Il consenso degli Evangelisti

Indice

Libro IV

9.10 - Particolarità del Vangelo di Luca

Il Vangelo di Luca inizia così: Al tempo di Erode, re della Giudea, c'era un sacerdote chiamato Zaccaria, della classe di Abia, e aveva in moglie una discendente di Aronne chiamata Elisabetta, ( Lc 1,5 ) ecc. fino alle parole: Quando ebbe finito di parlare disse a Simone: " Prendi il largo e calate le reti per la pesca". ( Lc 5,4 )

In tutto ciò nessun problema: contrasti non esistono.

È vero che Giovanni dà l'impressione di raccontare fatti somiglianti a quelli di cui Luca, ma la distanza in ordine di tempo è troppo grande, poiché l'episodio narrato da Giovanni si colloca presso il mare di Tiberiade, ( Gv 21,1-11 ) dopo la risurrezione del Signore.

Né c'è solo diversità cronologica, ma anche il fatto in se stesso presenta notevoli divergenze.

Secondo Giovanni in quell'occasione le reti, gettate dalla parte destra catturarono cento cinquantatre pesci, i quali per quanto fossero grossi, stando al premuroso racconto dell'evangelista erano, sì, grossi ma le reti non si squarciarono.

E questa nota Giovanni la pone avendo dinanzi allo sguardo quel che riferisce Luca, il quale sottolinea che per la quantità di pesci le reti minacciavano di rompersi. ( Lc 5,6 )

Altre cose che possano somigliarsi a quelle tramandate da Giovanni, in Luca non se ne trovano, se si esclude il racconto della passione e risurrezione del Signore: sul quale racconto, a cominciare dalla cena sino alla fine, noi ci siamo intrattenuti in maniera completa ed esauriente confrontando le testimonianze di tutti e quattro gli evangelisti per concludere che fra loro non esiste divergenza.

10.11 - Episodi peculiari del Vangelo di Giovanni

Rimarrebbe da trattare Giovanni, ma, essendo l'ultimo degli evangelisti non ci sono altri con cui confrontarlo.

In effetti dove ciascuno ha narrato in proprio e gli altri non dicono niente è difficile trovare questioni di divergenza.

Ora si osserva di primo acchito che gli evangelisti Matteo, Marco e Luca, si sono dilungati soprattutto su ciò che riguarda l'umanità del nostro Signore Gesù Cristo, nella quale egli è nostro re e sacerdote.

Se ne deduce che Marco, il quale nel noto simbolismo dei quattro animali ( Ap 4,6-7 ) sembra doversi identificare con la figura dell'uomo, appare piuttosto compagno di Matteo.

Con lui infatti riferisce molte cose in comune, richiamando con ciò la figura di un re che non suole essere senza il corteo che l'accompagna.

È una constatazione che ho fatta nel primo libro.

Con maggiori probabilità si può supporre che egli proceda di concerto con tutt'e due gli altri, poiché, se nella maggior parte del suo racconto coincide con Matteo, ci sono anche non poche sezioni in cui concorda con Luca.

Da questa annotazione si può dedurre che Cristo fa riferimento con il leone e con il vitello, che cioè possiede la dignità regale, cui si riferisce Matteo, e quella sacerdotale, di cui s'interessa Luca.

Ora ciò dipende dal fatto che egli è uomo; e questo suo esser uomo lo rappresenta Marco, con risvolti all'una e all'altra dignità del Signore.

Cristo però ha anche la divinità, per la quale è uguale al Padre.

Per essa è Verbo e Dio presso Dio; è il Verbo che per abitare in mezzo a noi si è fatto carne, ( Gv 1,1-14 ) lui che nella sua divinità è una cosa sola con il Padre. ( Gv 1,15-36 )

Orbene questa divinità più che non il resto ha messo in risalto Giovanni.

Egli come un'aquila spazia nel firmamento riportando le sublimi parole di Cristo e solo raramente, diciamo così, posa i piedi sulla terra.

È vero che anch'egli attesta, anzi dà come scontato che Cristo ebbe una madre, tuttavia non riferisce nulla di quanto sappiamo da Matteo e Luca a proposito della sua nascita né parla per niente del battesimo di Cristo di cui si occupano gli altri tre evangelisti. ( Gv 1,15-36 )

Ci tramanda, è vero, elevandola e sublimandola, la testimonianza che in quell'occasione gli rese Giovanni ma poi, staccandosi dai tre, in compagnia del Signore si reca a Cana di Galilea per la festa di nozze. ( Gv 2,1-11 )

A quelle nozze dice Giovanni che era presente la Madre del Signore, ma egli l'apostrofa così: Che c'è fra me e te, o donna? ( Gv 2,4 )

Non che volesse respingere colei da cui aveva assunto la carne ma, sul punto di cambiare l'acqua in vino, voleva rimarcare con estrema fortezza la sua divinità: quella divinità con cui aveva creato la stessa sua madre e che in nessun modo era stata creata nel grembo di lei.

10.12 Dopo alcuni giorni trascorsi a Cafarnao tornò dalla Galilea al tempio, dove, a quanto riferisce Giovanni, disse parlando del suo corpo: Distruggete pure questo tempio; in capo a tre giorni io lo riedificherò. ( Gv 2,19 )

Così dicendo inculcò a chiare note non solo che in quel tempio c'era il Dio-Verbo fatto carne ma anche il fatto che fu lui a risuscitare il proprio corpo.

E lo risuscitò in quanto lui e il Padre sono una cosa sola e operano inseparabilmente uniti.

In tutti gli altri passi dove la Scrittura parla della sua risurrezione, a quanto pare, non si trova detto se non che fu Dio a risuscitarlo dai morti.

Non c'è alcun altro passo chiaro come questo nel quale, parlandosi della risurrezione di Cristo operata da Dio, si dica che fu lui a risuscitare se stesso, in quanto con il Padre egli era un unico Dio.

La cosa invece risulta evidente dal testo: Distruggete pure questo tempio; in capo a tre giorni io lo riedificherò. ( Gv 2,19 )

10.13 In seguito è ricordato Nicodemo, con il quale il Signore parlò di cose veramente straordinarie, anzi divine, e terminato quel colloquio l'evangelista ritorna a Giovanni e alla sua testimonianza, sottolineando che per l'amico dello sposo non esisteva altra gioia se non quella derivante dalla voce dello sposo. ( Gv 3,1-36 )

Con queste parole ci rammenta che l'anima umana di per se stessa non è luce né di per se stessa è beata; lo è solo per la partecipazione dell'immutabile sapienza.

Ecco poi la donna di Samaria, che dà al Signore l'occasione per parlarci di quell'acqua bevendo la quale non si ha più sete in eterno. ( Gv 4,1-42 )

Successivamente lo troviamo a Cana di Galilea dove aveva cambiato l'acqua in vino. ( Gv 4,43-54 )

In questa seconda venuta disse all'ufficiale regio che aveva un figlio malato: Se non vedete segni e prodigi non credete. ( Gv 4,48 )

Dal che si deduce con quanta forza egli desideri che la mente di coloro che avrebbero creduto si elevi al di sopra di ogni realtà mutevole.

I suoi fedeli infatti non debbono cercare da lui nemmeno i miracoli: i quali, sebbene opera della divinità, si attuano in corpi mutevoli.

10.14 In seguito torna a Gerusalemme, dove guarisce uno che era malato da trentotto anni. ( Gv 5,1-47 )

E quante cose disse in quell'occasione! Che discorsi prolungati!

In tale contesto l'evangelista pone la nota che i Giudei cercavano di ucciderlo perché non soltanto violava il sabato ma anche perché chiamava Dio suo Padre, mettendosi sullo stesso piano di Dio. ( Gv 5,18 )

Da tale nota si deduce con sufficiente chiarezza che egli parlando di Dio asseriva che era suo Padre non nel senso ordinario della parola, come cioè dice di lui ogni persona santa, ma volendo sottolineare l'uguaglianza fra sé e Dio.

Non per nulla infatti un po' prima rispondendo alle critiche di certuni riguardo al sabato aveva detto: Il Padre mio opera ancora e io opero. ( Gv 5,17 )

I suoi avversari al sentirlo arsero d'ira: e ciò non tanto perché chiamava Dio suo Padre ma perché con le parole che aveva dette: Il Padre mio opera ancora e io opero pretendeva che lo si considerasse uguale al Padre.

Tale infatti era la conclusione logica: se il Padre opera ne deriva che anche il Figlio opera poiché il Padre non opera mai senza il Figlio.

Per queste parole essi andarono sulle furie, ma il Signore ripeté allora quanto aveva detto già prima: Tutto ciò che Egli fa, lo fa in egual modo anche il Figlio. ( Gv 5,19 )

10.15 Dopo che ha riferito quanto sopra, Giovanni scende al livello degli altri tre evangelisti, che camminavano terra terra sia pure in compagnia del Signore.

È nell'episodio dei cinquemila saziati con cinque pani.

Ma anche lì è il solo Giovanni a riferirci che, quando il Signore s'accorse che lo volevano proclamare re, se ne fuggì tutto solo in cima al monte. ( Gv 6,1-15; Mt 14,13-21; Mc 6,32-44; Lc 9,10-17 )

Con questo particolare mi sembra che egli abbia voluto dare alla ragione umana il richiamo che il Signore regna sul nostro intelletto e sulla nostra ragione solo perché risiede nei cieli altissimi, senza avere in alcun modo comunione di natura con gli uomini, essendo lui solo l'Unigenito del Padre.

Un simile mistero sfugge alla portata degli uomini carnali, che strisciano per terra: tanto grande è la sua elevatezza.

Per questo motivo anche storicamente il Signore si rifugiò sul monte, abbandonando quei tali che cercavano il suo regno con mentalità terrena, mentre il suo regno - come dirà lui stesso altrove - non è di questo mondo. ( Gv 18,36 )

È un particolare anche questo che il solo Giovanni menziona, elevandosi al di sopra delle realtà terrene con un volo, direi celestiale, come uno che già fruisce dell'illuminazione del Sole di giustizia.

Da quel monte dov'era asceso dopo il miracolo dei cinque pani, Giovanni scende per un breve tratto e si adegua agli altri tre evangelisti per narrarci la traversata del mare, quando il Signore camminò sulle acque.

Subito dopo però si eleva di nuovo, per tornare alle altezze del Verbo di Dio, con un discorso che ebbe origine dall'episodio del pane. ( Gv 6,16-72 )

Discorso grande, ampio e nella sua lunghezza celeste e divino!

Disse il Signore all'inizio di quel discorso: In verità, in verità vi dico: Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati.

Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna. ( Gv 6,26-27 )

E così di seguito in maniera quanto mai ampia e sublime.

Fu in quell'occasione che diversi discepoli, non comprendendo l'elevatezza di tale discorso caddero né vollero più camminare con lui.

Gli rimasero fedeli invece quei tali che riuscirono a capire com'è che lo Spirito dà la vita mentre la carne non giova a nulla. ( Gv 6,64 )

In effetti, anche là dove interviene la carne colui che giova è lo spirito: il quale spirito poi giova anche da solo, senza la carne, mentre la carne priva dello spirito non reca alcun giovamento.

10.16 C'è poi la risposta che egli diede ai suoi fratelli, cioè a coloro che gli erano parenti secondo la carne.

Costoro gli suggerivano di recarsi a Gerusalemme per la festa, durante la quale si sarebbe potuto far conoscere dalle folle; ( Gv 7,1-5 ) ma il Signore dalla sua altezza replicò loro: Il mio tempo non è ancora venuto, il vostro invece è sempre pronto.

Il mondo non può odiare voi ma odia me, perché di lui io attesto che le sue opere sono cattive. ( Gv 7,6-7 )

Con l'espressione: Il vostro tempo è sempre pronto vuol far loro notare che essi cercavano il tempo presente, del quale dice il profeta: Io però non ho stentato a seguire te, Signore; io non ho cercato il giorno dell'uomo: tu lo sai. ( Ger 17,16 )

Ecco le parole di uno che vola alla luce del Verbo e desidera quel giorno che anche Abramo desiderò vedere e, quando lo vide, se ne rallegrò. ( Gv 8,56 )

Quando poi, giunta la festa, egli salì al tempio, pronunziò le parole ricordate da Giovanni: parole stupende, divine, straordinarie! ( Gv 7,10-53 )

Egli sarebbe andato là dov'essi non potevano andare.

Essi lo conoscevano e sapevano la sua origine, ma non conoscevano quel vero che l'aveva mandato.

Come a dire: " Sapete da dove sono, ma la mia vera origine non la conoscete ".

E questo cos'altro significa se non che essi a livello carnale ne potevano conoscere la stirpe e la patria ma era per loro uno sconosciuto nella sua divinità?

In quell'occasione parlò anche dello Spirito Santo, mostrando così chi egli era in realtà, se quel dono così eccelso poteva essere elargito da lui.

10.17 Racconta poi di Gesù che dal monte degli Ulivi rientra in città ( Lc 8,1-59 ) e parla molto a lungo [ con i Giudei ] dopo aver perdonato l'adultera che essi per metterlo alla prova gli avevano presentato come meritevole di lapidazione.

Fu allora che egli si mise a scrivere in terra con il dito, come per indicare che gli accusatori meritavano d'essere scritti in terra, non in cielo, cioè là dove con loro gioia erano scritti i nomi dei discepoli. ( Lc 10,20 )

Se tracciava segni in terra, lo faceva per indicare la sua umiliazione, rappresentata dal suo piegare il capo; o forse voleva anche significare che era giunto il tempo in cui la sua legge sarebbe stata scritta in una terra fruttifera e non più sterile come la pietra, quale era stata quella anteriore a lui.

In seguito egli affermò di essere la Luce del mondo e chi l'avesse seguito non avrebbe camminato nelle tenebre ma avrebbe avuto la luce della vita. ( Gv 8,12 )

Disse ancora di essere il Principio che stava parlando con loro. ( Gv 8,25 )

Attribuendosi un tal nome si presentò chiaramente come distinto dalla luce che egli aveva creata e si identificò con la luce ad opera della quale furono create tutte le cose.

Ne segue che, quando egli si era definito luce del mondo, non avremmo dovuto intendere quelle parole nello stesso senso delle altre rivolte ai discepoli: Voi siete la luce del mondo. ( Mt 5,14 )

Essi erano luce in quanto erano lucerne, da non collocarsi sotto il moggio ma sul candeliere; ( Mt 5,15 ) e di Giovanni Battista aveva detto che era una lucerna ardente e luminosa. ( Gv 5,35 )

Egli era luce in quanto era il Principio, del quale fu detto: Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo attinto; ( Gv 1,16 ) e in tale occasione parlando di se stesso, cioè del Figlio, disse che egli era la verità che rende liberi, mentre senza tale liberazione nessuno è libero. ( Gv 8,31-36 )

10.18 Successivamente il Signore restituisce la vista a un cieco nato, ( Gv 9,1-41 ) e Giovanni prendendo lo spunto da quell'avvenimento si sofferma a narrare un lungo discorso del Signore.

Egli parlò delle pecore, del pastore, della porta e del suo potere di abbandonare la vita e di riprenderla: ( Gv 10,1-21 ) splendida testimonianza in favore della suprema potenza che gli derivava dalla sua divinità.

Quando a Gerusalemme si celebrava la festa della Dedicazione, ( Gv 10,22-23 ) ricorda Giovanni che alcuni Giudei lo interrogarono: Fino a quando ci terrai sospesi?

Se sei davvero il Cristo, diccelo chiaramente. ( Gv 10,24 )

Dall'occasione che allora gli si presentò il Signore tenne un lungo e sublime discorso riportato dall'evangelista, ( Gv 10,25-38 ) in cui fra l'altro disse: Io e il Padre siamo una cosa sola. ( Gv 10,30 )

In seguito l'evangelista narra la risurrezione di Lazzaro, ( Gv 11,1-46 ) quando Gesù ebbe a dire: Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se morrà, vivrà; chiunque vive e crede in me, anche se muore, vivrà. ( Gv 11,25-26 )

In tali parole cosa dobbiamo riconoscere se non le altezze della divinità presente in Cristo: quella divinità partecipando alla quale noi vivremo in eterno?

Dopo questo episodio Giovanni concorda con Matteo e Marco e ci presenta Gesù a Betania, dove Maria gli unse i piedi e la testa con unguento pregiato.

Da questo momento Giovanni procede di concerto con gli altri tre evangelisti per tutto il racconto della passione e risurrezione del Signore, distaccandosene peraltro in diversi particolari. ( Gv 12,1-8; Mt 26,6-13; Mc 14,3-9 )

10.19 Riguardo ai discorsi del Signore Giovanni non cessa di sollevarsi ad altezze sempre maggiori, a cominciare dalle lunghe e sublimi conversazioni che tenne da quel momento in poi.

Alla prima diedero occasione quei gentili che, desiderosi di vederlo, ricorsero alla mediazione di Filippo e Andrea: discorso elevatissimo, di cui non parlano gli altri evangelisti, ( Gv 12,20-50 ) nel quale Gesù si diffonde ancora una volta nella descrizione mirabile concernente la luce che ci illumina e rende figli della luce. ( Gv 13,1-38 )

E si arriva così alla cena. Del fatto in sé parlano tutti gli evangelisti; ma Giovanni quante parole ( e quanto sublimi ) ci riferisce, che invece gli altri suoi colleghi omettono!

Ecco il Signore darci una lezione di umiltà lavando i piedi ai discepoli, e poi, dopo che fu uscito il traditore reso manifesto dal boccone di cibo a lui porto, quando erano rimasti con lui soltanto gli Undici, quale mirabile, sublime e amplissimo discorso tenne loro il Signore!

E tale discorso è Giovanni a riferircelo: quel discorso in cui il Signore affermò: Chi ha visto me ha visto il Padre, ( Gv 14,9 ) e poi si dilungò a parlare dello Spirito Santo consolatore che egli avrebbe inviato. ( Gv 16,7-26 )

Parlò anche di quella sua gloria che aveva presso il Padre già prima della creazione del mondo, e promise che, appartenendo a lui, saremmo diventati una cosa sola come sono una cosa sola lui e il Padre.

Non che noi saremmo stati una unità come lui lo è con il Padre, ma avremmo formato fra noi una cosa sola a somiglianza di quello che sono lui e il Padre.

Disse molte altre cose ancora e tutte stupendamente sublimi, sulle quali non possiamo né vogliamo soffermarci, primo perché non siamo capaci di esporle come meritano e poi, come ognuno vede, perché in quest'opera non ci siamo proposti questo intento.

È un debito che, probabilmente, ci toccherà pagare; ma lo faremo in altra occasione, e non ci venga richiesto adesso!

La cosa che qui vogliamo inculcare agli innamorati della parola di Dio e a quanti cercano appassionatamente la santa verità è questa: Giovanni nel suo Vangelo è certamente un araldo e un predicatore di quello stesso Cristo - l'unico Messia vero e verace - di cui si occupano gli altri tre evangelisti e tutti gli Apostoli, anche quelli che non se la sentirono di comporre una narrazione scritta ma esplicarono il compito loro affidato con la predicazione orale.

Da tutti costoro però Giovanni si distingue perché lo vediamo sollevarsi ad altezze molto superiori nel presentarci la figura di Cristo.

E questo fin dall'inizio del suo libro. Solo raramente lo troviamo camminare insieme con gli altri.

Così fa al principio quando riferisce la testimonianza di Giovanni Battista, ( Gv 1,29 ) e in seguito quando presenta Gesù che, all'altra sponda del mare di Tiberiade, nutre la folla con cinque pani e cammina sulle acque; ( Gv 6,1-21 ) in terzo luogo, quando ci descrive il Signore che a Betania fu cosparso di unguento pregiato da quella donna fedele e affezionata. ( Gv 12,1-8 )

Concorda con gli altri invece quando si giunge alla passione, dove accaddero fatti che egli necessariamente voleva riferire.

Tuttavia, considerando che in questo periodo rientra anche la cena del Signore, è vero che non c'è evangelista che non ne abbia parlato, tuttavia Giovanni ce ne ha presentato un'immagine molto più ricca, quasi che l'avesse desunta dal petto del Signore dove era solito posare il capo. ( Gv 13,1-26 )

Andando avanti, ci narra del Signore che con parole altamente spirituali colpisce Pilato.

A proposito del suo regno egli dice che non è di questo mondo; che egli è re per nascita; che è venuto al mondo per rendere testimonianza alla verità. ( Gv 18,36-37 )

Dopo la risurrezione, per rimanere nella sua elevazione mistica, il Signore s'incontra con Maria e le dice: Non toccarmi!, poiché non sono ancora asceso al Padre. ( Gv 20,17 )

Egli alitando sui discepoli conferì loro lo Spirito Santo, perché non si avesse a credere che lo Spirito Santo, consustanziale e coeterno con la Trinità, fosse Spirito solo del Padre e non del Figlio. ( Gv 20,22 )

10.20 In ultimo il Signore affida le sue pecore a Pietro tutto preso d'amore per il Maestro tant'è vero che glielo conferma tre volte.

Di Giovanni Gesù afferma essere sua intenzione che rimanga fino alla sua venuta. ( Gv 21,15-23 )

In questa affermazione mi sembra che ci venga insegnato un profondo mistero, cioè la stessa funzione evangelica di Giovanni.

In forza di tale compito particolare egli si leva ad altezze sublimi, cioè alla luce fulgidissima del Verbo nella quale si può scorgere l'uguaglianza e l'immutabilità del Dio Trino.

Inoltre per tale incombenza egli fu capace di penetrare la distanza che ha sugli uomini comuni quell'uomo che fu assunto dal Verbo fatto carne.

Se pertanto è vero che tutti questi misteri non si possono vedere né conoscere se non al ritorno del Signore, molto a proposito gli fu detto che resterà vivo fino al ritorno di lui.

Ora dunque resterà vivo nella fede dei credenti; dopo lo si contemplerà a faccia a faccia, ( 1 Cor 13,12 ) quando cioè colui che è la nostra vita apparirà di nuovo e noi insieme con lui appariremo glorificati. ( Col 3,4 )

Ci potrebbe essere a questo riguardo qualcuno che ritenga essere un tale privilegio possibile all'uomo anche in questa vita mortale.

Tolta e dissipata ogni nebulosità di fantasmi corporei e carnali potrebbe, quest'uomo, godere della chiarissima luce della verità immutabile e aderire ad essa costantemente e indefettibilmente, essendo la sua mente divenuta del tutto estranea alle leggi cui soggiace la vita presente.

Ma chi ragiona così dà segno di non comprendere né cosa cerchi né chi sia la persona che compie la ricerca.

Presti fede pertanto, un simile presuntuoso, all'autorità eminente e infallibile di colui che dice: Finché siamo uniti al corpo siamo pellegrini lontani dal Signore, e camminiamo nella fede, non nella visione. ( 2 Cor 5,6-7 )

Conservando e custodendo con perseveranza la fede, la speranza e la carità, tenga fisso lo sguardo su ciò che sarà l'oggetto della visione, ( Gv 16,13 ) della quale abbiamo ricevuto il pegno, cioè lo Spirito Santo, che ci insegnerà tutta intera la verità.

Finalmente verrà il giorno nel quale Dio, che ha risuscitato Gesù Cristo dai morti, darà la vita anche ai nostri corpi mortali mediante il suo Spirito che abita in noi. ( Rm 8,10-11; 2 Cor 4,11 )

Ma quel che in noi è morto a causa del peccato, prima che venga vivificato è evidentemente soggetto a corruzione e appesantisce l'anima. ( Sap 9,15 )

Se, come a volte succede, l'anima riesce con l'aiuto [ di Dio ] ad uscire dalla nebulosità che copre tutta la terra, ( Sir 24,6 ) vale a dire dalla caligine della condizione carnale che copre l'intera vita qui in terra, quasi venga colpita da improvviso bagliore, subito si rapprende e torna alla sua nativa miseria.

Per quanto infatti rimanga in lei vivo il desiderio di elevarsi, non è abbastanza purificata per un'adesione definitiva.

In questo elevarsi da terra chi più riesce è più grande, chi meno riesce è più piccino.

Se poi c'è qualcuno la cui mente non ha mai esperimentato nulla di simile, sebbene per la fede sia in lui presente Cristo, deve lavorare sodo per diminuire e alla fine eliminare tutte le cupidige mondane facendo leva sulle virtù morali.

Nel far ciò egli sta camminando con Cristo mediatore in compagnia dei primi tre evangelisti, e deve tenersi stretto a lui mediante la fede congiunta alla gioia che proviene da viva speranza.

Un tal uomo è vicino a Cristo, che, essendo sempre Figlio di Dio, per noi si è fatto uomo e così la sua eterna potenza e divinità si è abbassata al livello della nostra debolezza e mortalità e, prendendo in sé ciò che era nostro, è diventato nostra via.

Da Cristo re egli sarà retto in modo da non peccare e se avrà peccato, la colpa gli sarà condonata da Cristo sacerdote. ( 1 Gv 2,1-2 )

In tal modo, fortificato dal cibo della buona condotta e della vita spesa in buone azioni sarà elevato da terra dalle penne del duplice amore, che saranno per lui come due ali robuste, finché non sia illuminato dallo stesso Cristo-Verbo: quel Verbo che era in principio, che era presso Dio e che era Dio. ( Gv 1,1 )

Sarà, la sua, una visione riflessa e confusa ma molto più elevata che non qualsiasi immagine corporea. ( 1 Cor 13,12 )

È vero dunque che nei tre primi evangelisti rifulgono i doni delle virtù attive, mentre in Giovanni quelli della vita contemplativa ( sempre che tali cose si sia in grado di penetrare ); tuttavia anche il dono di Giovanni, essendo parziale, resterà fino a quando non giunga ciò che è perfetto. ( 1 Cor 13,9-10 )

È vero quindi che a uno viene dato, mediate lo Spirito, il dono della sapienza, mentre a un altro, sempre in forza del medesimo Spirito, il dono della scienza. ( 1 Cor 12,8 )

È vero che uno gusta il giorno del Signore, ( Rm 14,6 ) un altro invece beve l'acqua che scaturisce dal petto del Signore, un terzo è elevato fino al terzo cielo e vi ascolta parole indicibili; ( 2 Cor 12,2-4 ) nonostante questo, però, finché sono nel corpo anche questi privilegiati sono tutti pellegrini, lontani dal Signore. ( 2 Cor 5,6 )

Ad essi, come a tutti i fedeli animati dalla santa speranza, i cui nomi sono scritti nel libro della vita, ( Ap 21,27 ) è tenuto in serbo quel che promise il Signore: Io lo amerò e gli mostrerò me stesso. ( Gv 14,21 )

Per quel che concerne il presente pellegrinaggio sulla terra, quanto più uno avrà progredito nella conoscenza e nella comprensione di tali misteri, tanto più deve evitare i vizi diabolici della superbia e dell'invidia.

Ricordi lo stesso Vangelo di Giovanni, il quale quanto più eleva alla contemplazione della verità tanto più insiste nell'inculcare il precetto della carità con la sua dolcezza.

E siccome resta assolutamente vero e salutare il monito: Quanto più sei grande, tanto più sarai umile in tutte le cose, ( Sir 3,20 ) ecco perché l'evangelista che presenta Cristo in un'altezza molto superiore a quella in cui lo collocano gli altri, ce lo presenta anche nell'atto di lavare i piedi ai discepoli. ( Gv 13,5.15 )

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