Amicizia

IndiceA

Sommario

I. Amici si diventa.
II. Amicizia a sfondo sessuale.
III. Amicizia come esperienza virtuosa.
IV. L'amicizia secondo la parola rivelata.
V. Amicizia come esperienza cristiana.
VI. Amicizia come esperienza caritativa mistica.
VII. Amicizia come esperienza caritativa ecclesiale.
VIII. Amicizia come esperienza caritativa apostolica.
IX. Amicizia di persone consacrate.
X. Amicizia con sposati.
XI. Solitudine e amicizia.

I - Amici di diventa

- In senso ideale, amico è colui che ama, al di là di ogni ricerca personale interessata o utilitaristica; che con tutto se stesso è disponibile nell'accoglienza dell'altro; che è desideroso di offrirsi in dono; che gode della pace esistente presso l'amato come se fosse propria.

L'amico percepisce che l'altro lo ricambia di un medesimo amore di benevolenza: con lui condivide un medesimo affetto altruistico, una reciproca attenzione, la gioia di sentirsi amato.

L'amico non conosce l'amore narcisistico, ne l'amore solitario.

Ognuno dei due amici trova piacevole vivere in quanto il loro è un convivere insieme; in quanto l'uno si percepisce accolto nell'intimo della vita dell'altro; in quanto pensa e vuole in sintonia con l'altro; in quanto si costata intrecciato entro la vita dell'amico.

I due sono un'« anima unica in due corpi ».

Essere amici è uno stato di arricchimento umano.

Offre la possibilità d'incontrare l'altro al di fuori di un contesto istituzionalizzato, senza soggiacere a pressioni socializzanti che alienano da una spontaneità personale, con la coscienza di essere accolti onoratamente come si è, di essere apprezzati anche per le stesse proprie scabrosità, di sapersi sempre incontrare con un volto lieto, di sentirsi intrecciati in colloquio reciprocamente fiducioso, di sapersi integrati in una responsabilità compartecipata, di percepirsi strappati dalla monotonia dei rapporti quotidiani burocratici.

Avere la coscienza di vivere in una vera amicizia è ignorare l'amarezza di giorni feriali; è essere inseriti in lieta creatività festosa; è essere favoriti di continuata spinta per una promozione personale; è essere innestati su un'esistenza che s'apre in incessanti esperienze primaverili d'amore.

La vita d'amicizia è strutturata di parole, di silenzi e di atteggiamenti.

La parola comunica e scambia convincimenti e sentimenti interiori; i silenzi lasciano gli animi nella consapevolezza di una sintonia profonda.

Essenziale è che sia parola, sia silenzi, sia comportamenti non esprimano rottura del dialogo e dell'incontro, ma ne favoriscano una approfondita continuità.

La compresenza amichevole nel silenzio offre l'esperienza di sentirsi armonizzati sugli stessi affetti; di sapere che non c'è bisogno di parole per comunicare; che non esiste necessità di dirsi amati per percepire l'amore dell'altro; che lo stare assieme reca la gioia di esperimentarsi affratellati nel profondo.

La comunione d'amicizia è un linguaggio che si diffonde nell'interiorità profonda; e che, poi, affiora spontaneamente in parole e gesti esteriori.

Uno non può situarsi nell'amicizia come vuole, quando vuole; neppure la può ricevere come un dono, che a un dato istante viene improvvisamente dall'esterno.

Si impara a vivere nell'amicizia attraverso una lunga esperienza di amori amichevoli imperfetti, senza mai poterne esprimere una forma perfettamente definitiva.

L'amicizia è un momento dell'evolversi dell'affettività dell'io, del suo senso comunitario, della sua esperienza di relazione interpersonale.

Non è possibile vivere l'amicizia in modo differente da quello che uno è.

In essa affiorano gli inconsci moti latenti dell'io, le proprie conflittualità, le proprie inclinazioni egocentriche, le acquisite aperture altruistiche, le proprie acerbità adolescenziali, le raggiunte esperienze adulte e tutte le incessanti variazioni dovute a proprie possibilità autocreative.

L'esperienza di amicizia si caratterizza in modo differente, non solamente a seconda della fase evolutiva in cui giace l'animo degli amici, ma soprattutto in dipendenza dalle esperienze affettive avute.

Le prime relazioni del neonato con la propria madre già predeterminano la possibilità ( o difficoltà ) circa la successiva attuazione di relazioni amichevoli.

È di fondamentale importanza che il bimbo si trovi affettivamente bene inserito in famiglia; che venga favorito nella comunicazione con membri di altri gruppi sociali.

Altrimenti accumula il senso della paura infantile, a motivo della quale la situazione esterna non lo stimola ad allargare relazioni sociali, ma lo sospinge a ricercare un sistema protettivo.

Può accadere che, a causa di interpretazioni persecutorie accolte nell'infanzia, un animo non sappia intrattenersi in normale manifestazione affettiva.

Per l'esperienza di rapporti con la propria madre austeramente severa, l'adolescente può inclinare a immaginare pericolosa o minacciosa qualsiasi presenza di estranei.

Nell'assecondare l'amore presto si esperimenta il timore che la persona amante ingrandisca le sue effusioni affettive così da asservire ad essa, facendo perdere la propria autonomia.

Per questo motivo s'impara a frenare gli impulsi e i desideri d'amore.

Magari si adottano atteggiamenti scontrosi e bruschi, per non essere sopraffatti dalla persona a cui si vuoi bene.

In ogni persona è necessaria una progressiva maturazione affettiva, che faccia passare dalla bramosia del possesso dell'altro per servirsene, a una sua accettazione come persona in se stessa amabile.

Simile maturazione costituisce un presupposto psico-sociale, che condiziona tutto il proprio atteggiamento personale virtuoso, anzi la stessa retta vita soprannaturale caritativa.

Un compito non facile, in quanto la disponibilità affettiva d'amicizia viene attuandosi fra innumerevoli doverose conquiste, che devono essere gustate provvisoriamente e poi superate attraverso crisi, per aprirsi a un ordine affettivo superiore.

E non sempre si sa accedere in modo appropriato a una forma nuova d'amore.

Così accade che nella stessa età adulta possano persistere fattori fantastici infantili, adolescenziali, che condizionano l'attuale modo di vivere l'amicizia; possono affiorare processi inconsci di traslazione, i quali ostacolano lo svolgimento normale dell'affettività.

Si inclina ad amare come si è saputo e potuto amare in passato.

L'educazione spirituale abilita a distruggere la fantasia dell'infanzia, per inserire l'io nella realtà attuale; favorisce l'accoglienza di un io responsabilmente nuovo, purificato da tendenze evocative che racchiudono entro il passato.

L'amico autentico è spiritualmente libero; sa conoscere se stesso e l'altro secondo realtà; sa rendersi disponibile per l'accoglienza completa dell'altro; sa offrire un amore che ingrandisce l'amico.

II - Amicizia a sfondo sessuale

Nella crisi adolescenziale dell'affettività nasce il desiderio di esperimentare emozioni sessuali.

Spesso ciò che inquieta non è l'amore in senso autentico, ne l'impulso sessuale vero, ma la rimozione di un conflitto dei primi anni di vita.

Possono essere crisi affettive, generate da una richiesta compensazione ( come esigenza di protezione o di possesso dominativo ), e che per lo più ingenerano senso di schiavitù e di insopportazione reciproca.

Nell'adolescenza, accanto alla pulsione istintuale ( autentica o di compensazione ), si affaccia sempre un iniziale bisogno di comprensione e di amicizia; si delinea il desiderio d'attuare una amicizia più autentica.

Inizialmente le amicizie adolescenziali a sfondo sessuale si intrecciano fra due adolescenti del medesimo sesso: affiorano fra loro intimità e confidenze prolungate, desiderio intenso di condividere la vita in maniera integrale, bisogno di conoscersi anche mediante l'esperienza corporale con l'altro.

Un'esperienza di sentimenti omosessuali, che poi rientra nell'armonia dell'affettività normale, favorendo il passaggio ad amicizie eterosessuali.

Le amicizie adolescenziali a sfondo eterosessuale generalmente svolgono un compito di preparazione alla futura vita coniugale e familiare; sono chiamate a far affiorare comprensione reciproca, capacità di convivere in vista di una missione da svolgere, abilità a superare le differenze fra i due sessi.

È un avvento o noviziato che introduce a una vita nuova, che offra esperienza di esistenza convissuta e fiducia nel futuro comunitario-matrimoniale.

Normalmente le amicizie adolescenziali eterosessuali si rompono, in quanto i due, maturandosi, si costatano non fatti l'uno per l'altro per una scelta matrimoniale.

La rottura dovrebbe lasciare fra i due un legame d'amicizia, specialmente se la rottura è stata amichevolmente ragionata e si è proposta come una leale costatazione della maturazione avvenuta assieme ma per altri affetti.

L'adolescenza è per sua natura un tempo di profonde trasformazioni: non è abilitata per scelte definitive, per legami matrimoniali infrangibili, per amicizie stabilmente solide.

Consente unicamente amicizie che sono precarie, anche se preziose e necessarie per la maturazione affettiva personale, per consentire alla personalità di costituirsi riccamente adulta.

Quando si inaugura un'affettività con esigenze coniugali incipienti, all'inizio si rallentano le altre amicizie al fine di conoscersi ed approfondire il reciproco affetto: si tende all'isolamento.

Dopo un'esperienza a due, subentrano momenti di stanchezza; si desidera vedere qualcuno con cui scambiare un discorso nuovo; si sente l'esigenza di ampliare il rapporto che si è troppo ristretto.

Se l'amicizia nella maturità testimonia la ricchezza comunicativa esistente fra i soggetti, nella vecchiaia è provvidenziale in quanto fa conservare l'interesse verso la vita, tiene vivacemente sveglie le funzioni psichiche, ne ritarda il rattrappimento, aiuta a superare serenamente l'isolamento personale [ v. Anziano III,2 ].

Taluni accanitamente definiscono come amicizia i propri atteggiamenti affettuosi dai legami sensuali.

Si mostrano risentiti verso chi avanza l'ipotesi che si tratti d'un innamoramento o d'un amore sessuale.

Essi temono che la loro relazione possa squalificarsi di fronte alla propria coscienza o alla valutazione altrui; hanno l'apprensione di dover assumere decisioni di rottura, qualora si svelasse palesemente il senso torbido implicato nel rapporto.

Non è mai possibile distinguere con precisione l'amore sensuale dall'amicizia: l'uno non si configura nettamente al di fuori dell'altra.

Anche quando appare un'amicizia spiritualmente adulta, persistono inconsce venature sessuali.

Le amicizie con componente sessuale, anche se cercano di equilibrarsi entro correttezze formali, sono impigliate fra espressioni emotive; sono turbate da gelosie; accondiscendono a piccoli compromessi.

È necessario saper guardare con chiarezza il proprio stato; saper esaminare criticamente le proprie fantasie; scoprire i legami che si vanno intrecciando; percepire l'orientamento nuovo che si introduce; valutare con realismo i propri affetti.

Se non si bada con attenzione ai sentimenti o legami affettivi, che si vanno affacciando o modificando, se ne può prendere coscienza solo quando ormai essi si sono sviluppati e costituiti in forma irremovibile.

Nel periodo di transizione dei propri affetti è bene determinare quale orientamento si vuoi assumere e dove si vuoi giungere, per trame le dovute decisioni spirituali.

III - Amicizia come esperienza virtuosa

La sapienza antica è andata elaborando la concezione dell'amicizia intesa come virtù attraverso modalità culturali diverse.

Già nel mondo omerico l'amicizia è guardata entro un contesto di nobiltà aristocratica; presso Solone essa si configura in una dimensione politica, mentre presso Pitagora l'amicizia caratterizza la vita di scuola, ove tutto è vissuto insieme nella ricerca della verità.

Socrate precisa che la scuola, insegnando a conoscere, educa all'amicizia, soprattutto invitando il discepolo a conformarsi alla personalità del maestro, magari anche mediante intimità carnali.

Secondo Fiatone questo amore erotico, in intimità scandalose verso una data persona, serve per avviarsi in direzione di un ideale di puro bene: inaugura il passaggio verso l'amicizia spirituale.

Egli ritiene che la pratica dell'amicizia omosessuale consenta purificazione e liberazione dalle emozioni sensuali: converte all'eros divinizzante; introduce nel possesso isolato del Primo Amato; è una tappa pedagogica verso la perfezione teologale.

L'amico voluttuoso è il mezzo necessario, ma provvisorio, che fa inoltrare nella solitudine della Beatitudine.

Per Aristotele l'amicizia attualizza l'uomo nella sua dimensione politica.

Perciò essa « è assolutamente indispensabile alla vita: senza amici, nessuno vorrebbe vivere, anche se ricco di tutti gli altri beni ».1

Proprio perché necessaria a livello politico, l'amicizia deve sorpassare lo stadio dell'utile e del dilettevole, ed assidersi nella virtù.2

In senso aristotelico, amicizia secondo virtù significa comunione di vita fra amanti, capace di far godere benefici vicendevoli e armonizzare sui valori dell'esistente struttura familiare e politica.

Se per Platone l'amicizia è momento di frenesia, che consente di aspirare e sospingersi verso le novità dell'Assoluto beatificante, per Aristotele è via che immette in un ordine terrestre e lo fa esperimentare beneficamente appagante.

Cicerone riprende le riflessioni aristoteliche sull'amicizia.

Questa è tutta permeata di virtù.

« È la virtù stessa che produce l'amicizia.

Senza virtù non c'è amicizia …

L'amicizia è stata accordata per essere l'ausiliaria della virtù, affinché la virtù che, da sola, non può arrivare al suo più alto grado, vi pervenga unita ed associata a un'altra.

Un'alleanza come questa fornisce agli uomini il mezzo migliore e più felice di camminare insieme verso il bene supremo.

È la virtù, la virtù, dico io, che forma le amicizie e le conserva, giacché in essa si trova l'armonia, in essa la stabilità, in essa la costanza ».3

E in quanto virtù, l'amicizia è possibile solo fra saggi: « Nulla è più difficile che far perdurare un'amicizia sino all'ultimo giorno della propria vita ».

Al dir di Epicuro, fra « tutti quei beni che la sapienza procura per la felicità il più grande è l'acquisto dell'amicizia »;4 è il massimo dei puri piaceri; è la realizzazione vera della personalità umana; è il fine della vita.

Per essa il mondo umano disumanizzato viene riordinato.

La concezione sapienziale antica sull'amicizia ha conosciuto successive prospettive culturali profondamente diverse fra loro: dall'intuizione aristocratica omerica di spontaneità vitale all'ideale metafisico contemplativo platonico, da una visione virtuosa intellettuale aristotelica al gioioso affetto amicale epicureo fino al precettismo ascetico stoico.

Ma la sua intuizione primaria, tramandata più marcatamente alle generazioni successive, è la prospettiva dell'amicizia come virtù.

Tutto il discorso sull'amicizia viene svolto entro la visione categoriale della virtù.

Basta essere virtuoso per essere buon amico; e una amicizia adulta oblativa è riscontrabile unicamente fra persone virtuose.

Si legittima l'amore amichevole solo quando è razionale e volitivo; si diffida dei suoi possibili dinamismi inconsci ed emotivi.

In tal modo l'amicizia come virtù, nonostante la sua configurazione tutta ben pulita e misurata, ha un senso di teorico, d'ordine astratto, di statico, di controllato, che la priva del suo ricco incanto spontaneo umano.

In essa si riflette un'idealità umana, non l'accoglienza delle componenti che costituiscono l'io integrale esistenziale.

La concezione dell'amicizia come virtù sembra soprattutto trascurare il fatto che l'atteggiamento amichevole è profondamente condizionato dalla soggiacente maturazione affettiva.

Non si ammette che la componente psichica esistenziale potrebbe, ad es., indurre a far giudicare lodevole uno stato amichevole adolescenziale scabrosamente acerbo, non già per una sua presente configurazione morale oggettiva, ma in vista di una crescita in via di attuazione.

Inoltre conviene considerare l'amicizia non esclusivamente qual realtà a sé stante, ma qual spirito che anima implicitamente gli altri comportamenti; che da un senso umano nuovo alle proprie attività.

S. Tommaso, riprendendo il discorso aristotelico, preciserà che l'amicizia - oltre essere una virtù speciale indicante un dovuto di giustizia sociale - è un modo amabile che caratterizza l'intero stato virtuoso.5

Volendo esemplificare, l'attività ludica si tratteggerà in modalità comunicative assai variate a seconda che i partecipanti nutrano capacità amichevoli infantili od adolescenziali, ovvero sappiano esprimere nel linguaggio, nei sentimenti e nei gesti una comunicazione oblativa adulta.

Certamente è importante vivere un'amicizia regolata secondo virtù,6 ma anche essere maturati in personalità affettivamente adulta, la quale consente di sapersi esprimere in amicizia oblativa esemplare.

IV - L'amicizia secondo la parola rivelata

La s. scrittura non offre una trattazione teorico-sistematica sull'amicizia; non cerca di spiegare la sua origine primitiva ( come fa in rapporto all'amore sessuale: Gen 1,27s; Gen 2,18s ); non ne indaga la natura filosofica.

Essa vuoi unicamente indicarla come un'esperienza storica umana, che ripensa sotto una prospettiva di fede.

La Parola ricorda con insistenza mirabili esperienze di amicizie.

Basti ricordare l'amicizia fra Davide e Gionata: « Il cuore di Gionata s'attaccò al cuore di Davide, e Gionata […] lo amava come l'anima sua, e lo amava come se stesso » ( 1 Sam 18,1; 1 Sam 20,17 ).

Singolari sono pure le amicizie di Gesù per Lazzaro, Marta e Maria ( Gv 11,5.11 ), Giovanni evangelista ( Gv 13,23 ).

Certamente l'amicizia vera è rara; è difficilmente autentica ( Pr 14,20; Sal 38,12; Sal 41,10; Gb 19,19 ).

È necessario accoglierla con vigilante preoccupazione ( Dt 13,7; Sir 6,5s; Sir 12,8s ); cercando di viverla entro determinati requisiti virtuosi ( Pr 27,5; Sir 9,10; Sir 6,16s ).

Ma quando uno trova l'amico vero fedele, ha trovato una ricchezza inestimabile, che rende delizioso il vivere ( Pr 15,17; Pr 18,24; Sal 133; 2 Sam 1,26 ).

« Chi trova [un amico], trova ricchezze.

L'amico fedele non ha prezzo e non c'è mezzo per stimarne la bontà.

L'amico fedele è farmaco di vita » ( Sir 6,5-16 ).

Egli « è più caro di un fratello » ( Pr 18,24 ); fa gustare un amore « più meraviglioso dell'amor di donna » ( 2 Sam 1,19-27 ).

Se la rivelazione s'attarda a ricordare come l'amicizia vera debba essere virtuosa, tuttavia non s'esaurisce negli ammonimenti etici.

Il suo insegnamento primario sta nel precisare quale presenza Iddio abbia fra le amicizie umane.

La sapienza antica aveva sentenziato che l'amico può essere solo uno che vive un'esistenza eguale alla nostra, non già uno « distaccato come un dio ».7

La rivelazione ricorda come Dio è peregrinante all'interno della storia umana.

Di fatto egli vive in rapporti con gli uomini, legati a lui da un'alleanza.

Ecco perché questo Dio si è mostrato annodato in amicizie umane ( come con Abramo [ Is 41,8 ], con Mosè [ Es 33,11 ], coi profeti [ Am 3,7; Dn 3,35 ] ).

Anzi, la sua amicizia con l'uomo si presenta come il modello e la sorgente di ogni vera amicizia ( Sir 6,16 ).

L'avvento dell'incarnazione del Verbo testimonia come Iddio ambisca grandemente essere presente all'esperienza umana d'amore d'amicizia ( Gv 16,27 ).

Allo scopo di elevare le creature nell'intimità della sua amicizia, ha inviato il Figlio suo fra gli uomini ( Gv 3,16; Tt 3,4 ), sacrificandolo ( Rm 8,32 ); ha comunicato ad essi i suoi segreti ( Gv 15,15 ); ha lasciato fra essi il suo Spirito, con il compito di introdurli entro l'amicizia vissuta fra le persone divine ( Rm 8,17; Gal 3,26 ).

La storia salvifica si riduce ad essere l'iniziazione degli uomini alla carità divina intratrinitaria per opera dello Spirito di Cristo ( Gv 17,26; Gv 15,9 ).

L'amicizia del Signore attinge il profondo dell'io amato, dato che egli vi penetra con il suo Spirito, il quale sa essere più intimo di quanto l'io sia intimo a se stesso.

Nello stesso tempo - il Signore vi effonde un amore che apre l'animo con slancio d'amicizia su tutti gli altri ( Gv 13,34; Gv 15,12 ).

Se la carità non sfociasse in questa ricchezza d'amore esteso a tutti, non sarebbe amicizia caritativa che proviene dallo Spirito.

Quanto più l'effusione dello Spirito penetra nell'interiorità profonda dell'io, tanto più questi sa abbracciare gli altri con amore amichevole.

Difatti si viene abilitati ad essere « figli del Padre celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti» ( Mt 5,45; 1 Gv 4,11 ).

V - Amicizia come esperienza cristiana

In armonia con la convinzione etica d'Aristotele, Cicerone affermava: « L'amicizia non può esistere che tra uomini ».

Su tale convincimento il messaggio cristiano reca un'innovazione e attesta: una amicizia soprannaturale è possibile fra gli uomini solo perché Dio stesso si è offerto ad essi come amico.

S. Tommaso potrà asserire che i rapporti esistenti fra Dio e gli uomini, detti caritativi, sono rapporti di amicizia.8

Se l'uomo consente di essere ingrandito soprannaturalmente nella capacità d'amore d'amicizia, ha la possibilità di saper instaurare intimità con Dio in Cristo.

L'amicizia cristiana è una capacità nuova d'amare gli uomini.

Lo Spirito comunica una virtù infusa d'amare, detta grazia caritativa.

Per questo dono della carità il credente ha una potenziale possibilità di condividere il modo teandrico di amare proprio del Signore; è chiamato ad amare e a stringere amicizie in Cristo, con Cristo e mediante Cristo.

Se Aristotele9 richiedeva una lunga pratica d'esperienza per introdursi in una amicizia, per il cristiano è richiesto che lo stesso Spirito trasformi sempre più l'affettività personale, le comunichi un cuore nuovo, vi esprima l'amore stesso del Cristo.

L'amicizia cristiana presuppone una continuata purificazione pasquale ( di morte-risurrezione ) per giungere a saper esprimere più genuinamente la carità amichevole del Cristo risorto [ v. Mistero pasquale ].

Plutarco, raccogliendo l'insegnamento degli antichi, aveva sentenziato: « L'amicizia si compiace della compagnia, non della folla; non assomiglia agli uccelli che vanno a stormo come gli storni e le ghiandaie.

Se si divide un fiume in diversi canali, il suo corso diventa debole e sfinito.

Così è dell'amicizia: si indebolisce a misura che si divide ».10

Plutarco aveva indicato una prospettiva propria dell'amicizia umana, già notata da Aristotele e Cicerone.

Quella cristiana si raccoglie in una prospettiva del tutto diversa.

Essa è chiamata ad avere la profondità e l'ampiezza di quella del Signore, perché esperimentabile e vissuta come continuazione della sua amicizia caritatevole.

L'amicizia teandrica del Cristo è coestensiva a tutti gli uomini e dotata di tale intensità che trascende ogni amabilità umana: essa è specchio dell'amicizia che il Padre mostra verso ogni uomo vivente ( Mt 5,45 ).

Per indicare questa estensione-profondità singolare dell'amicizia fra i cristiani si fa ricorso al termine nuovo "filadelfia": i credenti sono diventati amici-fratelli ( 1 Pt 1,22; 1 Pt 3,8; 2 Pt 1,7; Rm 12,10 ).

« Riguardo alla filadelfia, non avete bisogno che ve ne scriva; voi stessi infatti avete imparato da Dio ad amarvi gli uni gli altri, e questo voi fate verso tutti i fratelli dell'intera Macedonia.

Ma vi esortiamo, fratelli, a farlo ancora di più … » ( 1 Ts 4,9-10 ).

L'amicizia cristiana - tutta permeata di amabilità soprannaturale ( 1 Ts 2,8 ), perché resa trascendente dalla carità ( Fil 8,21 ) - ha un'ampiezza ecclesiale ( At 20,36-38 ).

Essa appare quale nota di autenticazione esemplare in rapporto alla primitiva comunità ecclesiale.

« Tutto il gruppo dei convertiti, poi, era un cuor solo e un'anima sola, e nessuno di loro diceva proprio qualunque suo bene: tutto, invece, era posseduto in comune » ( At 4,32 ).

In termini appropriati, si parla di amore amichevole vissuto all'interno del corpo mistico ecclesiale: un'unità al modo di solidarietà organica, che solo l'amicizia dello Spirito di Cristo sa realizzare.

In uniformità alla narrazione degli "Atti degli Apostoli", volendo capire e spiegare la realtà del corpo mistico, è preferibile non far uso di concetti astratti o di presupposti teorici, ma soffermarsi sul reale ecclesiale vissuto.

Bisogna lasciarsi istruire dall'esperienza; verificarne la sua portata secondo l'attuale ambiente socio-culturale ecclesiale.

La realtà della comunione dei fedeli in Cristo può essere oggi più comprensibilmente conosciuta, apprezzata ed amata, se in concreto viene verificata qual vita caritativa che lo Spirito effonde fra i credenti, qual esperienza d'amicizia soprannaturale generalizzata.

Mi devo abituare a badare se amo il fratello con la stessa amicizia che nutro verso il Cristo.

Per comprendere nel suo significato autentico la grande realtà del corpo mistico, devo lasciarmi istruire dalla carità vissuta; devo consentire che lo Spirito mi introduca sempre più nella partecipazione dell'amicizia, che il Signore ha verso ogni mortale.

Le verità evangeliche sono comprensibili solo se si possono cogliere come fermento operante e trasformante la vita presente, come senso della vita ecclesiale esperimentata, come animazione della cultura attuale.

I cristiani devono essere educati a riconoscere il Signore attraverso l'esperienza dell'amicizia fraterna; devono imparare a conoscere e a valutare i valori evangelici attraverso l'amore amichevole esercitato verso gli uomini.

La pratica dell'amicizia deve essere proposta come fonte universale di conoscenza; come il mezzo per cogliere le realtà cristiane nel loro senso intimo e profondo.

Pierre Teilhard de Chardin pregava: « Dio mio, fate brillare per me, nella vita dell'altro, il vostro volto.

Concedetemi di riconoscervi, anche e soprattutto in ciò che vi è di più intimo, perfetto, remoto nell'anima dei miei fratelli ».11

Un criterio, che deve essere accolto in modo generale, proprio perché l'amicizia caritativa è fondamentale per costituire ed esperimentare quanto è specifico della verità e della vita cristiane.

VI - Amicizi come esperienza caritativa mistica

Il cristiano, in quanto è chiamato a partecipare sacramentalmente all'amicizia caritativa propria del Cristo verso Dio Padre, con ciò stesso ha una vocazione di unione con Dio in Cristo.

L'esperienza mistica cristiana può essere indicata come una vissuta amicizia dell'anima con Dio nello Spirito del Signore.12

È un pregustare sulla terra l'intimità, che l'anima in Cristo avrà con il Padre nell'era futura.

Questo supplicava il Signore nella sua preghiera in favore dei suoi discepoli ( Gv 17,21-22 ) [ v. Uomo spirituale ].

L'amicizia in modalità mistica si esprime e si sviluppa in modo preferenziale attraverso la preghiera.

Nell'orazione l'anima si inoltra nell'intimità di Dio; è impegnata a rendersi trasparente all'amore trinitario; s'offre con tutta se stessa, a Dio, proclamato l'unico necessario.

Mediante la preghiera l'orante si riallaccia all'amore che origina ogni amore fra gli uomini: accoglie in dono l'amore del Padre che offre il Figlio agli uomini e l'amore del Figlio che offre tutto l'umano al Padre.

La preghiera educa l'orante ad aprirsi sulle amicizie, come a un dono del Padre, come a un richiamo per inoltrarsi verso il Signore.

« Grazie, Signore, per avermi fatto comprendere che ogni uomo che incontro, anche per caso, è da Tè chiamato a stabilire dei legami di amicizia celeste con me ».12a « Signore, insegnami a scoprire in ogni uomo la terra inesplorata che sei tu ».13

L'amicizia si eleva ad esperienza mistica, quando è concepita e vissuta come un modo di vivere sempre più abbandonato nello Spirito di Cristo.

L'anima non sa vivere nessuna amicizia umana particolare, se non come un itinerario d'amore verso il suo Signore.

S. Eiredo, abate de Rieval, insegnava che « esiste un grado d'amicizia, vicino alla perfezione», quando «l'uomo, mediante l'amico, diventa l'amico dell'Uomo-Dio ».

In simile amicizia, mentre s'approfondisce l'unione affettiva con l'amico, parallelamente si penetra in ulteriore intimità amichevole col Cristo: « et sic per amoris gradus ad Christi conscendens amicitiam, unus cum eo spiritus effìcitur in osculo uno ».14

Con insistenza egli descrive l'amicizia umana come il modo più appropriato per conoscere ed amare il Signore.

« Da quando Ti ho trovato nel mio amico ( o Signore ), sei tu che ormai io cerco.

Io cerco di penetrare nella sua intimità penetrando nella tua Intimità, di afferrare il suo sguardo lasciando i miei occhi riposare sul tuo Viso, di incontrare il suo amore in una maniera eternamente giovane penetrando nell'eterna giovinezza del tuo Amore, terra inesplorata verso cui sono rivolte tutte le mie aspirazioni: Vita del Padre, del suo Figlio e dello Spirito d'Amore ».15

S. Pier Damiani confermava, confidando all'amico suo: « Portando gli occhi sul tuo viso, a tè che mi sei caro, io elevo il mio sguardo a colui che io desidero di raggiungere, unito a tè ».16

Questa sublimazione mistica dell'amicizia si può verificare sia quando l'amico è lui pure tutto effuso nel Signore, sia quando l'amico non condivide un'esperienza caritativa verso il Signore.

In questa seconda ipotesi l'amante mistico si offre con un amore di benevolenza, in cui si palesa il dinamismo salvifico pasquale del Signore.

« Essere indotto verso l'altro da amico secondo le modalità del Primo-Amato ( il Figlio ), è un atteggiamento trinitario nel suo significato più profondo.

L'amicizia non ne viene sminuita; ne deriva anzi un movimento di avvicinamento ( come nella Trinità ) e d'incarnazione ( avvicinandosi cioè a un altro che non vive alla medesima profondità ).

In questo senso è un movimento di "kénosi", non di degradazione, che assume lo stato di peccatore, cioè di mancanza d'amore dell'altro ».17

L'esperienza mistica dell'amicizia giova per aprirsi a un modo nuovo dell'amore cristiano verso i fratelli amici.

Se l'amicizia cristiana inclina a maturarsi qual effusione mistica col Signore, a sua volta l'esperienza d'unione a Dio in Cristo abilita a riamare con singolare intensità l'amico, a creare un'intimità prima sconosciuta.

« Più si sale, più si diventa capaci di dare, poiché si riceve in più larga misura.

A un primo livello è l'amico che viene spinto verso gli altri, per l'amore che gli si porta.

A un secondo livello, è l'amicizia stessa che gli amici si portano ad essere rivolta verso gli altri.

A un terzo livello, è a partire dall'amicizia, che gli amici si portano, che l'amico è spinto verso un nuovo amico.

E questo movimento d'amore non ha più un aspetto redentore come al primo livello; esso non è altro che il prolungamento dell'incarnazione stessa.

E, infine, all'ultimo livello, che è quello dell'amore più sublime, è il Padre, l'amico da cui deriva ogni amicizia, che si rivolge come amico verso gli altri nuovi amici, seguendo lo stesso movimento con cui l'amico si rivolge verso di loro nell'amicizia vissuta; il Padre è amato in questo amico, per mezzo di lui e con lui, di modo che l'amicizia del nuovo amico diventa piena.

Tale è l'amicizia trinitaria nella sua profondità e ricchezza.

Dio ci ha amati così fin dal principio; ma il suo amore è penetrato in noi lentamente […].

A partire dall'amicizia ( lo Spirito santo ), l'Amico ( il Cristo ) si rivolge verso gli altri ( gli uomini ); e attraverso questo Amico ( il Cristo ), il Primo-Amante ( il Padre ) si da lui stesso agli uomini ( Emmanuele ) ».18

VII - Amicizia come esperienza caritativa ecclesiale

La chiesa primitiva ha mostrato, in modo singolare, di saper vivere nell'esperienza gioiosa di una comunitaria amicizia caritativa; ha potuto pubblicamente palesare la novità dell'amicizia cristiana, che non si struttura al di là di ogni amore umano.

L'amicizia cristiana non è un'amicizia come le altre; ne si distingue solo per il fatto che è più estesa e più intensa.

Essa origina remotamente da una partecipazione terrena alla vita d'amore divino; è una realtà utopica, che principia da un dono carismatico; è praticata unicamente da coloro che sono in intimità con Dio e si esprime nella misura in cui Dio fa partecipare alla sua vita.

L'amicizia cristiana è comunitaria per vocazione, in quanto proviene da un Dio che è padre di tutti; in quanto è comunicata dallo Spirito di Cristo, che è l'amore verso ogni vivente; in quanto è stata innestata nel profondo umano dalla incarnazione del Verbo; in quanto viene purificata e maturata presso gli uomini dalla sacramentalità del mistero pasquale del Signore.

Per questo l'amicizia cristiana ha essenzialmente una dimensione ecclesiale.

La comunità dei credenti è invitata a far apparire come sia gioiosamente arricchente un'amicizia comunitariamente ecclesiale.

Se è asserzione teologica abbastanza evidente che l'amicizia cristiana abbia una irrinunciabile dimensione ecclesiale, nella pratica spirituale tale affermazione ha suscitato e ancora suscita non poche difficoltà.

Già i padri della chiesa si erano chiesti se la carità, come amicizia cristiana verso tutti, potesse conciliarsi con un'amicizia particolare.

S. Basilio, che pure aveva intensamente praticato ed esaltato una personale amicizia con s. Gregorio Nazianzeno, esige che i monaci testimonino un'amicizia evangelica rivolta esplicitamente a tutti in forma indiscriminata.

La carità fraterna non ammette amicizie particolari.

« Conviene che dei fratelli abbiano della carità gli uni verso gli altri, ma non al punto da formare gruppo di due o di tre.

Questo non sarebbe più carità, ma discordia, divisione e un cattivo argomento da parte di coloro che vivono insieme ».19

Mentre Giovanni Cassiano, in base a una propria esperienza d'amicizia santa, ritiene che la stessa perfezione della carità può usufruire beneficamente di un'amicizia particolare verso un amico, con cui si condivide uno stesso lavoro o una medesima formazione o una esperienza virtuosa eguale.

Cassiano distingue fra agape ( « carità dovuta a tutti, che il Signore ha comandato di usare anche ai nemici » ) e diàtesis ( « carità d'affezione, rivolta a un piccolo numero di persone, cioè a coloro che ci sono uniti o per somiglianza di costumi o per comunanza di virtù …

Pur amando tutti, la carità sceglie alcuni che vuole avvolgere d'una particolare tenerezza, e anche in questo numero di privilegiati sceglie un piccolo stuolo al quale dona un affetto ancora più speciale ».20

Presso i padri della chiesa aveva costituito problema, non solo la pratica dell'amicizia particolare, ma anche se fosse possibile legittimare come caritatevole un'amicizia con tracce affettive o sensibili.

S. Agostino aveva esperimentato un'intensa amicizia giovanile, tanto che alla morte dell'amico confida: « Tutto mi era odioso, perché tutto era vuoto di lui ».

« Io percepii come l'anima mia e l'anima sua erano un'anima unica in due corpi: e perciò avevo in orrore la vita, poiché non volevo vivere dimezzato ».21

Convertitosi, egli ritiene che un cristiano deve trascendere ogni affettuosità amichevole: « Ci sono due amori: quello del mondo e quello di Dio.

Quando tu avrai vuotato il tuo cuore da ogni amore terrestre, attingerai l'amore di Dio ».

Perciò, rivolgendosi a Dio, lamenta la sua stolta follia, che in gioventù gli aveva fatto gustare un'amicizia terrena: « Mi trattenevano lontano da tè quelle cose che, se in tè non sussistessero, non esisterebbero ».22

Mentre secondo s. Bernardo, abate di Chiaravalle, l'affettività amichevole può essere accolta qual ricompensa che Dio offre per la pratica della carità verso tutti: « L'affettività, se insaporita dal sale della saggezza, è piena di una unzione celeste e fa gustare all'animo l'abbondanza delle dolcezze, che si trovano in Dio ».23

Perciò, scrivendo a Ermengarda, già contessa di Bretagna, confida con tutto candore: « Il mio cuore è al colmo della gioia, quando so che il vostro è in pace; la vostra soddisfazione fa la mia e, quando il vostro animo sta bene, il mio si sente pieno di salute.

Quale piacere gusterei a intrattenermi con voi a viva voce su questo tema dell'amore di Dio, anziché farlo solo per lettera!

In verità, a volte ce l'ho con le mie occupazioni, che mi impediscono di venire da voi; sono tanto contento quando mi permettono di farlo!

È vero che ciò capita raramente, ma, per quanto sia raramente, provo sempre gioia maggiore a venire, perché preferisco vedervi anche solo di quando in quando, piuttosto che non vedervi del tutto ».24

È possibile dare una soluzione alle problematiche indicate, che, in forma diversa, si sono rinnovate e insistentemente riaffacciate nelle varie epoche e nelle molteplici spiritualità?

O si deve ammettere che esisteranno sempre atteggiamenti spirituali discordanti sul fatto d'amicizia?

Si potrebbe osservare che i modi disparati di vivere in amicizia possono dipendere da esperienze personali, da verifiche su condotte praticate in comunità, dalle concezioni teologiche sul compito dell'amicizia nella vita spirituale, e simili.

Sono un'espressione delle sempre mutabili situazioni ed esperienze personali, culturali, ambientali ed ecclesiali.

Tuttavia, come indicazione spirituale, si potrebbe ricordare che soluzioni parzialmente differenti possono essere espressive di una ricchezza esperienziale pluralistica, caratterizzante la vitalità ecclesiale.

Nella chiesa si può amare il Signore in modi vari: ognuno è invitato, attraverso vie proprie d'amicizia, a giungere all'amore di Dio Padre nello Spirito di Cristo.

Nella varietà pluralistica meglio si esprime l'amicizia cristiana in dimensione ecclesiale con ricchezza di carismi.

VIII - Amicizia come esperienza caritativa apostolicia

L'amicizia cristiana, come dono caritativo dello Spirito, è ineffabile: non è definibile mediante espressioni umane; non si esaurisce nelle esperienze terrene; non è adeguatamente traducibile in atteggiamenti sensibili.

Allora conviene lasciarla sussistere nell'intimo interiore dell'io?

È opportuno che rimanga celata nell'interiorità profonda dell'essere umano?

L'amicizia cristiana, avendo una dimensione ecclesiale, necessariamente deve esprimersi attraverso sentimenti umani, deve incarnarsi in affettuosità sensibili, deve rendersi comunitariamente visibile.

In quanto ecclesiale, richiede di costituirsi come segno sacramentale percettibile e comunicabile fra le realtà terrene.

L'espressività umana è esigita nell'amicizia cristiana, sia perché possa testimoniarsi come autenticamente valida fra gli uomini, sia perché si presenti qual carisma in servizio dell'attendibilità della vita ecclesiale.

I credenti, come comunità, devono saper dare un nome culturalmente attuale, un contenuto efficacemente ecclesiale ed espressioni vivamente affettive all'esperienza caritativa amichevole.

Solamente così l'amicizia cristiana è un segno sacramentale di carità presso gli uomini.

Un compito già lodevolmente vissuto nella chiesa apostolica, mentre nella presente comunità cristiana un senso di pudore talvolta si è parzialmente privato di tutta questa esperienza sensibile e confortevole della carità.

Si esalta la necessità di contatti amichevoli per attuare una vera evangelizzazione.

Ciò è presupposto umano necessario, ma non sufficiente.

Attraverso questi contatti amichevoli gli altri devono sentirsi come immessi in intimità con Dio in Cristo.

Questi altri saranno convertiti alla fede cristiana solo quando, in rapporti amichevoli fra loro, sentiranno di amarsi in Dio; quando dal colloquio vicendevole avranno coscienza di aver incontrato il Signore; quando per il manifestato proprio amore sapranno di essersi reciprocamente comunicati lo Spirito d'amore.

Si tratta sempre e solamente d'amicizia come comunicazione di carità evangelica.

Che gli uomini si amino e annodino fra loro amicizie sincere è confortevole e grandemente bello.

Ma questo non è l'oggetto primario della evangelizzazione.

Il senso dell'attività ecclesiale apostolica è di far dell'amicizia un segno sacramentale per comunicare il Signore riattualizzato come amico che incontra le anime; per testimoniare come sia lo Spirito d'amore che si svela nel gesto evangelizzatore.

« La chiesa ha il compito di rendere presenti e quasi visibili Dio Padre e il Figlio suo incarnato, rinnovando se stessa e purificandosi senza posa sotto la guida dello Spirito santo ».25

La comunità ecclesiale non può limitarsi a rendere sacramentalmente presente il Cristo in momenti eccezionali ( nella penitenza, nell'eucaristia, nella meditazione della parola ).

Essa deve tendere a far in modo che ogni situazione umana vissuta dai fedeli ( lavoro, vita familiare, rapporti sociali e di sollievo, amicizie, e simili ) diventi un modo di comunicare il Signore.

Non solamente l'amicizia fra cristiani deve essere vissuta in modo che sia carisma apostolico, ma ogni attività missionaria deve rivestirsi del volto d'amore amichevole.

L'amicizia è una modalità irrinunciabile dell'apostolato.26

È necessario che l'apostolo si esprima e viva per amore, uniformandosi a quelli del suo quartiere; si faccia povero fra i poveri; assuma le loro preoccupazioni come proprie; si senta travolto dalle situazioni comuni.

Come loro, per amore di loro, per una vita che è vissuta al pari di loro, assumendo i loro stessi rischi per confondersi con essi.

Quest'amicizia è una testimonianza apostolica ecclesiale, che esprime un Cristo riattualizzato, che lo mostra donato e sacrificato per gli uomini, che lo rivela il grande amico tutto dedito a vivificare le amicizie umane.

Carlo De Foucauid, come preparazione all'evangelizzazione, si era proposto di creare amicizie: « Io cerco di conquistare la fiducia degli indigeni, di ammansirli, di creare un clima d'amicizia » ( 15 luglio 1904 ).

Egli alludeva a un'amicizia non in senso di affettività sentimentale, ma qual compartecipazione esistenziale con le persone amate: « Io non posso concepire l'amore senza bisogno, un bisogno imperioso di conformità, di rassomiglianza e, soprattutto, di partecipazione a tutte le pene, a tutte le difficoltà, a tutte le asprezze della vita ».27

Soprattutto, oggi, nel presente ambiente scristianizzato ed ateo, l'apostolo deve costituirsi cammino verso Dio mediante un'autentica amicizia caritativa fra gli uomini resi propri amici.

Solamente così egli sa offrire tracce per poter ritrovare il Signore; si qualifica qual volto del Dio vivente nel mondo; comunica un'esperienza iniziale di un'amabile vita vissuta con Dio in Cristo; sa proclamare come Dio sia veramente colui che ama.

L'apostolato si delinea qual esperienza progressiva nell'amicizia con l'altro: l'evangelizzazione s'attua in misura che si sa realizzare un approfondimento d'amicizia con le persone.28

Il primo contatto amichevole può essere ancorato alla sensibilità ( un gesto affettuoso ), al piano intellettuale ( l'amico dalla riflessione convincente ), o a un servizio materiale ( piccoli aiuti reciproci ).

Successivamente la persona amata si sente risvegliata ad interessarsi di Dio, che appare la fonte ineffabile dell'amore del missionario.

Essa diventa disponibile ad essere introdotta ad esperimentare personalmente un proprio amore d'amicizia caritativa col Signore.

E. Van Broeckhoven, gesuita operaio, così parla di un suo compagno lavoratore non credente: « Il nostro incontro aveva finito per coinvolgere la nostra intimità più profonda: benché in maniera velata, egli aveva già incontrato Cristo e il Padre in me, ed io in lui; Cristo risorto era presente in mezzo a noi mediante il suo Spirito d'Amore.

Tramite il nostro incontro, egli ha imparato a conoscere Dio: tutti coloro che amano conoscono Dio.

Se resta fedele a questo incontro, è salvo: l'amore non viene meno […].

Perché, a forza d'amarlo, l'ho condotto a Dio ».29

La progressività dell'amicizia, come apostolato, può e deve manifestarsi anche attraverso le modalità degli stessi segni amichevoli.

L'apostolo mette in evidenza gli aspetti dell'amicizia caritativa che possono essere capiti e che sono validi per l'anima a cui si rivolge.

Può darsi che all'inizio mostri amabilità affettiva e che poi la sottragga man mano che vede l'anima capace di vivere entro una carità spiritualizzata.

S. Francesco di Sales si rivolge all'inizio alla nobile giovane Giovanna di Chantal con tono affettivo, così che questa rimane colpita.

Le confidava che la sua anima « si era intimamente stabilita in quella di lei ».

Alle inquietudini della Chantal il santo risponde: « Non vi saprò spiegare ne la qualità ne la grandezza di quest'affetto, che ho al vostro servizio spirituale; ma penso ch'esso è da Dio e che perciò lo nutrirò caramente e che tutti i giorni lo vedo crescere notevolmente…

Ora, mia cara signora, fate valere il mio affetto, usate di tutto ciò che Dio m'ha dato per il servizio del vostro spirito; eccomi tutto vostro e non pensate più in quale veste ne in quale grado io lo sono ».30

Quando Francesco vede la Chantal ormai consacrata in convento, le sottrae l'amicizia sensibile per offrirle occasione di attuare un sacrificio pasquale al Signore.

Vuole che si spogli da ogni sentimento affettivo; che abbia « un cuore malleabile come una pallina di cera nelle mani del suo Dio; un cuore senza scelta, senz'altro oggetto che la volontà di Dio; […] una povera meschina creatura, senza chiedere ne azione ne affetto ».

E nella Introduzione alla vita devota precisa: « Coloro che sono in religione non hanno bisogno delle amicizie particolari, ma coloro che sono nel mondo ne hanno necessità per rendersi franchi e soccorrersi a vicenda ».31

Non di rado noi manchiamo nel compito di essere apostoli e missionari a dimensione di amicizia caritatevole.

Come quando non ci si impegna più ad allargare le proprie conoscenze e relazioni amichevoli: ci si chiude entro il proprio gruppo; ci si sente in esso ben protetti e custoditi; ci si rannicchia, timorosi che un'apertura ulteriore venga ad intaccare la propria sicurezza.

O, anche, quando all'interno del gruppo non si approfondisce l'amicizia come dono spirituale, in quanto si teme che ciò possa attentare alla propria autonomia o al gusto sensuale attualmente posseduto.

Oppure quando teoricamente si proclama che siamo comunità ecclesiale di fratelli, tutti una sola cosa in Cristo, favoriti dalla presenza di un'autorità come servizio.

Il fatto di ribadire tali enunciati evangelici abitua a non avvertire le divisioni esistenti, le emarginazioni profonde favorite, le discriminazioni inculcate, l'uso dell'autorità come potere dispotico.

Magari si abusa della stessa carità per esprimersi contro le doverose riforme sociali o, all'opposto, per alimentare lotte fraterne.

Se l'amicizia caritativa è fondamentale per l'attività missionaria, rimane però difficile viverla con autenticità, purificata da ogni contraffazione.

IX - Amicizia di persone consacrate

Un consacrato può coltivare un'amicizia eterosessuale?

Fra gli spiritualisti sono emersi pareri disparati.

Forse non si tratta di dare una soluzione con un sì o con un no, quanto di suggerire come il consacrato possa e debba vivere le sue amicizie e con quali sentimenti debba o possa rinunciarvi.

Il consacrato è chiamato a mettere in risalto, in ogni amicizia personale, la sua unione mistica a Dio in Cristo attraverso lo spirito dei consigli evangelici; soprattutto è invitato a esprimervi uno stato di povertà.

Povero evangelicamente è chi non è ingombrato nell'animo dall'altro, così da esserne posseduto in modo integrale.

Se l'altro occupa il pensiero e l'affetto, se è l'oggetto dei propri desideri e delle proprie soddisfazioni; se è il criterio della propria pace gioiosa o delle proprie ansietà, significa che Iddio vi si può porre solo qual realtà che sta accanto, assai condizionata.

« Non devi volere che qualcuno sia tutto preso, nel suo cuore, da tè, o che il tuo cuore sia tutto preso dall'amore di qualche persona; ma procura che, sia in tè sia in ogni altra persona onesta, regni Gesù ».32

Il consacrato deve mostrarsi in stato di povertà affettiva, anche per un amore di solidarietà sociale.

Nell'esistenza presente talune persone sono sofferenti perché private di amicizia, perché abbandonate dal coniuge, perché trascurate dall'affetto degli altri, perché orfane d'un possibile compagno nell'amore, perché trascurate dall'attenzione affettiva altrui.

Il consacrato per solidarietà deve mostrarsi povero fra questi poveri per confortare queste situazioni prive di amicizia e orientarle verso un'amicizia con Dio in Cristo; per indicare che è sempre possibile una ricchezza affettiva al di là delle sembianze terrene; per mostrare che sempre esiste una ricchezza caritativa gioiosamente disponibile per tutti.

« Il mio destino è di non essere capito.

Ma questo mi ha sempre più costretto a pensare a me stesso e a cercare una maggior unione con Dio.

E così, lentamente, ho capito che unica mia consolazione non può essere che l'eucaristia ».33

Il consacrato deve mostrarsi in stato di povertà nell'affettività per svolgere responsabilmente il suo ministero apostolico; per saper sciogliere ogni altro da legami terreni verso la libertà dei figli di Dio.

Se il consacrato introducesse l'altro nella tenerezza affettiva, in carezze amabili, in sensazioni sensuali, in intimità sensibili, sprigionerebbe nel suo essere una specie di bramosia insaziabile di qualcosa che dovrebbe essere sempre ripetuto, un bisogno di ricevere rinnovate soddisfazioni, di sentirsi in continuità appagato e conquistato.

Anche popolarmente si parla di legami d'amore.

Mentre il consacrato nella carità ha la missione di aiutare a trascendere da queste servitù piacevoli, ad introdurre in una spogliazione capace di favorire l'incontro col Signore: deve dimorare tra i fratelli in dono di promozione e non di asservimenlo.

Ma se il consacrato ha il dovere di mostrarsi in stato di povertà affettiva, ha pure bisogno dell'amicizia per equilibrarsi umanamente.

« Bisogna dire che un sacerdote senza amici è generalmente un prete in pericolo ».34

Tanto più che il consacrato deve vivere l'amicizia come un impegno missionario irrinunciabile.

Se non risveglia amicizie, se non caratterizza la sua comunità ecclesiale come fraternità amichevole, se lascia sussistere persone isolate, significa che non è un buon apostolo; è certo che non sa evangelizzare.

Oggi si è spietati verso un amore soprannaturale, il quale sia privo di testimonianza d'amore umano.

Pierre de la Gorce diceva dei monaci esistenti prima della rivoluzione francese: « Essi si amavano in Dio, cioè non si amavano per nulla ».

Il consacrato deve testimoniare non solo come la sua carità risveglia sante amicizie nella comunità cristiana, ma anche come debba essere vissuta un'amicizia secondo lo spirito evangelico.

I fedeli hanno bisogno di contemplare in concreto come si viva l'amore amichevole secondo il mistero pasquale.

« Se i due sposi, che passano sotto il regime dell'amore folle di Dio, sanno che cosa fanno, sanno che occorre loro nello stesso tempo rinunciare all'amore folle dell'uno per l'altra ».35

L'indicazione concreta sul come vivere effettivamente questa amicizia caritativa deve essere offerta dalla vita del missionario: potrebbe essere il risultato della sua intera vita spirituale personale.

« Il cammino dell'amicizia è umile e quotidiano; aggiungerò che è lungo, che esige pazienza e che un'amicizia degna di questo nome non potrebbe esistere tra fratelli senza passare per tappe dolorose […].

L'apprendistato di un'amicizia autentica è un apprendistato che ci prepara a ogni amore disinteressato ».36

Il consacrato si introduce in sentimenti d'amicizia con spirito ecclesiale e missionario, non per legare altri a se stesso, non per asservirli a propri tornaconti, non per ricercarvi un compenso d'amore, non per mostrarsi un debole che ha bisogno d'affetto, ma per comunicare il senso dell'amicizia secondo carità, sia ai giovani che faticosamente s'orientano verso una maturità sessuale, sia alle ragazze che cercano d'imparare come possano introdursi nell'animo di un amico, sia agli sposi che cercano un'integrazione comunitaria come coppia, sia ai confratelli celibi che vogliono essere confermati nella propria volontà di essere carisma ecclesiale.

Oggi esistono esperienze religiose d'amicizia promiscua a livello istituzionale.

Ciò si verifica per es. quando in una medesima casa religiosa convivono insieme religiosi e religiose.

La stessa consacrazione si esprime come esperienza d'amicizia promiscua.

Quest'amicizia ha il merito non solo di essere continente, ma di essere vissuta qual carisma ecclesiale.

Questi religiosi uniti in fraternità mista intendono proclamare l'inaugurazione di un nuovo genere d'amicizia fra gli uomini: « Non c'è più uomo ne donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù » ( Gal 3,28 ).

In conclusione: il consacrato di fronte all'amicizia è invitato ad assumere atteggiamenti svariati, in modo complementare fra loro.

Egli deve mostrarsi un povero carente di amicizia umana, per testimoniarsi bramoso della sola amicizia di Dio in Cristo; deve presentarsi intrecciato fra amicizie autentiche, per annunziare come ogni carne possa essere assunta a gloria del Signore; deve offrirsi purificato da affettività sensibili, per indicare la pratica pasquale capace di pneumatizzare la stessa affettività; deve servirsi della sua affettuosità amichevole per convincere ogni anima che Dio è colui che ama.

In ogni esperienza affettiva il consacrato deve essere cosciente di praticare un carisma ecclesiale; deve sapere che può esprimersi in vari modi, ma sempre come celibe donato alla carità del Signore.

Soprattutto il consacrato, in virtù della grazia dello Spirito e come carisma ecclesiale, deve vivere la sua possibile amicizia come una disponibilità all'accoglienza dei fedeli, senza rinchiudersi nel possesso esclusivo di qualcuno.

Anche nell'amicizia deve vivere una carità verginale verso il Signore e verso i fratelli.

Ecco perché i santi hanno vissuto l'amicizia badando alle esigenze spirituali degli altri e non a quelle affettive personali.

S. Francesco d'Assisi contrae profonda amicizia spirituale con Chiara, così da farle frequenti visite.

Successivamente concede « incontri che erano sempre brevi e si tenevano allo scoperto, di modo che nessuno potesse mormorare o averne alcun sospetto ».37

Se questo poteva bastare di fronte agli uomini mondani, per i suoi frati riteneva di dover troncare le sue visite.

Ad essi spiegava: «Non dubitate del mio affetto per tutte loro [cioè le monache di s. Damiano], ma mi è stato necessario dare l'esempio, affinché anche voi facciate come mi avete visto fare ».

S. Francesco visse la sua amicizia con Chiara come un carisma ecclesiale apostolico.

X - Amicizia con sposati

Le persone sposate possono contrarre amicizie, ma in via ordinaria conviene che siano amicizie compartecipate da ambedue i coniugi.

L'amico di uno solo di essi può aiutare a sviluppare l'autonomia dello sposato, ma non ne potenzia la sua unione matrimoniale, non ingrandisce il suo amore coniugale, non favorisce la comunione familiare.

L'amore singolare d'amicizia farebbe vivere un legame affettivo che non s'innesta su quello già esistente a motivo del matrimonio; farebbe comprendere che l'amore personale è più profondo e più vasto di quello sponsale; abituerebbe a pensare la vita coniugale-familiare come uno fra i tanti settori in cui uno si realizza.

Mentre se l'amico è di ambedue i coniugi, quest'amore amicale approfondisce e sviluppa lo stesso legame coniugale.

Si va all'amico come sposato; si gode e si gusta la relazione con l'amico in quanto legato sponsalmente.

La stessa armonia coniugale viene vissuta come prerequisito per potersi situare in gioiosi rapporti amicali.

I coniugi sono chiamati ad integrarsi sia con amici singoli sia con altre coppie di sposi.

Nell'amicizia con un'altra coppia gli sposi possono specchiarsi in un altro amore coniugale, educando il proprio a possibili nuove amabilità.

Nell'amicizia con persone celibi gli sposati sono aiutati a percepire la differenza fra i due tipi di amore e come debbano integrarsi fra loro.

In simili amicizie gli sposi sono innanzi a una propria ricchezza partecipata agli altri, al pari di una propria povertà integrantesi fra nuovi valori esistenti presso l'amico.

Di fronte a una coppia coniugale amica è necessario rispettarne il mistero dell'intimità singolare.

Isabella Fournier, sposando Giacomo Rivière, scrive al fratello Enrico, con cui era in grande e profonda amicizia: « Non è più separatamente che noi ti amiamo; noi abbiamo di noi due un'unica tenerezza per tutto ciò che non è noi.

Non posso esprimerti diversamente il cambiamento avvenuto: quand'ero piccola, per sapere fino a qual punto amassi qualcuno, mi domandavo quale dolore mi avrebbe recato la sua morte.

Con tutta sincerità, per tè, io sarei morta.

Ora, c'è qualcuno che me lo impedirebbe; ora è lui ad essermi essenziale.

Questo, non ti dia pena! Non dovrebbe essere così? ».38

E quando Enrico chiede una collaborazione alla sorella Isabella, le spiega perché prima abbia richiesto il permesso a suo marito: "«Tu capisci: una collaborazione è un legame talmente intimo, un accordo che esige molto più del più intimo di se stessi […].

Giacomo avrebbe potuto trovare che gli rubassi qualcosa di sua moglie, che appartiene solo a lui; volevo essere fin dal principio d'accordo che non si sarebbe sentito leso ».39

Il prete, quando entra in amicizia con sposati, non è bene che si costituisca qual principio affettivo o direttivo spirituale, che avvalori o sostenga le animosità dell'un coniugo contro l'altro.

Un sacerdote, per la sua missione evangelica caritativa, non è mai autorizzato a dividere o a contrapporre.

Ancor più quando si tratta di amore coniugale.

« Quello dunque che Dio ha congiunto, l'uomo non separi » ( Mt 19,6 ).

In caso contrario, il sacerdote distruggerebbe o incrinerebbe quanto Dio va attuando attraverso il gesto sacramentale della chiesa; si mostrerebbe infedele al compito di evangelizzare ricevuto dal Signore; cercherebbe di rendere inefficace il simbolismo del Cristo-chiesa operante nella vita coniugale.

Il prete deve favorire l'approfondimento dell'unione fra i suoi amici sposi.

Il sacerdote, attraverso la pratica della sua carità verginale, deve collaborare a rendere presente fra gli sposi qualcosa del Signore; deve ricordare come ogni sposato ha con Cristo anche un incontro solitario, un'ineffabile intimità al di là e al di sopra di ogni legame matrimoniale, come il Cristo sia più intimo a noi stessi che ogni affetto interiore.

Il prete è l'amico della confidenza sacramentale, della comunicazione spirituale, dell'abbandono soprannaturale fiducioso.

L'un coniuge rispetta, nell'amicizia che l'altro ha con il prete, l'ineffabilità della personalità spirituale di ognuno, non circoscrivibile entro il vincolo matrimoniale.

XI - Solitudine e amicizia

Un uomo o donna, che siano scapoli o uniti in amore coniugale non appagante, inclinano a cercare un'amicizia che li strappi dalla solitudine.

« Il male della solitudine è il vuoto » ( Marcel Segai ).

La solitudine può allignare, in qualche modo, in ogni animo.

Per superarla, generalmente, si cerca l'amicizia con l'altro sesso.

L'amicizia è un grande dono, che può strappare dalla solitudine, ma essa è così rara: « quand'essa è l'unico alimento di una vita deserta, si muore di fame ».40

E, poi, anche quando si contrae amicizia promiscua è possibile conservarla senza che degeneri in passionalità?

Non è possibile dettare norme generali per assicurarne la sua buona riuscita.

Un'amicizia riflette la personalità delle persone amiche con tutta la loro singolarità caratteriale ed esperienziale.

Non sarebbe il caso di cercare d'imparare a vivere appagati nella solitudine?

« Il giorno che comprendiamo che l'incrinatura incurabile tra gli altri e noi è il luogo di ciò che ci fa essere ciò che siamo, quando comprendiamo che è in questo luogo che Dio ci parla chiamandoci per nome, noi abbiamo operato la grande conversione che fa della cattiva solitudine la solitudine benedetta ».41

Ogni età cerca di superare la solitudine con amicizie che hanno proprie caratteristiche.

Fra gli adolescenti l'amicizia è cosa seria, anzi necessaria per diventare adulti normali.

Scherno o falsa preoccupazione moralizzante degli adulti riescono deleteri.

Scrive Anna Frank circa la sua amicizia con Peter: « Mi tocca di udirne di tutti i colori sulla nostra improvvisa amicizia.

A noi non importano molto le chiacchiere dei vecchi: le loro osservazioni sono così stupide!

Hanno forse dimenticato la loro giovinezza?

Pare di sì; ci prendono sempre sul serio quando facciamo uno scherzo e ridono di noi quando siamo seri ».42

Sono amicizie vissute con una certa incoscienza: possono condurre a situazioni incresciose.

« Avevo necessità di un essere vivente con cui sfogarmi, di un amico che mi aiutasse a rimettermi in carreggiata; sono riuscita nel mio difficile intento e lentamente ma sicuramente l'ho attratto a me.

Quando infine l'ho indotto a sentimenti amichevoli verso di me, siamo giunti senza accorgercene a intimità che ora, ripensandoci, mi paiono inaudite ».43

È fondamentale che gli adolescenti si sentano compresi e affettivamente sostenuti in famiglia, così da effondervi le loro confidenze.

Più che indicare i pericoli latenti nei loro atteggiamenti, è preferibile interpretare le loro esigenze affettive positivamente su una esperienza d'amicizia con Gesù Cristo.

Anche il superamento della solitudine mediante amicizia presso persone religiose può suscitare problema.

S. Teresa d'Avila, sensibile e bramosa d'affetto, ritiene che il frequente colloquio con amici, non solo aiuta a superare la solitudine, ma dal lato spirituale « reca un grande vantaggio.

Io lo so per esperienza ».44

A suor Maria di s. José, che le confida la solitudine deprimente subita per la sua partenza, scrive: « Veramente sono colpita dalla solitudine in cui sei, mi dici, dopo la mia partenza!

Mi hai procurato una tale gioia, che ne sono rimasta commossa.

Tutte le scuse che mi chiedi mi fanno ridere!

Purché tu mi ami quanto ti amo io, ti perdono per il passato e anche per l'avvenire ».45

Ma poi, quando osserva la vita comunitaria delle sue suore, avverte che un tale genere di amicizie « provoca un tale danno e porta con sé tanta imperfezione, che occorre proprio vederlo coi propri occhi per poterlo credere ».46

La sua stessa esperienza mistica la rende consapevolmente « molto più staccata dalle creature, perché comprende che il Creatore soltanto può consolarla e saziarla ».

Per cui prega: « Fa', Signore, che io abbandoni questa vita quando non saprò più amare che tè, quando non userò più il termine amore che verso di tè solo ».

Forse l'amicizia è come la vita umana: essa è un gran dono, che Dio ci concede, ma che bisogna di continuo purificare e sacrificare, per aprirci a un'Amicizia ancora più grande e nuova in un'esistenza futura [ v. Comunità di vita IV,1 ].

  Affettività
  Amore
… particolare Amicizia VII
  Comunità III
… verso tutti Amicizia V
  Celibato III
  Comunità III
… del celibe Celibato III
… dell'anziano Anziano I
… e consigli evangelici Consigli ev. II
… in s. Francesco Comunità I
… nel Buddhismo Buddhismo III

1 Aristotele, Etica a Nicomaco. VIII, 1
2 Aristotele, Etica a Nicomaco. VIII, 1
3 Cicerone, Lelio o Dell'amicizia, 3
4 Epicuro, Sentenze rette, 27
5 « una conseguenza della virtù, più che una virtù » S. Th. II-II, q. 23, a. 3, ad 1
6 Conc. Ecum. Vat. II, Apostolicam Actuositatem 4;
Conc. Ecum. Vat. II, Apostolicam Actuositatem17;
Conc. Ecum. Vat. II, Presbyterorum Ordinis6
7 Aristotele, Etica a Nicomaco, Vili, 7
8 S. Th. II-II, q. 23, a. 1
9 Aristotele, Ètica a Nicomaco, Vili, 3 e 6
10 Plutarco, Pluralité des amis, Parigi 1777, p. 159
11 Teihard de Chardin, Le coeur de la matière
12 Conc. Ecum. Vat. II, Optatam totius 8
12a E. Van Broeckhoven, Diario dell'amicizia, Milano, Jaca Book 1975, 50
13 E. Van Broeckhoven, Diario dell'amicizia, Milano, Jaca Book 1975, 19
14 De spirituali amicitia, 1. II, PL 195, 672
15 E. Van Broeckhoven, Diario dell'amicizia, Milano, Jaca Book 1975, 16
16 Epistolario 2, 12, PL 144, 278
17 E. Van Broeckhoven, Diario dell'amicizia, Milano, Jaca Book 1975, 38
18 E. Van Broeckhoven, Diario dell'amicizia, Milano, Jaca Book 1975, 36
19 Costituzioni monastiche, Patrologia Greca del Migne XXXI, 1418
20 Conferenze spirituali, Patrologia Latina del Migne 49, 1042
21 Confessioni, 1. IV, e. 6, 2
22 Confessioni, 1. X, e. 27
23 Sermone 50° sul Cantico dei cantici
24 Lettera CXVII
25 Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et Spes 21
26 Conc. Ecum. Vat. II, Christus Dominus 13
27 Ritiro di Nazaret, 1897
28 Conc. Ecum. Vat. II, Presbyterorum Ordinis 18
29 E. Van Broeckhoven, Diario dell'amicizia, Milano, Jaca Book 1975, 80
30 Lettera, 24 giugno 1604
31 III, e. 19
32 Imitazione di Cristo, 1. II, e. 8, 3
33 J. H. card. Newman
34 Mons. Ancel
35 J. Maritain, Carnet de notes, Parigi, Desclée de Brouwer 1965, 345
36 R. Voillaume, Lettres aux fraternités, Parigi, Cerf 1960, v. I, 107-115
37 Tommaso da Celano
38 Lettera, giugno 1908
39 Images d'Alain-Fournier
40 Journal di Paule Régnier
41 M. Deibrél, La joie de croire. Parigi, Seuil 1968, 98
42 Il diario di Anna Frank, Torino, Einaudi 1958
43 Il diario di Anna Frank, Torino, Einaudi 1958
44 S. Teresa d'Avila, Cammino della perfezione, e. VII-VII
45 S. Teresa d'Avila, Lettera, a. 1576
46 S. Teresa d'Avila, Cammino della perfezione, e. V.