Cantico spirituale Manoscritto B |
1 - Poiché questa colomba dell'anima andava volando per l'aura di amore sopra le acque del diluvio delle sue fatiche e ansie amorose che ha mostrato fino ad ora, senza trovare dove posare il piede, durante quest'ultimo volo il padre pietoso Noé ha steso la sua mano misericordiosa e presala l'ha introdotta nell'arca della sua carità e del suo amore.
Ciò è accaduto allorché nella strofa precedente è stato detto: Volgiti, colomba.
In tale raccoglimento l'anima, trovando tutto ciò che desidera e più di quanto si possa esprimere, incomincia a cantare le lodi dell'Amato e descrive le grandezze che sente e gode in questa unione con Lui, dicendo nelle due strofe seguenti:
L'Amato è le montagne,
le valli solitarie e ricche d'ombra
le isole remote,
le acque rumorose,
il sibilo delle aure amorose;
È come notte calma
molto vicina al sorger dell'aurora
musica silenziosa,
solitudin sonora,
è cena che ristora e che innamora.
2 - Prima di iniziare il commento di queste strofe, per capire meglio queste e le seguenti, è necessario ricordare come il volo spirituale, di cui ho terminato ora di parlare, indica un alto stato di unione di amore in cui, dopo un lungo esercizio spirituale, Dio colloca l'anima, stato al quale viene dato il nome di fidanzamento spirituale con il Verbo, Figlio di Dio.
A principio, cioè la prima volta in cui ciò avviene, il Signore comunica all'anima grandi beni, abbellendola di grandezza e di maestà, corredandola di doni e di virtù e rivestendola di conoscenza e di amore divino, proprio come viene fatto ad una sposa il giorno del suo fidanzamento.
In questo giorno fortunato non solo cessano in lei le ansie veementi e i lamenti amorosi del passato ma, adorna dei beni di cui si è parlato, incomincia a vivere in uno stato di pace, di diletto e di soavità amorosa, quale è descritta in queste strofe, nelle quali non si fa altro che enumerare e cantare le grandezze che l'anima conosce e gode nell'Amato mediante l'unione del fidanzamento.
E così nelle strofe seguenti ella non parla più di pene o di ansie come faceva prima, ché cessano in questo stato, ma tratta della comunicazione e dell'esercizio dell'amore dolce e pacifico con l'Amato.
Si deve inoltre notare che in queste due strofe si parla di tutto ciò che Dio può comunicare all'anima in questo tempo.
Però non si deve credere che a tutte le anime le quali giungono a tale stato venga concesso tutto ciò di cui si parla né in una stessa misura e maniera di conoscenza e di sentimento, poiché alle une viene dato più, alle altre meno, a queste in una maniera, a quelle in un'altra, anche se tutte queste varie specie di comunicazione appartengono al fidanzamento spirituale.
Ora parlerò di tutto ciò che può essere comunicato e che comprende in sé tutto il resto.
3 - È necessario ricordare che, secondo quanto narra la divina Scrittura ( Gen 6,14ss ), l'arca di Noè era divisa in molte parti destinate alle numerose specie di animali, e conteneva ogni genere di cibo.
Similmente l'anima, nel volo che compie verso la divina arca del petto di Dio, non solo vi scorge le molte mansioni che, secondo quanto il Signore dice in S. Giovanni ( Gv 14,2 ), sono nella casa del Padre, ma anche tutti i cibi, cioè tutte le grandezze che ella vi può gustare.
Si tratta di tutti i beni enumerati nelle strofe suddette, significati da quei termini comuni, che in sostanza si riducono ai seguenti.
4 - In questa unione divina l'anima vede e gusta con abbondanza ricchezze inestimabili, trova tutto il riposo e il sollievo che desidera e penetra i segreti e le straordinarie notizie di Dio che sono per lei un altro cibo tra i più saporiti.
Sente in Dio un potere e una forza terribili capaci di annientare ogni altro potere e ogni altra forza, vi gusta una mirabile soavità e diletto di spirito, vi trova una vera quiete e luce divina, e vi gusta profondamente la sapienza di Dio che risplende nell'armonia delle creature e delle opere divine.
Si accorge di essere ricolma di beni, vuota e lontana dai mali, e soprattutto intende e gode di una inestimabile sazietà di amore, da cui è confermata in amore.
Questo in sostanza è il contenuto delle due strofe citate.
5 - In esse la sposa afferma che il suo Amato in sé e per lei è tutte queste cose; poiché in quanto Dio è solito comunicarle in simili rapimenti, ella comprende la verità del detto di S. Francesco: "Dio mio e mio tutto".
Perciò, essendo Dio per l'anima tutte le cose e ogni loro bene, per far capire ciò che le viene concesso nell'estasi, essa ricorre ad una similitudine presa dalla bontà delle creature, secondo quanto spiegherò riguardo a ciascun verso di queste due strofe.
Si deve dunque notare come tutto ciò di cui ora si parla si trova eminentemente in Dio in maniera infinita o, per dire meglio, Egli è ognuna di queste grandezze che si predicano, le quali tutte insieme sono Dio.
Perché l'anima nel caso presente si unisce con il Signore, si accorge che tutte le cose sono Lui, secondo quanto esperimenta San Giovanni quando scrive: Quod factum est, in ipso vita erat ( Gv 1,4 ), vale a dire: Ciò che fu fatto, era vita in Lui.
Però non si deve credere che il sentimento dell'anima equivalga alla visione delle cose nella luce o delle creature in Dio ma che in quel possesso ella sente che Dio è per lei tutte le cose.
Del pari, siccome percepisce Dio in modo tanto sublime in ciò di cui stiamo parlando, non si deve concludere che lo vede essenzialmente e chiaramente; ciò che ella vede non è altro che una forte e copiosa comunicazione e un barlume di ciò che Egli è in sé, in cui ella intravvede la bontà delle cose di cui si tratterà nei versi seguenti.
L'Amato è le montagne.
6 - Le montagne hanno delle cime, sono alte, imponenti, belle, graziose, fiorite e odorose.
Come queste montagne è l'Amato per me.
Le valli solitarie e ricche d'ombra.
7 - Le valli solitarie sono quiete, amene, fresche, ombrose, ricche di dolci acque.
Per la varietà dei loro alberi e per il soave canto degli uccelli ricreano e dilettano grandemente il senso e nella loro solitudine e nel loro silenzio offrono refrigerio e riposo: queste valli è il mio Amato per me.
Le isole remote.
8 - Le isole remote sono circondate dal mare nel quale si sperdono, sono molto remote e lontane dalle comunicazioni umane.
E così nascono e crescono in esse prodotti molto diversi da quelli delle nostre regioni, di forme strane e dotati di virtù sconosciute, che riescono affatto nuovi e suscitano meraviglia in chi li vede.
A causa quindi delle grandi e mirabili novità e delle nozioni straordinarie e lontane dalla conoscenza comune che l'anima percepisce in Dio, lo chiama isole remote.
Un uomo viene considerato remoto perché vive appartato dalla gente, o perché per le sue azioni si distingue dagli altri.
Per questi due motivi l'anima dà a Dio l'appellativo di remoto: non solo perché Egli compendia in sé tutta la lontananza delle isole sconosciute, ma anche perché straordinarie, nuove e mirabili sono le sue vie, i suoi consigli e le sue opere.
Non c'è da meravigliarsi che il Signore sia lontano dagli uomini che non l'hanno veduto, dal momento che lo è anche dagli Angeli e dalle anime che lo vedono; infatti costoro non ne esauriscono mai la conoscenza, anzi non riusciranno mai a comprenderlo e fino all'ultimo giorno del giudizio scopriranno in Lui tante verità circa i suoi profondi giudizi e le opere della sua misericordia e giustizia, che riusciranno sempre nuove generando in loro sempre maggior meraviglia.
Per tale ragione non solo gli uomini ma anche gli Angeli lo possono chiamare isole remote.
Solo per sé non è estraneo né nuovo.
Le acque rumorose.
9 - I fiumi hanno tre proprietà: la prima, che investono e sommergono tutto ciò che incontrano; la seconda, che riempiono tutte le cavità e i vuoti che trovano sul cammino; la terza, che fanno un rumore tale da coprire e confondere ogni altro suono.
Poiché in questa comunicazione di Dio sente saporosamente in Lui queste tre proprietà, l'anima afferma che l'Amato è le acque rumorose.
Quanto alla prima proprietà c'è da sapere che l'anima vede ora il torrente dello spirito di Dio investirla e impossessarsi di lei con tanta forza da sembrarle di essere inondata da tutti i fiumi del mondo.
Sente inoltre che in esso vengono annegate tutte le azioni e le passioni per cui prima ella viveva.
Non si creda però che una causa di tanta forza sia causa di tormento, poiché questi sono fiumi di pace, come fa capire il Signore per le labbra di Isaia allorché parla di questo rapimento: Ecce ego declinabo super eam quasi fluvium pacis et quasi torrentem inundanntem gloriam ( Is 66,12 ), vale a dire: Ecco che io faro discendere sopra di lei e la investirò, cioè, l'anima, come un fiume di pace e come un torrente che ridonda di gloria.
E così con questo modo di investire, simile a quello di acque rumorose, Dio riempie l'anima di pace e di gloria.
La seconda proprietà percepita dall'anima è quella che in questo tempo l'acqua divina riempie le bassezze della sua umiltà e i vuoti dei suoi appetiti, secondo quanto dice S. Luca: Exaltavit humiles, esurientes implevit bonis, vale a dire: Esaltò gli umili e colmò di beni i famelici ( Lc 1,52 ).
La terza proprietà che l'anima sente in queste acque rumorose dell'Amato è un suono o una voce spirituale superiore ad ogni altra voce, che rende nulla ogni altra, suono che eccede ogni altro suono del mondo.
Mi fermerò un po' per spiegare come ciò avvenga.
10 - Questa voce o suono rumoroso delle acque di cui si parla riempie l'anima di beni tanto copiosi e le dà una forza così potente che a lei sembra di udire non solo un rumore di fiumi, ma piuttosto uno strepito di tuoni.
Questa però è una voce spirituale che non è accompagnata da suoni sensibili con la loro pena e molestia, ma da grande forza, potenza, diletto e gloria; è quindi, come una voce e un suono interiore immenso che riveste l'anima di potenza e di forza.
Tale voce spirituale o suono riecheggiò nell'animo degli Apostoli allorché, come narrano gli Atti ( At 2,2 ) lo Spirito Santo discese su di loro come un torrente impetuoso.
Affinché fosse capita la voce spirituale che lo Spirito faceva loro udire interiormente, all'esterno del cenacolo si udì il rumore di un vento impetuoso, percepito da tutti gli abitanti di Gerusalemme.
Per mezzo di esso, ripeto, veniva indicato il dono ricevuto nell'anima dagli Apostoli, cioè la potenza e la forza di cui venivano riempiti.
Secondo S. Giovanni, discese una voce dal cielo anche su Nostro Signore mentre stava pregando il Padre in mezzo alle angustie e alle afflizioni procurategli dai suoi avversari; si trattava di una voce interiore dalla quale fu confortato nell'umanità, il cui suono ai Giudei sembrò cosi grave e impetuoso che gli uni affermarono essere stato un tuono e gli altri che gli aveva parlato un Angelo del cielo ( Gv 12,28 ).
Invece per mezzo di quella voce udita all'esterno si voleva far capire simbolicamente la forza e il potere che il Cristo riceveva interiormente nella sua umanità.
In seguito a quanto è stato detto non si deve concludere che l'anima cessa di ricevere nell'intimo il suono della voce spirituale.
Si deve anzi notare che la voce spirituale è l'effetto prodotto da essa nell'anima, come quella sensibile imprime il suono nell'udito e l'idea nello spirito.
David vuol far capire la cosa allorché dice: Ecce dabit voci suae vocem virtutis, che vuol dire: Ecco che Dio darà alla sua voce una voce di virtù ( Sal 68,34 ).
Questa virtù è la voce interna poiché l'espressione di David: darà alla sua voce voce di virtù vuol dire: alla voce esteriore, sensibile all'esterno, darà la virtù di quella interiore.
E quindi poiché Dio è una voce infinita, comunicandosi all'anima nel modo suddetto, produce in lei l'effetto di una voce, immensa.
11 - Una voce simile udì S. Giovanni.
Nell'Apocalisse egli afferma che la voce da lui udita in cielo erat tamquam vocem acquarum multarum et tamquam vocem tonitrui. magni ( Ap 14,2 ), cioè la voce da lui udita era simile al rumore di molte acque e a quello di un grande tuono.
Affinché poi non si intenda che essa, perché cosi grande, fosse anche penosa e aspra, soggiunge subito che era soave: Erat sicut citharoedorum citharizantium in citharis suis, vale a dire: Era come quella di molti citaredi che suonavano le loro cetre.
Ezechiele ( Ez 1,24 ) afferma che questo rumore simile a quello di molte acque era quasi sonum sublimis Dei, cioè come suono dell'Altissimo Dio, che in maniera sublime e soave si comunicava in questa voce infinita.
Infatti è Dio stesso che si comunica in essa, producendo una voce nell'anima, ma si adatta a ciascuna, dandole una voce di virtù secondo le sue capacità, producendo in lei molto diletto ed esaltandola.
Perciò, la sposa dice nel Cantico ( Ct 2,14 ): Sonet vox tua in auribus meis, vox enim tua dulcis - Risuoni la tua voce nelle mie orecchie, poiché essa è dolce.
Segue il verso:
il sibilo delle aure amorose.
12 - Di due cose parla l'anima in questo verso: delle aure e del sibilo.
Per aure amorose si intendono le virtù e le grazie dell'Amato, che per mezzo dell'unione con lo Sposo investono l'anima comunicandosi in maniera amorosa e toccandola nella sostanza.
Il nome di sibilo di queste aure viene dato ad una sublime e saporosa intelligenza di Dio e delle sue virtù, che ridonda nell'intelletto prodotta dal tocco di queste virtù divine nella sostanza dell'anima.
Questo diletto è più sublime di tutti quelli gustati dall'anima in questo stato.
13 - Per comprendere meglio la cosa c'è da notare che, come nell'aria si percepiscono due fenomeni, il tocco e il sibilo o rumore, cosi in questa comunicazione dello Sposo si percepiscono due effetti, cioè il sentimento del diletto e l'intelligenza.
Inoltre come il tocco dell'aria si gusta con il tatto e il sibilo con l'udito, così il tocco delle virtù dell'Amato si sente e si gusta nel tatto dell'anima, cioè nella sua sostanza, e la loro intelligenza si percepisce nell'udito dell'anima, vale a dire, nell'intelletto.
Spira veramente una aura amorosa allorché essa ferisce piacevolmente rendendo soddisfatto l'appetito di chi desiderava tale refrigerio.
Allora infatti il senso del tatto viene rallegrato e sollevato e con questa gioia del tatto l'udito prova un diletto nel suono e nel sibilo dell'aria, molto maggiore di quello che prova il tatto al tocco dell'aura, poiché esso è più spirituale o, per dire meglio, si avvicina più del tatto a ciò che è spirituale per cui il godimento che produce è più spirituale di quello causato dall'altro senso.
14 - Poiché questo tocco divino soddisfa e rallegra grandemente la sostanza dell'anima, compiendone soavemente il desiderio che è quello di giungere ad unirsi con Dio, perciò anche a quest'unione o tocco ella dà il nome di aure amorose.
Infatti in esso le vengono comunicate in modo amoroso e dolce le virtù dell'Amato, dal che deriva nell'intelletto il sibilo dell'intelligenza.
Lo chiama sibilo poiché come il sibilo causato dall'aria penetra acutamente nell'interno dell'orecchio così questa sottile e delicata intelligenza con mirabile sapore e diletto entra nell'intimo della sostanza dell'anima il che costituisce un diletto maggiore di ogni altro.
Ciò accade perché le viene comunicata la sostanza intesa e nuda di accidenti e di fantasmi, dal momento che tale comunicazione viene data all'intelletto che i filosofi chiamano passivo o possibile, poiché la riceve passivamente, senza far mente da parte sua.
Ciò costituisce il principale diletto dell'anima: avviene infatti nell'intelletto in cui come dicono i teologi, si gode della fruizione, cioè la visione di Dio.
Proprio perché questo sibilo significa l'intelligenza sostanziale, alcuni teologi pensano che il nostro Padre Elia mentre era sul monte, abbia veduto Dio in quel sibilo di aura soave che egli sentì presso l'apertura della sua caverna ( 1 Re 19,12 ).
La Sacra Scrittura lo chiama sibilo di aure delicate poiché dalla sublime e delicata comunicazione dello spirito gli nasceva l'intelligenza nell'intelletto.
Qui l'anima lo dice sibilo di aure amorose poiché le ridonda nell'intelletto dell'amorosa comunicazione delle virtù dell'Amato.
Ecco la ragione del sibilo delle aure amorose.
15 - Questo sibilo divino che penetra nell'udito dell'anima non solo è una sostanza appresa, ma è anche una scoperta delle verità divine e una rivelazione dei segreti nascosti di Dio.
Quasi ogni volta che nelle Sacre Scritture si parla di comunicazione divina che penetra nell'udito, si tratta di una manifestazione di queste verità nude all'intelletto o di rivelazione dei segreti di Dio, rivelazioni o visioni del tutto spirituali concesse all'anima sola, senza l'aiuto dei sensi; perciò è molto sublime e certo quanto si dice che viene comunicato da Dio attraverso l'udito.
Per far capire la profondità della rivelazione ricevuta, S. Paolo non dice: Vidit arcana verba, e neppure: Gustavit arcana verba, ma: Audivit arcana verba, quae non licei homini loqui ( 2 Cor 12,4 ), come per affermare: Ho udito parole arcane, che non possono essere pronunziate da uomo.
Da tale espressione si suppone che anche egli abbia avuto la visione di Dio nel sibilo, come l'ebbe il nostro Padre Elia.
Infatti come la fede, secondo S. Paolo ( Rm 10,17 ), entra per mezzo di uno dei sensi del corpo, l'udito, così anche quanto essa ci dice, cioè la sostanza appresa, entra per mezzo dell'udito dello spirito.
La cosa ci viene fatta comprendere dal profeta Giobbe il quale parlando con Dio che gli era apparso dice: Auditu auris audivi te, nunc autem oculus meus videte te, cioè: Ti ho udito con l'orecchio, ed ora ti vede il mio occhio ( Gb 42,5 ).
In questo testo si fa intendere in maniera chiara come udire Dio con l'orecchio dell'anima sia vederlo con l'occhio dell'intelletto passivo di cui ho parlato.
Perciò non dice: Ti ho udito con l'udito delle mie orecchie, ma del mio orecchio; e non: Ti ho visto con i miei occhi, ma con il mio occhio, che è l'intelletto.
Dunque per l'anima udire è vedere con l'intelletto.
16 - Il fatto che oggetto dell'intelletto dell'anima sia la nuda sostanza non ci deve far concludere che essa goda ora, come in cielo, della fruizione perfetta.
Infatti, pur essendo nuda da accidenti, la visione attuale non è chiara ma oscura, giacché è contemplazione la quale in questa vita come afferma S. Dionigi, è un raggio di tenebra.
Perciò possiamo dire soltanto che essa è un raggio e una immagine della fruizione in quanto che come questa avviene nell'intelletto.
Tale sostanza appresa, a cui l'anima dà il nome di sibilo, sono gli occhi desiati.
Siccome il senso, dopo che gli sono stati scoperti dall'Amato, non li ha potuti sopportare, l'anima ha detto: Allontanali, Amato!
17 - Mi sembra che ora cada a proposito una testimonianza di Giobbe, la quale conferma gran parte di quanto è stato detto circa questa estasi e questo fidanzamento.
Perciò anche se dovrò prolungarmi alquanto la riferirò, e spiegherò quelle parti che fanno al caso nostro.
Prima la citerò tutta in latino, poi tutta in volgare e quindi spiegherò ciò che fa per noi; fatto ciò, continuerò a commentare i versi dell'altra strofa.
Elifaz Temanite dice dunque in Giobbe ( Gb 4,12-16 ): Porro ad me dictum est verbum absconditum, et quasi furtive suscepit auris mea venas susurri eius.
In horrore visionis nocturnae, quando solet sopor occupare homines, pavor tenuit me et tremor, et omnia ossa mea perterrita sunt; et cum spiritus, me praesente, transiret, inhorruerunt pili carnis meae.
Stetit quidam, cuius non agnoscebam vultum, imago coram oculis meis, et vocem quasi aurae lenis auudivi.
Tradotta suona: Invero una arcana parola a me fu rivolta, e furtivamente percepì il mio orecchio il suo sussurro; nell'orrore della visione notturna, quando il sonno suole incombere sugli uomini, m'incolse uno spavento e un tremito e tutte le mie ossa furono scosse.
E mentre lo spirito passava dinanzi a me, inorridì la pelle del mio corpo; mi si fermò dinanzi uno che non conobbi all'aspetto, una immagine ristette davanti ai miei occhi e udii una voce quasi di bisbiglio.
Questo testo contiene quasi tutto ciò che è stato detto fin qui intorno all'estasi, dalla strofa che dice: Allontanali, Amato!
Infatti le parole di Elifaz Temanite: Una arcana parola mi fu rivolta significano quelle cose nascoste concesse all'anima la quale, non potendone sostenere la grandezza, esclama: Allontanali, Amato!
18 - « Le vene del sussurro percepito furtivamente dall'orecchio » del profeta significano la nuda sostanza ricevuta dall'intelletto; infatti le vene sono simbolo di questa sostanza interiore e il « sussurro » della comunicazione e del tocco potente mediante il quale la suddetta sostanza appresa viene data all'intelletto.
L'anima usa il termine « sussurro » perché tale comunicazione è molto soave, mentre in altro luogo l'ha chiamata « aura amorosa » perché infusa amorosamente.
Inoltre essa afferma di averla ricevuta « furtivamente » per indicare che questo segreto, naturalmente parlando, non appartiene all'uomo, allo stesso modo con cui un oggetto rubato non appartiene al ladro, ma ad altra persona.
L'anima dunque, senza averne nessun diritto ha ricevuto ciò che esilia dalla sua natura, simile in ciò a S. Paolo al quale non era lecito manifestare il suo segreto ( 2 Cor 12,4 ), per cui il profeta Isaia dice due volte: Il mio segreto è per me ( Is 24,6 ).
Quando dice: « Nell'orrore della visione notturna, quando il sonno incombe sugli uomini, fui colto da spavento e da tremito », Giobbe fa intendere il timore e tremore prodotto naturalmente nell'anima da quel rapimento che secondo quanto è stato detto, non può essere sopportato dalla natura, a causa della comunicazione dello spirito di Dio.
Infatti con questa espressione il profeta fa capire che, come gli uomini quando vanno a riposare, nel dormiveglia, sogliono essere oppressi e intimoriti da qualche visione a cui essi danno il nome di incubo, così al momento di questo passaggio spirituale tra il sonno dell'ignoranza naturale e la veglia della conoscenza soprannaturale, ossia al principio del rapimento o dell'estasi, l'anima teme e trema a causa della visione spirituale che allora le viene concessa.
19 - Soggiunge poiché « tutte le sue ossa furono scosse e si conturbarono », quasi volesse far capire che si commossero e si staccarono dalle congiunture, mettendo in risalto il grande slogamento di ossa a cui la persona spirituale va incontro in questo tempo.
Daniele descrive bene questo fenomeno quando vedendo l'Angelo dice: Domine, in visione tua dissolutae sunt compages meae, cioè: Signore, durante la tua visione, le giunture delle mie ossa si sono slogate ( Dn 10,16 ).
Quindi prosegue: « mentre lo spinto passava dinanzi a me », facendo oltrepassare al mio i suoi limiti e le sue: vie naturali per mezzo del rapimento, « inorridì la pelle del mio corpo », facendo comprendere in ciò quanto è stato detto del corpo, il quale in questo rapimento, come un cadavere, rimane gelido e con le membra irrigidite.
20 - Dice inoltre il profeta: « Mi si fermò dinanzi uno, che non conobbi all'aspetto, un'immagine ristette dinanzi, ai miei occhi ».
Colui che gli si fermò dinanzi era Dio, il quale gli si comunicava in quella maniera.
Soggiunge che, « non lo conobbe all'aspetto » onde far capire come in tale comunicazione o visione, quantunque sublime, non si conosce e non si vede né il volto né l'essenza di Dio.
Però aggiunge che « un'immagine si fermò davanti ai suoi occhi poiché, come è stato detto, l'intelligenza della parola recondita era profondissima come un'immagine e un raggio di Dio, la qual cosa però non equivale a vedere essenzialmente Dio.
21- Conchiude quindi dicendo: « E udii una voce quasi come un bisbiglio » in cui viene simboleggiato il sibilo delle aure amorose che è l'Amato.
Però non bisogna credere che tali visite accadano sempre accompagnate da questi timori e sofferenze fisiche ciò accade, come è stato detto solo in coloro che muovono i primi passi nello stato di illuminazione e perfezione e durante tale genere di comunicazione, mentre in altri accadono con grande soavità.
Continua la spiegazione:
È come notte calma.
22 - In questo sonno spirituale che fa sul petto dell'Amato, l'anima è pervasa e gusta la calma, il riposo e la quiete della notte pacifica, e insieme riceve un'abissale e oscura intelligenza divina.
Perciò ella afferma che il suo Amato è per lei la notte calma,
molto vicina al sorger dell'aurora.
23 - Questa notte calma non è oscura, ma è come la notte quando sta per spuntare l'aurora.
Infatti, questa calma o quiete in Dio non è per l'anima oscura del tutto, come notte profonda, ma è pace e quiete nella luce divina di una nuova conoscenza di Dio, in cui lo Spinto se ne sta soavissimamente quieto, elevato alla luce divina.
Perciò l'anima chiama giustamente questa luce divina sorger dell'aurora cioè mattino; infatti come l'apparire del mattino disperde l'oscurità della notte e scopre la luce del giorno così questo spirito riposato e quieto in Dio dalle tenebre della conoscenza naturale viene elevato alla luce mattinale della conoscenza soprannaturale di Dio, non manifesta ma oscura come la notte molto vicina al sorgere dell'aurora.
Come la notte al sorgere dell'alba non è né tutta notte, né tutta giorno, ma fra due luci, così questa solitudine o riposo divino non è né informato pienamente dalla luce divina né è privo totalmente di essa.
24 - In questa pace l'intelletto si vede elevare con impensata novità sopra ogni naturale intendimento alla luce divina, come colui il quale dopo un lungo sonno apre gli occhi alla luce inattesa.
David vuole alludere a tale conoscimento allorché dice: Vigilavi et factus sum sicut passer solitarius in tecto ( Sal 102,8 ) che vuol dire: Mi svegliai e divenni simile al passero solitario sul tetto.
Come se dicesse: ho aperto gli occhi del mio intelletto e mi sono trovato al di sopra di tutte le cognizioni naturali e solitario, cioè senza di esse, sul tetto, vale a dire al di sopra di tutte le cose umane.
Dice nel testo di essere divenuto simile « al passero solitario » perchè lo spirito in questo genere di contemplazione ha le stesse proprietà di tale uccello.
Esse sono cinque:
prima, il passero generalmente si pone nei luoghi più alti; anche lo spirito in questo grado si immerge in un'alta contemplazione;
seconda, quello ordinariamente tiene il becco rivolto verso la parte donde spira il vento, questo tiene l'appetito rivolto verso quella parte da cui gli viene lo spirito d'amore, cioè Dio;
terza, in generale il passero sta solo e non permette che gli stia vicino nessun altro uccello, poiché egli si allontana appena gli se ne posa vicino qualcuno; anche lo spirito in questa contemplazione se ne sta nella solitudine di tutte le cose, nudo di esse, e non ammette in sé altra cosa che la solitudine in Dio
quarta, il passero canta molto soavemente, cosa che fa in questo stato anche lo spirito poiché innalza a Dio lodi di soavissimo amore, piacevolissime in sé e graziosissime al Signore;
quinta, quell'uccello non ha un colore determinato.
È così anche lo spirito perfetto il quale in questo rapimento non solo non ha alcun colore di affetto sensibile di amor proprio, ma è anche alieno da ogni riflessione su cose spirituali e temporali, e non può neppure parlare di quel che prova, poiché quanto possiede è un abisso di notizie di Dio.
Musica silenziosa.
25 - Nel riposo e nel silenzio di questa notte e nella notizia concessale dalla luce divina, l'anima avverte una ammirabile e armoniosa disposizione della Sapienza nella varietà di tutte le creature e di tutte le opere.
Si accorge che tutte e ciascuna di esse sono dotate di una certa corrispondenza con Dio, in forza della quale ciascuna a modo suo espone quello che Dio è in lei.
Ne deriva quasi una armonia di musica sublime che trascende tutte le danze e le melodie del mondo.
L'anima dice che questa musica è silenziosa poiché, come è stato detto, essa è intelligenza riposata e quieta, senza rumore di voci: infatti in essa si gode la soavità della musica e la quiete del silenzio.
Perciò afferma che il suo Amato è questa musica silenziosa, giacché in Lui si conosce e si gusta questa armonia di musica spirituale.
Ma non basta, poiché è anche:
solitudin sonora,
26 - espressione che quasi equivale a musica silenziosa poiché quantunque quella musica sia silenziosa per i sensi e le potenze naturali, è solitudine molto sonora per le potenze spirituali, le quali, perché sole e vuote di ogni forma e apprensione naturale, possono ben ricevere nello spirito e in maniera molto sonora il suono spirituale dell'eccellenza di Dio, in sé e nelle sue creature, secondo quanto S. Giovanni ha veduto nell'Apocalisse e cioè: Una voce di molti citaredi che suonavano sulle loro cetre ( Ap 14,2 ).
Il Santo percepì nello spirito tale voce, che però non era prodotta da cetre materiali, ma da una certa conoscenza delle lodi di gloria che ciascun beato a suo modo rende continuamente a Dio.
Essa è simile a una musica, poiché come ciascuno possiede i suoi doni in modo diverso così ciascuno canta la sua lode in maniera diversa formando un'armonia d'amore, come accade nella musica.
27 - Allo stesso modo per mezzo di quella sapienza tranquilla l'anima vede in tutte le creature, sia superiori che inferiori, a seconda di quanto ciascuna ha ricevuto da Dio, che ciascuna a suo modo dà una sua voce di testimonianza a Dio e gli rende gloria possedendolo in maniera conforme alle proprie capacità.
E così tutte queste voci formano un'armonia musicale di grandezza, di sapienza e di scienza mirabile di Dio.
Ciò vuole esprimere lo Spirito Santo nel libro della Sapienza quando dice: Spiritus Domini replevit orbem terrarum, et hoc quod continet omnia, scientiam habet vocis ( Sap 1,7 ).
Vuol dire: Lo Spirito del Signore ha riempito l'orbe della terra e questo mondo che contiene tutte le cose fatte da Lui ha la scienza della voce, possiede cioè la solitudin sonora che, come dico, l'anima conosce ora, cioè la testimonianza che tutte le cose in se stesse danno a Dio.
L'anima la dice musica silenziosa e solitudin sonora perché riceve questa musica sonora solo nella solitudine e nella lontananza da tutte le cose esteriori.
Inoltre aggiunge che il suo Amato è:
cena che ristora e che innamora.
28 - Per gli amanti la cena è sollievo, sazietà e amore.
Poiché l'Amato in questa soave comunicazione genera nell'anima queste tre cose, ella lo dice cena che ristora e che innamora.
C'è da notare che nella Sacra Scrittura vien dato il nome di cena alla visione divina poiché, come la cena segna il termine del giorno e il principio del riposo notturno, così la notizia di cui è stato parlato, fa sentire all'anima la fine certa dei mali e il possesso dei beni, in cui più di prima ella si innamora di Dio.
Perciò il Signore è per lei la cena che ristora perché fine dei mali e che innamora perché diventa per lei possesso di tutti i beni.
29 - Ma affinché si sappia meglio come sia questa cena per l'anima, che non è altro che il suo Amato, conviene riferire ciò che Egli stesso dice nell'Apocalisse: Io sto alla porta e chiamo; se alcuno mi aprirà, entrerò e cenerò con lui ed egli con me ( Ap 3,20 ).
Con queste parole il Signore fa comprendere che Egli porta con sé la cena, la quale non è che il suo sapore e i suoi diletti di cui Egli stesso gode, e che Egli, unendosi con l'anima, glieli comunica e così anch'essa gode.
Questo significa « io cenerò con lui ed egli con me ».
In questo passo quindi si fa comprendere l'effetto dell'unione divina dell'anima con Dio, in cui vengono comunicati a lei i beni stessi del Signore, perché Egli glieli comunica graziosamente e largamente.
E così Egli stesso è per lei cena che ristora e che innamora, poiché largheggiando con lei la ricrea ed essendo grazioso l'innamora.
30 - Prima di affrontare la spiegazione delle altre strofe è necessario ricordare che, quantunque sia stato detto che in questo stato del fidanzamento l'anima gode di piena tranquillità e riceve tutto ciò che è possibile in questa vita, tale tranquillità va intesa solo secondo la parte superiore ( poiché la parte sensitiva, fino al matrimonio spirituale non finisce mai di liberarsi dai suoi difetti, né di sottomettere interamente le sue forze, come si dirà in seguito ).
Ciò che viene comunicato all'anima è il massimo che le si possa concedere in ragione dello sposalizio, poiché nel matrimonio vi sono vantaggi maggiori.
Quantunque nelle visite del fidanzamento l'anima goda tutto quel bene di cui è stato parlato, tuttavia soffre assenze, turbamenti e molestie dalla parte inferiore e dal demonio, tutte cose che cessano con il matrimonio spirituale.
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