La Continenza |
È difficile trattare in modo adeguato ed esauriente della virtù dell'anima che chiamiamo continenza, virtù che è un insigne dono del Signore.
Speriamo che colui che ce la elargisce aiuti la nostra pochezza perché non venga meno sotto il peso d'un compito così grave.
Difatti chi dona la continenza ai fedeli che ne fanno pratica è lo stesso che dona la parola adatta a quanti, fra i suoi ministri, osano tentarne una esposizione.
Volendo, dunque, trattare un argomento così elevato per dirne quello che Dio ci concederà, prima di tutto affermeremo e dimostreremo che la continenza è un dono di Dio.
Lo troviamo scritto nel libro della Sapienza: Nessuno può essere continente se Dio non gliene fa dono. ( Sap 8,21 )
E anche il Signore, a proposito di quella continenza più rigorosa per cui ci si astiene dal matrimonio, diceva: Non tutti capiscono questa parola, ma soltanto coloro cui è stato donato. ( Mt 19,11 )
Né solo questa, ma anche la castità coniugale non la si può osservare senza la continenza da ogni forma illecita di rapporto carnale.
E di tutt'e due le forme di vita, tanto degli sposati come dei non sposati, affermava l'Apostolo che sono doni di Dio.
Io vorrei - diceva - che tutti fossero come me stesso; tuttavia ciascuno ha da Dio il suo dono: uno così, e un altro differentemente. ( 1 Cor 7,7 )
La continenza che ci attendiamo dal Signore non è necessaria soltanto per frenare le passioni carnali propriamente dette.
Lo dimostra il salmo, là dove cantiamo: Poni, o Signore, una custodia alla mia bocca, una porta - quella della continenza - sulle mie labbra. ( Sal 141,3 )
Da questa testimonianza del libro divino, se prendiamo la parola bocca nel senso esatto in cui occorre intenderla, ci convinceremo qual grande dono di Dio sia la continenza della bocca.
Tuttavia sarebbe cosa da poco tenere a freno la bocca, in senso materiale, perché non ne escano parole sconvenienti.
C'è nel nostro interno un'altra bocca, quella del cuore; ed è qui che desiderava fosse posta dal Signore una guardia e un uscio, quello della continenza, colui che pronunziò le parole del salmo e le scrisse perché le ripetessimo.
Ci sono infatti molte parole che non pronunziamo con la bocca ma gridiamo con il cuore.
E viceversa non ci sono parole che noi pronunziamo con la voce attraverso la bocca, se il cuore non ce le detta.
Se dal cuore non esce nulla, al di fuori non si pronunciano parole.
Se dal cuore escono cose cattive, anche se la lingua non vibra, l'anima rimane macchiata.
È al cuore, dunque, che bisogna imporre la continenza: là dove parla la coscienza anche di coloro che stanno zitti con la bocca.
E questa continenza, a guisa di porta, farà sì che dal cuore non esca niente di ciò che, anche a labbra chiuse, contaminerebbe la vita dell'uomo mediante il pensiero.
Con le parole: Poni, Signore, una custodia sulla mia bocca e una porta, la continenza, sulle mie labbra voleva intendere la bocca interiore del cuore.
Lo indica assai chiaramente quel che soggiunge subito appresso: Non permettere che il mio cuore pieghi verso parole maligne. ( Sal 141,3-4 )
Cos'è la piega del cuore, se non il consenso?
Non pronuncia alcuna parola colui che, sebbene attraverso i sensi gli si presentino gli stimoli delle cose più disparate, tuttavia non vi consente né volge il cuore ad esse.
Se invece vi consente, già dice la sua parola nel cuore, anche se con la voce non proferisce alcun suono.
Anche se con la mano o con le altre membra del corpo non compie alcun atto, egli l'ha già eseguito se col pensiero ha deciso di farlo.
È già colpevole di fronte alle leggi divine, anche se occulto ad ogni occhio umano: colpevole per la parola detta nel cuore, non per il gesto compiuto col corpo.
Non potrebbe infatti mettere in azione un membro del corpo per l'esecuzione dell'opera, se questa non fosse stata preceduta da una parola interiore che costituisce il principio.
Come sta scritto con verità: Principio di ogni azione è la parola. ( Sir 37, 16 )
Sono infatti numerose le opere che gli uomini compiono senza aprire la bocca, né muovere la lingua o levare la voce; tuttavia nulla eseguono col corpo, nel campo dell'azione, se prima non si siano pronunciati col cuore.
Ci sono pertanto molti peccati nelle scelte interiori dello spirito che non sono seguiti da opere esterne; mentre non ci sono peccati esterni, di opere, che non siano preceduti da decisioni interne del cuore.
Si sarà esenti dall'una e dall'altra specie di colpa se sulle labbra interiori dello spirito si saprà porre la porta della continenza.
Per questo motivo il Signore di sua propria bocca ebbe a dire: Ripulite ciò che sta dentro; così sarà puro anche ciò che sta fuori. ( Mt 23,26 )
E in altra circostanza, quando si mise a confutare la scempiaggine dei giudei che rimproveravano ai discepoli d'andare a mensa senza lavarsi le mani: Non sono le cose che entrano nella bocca a sporcare l'uomo; sono piuttosto quelle che escono dalla bocca che lo rendono impuro. ( Mt 15,11 )
La quale asserzione, se dovesse riferirsi esclusivamente alla bocca in senso proprio, finirebbe col diventare un assurdo: difatti come non ci si sporca per il cibo così non ci si sporca per il vomito, il cibo che entra per la bocca, il vomito che ne esce.
Ma, evidentemente, le parole iniziali della frase, cioè: Ciò che entra nella bocca non sporca l'uomo, si riferiscono alla bocca in senso proprio; mentre il seguito, e cioè: Quanto esce dalla bocca sporca l'uomo, si riferisce alla bocca del cuore.
Lo precisò il Signore quando, alla richiesta dell'apostolo Pietro che gli venisse spiegata la parabola, rispose: Siete anche voi ancora senza cervello?
Non capite come tutto ciò che entra nella bocca va nell'intestino e lo si scarica nel gabinetto? ( Mt 15,16-17 )
Riconosciamo da qui senza esitazione che la bocca in cui entra il cibo è la bocca, organo del nostro corpo.
Quanto alle parole successive, dobbiamo invece intenderle della bocca del cuore: interpretazione alla quale non sarebbe giunta l'ottusità del nostro cuore se la Verità non si fosse degnata di camminare al fianco di noi ottusi.
Diceva infatti: Le cose che escono dalla bocca procedono dal cuore. ( Mt 15,18 )
Come se volesse dire: Quando senti dalla bocca, intendi dal cuore.
Dico tutt'e due le cose, ma con la seconda spiego la prima.
L'uomo interiore ha una bocca interiore, e delle sue parole ha percezione l'orecchio interiore.
Le cose che escono da questa bocca provengono dal cuore e rendono impuro l'uomo.
In ultimo, lasciando da parte la parola "bocca", che si sarebbe potuta intendere anche della bocca che sta nel corpo, il Signore mostrò con ogni chiarezza ciò che voleva dire.
Dal cuore - diceva - escono i pensieri cattivi, gli omicidi, gli adultèri, le disonestà, i furti, le false testimonianze, le bestemmie; e queste sono le cose che macchiano l'uomo. ( Mt 15,19-20 )
Di questi mali, che si possono compiere anche con le membra del corpo, nessuno ce n'è che non sia preceduto dal pensiero cattivo; ed è questo pensiero che macchia l'uomo, anche se sopravvengono ostacoli ad impedire che si eseguano con le membra le opere esterne, delittuose o criminali.
Ecco uno che non è riuscito ad uccidere una persona perché la cosa gli si è resa impossibile.
La sua mano non ha commesso il delitto, ma può forse dirsi che ne sia immune il suo cuore?
Ancora: uno non ce la fa ad appropriarsi, come avrebbe voluto, della roba altrui.
Può forse dirsi che egli nella sua volontà non sia un ladro?
Ancora: un libertino si mette in testa un adulterio, però si imbatte in una donna casta che lo respinge.
Forse che non è già adultero nel suo cuore?
O un altro che cerchi d'incontrare una prostituta: se non riesce a trovarne alcuna per la strada, forse che non si è reso già colpevole nella mente?
Come quando uno si sia deciso a rovinare il prossimo con la menzogna.
Anche se poi non lo fa per mancanza di tempo o di occasione, forse che non ha detto già con la bocca del cuore una falsa testimonianza?
Un altro per un certo senso di riguardo verso la gente si trattiene dal proferire bestemmie.
Se costui in cuor suo negasse l'esistenza di Dio, ( Sal 14,1 ) lo si potrebbe forse scusare da colpa?
E così di tante altre malefatte.
Esse non si compiono con gesti del corpo, anzi, vengono ignorate dai sensi esterni; eppure rendono colpevole l'uomo nell'intimo [ della coscienza ].
Egli viene reso impuro mediante il consenso a peccati di pensiero, quel consenso che noi chiamiamo parola colpevole della bocca interiore.
Verso questa parola temeva il salmista che il suo cuore deviasse, e pertanto chiedeva al Signore che gli ponesse un uscio, quello della continenza, attorno alle labbra perché il suo cuore fosse tenuto a bada e non deviasse verso parole maligne.
Voleva cioè quella continenza che impedisse al suo pensiero di consentire al male.
In tal modo il peccato, secondo il precetto dell'Apostolo, non regna nel nostro corpo mortale, e le nostre membra non vengono offerte al peccato come armi per perpetrare azioni inique. ( Rm 6,12-13 )
Ma una tale prescrizione non l'adempiono certo coloro che, sebbene non si lascino andare a colpe esterne per il fatto che non ne hanno la possibilità, tuttavia quando l'occasione si presenta, attraverso l'uso che fanno delle membra, come di armi, mettono bene in mostra chi sia il padrone del loro cuore.
Pertanto questi tali, per quanto è in loro, tengono le membra a servizio del peccato, come armi per gesta inique.
Essi infatti vogliono il peccato, e, se non lo commettono all'esterno, è solo perché non lo possono.
Non sarà mai possibile che si violi od offenda la continenza in senso stretto, cioè il dominio che per la castità si esercita sugli organi della generazione, finché si conserva nel cuore quella superiore continenza di cui stiamo trattando.
Per questo motivo il Signore, detto che dal cuore escono i cattivi pensieri, per mostrare cosa rientri nel concetto di cattivo pensiero, soggiunse: Gli omicidi, gli adultèri ecc. ( Mt 15,19 )
Non elencò tutte le colpe, ma, nominatene alcune a mo' d'esempio, lasciò intendere anche le altre.
Orbene, fra tutte queste colpe, non ce n'è alcuna che possa eseguirsi con atti [ esterni ] se prima non sia stata preceduta dal pensiero cattivo, col quale si architetta dentro ciò che poi viene effettuato al di fuori.
E questo pensiero, uscendo dalla bocca del cuore, rende impuro l'uomo, anche se nessuna azione cattiva viene compiuta all'esterno, con le membra del corpo, per mancanza di occasione.
Si ha dunque da porre l'uscio della continenza sulla bocca del cuore, da cui promanano tutte le cose che macchiano l'uomo: così, nulla di sconveniente potrà uscirne, ché anzi ne seguirà uno stato di purezza di cui la coscienza non potrà non rallegrarsi, per quanto non si sia ancora raggiunta quella perfezione dove la continenza non ha da lottare col vizio.
Attualmente però, finché la carne avanza pretese contrarie a quelle dello spirito - così come lo spirito è contro la carne ( Gal 5,17 ) -, è per noi sufficiente non consentire al male che avvertiamo in noi.
Che se invece si presta questo consenso, allora esce dalla bocca del cuore ciò che macula l'uomo.
Viceversa, se in virtù della continenza questo consenso non viene prestato, in nessun modo potrà nuocere quel male che è la concupiscenza della carne, contro la quale lotta lo spirito con le sue aspirazioni.
Condurre una buona battaglia - come si fa adesso, mentre si resiste alla invadenza della morte - è tutt'altra cosa dall'essere senza avversari: cosa che attendiamo per quando sarà stato annientato l'ultimo nemico che è la morte. ( 1 Cor 15,55 )
Peraltro la continenza, mentre tiene a freno e modera gli appetiti sregolati, aspira anche al bene immortale a cui tendiamo, e respinge il male col quale lottiamo nella nostra condizione di esseri mortali.
Del bene futuro è amante e ad esso è orientata; del male presente è avversaria e [ solo ] testimone.
Ambisce ciò che nobilita, fugge ciò che degrada.
Non si affaticherebbe, la continenza, a frenare le voglie della passione, se in noi non vi fossero tendenze per ciò che non conviene né moti della concupiscenza disordinata contrastanti con la nostra buona volontà.
Lo grida l'Apostolo: So che in me, cioè nella mia carne, non risiede il bene; difatti, se mi riesce a volere il bene, quanto al praticarlo non ci riesco. ( Rm 7,18 )
Attualmente quindi può praticarsi il bene, nel senso di non consentire alle passioni disordinate; la perfezione del bene però si conseguirà soltanto quando la stessa cattiva concupiscenza verrà eliminata.
Per cui lo stesso Dottore delle genti grida: Secondo l'uomo interiore mi compiaccio della legge di Dio; ma scorgo nelle mie membra un'altra legge, che lotta contro la legge della mia mente. ( Rm 7,22-23 )
Questa lotta interiore l'avverte soltanto chi combatte per l'acquisto della virtù e la repressione dei vizi.
Non c'è infatti mezzo per abbattere il male della concupiscenza all'infuori del bene della continenza.
Quanto poi agli altri che non avvertono affatto le esigenze della legge di Dio e non collocano fra i nemici le brame della concupiscenza ma con lagrimevole cecità si pongono al loro servizio, costoro si stimano beati quando possono, non dico domarle, ma piuttosto soddisfarle.
Altri, invece, ce ne sono che ad opera della legge hanno conosciuto le voglie della carnalità: è infatti dalla legge che viene la conoscenza del peccato; come è detto ancora: Io non avrei conosciuto la concupiscenza se nella legge non ci fosse la proibizione di desiderare [ l'illecito ]. ( Rm 3,20; Rm 7,7 )
Costoro le hanno conosciute, ma vengono superati dal loro prolungato assedio, perché vivono sotto la legge, che prescrive di fare il bene senza fornire i mezzi per attuarlo, e non sotto la grazia che mediante l'azione dello Spirito Santo dà facoltà di attuare ciò che la legge prescrive.
La legge, quando sopraggiunse, fece sì che in loro traboccasse il numero delle trasgressioni. ( Rm 5,20 )
La proibizione accrebbe la forza delle passioni e le rese insuperabili; e si giunse così alla prevaricazione, che, se non ci fosse stata la legge, non sarebbe esistita, nonostante l'esistenza del peccato.
Difatti, dove non c'è legge, non c'è nemmeno prevaricazione. ( Rm 4,15 )
In tal modo, la legge, senza l'aiuto della grazia, col suo proibire il peccato divenne una potenza del peccato; per cui l'Apostolo poté dire: La forza del peccato è la legge. ( 1 Cor 15,56 )
Né ci deve sorprendere che l'infermità umana, mentre presume di adempiere la legge confidando nelle sue sole forze, proprio mediante la legge, che di per sé è buona, abbia accresciuto la forza al male.
Misconoscendo infatti la giustizia che Dio accorda al debole e pretendendo di istaurare una sua giustizia personale - di cui egli, infermo, è sprovvisto -, viene a sottrarsi alla giustizia di Dio, ( Rm 10,3 ) e, nella sua superbia, rimane riprovato.
Se però la legge rende l'uomo prevaricatore, lo fa perché, ferito più gravemente, egli desideri il medico, e in tal modo, come un pedagogo, conduce l'uomo alla grazia. ( Gal 3,24 )
In contrasto con quell'attrattiva perniciosa per la quale riportava le sue vittorie la concupiscenza, il Signore accorda allora una dolcezza salutare che fa prevalere le attrattive della continenza.
In tal modo la nostra terra produce i suoi frutti: ( Sal 67,7; Sal 85,13 ) quei frutti di cui si ciba il soldato di Cristo che, con l'aiuto di Dio, debella il peccato.
Per tali soldati squillò la tromba apostolica, ed essi, al suono di queste parole, furono infervorati a battaglia.
Che il peccato - diceva - non abbia a regnare nel vostro corpo mortale in modo che obbediate ai suoi desideri.
Non offrite le vostre membra, come armi d'ingiustizia, al peccato; ma offrite voi stessi a Dio, come viventi, da morti che eravate.
E le vostre membra offritele a Dio come armi di giustizia.
Il peccato allora non vi dominerà; poiché voi non siete più sotto la legge ma sotto la grazia. ( Rm 6,12-14 )
E altrove: Fratelli, noi siamo debitori, ma non verso la carne, sì da dover vivere secondo la carne.
Difatti, se vivrete secondo la carne, morrete; mentre se, in forza dello Spirito, farete morire le opere della carne, vivrete.
Tutti coloro infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio sono figli di Dio. ( Rm 8,12-14 )
Attualmente dunque, cioè mentre rinati alla grazia abbiamo a durare nella nostra vita mortale, il nostro compito consiste nell'impedire che il peccato, cioè la concupiscenza peccaminosa ( qui appunto chiamata peccato ), domini da tiranno nel nostro corpo mortale.
La quale tirannia è in noi manifesta quando ci si assoggetta alle sue voglie disordinate.
Concludendo: esiste in noi una concupiscenza peccaminosa, a cui non si deve dar modo di regnare; ci sono delle voglie, nate da lei, a cui non si deve dar retta, perché non succeda che, assecondandole, la concupiscenza diventi nostra padrona.
Che delle nostre membra non abbia, quindi, a servirsi la concupiscenza, ma le diriga la continenza; e così siano armi di giustizia in mano a Dio e non armi di iniquità al servizio del peccato.
In questa maniera il peccato non spadroneggerà in noi.
Noi infatti non siamo sotto la legge, che prescrive il bene ma non lo dona, ma siamo in regime di grazia: la quale, facendoci amare ciò che la legge prescrive, può comandarcelo come a dei figli.
Nelle altre parole ci esorta a vivere non secondo la carne, per non morire, ma piuttosto a mortificare le opere della carne, in modo da ottenere la vita.
È una tromba che squilla.
Essa addita la guerra che infuria attorno a noi e ci infervora a combattere da forti e a debellare i nostri nemici, perché non succeda che veniamo messi a morte da loro.
Quali poi siano questi nemici, lo indica assai chiaramente, ordinandoci ancora di ucciderli.
Essi sono le opere della carne.
Dice infatti: Mediante lo Spirito uccidete le opere della carne, e conseguirete la vita. ( Rm 8,13 )
E se vogliamo sapere quali siano queste opere, ascoltiamo lo stesso Apostolo nella lettera ai Galati: È chiaro quali siano le opere della carne.
Sono: la fornicazione, l'impurità, la dissolutezza, l'idolatria, la magia, le inimicizie, le contese, le gelosie, le ire, le discordie, le eresie, le invidie, le ubriachezze, le gozzoviglie, ed altre cose simili.
Riguardo a tali cose vi avverto, come già vi ho avvertiti, che chi si dedica a tali opere non possederà il regno di Dio. ( Gal 5,19-21 )
Ciò dicendo, mostra ancora come lì sia la guerra, e con tromba celeste e spirituale incita i soldati di Cristo a dare la morte a questi nemici.
Poco prima aveva detto: Io però vi dico così: Vivete secondo lo Spirito e non vogliate soddisfare i desideri della carne.
La carne infatti ha desideri opposti a quelli dello Spirito, come anche lo Spirito ha desideri contrari a quelli della carne.
Essi sono in contrasto tra loro; sicché voi non potete fare ciò che vorreste.
Se però siete guidati dallo Spirito, non siete sotto la legge. ( Gal 5,16-18 )
Vuole pertanto che quanti sono rinati alla grazia sostengano questo conflitto contro le opere della carne; e per indicare quali siano queste opere della carne, aggiunge la serie sopra riferita: Le opere della carne - è facile scoprirle - sono la fornicazione ( Gal 5,19 ) e tutto il resto, tanto le altre che elenca subito appresso quanto quelle che lascia sottintendere, specialmente nelle parole: e altre cose simili.
Volendo poi presentare in detta battaglia un'altra armata, di ordine, per così dire, spirituale, in lotta contro quella specie di esercito carnale, soggiungeva: Frutto dello Spirito sono la carità, la gioia, la pace, la pazienza, la benignità, la bontà, la fedeltà, la dolcezza, la continenza.
Contro virtù di questo genere non c'è legge [ che tenga ]. ( Gal 5,22-23 )
Non dice "contro queste", perché non si pensasse che siano esse sole ( per quanto anche se avesse detto così, avremmo potuto intendere tutti i valori che rientrano in tali categorie ); ma dice: Contro virtù di questo genere, cioè contro queste e contro tutte le altre simili a queste.
Nella serie dei beni che ha ricordato, la continenza - di cui ci occupiamo nel presente trattato e di cui già abbiamo detto parecchie cose - viene posta per ultima.
È perché vuole che essa resti, fra tutte, la più impressa nella nostra mente.
Difatti, nella guerra che lo spirito combatte contro la carne, essa è d'importanza capitale, poiché è essa che, in certo qual modo, affigge alla croce le concupiscenze carnali.
Soggiungeva infatti l'Apostolo, dopo le precedenti affermazioni: Quelli che appartengono a Gesù Cristo crocifiggono la loro carne con le sue passioni e concupiscenze. ( Gal 5,24 )
Ecco l'azione della continenza: mortificare le opere della carne.
Le quali opere carnali, viceversa, sono esse a infliggere la morte a quanti, credendosi dispensati dalla continenza, si lasciano indurre dalla concupiscenza a consentire e a tradurre in atto le opere del male.
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