Dialogo della Divina Provvidenza |
- O carissima figliuola, non è tanta l’excellenzia di costoro, che e’ non abbino molta piú miseria e’ miseri tapinelli de’ quali Io t’ho narrato.
Quanto è terribile e obscura la morte loro!
Però che nel punto della morte, sí come Io ti dixi, le dimonia gli accusano con tanto terrore e obscuritá, mostrando la figura loro, che sai che è tanto orribile che ogni pena che in questa vita si potesse sostenere eleggerebbe la creatura, inanzi che vederlo nella visione sua.
E anco se li rinfresca lo stimolo della coscienzia, che miserabilemente il rode nella coscienzia sua.
Le disordinate delizie e la propria sensualitá ( la quale si fece signora, e la ragione fece serva), l’acusano miserabilmente, perché alora cognosce la veritá di quello che in prima non cognosceva.
Unde viene a grande confusione de l’errore suo, perché nella vita sua vixe come infedele e non fedele a me, perché l’amore proprio gli velò la pupilla del lume della sanctissima fede.
El dimonio el molesta d’infedelitá, per farlo venire a disperazione.
Oh! quanto gli è dura questa bactaglia, perché ’l truova disarmato e non gli truova l’arme de l’affecto della caritá, perché in tucto, come membri del diavolo, ne sonno stati privati.
Unde non hanno lume sopranaturale né quel della scienzia, perché non l’intesero, però che le corna della superbia non lo’ lassano intendere la dolcezza del suo merollo; unde ora nelle grandi bactaglie non sanno che si fare.
Nella speranza essi non sonno notricati, però che non hanno sperato in me né nel Sangue, del quale Io gli feci ministri, ma solo in loro medesimi e negli stati e delizie del mondo.
E non vedeva il misero dimonio incarnato che ogni cosa gli stava ad usura, e come debitore gli conveniva rendere ragione dinanzi a me?
Ora si truova innudo e senza alcuna virtú, e, da qualunque lato egli si vòlle, non ode altro che rimproverio con grande confusione.
La ingiustizia sua, la quale egli ha usata nella vita, l’accusa a la coscienzia, unde non s’ardisce di dimandare altro che giustizia.
E dicoti che tanta è quella vergogna e confusione, che, se non che essi s’hanno preso nella vita loro per uno uso di sperare nella misericordia mia, bene che per li loro difecti ella è grande presumpzione ( perché colui che offende col braccio della misericordia, in effecto non si può dire che questa sia speranza di misericordia, ma è piú tosto presumpzione ), ma pure ha preso l’acto della misericordia; unde, venendo a l’extremitá della morte e cognoscendo il difecto suo e scaricando la coscienzia per la sancta confessione, è levata la presumpzione, che non offende piú, e rimane la misericordia.
E con questa misericordia possono pigliare atacco di speranza, se essi vogliono.
Che se non fusse questo, neuno sarebbe che non si disperasse, e con la disperazione giognarebbe con le dimonia a l’etterna dannazione.
Questo fa la mia misericordia: di farli sperare, nella vita loro, nella misericordia, bene che Io non lo’ ’l do perché essi offendano con la misericordia, ma perché si dilatino in caritá e in considerazione della bontá mia.
Ma essi l’usano tucta in contrario, però che con la speranza, che essi hanno presa della mia misericordia, m’offendono.
E nondimeno Io gli pure conservo nella speranza della misericordia, perché ne l’ultimo della morte egli abbino a che ataccarsi e al tucto non vengano meno nella reprensione e non giongano a disperazione.
Però che molto piú è spiacevole a me e danno a loro questo ultimo peccato del disperarsi, che tucti gli altri peccati che egli hanno commessi.
E questa è la cagione perché egli è piú danno a loro e spiacevole a me: perché gli altri peccati essi gli fanno con alcuno dilecto della propria sensualitá, e alcuna volta se ne dolgono, unde se ne possono dolere per modo che per quello dolere ricevono misericordia.
Ma al peccato della disperazione non ve li muove fragilitá, però che non vi truovano alcuno dilecto né altro che pena intollerabile; e nella disperazione spregia la misericordia mia, facendo maggiore il difecto suo che la misericordia e bontá mia.
Unde, caduto che egli è in questo peccato, non si pente né ha dolore de l’offesa mia in veritá come si debba dolere: duolsi bene del danno suo, ma non si duole de l’offesa che ha facta a me; e cosí riceve la etterna dannazione.
Sí che vedi che solo questo peccato el conduce a l’inferno, e ne l’inferno è crociato di questo e di tucti gli altri difecti che egli ha commessi.
E se egli si fusse doluto e pentutosi de l’offesa che aveva facta a me e avesse sperato nella misericordia, avarebbe trovato misericordia.
Però che senza alcuna comparazione, sí come io ti dixi, è maggiore la misericordia mia che tucti e’ peccati che potesse commectere neuna creatura.
E però molto mi dispiace che essi pongano maggiori e’ difecti loro; e questo è quel peccato che non è perdonato né di qua né di lá.
E perché nel punto della morte ( poi che la vita loro è passata disordinatamente e scelleratamente ), perché molto mi dispiace la disperazione, vorrei che pigliassero speranza nella misericordia mia, e però nella vita loro Io uso questo dolce inganno, cioè di farli sperare largamente nella misericordia mia; però che, quando vi sonno nutricati dentro in questa speranza, giognendo a la morte non sonno cosí inchinevoli a lassarla per le dure reprensioni che odono, sí come farebbero non essendovisi nutricati dentro.
Tucto questo lo’ dá el fuoco e l’abisso della inextimabile caritá mia.
Ma, perché essi l’hanno usata con la tenebre de l’amore proprio, unde l’è proceduto ogni difecto, non l’hanno cognosciuta in veritá; e però l’è reputato a grande presumpzione, quanto che ne l’affecto loro, la dolcezza della misericordia.
E questa è un’altra reprensione che lo’ dá la coscienzia ne l’aspecto delle dimonia, rimproverando che ’l tempo e la larghezza della misericordia, nella quale egli sperava, si doveva dilatare in caritá e in amore delle virtú e con virtú spendere il tempo che Io per amore lo’ diei; e eglino, col tempo e con la larga speranza della misericordia, m’offendevano miserabilemente.
O cieco, sopra cieco!
Tu sotterravi la margarita e il talento che Io ti missi nelle mani perché tu guadagnassi con esso; e tu, come presumptuoso, non volesti fare la volontá mia, anco el sotterrasti socto la terra del disordinato amore proprio di te medesimo, il quale ora ti rende fructo di morte.
Oh, misero te! quanta è grande la pena tua, la quale tu ora ne l’extremitá ricevi.
Elle non ti sonno occulte le tue miserie, però che ’l vermine della coscienzia ora non dorme, anco rode.
Le dimonia ti gridano e rendonti el merito che egli usano di rendere a’ servi loro: confusione e rimproverio.
Acciò che nel punto della morte tu non l’esca delle mani, vogliono che tu gionga a la disperazione, e però ti dánno la confusione, acciò che poi, con loro insieme, ti rendano di quello che egli hanno per loro.
Oh, misero! la dignitá, nella quale Io ti posi, ti si rapresenta lucida come ella è.
E per tua vergogna, cognoscendo che tu l’hai tenuta e usata in tanta tenebre di colpa la substanzia della sancta Chiesa, ti pone innanzi che tu se’ ladro e debitore, el quale dovevi rendere il debito a’ poveri e a la sancta Chiesa.
Alora la coscienzia tua tel rapresenta che tu l’hai speso e dato a le publiche meritrici, e notricati e’ figliuoli e aricchiti e’ parenti tuoi, e haitelo cacciato giú per la gola con adornamento di casa e con molti vasi de l’argento, colá dove tue dovevi vivere con povertá volontaria.
L’officio divino ti rapresenta la tua coscienzia, ché tu el lassavi, e non ti curavi perché cadessi nella colpa del peccato mortale; e, se tu el dicevi con la bocca, el cuore tuo era di longa da me.
E’ subditi tuoi, cioè la caritá e la fame, che verso di loro dovevi avere di notricarli in virtú, dando lo’ exemplo di vita e bacterli con la mano della misericordia e con la verga della giustizia; e, perché tu facesti el contrario, la coscienzia ne l’orribile aspecto delle dimonia ti riprende.
E se tu, prelato, hai date le prelazioni o cura d’anime a veruno tuo subdito ingiustamente, cioè che tu non abbi veduto a cui e come tu l’hai dato, ti si pone dinanzi a la coscienzia, perché tu le dovevi dare non per parole lusinghevoli né per piacere alle creature né per doni, ma solo per rispecto di virtú, per onore di me e salute de l’anime.
E perché tu non l’hai facto, ne se’ ripreso; e per maggiore tua pena e confusione hai dinanzi a la coscienzia e al lume de l’intellecto quello che tu hai facto, che non dovevi fare, e quello che tu dovevi fare, che tu non hai facto.
E voglio che tu sappi, carissima figliuola, che piú perfectamente si cognosce la bianchezza allato al nero e il nero allato a la bianchezza, che separati l’uno da l’altro.
Cosí adiviene a questi miseri, a costoro in particulare e a tucti gli altri generalmente, che nella morte ( dove l’anima comincia piú a vedere i guai suoi, e il giusto la beatitudine sua ) ella è rapresentata al misero la vita sua scellerata.
E non bisogna che alcuno l’il ponga dinanzi, però che la coscienzia sua si pone innanzi e’ difecti che egli ha commessi e le virtú che doveva adoperare.
Perché la virtú? per maggiore sua vergogna: perché, essendo allato il vizio e la virtú, per la virtú cognosce meglio el difecto, e quanto piú el cognosce, maggiore vergogna n’ha.
E per lo difecto suo cognosce meglio la perfeczione della virtú, unde ha maggiore dolore, perché si vede nella vita sua essere stato fuore d’ogni virtú.
E voglio che tu sappi che nel cognoscimento, che essi hanno della virtú e del vizio, veggono troppo bene el bene che séguita doppo la virtú a l’uomo virtuoso, e la pena che séguita a quel che è giaciuto nella tenebre del peccato mortale.
Questo cognoscimento do non perché venga a disperazione, ma perché venga a perfecto cognoscimento di sé e a vergogna del difecto suo con esperanza; acciò che con la vergogna e cognoscimento sconti de’ difecti suoi e plachi l’ira mia, dimandando umilmente misericordia.
El virtuoso ne cresce in gaudio e in cognoscimento della mia caritá, perché retribuisce la grazia d’avere seguitate le virtú e d’essere ito per la dottrina della mia Veritá, da me e non da sé, e però exulta in me.
Con questo vero lume e cognoscimento gusta e riceve il dolce fine suo per lo modo che Io in un altro luogo ti dixi.
Sí che l’uno exulta in gaudio, cioè il giusto che è vissuto con ardentissima caritá, e lo iniquo tenebroso si confonde in pena.
Al giusto la tenebre e visione delle dimonia non gli nuoce, e non teme, però che solo el peccato è quel che teme e riceve nocimento.
Ma quegli, che lascivamente e con molte miserie hanno guidata la vita loro, ricevono nocimento e timore ne l’aspecto delle dimonia.
Non è nocimento di disperazione, se essi non vorranno, ma di pena di riprensione, di rinfrescamento di coscienzia e di paura e timore ne l’orribile aspecto loro.
Ora vedi quanto è differente, carissima figliuola, la pena della morte e la bactaglia che ricevono nella morte, quella del giusto da quella del peccatore, e quanto è differente il fine loro.
Una piccola, piccola particella te n’ho narrato e mostrato a l’occhio de l’intellecto tuo: ed è sí piccola per rispecto di quel che ella è, cioè della pena che riceve l’uno e del bene che riceve l’altro, che è quasi non cavelle.
Or vedi quanta è la ciechitá dell’uomo, e spezialmente di questi miserabili, però che tanto quanto hanno ricevuto piú da me e piú sonno illuminati della sancta Scriptura, piú sonno obligati e ricevono piú intollerabile confusione.
E perché piú cognobbero della sancta Scriptura nella vita loro, piú cognoscono nella morte loro e’ grandi difecti che hanno commessi, e sonno conlocati in maggiori tormenti che gli altri, sí come e’ buoni sonno posti in maggiore excellenzia.
A costoro adiviene come del falso cristiano, che ne l’inferno è posto in maggiore tormento che uno pagano, perché esso ebbe il lume della fede e renunziò al lume della fede, e colui non l’ebbe.
Cosí questi miseri avaranno piú pena d’una medesima colpa che gli altri cristiani, per lo misterio che Io lo’ diei dando lo’ a ministrare il Sole del sancto Sacramento, e perché ebbero el lume della scienzia a potere discernere la veritá e per loro e per altrui, se essi avessero voluto.
E però giustamente ricevono maggiori pene.
Ma e’ miseri nol cognoscono; ché, se essi avessero punto di considerazione dello stato loro, non verrebbero in tanti mali, ma sarebbero quel che debbono essere e non sonno.
Anco tucto el mondo è corrocto, facendo molto peggio essi che i secolari nel grado loro.
Unde con le loro puzze lordano la faccia de l’anime loro e corrompono e’ subditi e succhiano il sangue a la sposa mia, cioè alla sancta Chiesa.
Unde per li loro difecti essi la impalidiscono, cioè che l’amore e l’affecto della caritá, che debbono avere a questa sposa, l’hanno posto a loro medesimi, e non actendono ad altro che a piluccarla e a trarne le prelazioni e le grandi rendite, dove essi debbono cercare anime.
Unde per la loro mala vita vengono e’ secolari ad inreverenzia e a disobbedienzia alla sancta Chiesa, benché essi nol debbano fare.
E non è scusato il difecto loro per lo difecto de’ ministri.
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