Ateo
Sommario
I - Dialogo e discernimentoMi sembra che i nn. 19-21 della Costituzione pastorale sulla chiesa nel mondo di oggi e la Dichiarazione sulla libertà religiosa siano fra i documenti ed insegnamenti più importanti del Vat II. Indicano una volontà umile e coraggiosa di cercare il dialogo con discernimento. Sarebbe un grave fraintendimento se si pensasse che si tratti di una specie di indifferentismo. Al contrario: il concilio invita a vivere la fede con coerenza ed a darne una convincente testimonianza per poter entrare in dialogo con quanti non hanno o non sono ancora giunti alla fede. I nn. 19 e 20 della GS offrono come una fenomenologia sulle diverse forme e cause dell'ateismo. Una tale fenomenologia è assolutamente indispensabile per dire qualcosa di ragionevole e di esistenziale sull'ateismo. Il Vat II non poteva perseguire una sistematizzazione teoretica completa, ma ha voluto almeno confrontarsi con le forme più tipiche dell'odierno ateismo. Assai caratteristico mi pare il fatto che GS 19 non si apra con l'enunciazione delle prove dell'esistenza di Dio. Per la chiesa non si tratta di trovare qualcuno che creda all'esistenza di un essere superiore, quanto piuttosto di indicare l'essenza della nostra fede: una vocazione alla comunione con Dio. Al centro della nostra fede sta la convinzione ferma ed esistenziale che Dio è amore e ci ha cercati per amore. Essa è un affidarsi a Dio che vuoi essere riconosciuto ed amato liberamente. Nel medesimo paragrafo, quando si parla dell'ateismo, non si tocca in primo luogo la questione dell'esistenza, affermata o negata, di un essere superiore: l'ateismo consiste nel « rigettare questo intimo e vitale legame con Dio». 1. L'ateismo postulatorio« Alcuni negano esplicitamente Dio ». Ci troviamo di fronte all'ateismo arrogante. L'uomo osa affermare che un Dio non esiste, che non può e non deve esistere. Theodor Heuss, nella biografia di Robert Bosch,1 racconta come il Bosch, dopo aver abbandonato la sua chiesa ( era protestante ), ricevette la visita di alcuni rappresentanti di un'organizzazione di ateismo militante, andati ad invitarlo ad aderire alla loro società. Dopo qualche attimo di silenzio, Bosch, con calma, domandò: «Siete proprio così sicuri che un Dio non esista? ». Rimasero perplessi, e non risposero. Tranquillo, Bosch andò verso la porta e, aprendola, disse: « Allora… ». Nell'inconscio più profondo dell'ateo militante c'è spesso questa perplessità, che egli tenta di nascondere facendo ricorso al fanatismo. L'interrogativo sull'esistenza di Dio e sul significato che essa può avere per l'uomo non è ancora del tutto eliminato, nonostante ogni opposta apparenza. A livello conscio permane però un interesse fortissimo per la non esistenza di Dio, per l'impossibilità della sua esistenza e perché Fra gli esponenti più dichiarati di questo ateismo arrogante è stato Nicolai Hartmann,2 per il quale, se veramente vi fosse un Dio onnipotente e santo, l'uomo non sarebbe in grado di fare liberamente la sua scelta dei sistemi di valori e di doveri. L'uomo non sarebbe più il demiurgo indipendente che vuole realizzare i suoi valori. Per Hartmann l'idea di un Dio creatore onnipotente sarebbe proprio l'antitesi dell'autonomia assoluta dell'uomo. GS affronta l'argomento dell'ateismo postulatorio nel n. 20: « L'ateismo moderno si presenta spesso anche in forma sistematica, secondo cui, oltre altre cause, l'aspirazione all'autonomia dell'uomo viene spinta così avanti da fare difficoltà nei riguardi di qualunque dipendenza da Dio. Quelli che professano tale ateismo pretendono che la libertà consista nel fatto che l'uomo sia fine a se stesso, unico artefice e demiurgo della propria storia ». Il testo conciliare suggerisce che una tale dottrina può, almeno fino ad un certo punto, essere favorita dal senso di protesta dell'uomo tecnico che pensa particolarmente a tale progresso. Non fu questo il caso di N. Hartmann, ma lo è per tanti altri, soprattutto per l'ateismo sistematico di Karl Marx e dei suoi seguaci. Punto di partenza dell'ateismo marxista non è la realizzazione di valori etici, perché il marxismo, come socialismo scientifico, è marcato, fin dall'inizio, da un certo determinismo. Nella pratica però il comunismo ha una teoria etica che non lascia spazio a Dio. Breznev lo ha ultimamente spiegato al Congresso del PCUS ( 1976 ) davanti ai rappresentanti di quasi tutti i partiti comunisti del mondo dicendo: « Noi riteniamo che tutto quello che favorisce l'avanzata ed il trionfo delcomunismo è buono, e tutto quello che l'ostacola è cattivo ». Nel. secondo paragrafo n. 20, GS tratta dell'ateismo sistematico ed arrogante del marxismo. Sono soprattutto due le caratteristiche messe in rilievo dal documento conciliare: a. la religione viene considerata come un ostacolo alla liberazione economica e sociale, perché la speranza della vita futura distoglierebbe le energie dall'edificazione della città terrena. Il marxismo dialettico deve impegnare per intero le forze dell'uomo, dei gruppi, delle società e delle nazioni per giungere a costituire quelle infrastrutture economiche e sociali che, secondo questo sistema, condurrebbero come risultato alla liberazione dell'uomo; b. il modello marxista - così come è stato sperimentato in Russia, in Cina ed altrove - abbatte la religione con la violenza: non si tratta soltanto di ateismo militante, ma, nella sua aggressione, giunge ad usare gli « strumenti di pressione di cui dispone il pubblico potere, specialmente nel campo dell'educazione dei giovani ». Per moltaparte, quanto si afferma in questo secondo paragrafo del n. 20 può trovare verifica anche nell'ideologià del nazionalsocialismo hitleriano. 2. L'agnosticismo ateo«Altri ritengono che l'uomo non possa dir niente di Lui ».3 L'agnosticismo può avere diverse forme. Vi è quello arrogante: non si vuole sapere nulla perché ciò porterebbe inevitabilmente a trarre delle conseguenze. La ricerca cerebrale ha dimostrato che nell'uomo vi è tutta una serie di filtri che impediscono a molte delle informazioni disponibili di presentarsi all'attenzione esplicita dell'individuo e che in qualche modo le mantengono in circolazione a livello di corteccia cerebrale. È l'uomo stesso a crearsi tali filtri, e similmente gruppi o subculture costruiscono ideologie, come l'agnosticismo, per tener lontana l'idea di un Dio che potrebbe influire sulle scelte fondamentali della vita. Il ritenere che l'uomo non possa dir nulla di Dio può anche essere una reazione a quel genere di insegnamento religioso che vorrebbe definire Dio con categorie umane, come se egli non fosse infinitamente più grande di qualsiasi dei nostri pensieri o delle nostre parole. Una cosa è l'agnosticismo affermato, altra è il momento del silenzio rispettoso nell'aprirsi alla possibilità dell'esistenza di un Dio, che trascende ognuna delle immagini che possiamo farcene. « Altri poi prendono in esame i problemi relativi a Dio con un metodo tale che questi sembrano di non aver senso ».4 Uno di questi metodi inadatti è quello dell'analisi linguistica, che fin dall'inizio della sua ricerca parte con presupposti tali - come quello che soltanto parole di contenuto ben circoscritto e definito possono aver senso - da restringere l'orizzonte già prima di cominciare l'analisi. « Molti, oltrepassando indebitamente i confini delle scienze positive o pretendono di spiegare tutto solo da questo punto di vista scientifico, oppure al contrario non ammettono ormai più alcuna verità assoluta ».5 La grossa difficoltà, che si può osservare in molti contemporanei, è l'educazione unidimensionale. Nei lunghissimi anni della formazione scientifica e professionale non viene offerto alcun centro di vita, nessuna sintesi, ma solo quanto contribuisce al successo economico e professionale. Un sistema educativo di questo genere, specialmente quando nell'ambito della famiglia sussistono le medesime categorie di pensiero, è uno dei maggiori filtri che chiudono l'orizzonte. Vi è anche il pericolo delle tendenze della teologia ad imitare la scientificità delle scienze naturali ed empiriche. Un tale modo di ragionare non trova la lunghezza d'onda con il mistero di Dio. Ogni tipo di istruzione meramente cerebrale, intellettualistica e non esistenziale chiude facilmente l'accesso alla fede. Oltre alle esperienze esistenziali ed alle riflessioni parziali, occorre uno strumento sistematico di studio, e in riguardo alla fede in Dio ci vuole una sensibilità dell'uomo intero: intelletto, volontà e affetto. La ricerca scientifica empirica osserva i fatti, gli eventi, i processi e tenta di spiegarli con ipotesi di lavoro. L'uomo di scienza è sempre disponibile alla ricerca di un'ipotesi migliore, più adatta ad integrare i fenomeni osservati. La scienza moderna progredisce con una continua sperimentazione, senza accontentarsi mai. Questo atteggiamento che possiamo definire ascetico può significare un'apertura e dare qualche aiuto all'uomo religioso: si contenta forse proprio lui della conoscenza e dell'esperienza religiose già conseguite? Sarà una sfida ad aprirsi sempre più al mistero di Dio, infinitamente maggiore di tutte le nostre parole e categorie. Nondimeno l'empirismo può essere un filtro assai forte contro la fede in Dio; questo avviene quando l'uomo si pone al centro e compie la sua ricerca principalmente in vista dell'utilità che potrà ricavarne. 3. L'antropocentrismo spintoIl cristianesimo rivela un Dio per gli uomini. « Per noi e per la nostra salvezza discese dal cielo ». Dio si avvicina alle sue creature, in modo particolare all'umanità. Ma Dio non sarebbe più Dio se potesse accettare che l'uomo si metta al centro. Dio è la nostra salvezza a condizione che lo adoriamo e gli rendiamo grazie in tutta la nostra vita. Questo è il paradosso della fede che ci pone in comunicazione con lui. Certe forme di religiosità, di misticismo e di sacramentalismo hanno ceduto ad una visione tanto individualistica che verticalistica. Degenerando in tale direzione, la religione vede scomparire l'impegno per il prossimo e per la società terrena. La reazione al verticalismo è un orizzontalismo esasperato che fa della parola "Dio" un simbolo vuoto e strumentale. Manca un solo passo alla negazione o all'asserzione dell'inutilità della preghiera e dell'adorazione o addirittura della fede in un Dio trascendente [ v. Orizzontalismo / verticalismo ]. Anche qui ci dobbiamo render conto che la fenomenologia non sarà mai completa o indiscutibile. Per alcuni, ad es., l'impegno per l'uomo, raffermarne la dignità e il favorire la solidarietà con gli altri è una via che può condurre alla fede, mentre per gli altri porta all'egocentrismo ed alla chiusura verso la ricerca. 4. Rifiuto di una immagine falsa di Dio« Altri si immaginano Dio in un modo tale che quella rappresentazione che essi rifiutano in nessun modo è il Dio del Vangelo».6 Il n. 21 in qualche modo specificherà questo fenomeno. Può essere che chi si dichiara ateo si sia lui stesso creato un'immagine errata di Dio, per poi rifiutarla. Ma può anche essere che l'abbia trovata in un'educazione o in un ambiente, accogliendola in modo immaturo. Come può trattarsi semplicemente di una reazione, di un fermarsi ostinatamente all'opposizione. La negazione di quella rappresentazione sbagliata può però essere anche un momento fecondo e dare inizio ad una ricerca più profonda e più matura della verità. Tale ricerca può effettivamente esser considerata atea, ma di fatto contiene già il desiderio di un Dio infinitamente più grande di quello rappresentato. Vorrei qui tirare una conseguenza: l'ottima fenomenologia offertaci dal Vat II non deve esser considerata come completa o statica. Dobbiamo ben vedere se l'ateo è un uomo chiuso, negativo e distruttivo o uno che, rifiutando qualcosa di non assimilabile, sta già cercando il vero ed il bene, uno che con retta coscienza si unisce agli altri uomini nel condividere le esperienze e le riflessioni, per giungere ad una più profonda conoscenza della verità e ad un impegno più energico per il bene. 5. Il disinteresse completo« Altri nemmeno si pongono il problema di Dio, in quanto non sembrano sentire alcuna inquietudine religiosa ne riescono a capire perché dovrebbero interessarsi di religione ».7 In una cultura tecnico-scientifica interamente orientata verso il benessere materiale l'uomo è spesso talmente irretito dal lavoro e dal consumo da non porsi più la questione dei valori ultimi, del significato della vita. Se l'uomo non sente più inquietudine religiosa, tale fenomeno va annoverato fra i più preoccupanti. Victor Franiti afferma che la nevrosi noogena è la malattia del futuro già cominciato e che la causa di questa nevrosi è il vuoto esistenziale, la mancanza di volontà di porsi la questione del significato supremo della vita. Ma secondo questo autore lo stesso fatto nevrotico sta ad indicare che nell'inconscio dell'uomo perdura l'aspirazione e l'inquietudine per la ragione ultima dell'esistenza. Secondo il concilio, il disinteresse per la questione religiosa può derivare anche dal fatto che l'uomo ha « attribuito indebitamente i caratteri propri dell'Assoluto a qualche valore umano, così che questo prende il posto di Dio ».8 Per studiare la spiritualità dell'ateo il problema più importante è il cercare di identificare quali valori hanno occupato il primo posto in modo tale da impedire ogni preoccupazione religiosa. Pare che in grandi parti della cultura materialista il disinteresse documentato in riguardo alla problematica religiosa determini il clima spirituale. Ormai è raro sentire la passione di un Albert Camus alla ricerca del « santo senza Dio ».9 I valori che prendono il primo posto determinano la qualità dell'ateismo. Se c'è questo desiderio di avere dei "santi senza Dio", allora permane la ricerca della bontà, della giustizia e della pace. Di tutt'altro genere, invece, è il disinteresse causato dalla società consumistica. In altre parole: vi sono ideali che si oppongono diametralmente alla ricerca di Dio, mentre altri valori, considerati come massimi, possono ancora indicare una ricerca almeno nascosta.10 La gamma dell'ateismo va dalla chiusura totale dell'egoismo ad ogni valore più alto fino ad una ricerca costruttiva che fa del rigetto di una certa concezione religiosa l'inizio di una disponibilità più profonda e più sincera alla dimensione soprannaturale. II - L'ateo: una sfida per i cristianiLa chiesa continua a « riprovare, come ha fatto in passato, con tutta fermezza e con dolore » l'ateismo che contrasta con la ragione e con l'esperienza più autentica degli uomini.11 L'approccio pastorale del Vat II porta però a riconoscere che l'ateismo dell'uomo moderno merita un esame serio e profondo. In questa fase di esame la chiesa ci invita ad accettare diverse forme di ateismo come una sfida fatta ai cristiani. 1. L'ateo impegnato per la giustiziaNon si può contestare l'esistenza di un tipo di persone che si definiscono atee e che sono veramente impegnate in favore della giustizia sociale, nazionale ed internazionale. Credono in certo modo all'unità ed alla solidarietà delle classi sociali e dei popoli, manifestando così una caratteristica che potrebbe indicare una fede implicita in un unico Dio. Questi uomini operano come dovrebbero operare, con tutto il cuore e con tutte le forze, quanti credono in un unico Dio creatore e Padre onnipotente di tutti. Un episodio: un uomo ricco mi raccontò come il proprio figlio non volle accettare nulla per sé di quanto gli offriva, e quanto aveva accettato lo aveva destinato ai bisognosi. Il figlio si professava ateo con l'argomento che la fede del padre non era di giovamento ad alcuno, giacché non gli impediva di essere paternalista ed autoritario verso i dipendenti, considerati quasi come facenti parte di un pianeta diverso. L'uomo accettò la sfida, concludendo di non poter pregare sinceramente per la conversione del figlio e di non poter dire parole significative senza aver prima vissuto radicalmente la propria fede impegnandosi fino in fondo per quella giustizia che onora Dio Padre ed il suo Cristo in una imitazione davvero generosa. 2. L'ateo coerenteAnche l'ateo che segue un ideale o un'ideologia con fermo impegno e coerenza evidente è una sfida per noi credenti, spesso così incerti. Se è un grande peccato il non credere in Cristo, lo è altrettanto il non credere possibile l'amarci gli uni gli altri secondo la misura di Cristo. La dicotomia fra fede dogmatica e morale diventa per molti uno scandalo, ma è per gli stessi credenti una rovina. Chi lotta in favore di questa o quella formula dogmatica senza mai chiedersi quale potrebbe essere il significato e la dinamica della vita, o chi agisce nel campo della morale familiare, culturale, politica e sociale come se non avesse fede in un solo Dio Padre ed in un unico liberatore, costui dovrebbe sentirsi umiliato di fronte all'ateo coerente. Un ateismo organizzato che spera nell'unità del genere umano, nel quale non sussisterebbero più sfruttamenti e oppressioni, anche nell'errore sull'uso dei mezzi può diventare una sfida pungente per tutti i credenti ( o cosiddetti tali ) che professano la propria fede in un unico Dio e salvatore con le parole, ma la contraddicono con la gelosia e l'egoismo individuali e collettivi, fino a diventare degli ostacoli per quell'unità che pur dovrebbero costruire per rispondere all'appello di Dio. La testimonianza auspicata dal Cristo è che i suoi discepoli vivano così esplicitamente l'unità nella giustizia e nella pace che il mondo possa credere alla missione affidatagli dal Padre ( Gv 17,20-23 ). Pur nella doverosa autocritica, non dimentichiamo tuttavia che i santi sono una sfida ai cristiani incoerenti molto più grande di quella degli atei. Secondo il Mahatma Gandhi ogni vero credente sa con infallibilità assoluta che nessun uomo può sfruttarne un altro, che il maschio non può sopraffare ed usare della donna, che nessun gruppo sociale può permettersi di strumentalizzarne un altro e che nessuna nazione può colonizzare le altre. Dal momento in cui questa infallibilità si oscura, non si può più parlare di vera fede o di credente autentico. 3. L'ateo che cercaNella tentata fenomenologia dell'ateismo, o piuttosto dell'ateo, abbiamo visto come uno può dichiararsi tale anche se sta cercando con coscienza sincera ed impegnata la verità. L'ateo arrogante, soddisfatto delle sue negazioni, può suscitare sentimenti simili a quelli del cristiano autosufficiente contento delle formule imparate a memoria e della routine delle "buone opere". Ma un ateo che si trova in stato di ricerca sincera e che agisce secondo la luce che gli viene dall'ora presente è una provocazione per chi vive una religione tradizionale senza interrogarsi sul significato del proprio credo e senza cercare con gli altri uomini una luce più viva e soluzioni più giuste per i nuovi problemi che sorgono sia nella vita individuale che in quella sociale.12 4. L'ateo che vuole inserisirsi nella storiaIl marxismo ateo si basa su quella "filosofia della storia" che in Francia si oppose all'Ordre Social concepito in maniera statica e restaurativa. Questa filosofia nutrì disprezzo per i cristiani nostalgici dell'antica situazione, anteriore alla rivoluzione ( ancien regime ). La teologia che rifletteva una chiesa in stato di autodifesa, alla ricerca di sicurezza nell'ordine statico, sia nell'ambito religioso che economico, sociale, politico e culturale, e una "filosofia perenne" che non voleva riferirsi alle nuove esperienze ed alla nuova cultura, provocarono un rifiuto da parte dei giovani. L'ateismo marxista e altre forme di ateismo predicarono invece una visione estremamente dinamica della storia, nella quale intendevano inserirsi come attori. Se i filosofi ed i teologi cristiani avessero presentato la fede come storia di Dio con l'uomo nell'alleanza, in cui questi agisce come co-artista, con-rivelatore, e con-creatore, avrebbero potuto entusiasmare tanti giovani, che invece si sono lasciati irretire da quelle forme di ateismo che sono state abili a presentare una visione dinamica della vita e della storia. L'individualismo, prevalente in certe correnti filosofiche e teologiche cristiane, presentò il futuro quasi esclusivamente nella prospettiva della salvezza dell'anima singola, mentre facilmente si considerava il mondo culturale, sociale e politico soprattutto come occasione prossima di peccato e, dunque, come qualcosa da cui il cristiano doveva guardarsi ( se non fuggire ) per non compromettere la propria salvezza. Tale individualismo, più che ad una visione biblica, rispondeva ad un platonismo delle idee e delle anime affrancate dal corpo e dalla terra, mentre certe forme di ateismo - in primo luogo la filosofia dialettica della storia - sembravano continuare ed ereditare la grande visione della solidarietà del popolo giudaico e della giusta dimensione ecclesiale. Ne si può contestare che qualche corrente di marxismo ha potuto intuire la vera solidarietà che oltrepassa i limiti della lotta di classe per aprirsi alle aspettative di una società senza classi. Ci furono numerosi pensatori cristiani che si sforzarono di rispondere al problema della sofferenza nel mondo. Spesso non seppero distinguere fra le sofferenze inerenti ad una situazione sempre imperfetta e quelle causate dal peccato, dall'ingiustizia e dalle menzogne dell'uomo. Ma il peggio è che non fecero tutto il possibile per tentare di eliminare la sofferenza, almeno quella che l'uomo può e deve rimuovere. L'ateo che affronta l'ingiustizia e la sofferenza per eliminarle, pur non trovando i mezzi più giusti, è una sfida all'uomo religioso che ne parla ma non si preoccupa di un impegno concreto. 5. Uuna sfida alla nostra immagine di Dio e dell'uomoAbbiamo visto come accanto all'ateo arrogante e a quello disinteressato vi sia l'ateo che cerca sinceramente di farsi un'idea giusta dell'uomo e del suo destino e coscientemente o meno si sforza di trovare quel Dio vero, infinitamente più grande dell'immagine o dell'idea che i cristiani del suo ambiente gli hanno offerto. La ricerca di un'immagine autentica dell'uomo e l'impegno coerente a suo favore sono una sfida a quella teologia e a quel credente per i quali l'immagine di Dio e dell'uomo non abbiano alcun rapporto vitale tra di loro. Pensiamo ad es. agli educatori, ai moralisti e alle autorità che facilmente parlavano di peccato mortale dei fanciulli, senza chiedersi quale idea di Dio riflettessero con tali esagerazioni. Un moralista serio che non si sente attratto dall'ateismo afferma che le tematiche religiose, ossificate nelle formule tradizionali e nelle soluzioni stereotipate dei problemi morali, avranno bisogno della sfida dell'ateismo per liberarsi dai giudizi routinizzati.13 Questa utilità dell'ateismo non deriva ovviamente dal suo errore di fondo, ma dalla debolezza dei sistemi convenzionali e dei credenti che hanno perduto il contatto col Dio vivo. Ne del resto va dimenticato che anche gli atei possono essere poco sinceri e liberi nella ricerca del vero. Da quanto abbiamo fin qui detto segue chiara la conclusione che noi cristiani, e particolarmente i teologi, non possiamo vivere senza confrontarci continuamente con l'ateismo e senza interrogarci seriamente sulla nostra vita e sul nostro sistema di pensiero per verificare se offrono la testimonianza di una fede viva. In considerazione dell'ateismo che, rapido, si diffonde, dobbiamo considerare come uno dei peccati maggiori quelle forme di religiosità e quelle soluzioni stereotipe che assieme alla mancanza di fantasia e di vitalità indicano, sotto sotto, un ateismo nascosto, che non è detto non sia presente anche in chi dichiara di credere. Il risultato scioccante sarà dunque la nostra ricerca dentro di noi per smascherare l'ateismo nascosto nei nostri pensieri, nei nostri desideri e nella nostra vita. Senza una lotta leale ed impegnata contro questo ateismo nascosto non possiamo presumere di dialogare con gli altri, specialmente con quelli che sarebbero disposti a cercare e a dialogare con noi se potessimo loro offrire una testimonianza davvero coerente e convincente del Dio della storia e dell'uomo con-rivelatore e con-creatore; insomma: una visione esistenziale ed una sintesi profonda fra conoscenza di Dio e dell'uomo, fra amore di Dio e impegno per l'uomo. III - È possibile una morale dell'ateo?Le riflessioni fin qui svolte ci hanno portato ad una domanda che ha suscitato molti dibattiti: è possibile una morale dell'ateo? Dobbiamo, fin dall'inizio, distinguerne chiaramente le componenti:
a. Non si può negare che delle persone, pur dichiarandosi atee, dimostrano di possedere principi morali e di svolgere attività morali non di rado ammirevoli. L'ateo non potrebbe essere una sfida per i cristiani se non realizzasse taluni valori morali assai insigni, per es.: l'impegno fermo e fino al sacrificio della vita, la coerenza fra teoria e prassi, la ricerca sincera della verità e la sua concretizzazione esistenziale, il superamento del complesso di sicurezza che spesso si trova anche nei credenti; e si potrebbe continuare. Talora vi sono atei che guardano con grande entusiasmo ed ottimismo all'avvenire. Sarebbe contrario alla nostra morale negare questi valori. Possiamo poi chiederci se nell'ateo vi può essere un'opzione fondamentale da qualificarsi come buona e rapportabile all'opzione fondamentale del credente. L'ateo arrogante che, per orgoglio, non vuoi riconoscere un'istanza più alta, ha compiuto la sua opzione fondamentale contro Dio. In quanto si tratta di persona psichicamente responsabile, ha posto un'opzione fondamentale errata. Lo stesso vale per l'ateo indifferente che non vuole interrogarsi sul significato ultimo della vita. Un tale ateo o non è ancora giunto alla sua identità e maturità o, se l'indifferenza di fondo è il risultato di scelte parziali, ha troncato l'albero che potrebbe portare il frutto di una valida morale. Con ciò non si esclude che egli sia in grado di realizzare valori morali parziali, ma nell'insieme manifesta una prospettiva di caos nei riguardi di una scala di valori. Il non ritenere Dio degno di esser conosciuto ed accettato è proprio la sorgente delle perversioni morali. Ricordiamo s. Paolo: « E siccome non si preoccuparono di approfondire la conoscenza di Dio egli li abbandonò in balia di una mente insipiente, in modo da compiere ciò che non conviene. Pieni di ogni iniquità, perversione, cupidigia e malizia » ( Rm 1,28-29 ). Con queste espressioni, non ci arroghiamo il diritto di giudicare un individuo di cui non conosciamo ne la misura della libertà e della responsabilità, ne le cause psichiche e sociologiche che lo spingono in questa direzione. Molto più positiva può essere la moralità di chi cerca Dio o di chi rifiuta un concetto erroneo di Dio, non rinunciando però alla propria dignità di persona e rispettando quella degli altri, nella disponibilità al servizio. Un tale ateo, pur non avendo ancora ricevuto il dono di una fede esplicita, esprime talvolta l'analogia fidei e, con essa, un'opzione fondamentale in qualche modo positiva. Vivendo in sincera coscienza e cercando onestamente la verità ed il bene, egli accetterà volentieri Dio quando sarà giunta l'ora della grazia. Un umanesimo antropocentrico costituisce di per sé una scelta fondamentale sbagliata. Se però tale scelta si esprime solo come opposizione ad un verticalismo vuoto e disincarnato e la persona che la compie si trascende nel servizio del prossimo; la sua situazione esistenziale può dirsi del tutto positiva. Ciò non toglie che l'umanesimo antropocentrico faccia parte del peccato del mondo. Non dimentichiamo comunque che in quest'ambito gli stessi cristiani giocano talora un ruolo poco nobile, oscurando più che rivelando la vera immagine di Dio. Solo un umanesimo cristiano molto impegnato può aprire gli occhi di chi ha fatto la scelta dell'antropocentrismo con intenzioni fondamentalmente rette. b. Di tipo affatto diverso è l'altra domanda: se l'ateo in quanto tale può giustificare in modo convincente la sua morale. Nel dialogo con un ateo in atteggiamento di ricerca sincera non mi metterei immediatamente su un piano astratto, comincerei piuttosto da un livello esistenziale. Nella coscienza morale sembra esser sempre implicato, in qualche maniera, un assoluto. Il vero ed il bene manifestano una loto maestà e vantano perciò diritti sulla nostra coscienza anche quando una esistenza egoistica si rivolta. L'ateo alla ricerca del bene può comunicarci la sua esperienza, cioè che il bene non si sperimenta solo come elemento utile alla propria realizzazione o felicità. Il bene ed il vero trascendono anche l'individualismo e l'egoismo collettivi. Nell'analisi della coscienza morale fatta da pensatori per i quali il trono di Dio resta provvisoriamente vuoto, appare in qualche luogo o in qualche momento un assoluto. Esempio tipico: Erich Fromm. Questo autore evita con cura di dare alla sua etica un fondamento religioso in senso proprio. Non ricorre in nessun caso alla fede in Dio, ma crede in valori oggettivi obbliganti per ogni uomo. Condanna severamente un ateismo che distrugge la morale: « Sartre e i suoi seguaci, negando valori oggettivi vincolanti tutti gli uomini, proponendo un concetto di libertà che coincide con un egoismo arbitrario, respingono le conquiste più importanti tanto della religione teistica che della tradizione umanistica ».14 Nella sua analisi, Fromm individua un elemento essenziale che secondo lui ha carattere di fede etica. « Un bambino comincia con la fede nel bene, nell'amore, nella giustizia».15 Coerentemente trae la conseguenza che la perdita di tale fede significa in pratica la distruzione del fondamento etico. « Nel caso in cui tale fede venga scossa, non vi è grande differenza fra fede in una persona e fede in Dio. La grande perdita è sempre quella della fede nella vita, nella possibilità di aver fiducia in essa ».16 Similmente, Julian Huxiey, uno dei rappresentanti più noti dell'etica evoluzionistica, è convinto della validità intrinseca e perenne dell'amore, della giustizia, dell'impegno per la solidarietà e la conoscenza del bene e del vero. Questa convinzione morale viene sopportata dalla sua ferma fede nella non assurdità dell'intera evoluzione del cosmo e della storia umana. Egli non può immaginarsi un'evoluzione così stupenda senza significato e priva di una tensione dinamica per la realizzazione del bene e del vero. « L'etica è in relazione all'evoluzione che è sensata e di durata illimitata… Un'etica evoluzionistica è innanzitutto e necessariamente un'etica colma di speranza, per quanto tale speranza giustificata possa essere moderata dalla coscienza della lunga durata e della difficoltà della missione etica dell'uomo ».17 Altri, aderendo fermamente a valori morali e ad una scala di valori vincolante, pur non professando la fede in un Dio personale, compiono per così dire un atto di fede e pongono un gesto di speranza e di coraggiosa fiducia. Erich Fromm, il quale crede in un'etica personalistica senza legarla al riconoscimento del teismo, dice di Karl Marx, Sigmund Freud e Spinoza: « Questi tre uomini erano scettici e contemporaneamente di profonda fede ».18 Jean-Paul Sartre non sembra, a ben vedere, fare alcuna eccezione in questo riguardo. In quanto considera l'esistenza come assurda, anche la volontà etica deve esser per lui assurda. In quanto crede che valga la pena di mettere sempre nuovamente alla prova la propria libertà, in qualche modo compie un atto di fiducia nel significato dell'impegno libero, che sembra esser l'unico a dare un senso all'esistenza personale. E così anche la filosofia dell'assurdo o, meglio, la filosofia assurda, rafforza a suo modo la tesi che è impossibile realizzare e giustificare razionalmente il dato morale senza manifestare, in fondo, fiducia e fede nell'esistenza stessa. In tutte queste riflessioni non tentiamo di provare che ogni morale autentica trovi la propria giustificazione solo nella fede in un Dio personale. Perché è tutt'altra cosa credere in un Dio al quale ci si rivolge in preghiera, si affida la propria esistenza e si risponde con umiltà e fedeltà mediante una vita etica, e conservare solo una certa qual sorta di fede e di fiducia nel senso dell'esistenza umana. Resta infatti il problema di fondo: se un tale atto di fede e di speranza può giustificarsi finché si rifiuta la fede in un Dio, amore supremo e origine della nostra vita. La realizzazione libera di valori morali contiene indubbiamente l'affermazione che il mondo e la vita umana hanno un significato. In una morale altruista vissuta la persona esce da sé, supera il proprio isolamento e si pone davvero in una condizione di apertura all'altro. Possiamo dunque affermare che una vita etica autentica è una ricerca "credente" di quella realtà più grande del nostro "io" e che ha diritto di esigere la nostra adesione esistenziale. Una vita morale autentica è, alla fine, sempre uno sforzo per raggiungere il fondamento stesso del significato, uno sforzo coerente per ritrovare se stessi ritrovando ciò che ci chiama al bene ed al vero. Così la nostra esistenza viene sperimentata come dono ed appello rivolti a noi stessi. A conclusione: l'attuazione di un'etica personalistica presuppone in ultima istanza che il fondamento del significato, sulla base del quale la persona accetta la propria esistenza e la coesistenza col suo prossimo come dono ed appello obbliganti, non può essere un principio astratto o un'idea impersonale. Può trattarsi solamente dell'assoluto valore personale che chiamiamo Dio. IV - Spiritualità dell'ateo?L'ateo, quanto più è convinto che Dio è una creazione fantasiosa degli uomini, tanto più si ribella ad essere interpretato entro una spiritualità cristiana. Anche se noi cerchiamo di immetterlo entro una spiritualità cristiana accogliente, egli vi si sente miseramente soffocare. Ogni sua prospettiva spirituale si raccoglie interamente entro una promozione umana temporale. È necessario rispettare la coscienza dell'ateo, anche circa il modo di giudicarsi. Qui si cerca di tratteggiare un'ipotesi interpretativa della possibile spiritualità dell'ateo alla luce della storia salvifica, non perché si creda di far cosa gradita al medesimo, ma solamente per verificare come la misericordia di Dio sia concepibile in maniera ampiamente salvifica. È inoltre evidente che qui teniamo presente soprattutto quel tipo di ateo "bonae fidei" di cui si parla ripetutamente nelle pagine precedenti. Il Vat II ha detto: « Cristo è morto per tutti e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina, perciò obbiamo ritenere che lo Spirito santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale ».19 La teologia spirituale può legittimamente cercare, a titolo di ipotesi, di spiegare la stessa esistenza atea come un modo parziale e manchevole di realizzarsi in Cristo Gesù. L'ateo ambisce incarnarsi nella storia umana, qual goccia d'acqua che aderisce alle immense acque marine; accetta di essere assorbito e sacrificato nel flusso incessante del divenire umano storico; aspira a non sussistere più in se stesso, purché questo consenta l'emersione di un bene più grande al di là della propria personalità. In lui affiora e si ripercuote il mistero dell'incarnazione, in cui il Verbo, per la salvezza degli uomini, si è annullato entro la forma di carne. L'ateo testimonia evangelicamente l'esperienza di essere "povero". Si presenta di fronte agli altri qual cieco che non sa orientarsi sulla via dell'infinito. Se il credente possiede la certezza rasserenante che Dio lo ama, l'ateo è colui che ignora il creatore perché Dio è tutt'altro, non cade sotto la sua esperienza, lo riscontra in se stesso inconoscibile e qual essere deformato nelle immaginazioni dei credenti. L'ateo è il povero che non possiede la gioiosa certezza di avere Dio per padre. Con la sua incredulità testimonia come solo in virtù del mistero pasquale del Cristo sia possibile diventare spirito conoscitore di Dio. L'ateo è il povero che infaticabilmente cerca di vedere Dio, ma non vi riesce. « Nessuno ha mai visto Dio » ( Gv 1,18 ). Così l'ateo esperimenta e testimonia il Cristo, nei suoi misteri d'incarnazione e di pasqua, in modi propri e complementari a quelli del credente. Fra le due forme di spiritualità - credente ed atea - si può creare un'integrazione dialettica, la quale serve a concepire, a svelare e ad amare più adeguatamente la grandezza del Signore. |
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Dio | |
Assoluto | |
Sue motivazioni | Apostolato VII |
Incontro con l'… | Modelli II |
Sua conversione | Conversione I |
… e filosofia odierna | Assoluto I |
… ed eroismo | Eroismo I |
… e amicizia caritativa | Amicizia VI |
… e morte di Dio | Assoluto I |
1 | Theodor Heuss, Robert Bosch. Leben una Leistung, Tubinga, Rainer Wunderlich 1968 |
2 | B. Haring, Il sacro e il bene, Brescia, Morcelliana 1968, 92-107 |
3 | Gaudium et Spes 19 |
4 | Gaudium et Spes 19 |
5 | Gaudium et Spes 19 |
6 | Gaudium et Spes 19 |
7 | Gaudium et Spes 19 |
8 | Gaudium et Spes 19 |
9 | Hans G. Koch, Wird die Froge nach Goti verdràngt? in Herderkorrespondenz 30 (1976) 173 |
10 | Atheismus oder verborgene Religiositàt? Ein Gesprdch mit Prof. Bernhard Welte in Herderkorrespondem. 30 (1976) 192-200 |
11 | Gaudium et Spes 21 |
12 | Gaudium et Spes 16 |
13 | E. B. Ballard, A Use to Atheism in Ethics in Journal of Religious Health 2 (1962) 151 |
14 | Erich Fromm, Thè Heart of Man. Its Genius far Good and Evil, New York 1962, 15 |
15 | ibid., 28 |
16 | Ibid., 29 |
17 | Julian Huxiey, Touchstones for Ethics 1893-1943, Ethics and thè Diatectic of Evolution, New York 1947, 254 |
18 | E. Fromm, Thè Heart of Man, 147 |
19 | Gaudium et Spes 22 |