Dialogo della Divina Provvidenza |
- Dilarghisi, figliuola, el cuore tuo, e apre l’occhio de l’intellecto col lume della fede a vedere con quanto amore e providenzia Io ho creato e ordinato l’uomo acciò che goda nel mio sommo, etterno bene.
E in tucto ho proveduto, come decto t’ho, ne l’anima e nel corpo, negl’imperfecti e ne’ perfecti, a’ buoni e a’ gattivi, spiritualmente e temporalmente, nel cielo e nella terra, in questa vita mortale e nella inmortale.
In questa vita mortale, mentre che sète viandanti, Io v’ho legati nel legame della caritá: voglia l’uomo o no, egli ci è legato.
Se egli si scioglie per affecto che non sia nella caritá del proximo, egli ci è legato per necessitá.
Unde, acciò che in acto e in affecto usasse la caritá ( e se la perdete in affecto per le iniquitá vostre, almeno sète constrecti per vostro bisogno d’usare l’acto ), providdi di non dare a uno uomo, né a ogniuno a se medesimo, el sapere fare quello che bisogna fare in tucto alla vita de l’uomo; ma chi n’ha una parte, e chi n’ha un’altra, acciò che l’uno abbi materia, per suo bisogno, di ricòrrire a l’altro.
Unde tu vedi che l’artefice ricorre al lavoratore, e il lavoratore a l’artefice: l’uno ha bisogno de l’altro, perché non sa fare l’uno quello che l’altro.
Cosí el cherico e il religioso ha bisogno del secolare, e il secolare del religioso; e l’uno non può fare senza l’altro.
E cosí d’ogni altra cosa.
E non potevo Io dare a ogniuno tucto?
Sí bene; ma volsi, con providenzia, che s’aumiliasse l’uno a l’altro, e costrecti fussero d’usare l’acto e l’affecto della caritá insieme.
Mostrato ho la magnificenzia, bontá e providenzia mia in loro, e essi si lassano guidare alla tenebre della propria fragilitá.
Le menbra del corpo vostro vi fanno vergogna, perché usano caritá insieme, e non voi: unde, quando il capo ha male, la mano il soviene; e se il dito, che è cosí piccolo menbro, ha male, il capo non si reca a schifo perché sia maggiore e piú nobile che tucta l’altra parte del corpo, anco il soviene con l’udire, col vedere, col parlare e con ciò ch’egli ha.
E cosí tucte l’altre menbra.
Non fa cosí l’uomo superbo, che, vedendo il povero membro suo infermo e in necessitá, non el soviene, non tanto con ciò che egli ha, ma con una minima parola; ma con rimproverio e schifezza volta la faccia adietro.
Abbonda in ricchezze, e lassa lui morire di fame; ma egli non vede che la sua miseria e crudeltá gitta puzza a me, e infino al profondo de lo ’nferno ne va la puzza sua.
Io proveggo quel povarello, e per la povertá gli sará data somma ricchezza.
E a lui, con grande rimproverio, gli sará rimproverato dalla mia Veritá, se egli non si corregge, per lo modo che conta nel sancto Evangelio, dicendo: « Io ebbi fame e non mi desti mangiare; ebbi sete, e non mi desti bere; nudo fui, e non mi vestisti; infermo e in carcere, e non mi visitasti ».
E non gli varrá in quello ultimo di scusarsi, dicendo: - Io non ti viddi mai, ché, se io t’avesse veduto, io l’arei facto.
- El misero sa bene ( e cosí dixe Egli ) che quello che fa a’ suoi povaregli, fa a lui.
E però giustamente gli sará dato etterno supplicio con le demonia.
Sí che vedi che nella terra Io ho proveduto perché non vadano all’etternale dolore.
Se tu raguardi di sopra, in me vita durabile, nella natura angelica e ne’ cittadini che sonno in essa vita durabile, che in virtú del sangue dell’Agnello hanno avuta vita etterna, Io ho ordinato con ordine la caritá loro, cioè che Io non ho posto che l’uno gusti pure il bene suo proprio, nella beata vita che egli ha da me, e non sia participato dagli altri.
Non ho voluto cosí: anco è tanto ordinata e perfecta la caritá loro, che il grande gusta el bene del piccolo, e il piccolo quello del grande.
Piccolo, dico, quanto a misura, non che ’l piccolo non sia pieno come il grande, ognuno nel grado suo, sí come in un altro luogo Io ti narrai.
Oh! quanto è fraterna questa caritá, e quanto è unitiva in me, e l’uno con l’altro, perché da me l’hanno e da me la ricognoscono, con quello timore sancto e debita reverenzia, che rendono loro, s’affogano in me, e in me veggono e cognoscono la loro dignitá nella quale Io gli ho posti.
L’angelo si comunica con l’uomo, cioè con l’anime de’ beati, e i beati con gli angeli.
Sí che ognuno in questa dileczione della caritá, godendo el bene l’uno de l'altro, exultano in me con giubilo e allegrezza senza alcuna tristizia, dolce senza alcuna amaritudine, perché, mentre che vissero e nella morte loro, gustâro me per affecto d’amore nella caritá del proximo.
Chi l’ha ordinato? La sapienzia mia con admirabile e dolce providenzia.
E se tu ti vòlli al purgatorio, vi trovarrai la mia dolce e inextimabile providenzia in quelle tapinelle anime che per ignoranzia perdêro il tempo, e perché sonno separate dal corpo, non hanno piú el tempo di potere meritare: unde Io l’ho provedute col mezzo di voi, che anco sète nella vita mortale, che avete il tempo per loro; cioè che con le limosine e divino offizio che facciate dire a’ ministri miei, con digiuni e con orazioni facte in istato di grazia, abbreviate a loro il tempo della pena mediante la mia misericordia.
Odi dolce providenzia!
Tucto questo ho decto a te che s’appartiene, dentro ne l’anima, alla salute vostra, per farti inamorare e vestire col lume della fede, con ferma speranza nella providenzia mia, e perché tu gitti te fuore di te, e in ciò che tu hai a fare speri in me senza veruno timore servile.
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