Dolori/e
Il dolore è una delle esperienze più drammatiche che l'uomo incontra nella sua vita: introducendo una separazione tra la persona e il suo corpo, il dolore è vissuto come uno stato negativo, come una sconfitta personale, come una frustrazione. Intacca o, addirittura, sconvolge le sicurezze che permettevano in precedenza di inquadrare la vita e obbliga a una condizione di dipendenza e di bisogno. Per comprendere il dolore è utile distinguere tra sensazione e sentimento. La sensazione del dolore si caratterizza per una diminuzione o una disorganizzazione delle funzioni vitali dell'organismo. Il dolore è qui patologia, lamento, spasmo. Il sentimento del dolore, invece, è l'impatto di questa situazione dolorosa su una persona intelligente e libera: nell'atto riflesso del sentimento, il dolore investe tutta la persona, la sua progettualità e la sua ricerca di senso, fino a generare un radicale interrogativo su di sé. Il dolore è qui sofferenza, capace di un complesso rapporto con la libertà umana: si può soffrire per amore e si può soffrire con ribellione. Intrecciato con la libertà, il dolore suscita problemi e reazioni contrastanti tanto nel singolo che nel più vasto ambito di una società e di un'epoca. Tendenzialmente il nostro tempo conosce una privatizzazione e una segregazione della sofferenza: la fatica nel trovare una ragione al dolore porta a confinarlo, a rimuoverlo. Inoltre il passaggio dall'accettazione della malattia alla rivendicazione del diritto alla salute, ha prodotto un nuovo modo di considerare la sanità e la malattia: per un verso si sta rivalutando l'unità globale dell'uomo reale, corpo e spirito; per un altro, invece, si sta diffondendo una pretesa alla salute, che affida alla tecnica la risoluzione dei problemi, senza considerare con altrettanta attenzione i bisogni e le attese complessive della persona. Le forme del soffrire nel pensiero biblicoIn quanto profonda e significativa esperienza umana, la sofferenza non può non chiamare in causa Dio. Almeno all'inizio, i profeti ricordano che ogni sofferenza viene da lui: "avviene forse nella città una sventura che non sia causata dal Signore?" ( Am 3,6 ). La stessa convinzione la troviamo ribadita dall'anonimo profeta dell'esilio, che conosciamo sotto il nome di Deuteroisaia; "Io sono il Signore e non v'è alcun altro. Io formo la luce e creo le tenebre, faccio il bene e provoco la sciagura; io, il Signore, compio tutto questo" ( Is 45,6-7 ). La sofferenza, perciò, va presa sul serio dal credente, che riconosce una qualche frattura tra la nostra immagine di Dio e la realtà di questo mondo, tra il nostro credere e il nostro soffrire, tra la verità della Parola divina e la fame di risposte innescata dal dolore. Certo la fede non è automatica risoluzione dei problemi posti dal dolore, ma offerta di un particolare punto di vista nell'affrontarli. Nasce così un lungo itinerario, un lungo cammino alla ricerca del senso del dolore. La prima forma che il pensiero biblico assume è la volontà di giustificare Dio dall'assurdità dell'esistenza, dal male presente nella vita dell'uomo. Sono i capitoli 2-3 della Genesi a muoversi in questa direzione. Lo fanno tratteggiando due quadri diversi e contrapposti: mentre Genesi 2 presenta una profonda armonia tra Dio e l'uomo, tra l'uomo e la donna, tra l'umanità e il cosmo, il testo di Genesi 3 offre uno stravolgimento segnato ormai dal peccato e dalla morte, dalla prepotenza e dalla passione, dai dolori del parto e dalla fatica del lavoro. In questo modo si fa strada una precisa visione teologica: il mondo voluto da Dio era un mondo senza male e senza dolore; il peccato dell'uomo è all'origine di tutti i guai della nostra storia. Il male non è ne una fatalità ne una dimensione tragica a cui rassegnarsi. Il male ha la sua radice ultima nella libertà dell'uomo. Certo il male ha molte radici, ma la più profonda è il peccato. A questa prima concezione se ne aggiunge una seconda, di stampo sapienziale: questa parla di un'attenzione di Dio alla persona così com'è, e indica la ragione del dolore nella pedagogia divina. Mettendo alla prova, Dio giunge a sapere "quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi comandi" ( Dt 8,2 ). La sofferenza diventa così un'esperienza vivificante che apre a una singolare conoscenza dell'agire divino. È quanto Giuseppe ricorda ai suoi fratelli: "se voi avete pensato del male contro di me, Dio ha pensato di farlo servire a un bene, per compiere quello che oggi si avvera" ( Gen 50,20 ). Colta come pedagogia, la sofferenza si apre su un misterioso ma sapiente disegno divino: diventa la prova che Dio riserva ai suoi servitori. Il dibattito attorno a queste convinzioni troverà in Giobbe il suo livello più alto: la domanda sul
dolore diventerà una domanda che sfida l'immagine tradizionale di Dio e chiede la fine di una
teologia onnicomprensiva dove tutto, anche il soffrire, abbia il suo Quello che ormai si impone è un vivo senso della problematicità dell'esistenza umana che, come esistenza creaturale, è profondamente intrecciata alla sofferenza: la vita stessa, non solo il soffrire, è invocazione rivolta a Dio per trovarvi un senso. Quest'appassionante ricerca raggiunge il suo punto più alto là dove si rompe definitivamente il binomio peccato-dolore. Il Deuteroisaia, nei carmi del Servo di JHWH, introduce per la prima volta la considerazione di un dolore che non è per sé ma per gli altri. Si tratta di un'autentica novità: è possibile pensare un dolore che redime, un dolore che salva, ed e pensabile anche per l'innocente. Questa nuova visione, modellata sulla figura del sacrificio del figlio da parte di Abramo ( Gen 22,1-19 ), sull'offerta che Mosè fa della sua vita per il bene del popolo ( Es 32,30-33 ), sulla figura di Geremia a cui e affidata una vocazione di sofferenza per il popolo ( Ger 15,10-19 ), mette al centro una misteriosa fecondità della sofferenza: non si conclude, infatti, con la morte, ma questa sfocia nella gloria e nel trionfo della salvezza. Abbiamo così la più chiara introduzione alla figura di Cristo e al senso della sua morte. Il Vangelo della CroceLa Croce di Cristo si pone al di là di ogni comprensione della sofferenza. La Croce non può essere ricondotta a un momento di un sistema più generale, non può essere resa funzionale a una qualsiasi spiegazione filosofica: va, invece, mantenuta sul versante della libertà di Dio e del suo storico rivelarsi. La Croce si pone come evento rivelatore e messianico che, mentre interpella l'uomo ed il suo soffrire, gli svela il senso ultimo e profondo di questo fatto. Già A.J. Heschel, un pensatore ebreo, aveva sottolineato che i profeti comprendono Dio attorno al pathos: Dio non sta a sé, impassibile e immutabile, ma esce da sé e si coinvolge nella vita del popolo fino alla tenerezza, alla gelosia e all'ira. Il senso è che Dio è veramente comprensibile solo nell'ottica dell'Alleanza. Letta in questa luce, la Croce di Cristo proclama l'amore benevolente di quel Dio che cancella il nostro peccato e i suoi frutti e ci rende capaci di una vita al servizio di Dio. La Croce, insomma, non va compresa in base al dolore, ma in base alla fedeltà e all'amore di Dio: Gesù non ci salva perché soffre, ma perché, mentre soffre, ci ama. La Croce non fonda una teoria della sofferenza, ma proclama un Sofferente che riassume il patire all'interno di una vita che è abbandono al Padre e dono di sé ai fratelli. Prima di sviluppare questa tesi in una teologia della redenzione o della espiazione, è importante coltivare la memoria della Croce e coglierla in tutta la sua ampiezza. La Croce di Cristo pone un inizio nuovo e assoluto dentro la storia: è la forma storica di una comunione e di un dono che appartengono al modo di essere proprio di Dio. Proprio perché la Croce svela un Dio solidale con la storia umana di dolore e di peccato, si può ben dire che dalla fede nella Croce nasce un singolare modo di intendere l'esistenza. Il credente non si ritira dal mondo ma, a imitazione del suo Dio, si immerge nel dolore del mondo per viverlo in modo evangelico. La comunione con il Dio che soffre apre non già alla rassegnazione passiva o alla razionalizzazione del dolore, ma alla capacità di viverlo in modo nuovo, un modo solidale con ogni forma di patimento. Annunciare la Croce di Cristo è, quindi, evangelizzare il dolore. Questo comporta almeno due cose. Innanzitutto la capacità di dare senso al dolore. Il credente sa che può essere libero dal male ma non dal soffrire: la sofferenza è per lui l'espressione di un amore solidale, di un amore che rompe l'isolamento e, con Dio al fianco, inizia un cammino di speranza e di liberazione. Il testo di Colossesi 1,24: "Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo" intende muoverci oltre il masochismo o la semplice accettazione del dolore per renderci creatori di un nuovo ordine, di una nuova vita t'ondata sulla Croce di Cristo. Questa Croce salvifica va difesa contro tutte le sue semplificazioni o, peggio ancora, contro tutte le sue falsificazioni. La Croce di Cristo, infatti, si pone al di là della contraddizione del soffrire per orientarci a una vita di amore e di dono. Nel soffrire per noi di Cristo, la sofferenza credente è sottratta a una visione individualista ed è resa principio di un mondo nuovo. Per questo il credente non può accontentarsi di vivere bene la sua sofferenza, ma deve farsi incontro a tutti coloro che soffrono per denunciare l'ingiustizia del peccato e alleviarne i frutti di violenza, di sfruttamento e di solitudine. La Croce di Cristo invita quindi a una seria assunzione della propria storia per viverla in modo conforme al Vangelo di Dio. L'amore crocifisso non ci lascia tranquilli nel cerchio dei nostri amici, ma ci spinge verso gli ultimi e i sofferenti per un'opera di riconciliazione; l'annuncio della Croce rivela la riduttività di una vita concepita come efficienza e successo o consumo e ci spinge lungo i percorsi dell'amore solidale. La sequela del Crocifisso ci spinge a ridisegnare la storia in base alla comunione e alla solidarietà, ritrovando il significato di un'esistenza che il dono della grazia del Signore morto per noi ha reso possibile. v. Croce |
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… del parto |
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L'inizio dei dolori ( del parto ): Is
13,8; Is
26,17; Is
66,7; Ger
6,24; Ger
13,21; Os
13,13; Mi
4,9-10.
L'immagine fu applicata dal giudaismo al periodo di grande angoscia che doveva procedere la venuta del regno messianico. |
Mt 24,8 |
Dolore |
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È un enigma della condizione umana | Gaudium et spes 18 |
Gaudium et spes 21 | |
Nastra aetate 1 | |
Il mistero del … illuminato da Cristo | Gaudium et spes 22 |
Come mezzo di santificazione | Lumen gentium 41 |
Come forma dell'apostolato individuale dei laici | Apostolicam actuositatem 16 |
v. Croce | |
Summa Teologica |
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… e tristezza |
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In sé | I-II, q. 35 |
Cause | I-II, q. 36 |
Effetti | I-II, q. 37 |
Rimedi | I-II, q. 38 |
Bontà e malizia | I-II, q. 39 |
… dei peccati v. Contrizione |