectissima, o carissima, o dolce figliuola e sposa mia, leva te sopra di te e apre l'occhio de l'intellecto a vedere me, bontá infinita, e l'amore ineffabile che Io ho a te e agli altri servi miei.
Ed apre l'orecchia del sentimento del desiderio tuo, però che altrementi, se tu non vedessi, non potresti udire: cioè che l'anima, che non vede con l'occhio de l'intellecto suo ne l'obiecto della mia Veritá, non può udire né cognoscere la mia veritá.
E però voglio, acciò che meglio la cognosca, che ti levi sopra el sentimento tuo, cioè sopra el sentimento sensitivo; ed Io, che mi dilecto della tua domanda e desiderio, ti satisfarò.
Non che dilecto possa crescere a me di voi, però che Io so' colui che so' e che fo crescere voi, e non voi me; ma dilectomi nel mio dilecto medesimo della factura mia.
- Alora quella anima obbedí, levando sé sopra di sé per cognoscere la veritá di quello che dimandava.
Alora Dio etterno disse a lei: - Acciò che tu meglio possa intendere quello ch'Io ti dirò, Io mi farò al principio di quello che mi dimandi, sopra tre lumi che escono di me, vero lume.
L'uno è uno lume generale in coloro che sonno nella caritá comune: bene che decto te l'abbi de l'uno e de l'altro, e molte cose di quelle che Io t'ho decte ti dirò, perché 'l tuo basso intendimento meglio intenda quello che tu vuoli sapere.
E due altri lumi sonno di coloro che sono levati dal mondo e vogliono la perfeczione.
Sopra di questo ti dichiararò di quello che m'hai adimandato, dicendoti piú in particulare quello che ti toccai in comune.
Tu sai, sí come Io ti dixi, che senza el lume neuno può andare per la via della veritá, cioè senza el lume della ragione.
El quale lume di ragione traete da me, vero lume, con l'occhio de l'intellecto e col lume della fede che Io v'ho dato nel sancto baptesmo, se voi non vel tollete per li vostri difecti.
Nel quale baptesmo, mediante e in virtú del sangue de l'unigenito mio Figliuolo, riceveste la forma della fede.
La quale fede, exercitata in virtú col lume della ragione ( la quale ragione è illuminata da questo lume ), vi dá vita e favi andare per la via della veritá, e con esso giognete a me, vero lume; e senza esso giognereste a la tenebre.
Due lumi, tracti da questo lume, vi sonno necessari d'avere, ed anco a' due ti porrò el terzo.
El primo è che voi tucti siate illuminati in cognoscere le cose transitorie del mondo, le quali passano tucte come il vento.
Ma non le potete bene cognoscere se prima non cognoscete la propria vostra fragilitá quanto ella è inchinevole, con una legge perversa che è legata nelle membra vostre, a ribellare a me, vostro Creatore.
Non che per questa legge neuno possa essere costrecto a commectere uno minimo peccato, se egli non vuole; ma bene impugna contra lo spirito.
E non diei questa legge perché la mia creatura, che ha in sé ragione, fusse venta, ma perché ella aumentasse e provasse la virtú ne l'anima, però che la virtú non si pruova se non per lo suo contrario.
La sensualitá è contraria a lo spirito, e però in essa sensualitá pruova l'anima l'amore che ha in me, Creatore suo.
Quando si pruova? quando con odio e dispiacimento si leva contra di lei.
E anco le diei questa legge per conservarla nella vera umilitá.
Unde tu vedi che, creando l'anima a la imagine e similitudine mia posta in tanta dignitá e bellezza, Io l'acompagnai con la piú vile cosa che sia, dandole la legge perversa, cioè legandola col corpo formato del piú vile della terra, acciò che, vedendo la bellezza sua, non levasse il capo per superbia contra di me.
Unde il fragile corpo, a chi ha questo lume, è cagione di fare umiliare l'anima, e non ha alcuna materia d'insuperbire: anco di vera e perfecta umilitá.
Sí che questa legge non costrigne ad alcuna colpa di peccato per alcuna sua impugnazione, ma è cagione di farvi cognoscere voi medesimi e cognoscere la poca fermezza del mondo.
Questo debba vedere l'occhio de l'intellecto col lume della sanctissima fede, della quale ti dixi che era la pupilla de l'occhio.
Questo è quello lume necessario, che generalmente è di bisogno a ogni creatura che ha in sé ragione, a volere participare la vita della grazia in qualunque stato si sia, se vuole participare il fructo del sangue dello inmaculato Agnello.
Questo è il lume comune, cioè che comunemente ogni persona el debba avere, come decto è; e chi non l'avesse, starebbe in stato di dannazione.
E questa è la ragione che essi non sonno in stato di grazia non avendo el lume: però che chi non ha el lume, non cognosce il male della colpa e chi n'è cagione, e però non può schifare né odiare la cagione sua.
E cosí chi non cognosce il bene e la cagione del bene, cioè la virtú, non può amare né desiderare me, che so' esso Bene, e la virtú che Io v'ho data come strumento e mezzo a darvi la grazia mia, me, vero Bene.
Sí che vedi di quanto bisogno v'è questo lume, ché in altro none stanno le colpe vostre se none in amare quel che Io odio o in odiare quel che Io amo.
Io amo la virtú e odio el vizio; chi ama el vizio e odia la virtú offende me ed è privato della grazia mia.
Questi va come cieco che, non cognoscendo la cagione del vizio, cioè il proprio amore sensitivo, non odia se medesimo né cognosce il vizio né il male che gli séguita dipo' el vizio.
Né cognosce la virtú, né me che so' cagione di darli la virtú che gli dá vita, né la dignitá nella quale egli si conserva e viene a grazia col mezzo della virtú.
Sí che vedi che 'l non cognoscere gli è cagione del suo male.
Èvi dunque di bisogno d'avere questo lume, come decto è.
Indice |