Contro Cresconio grammatico donatista |
Ignoro, Cresconio, quando i miei libri potranno raggiungerti, ma non dispero di vederli arrivare a destinazione, poiché anche i tuoi scritti, sia pure molto tempo dopo la loro stesura, hanno potuto finalmente raggiungermi.
Mi riferisco a ciò che ti sei sentito in dovere di scrivere per confutare la risposta, concisa e parziale, che ho potuto dare a Petiliano, il vostro vescovo di Cirta, il quale, cimentandosi nel sostenere la tesi della reiterazione del battesimo, anziché demolire la nostra comunione con il peso delle argomentazioni, l'ha appena scalfita con le sue malediche calunnie.
Risposta parziale, perché non era ancora pervenuto fra le mie mani il testo completo della sua lettera, ma solo la breve prima parte.
Reputo inutile indagare come ciò sia potuto accadere, tanto più che, quando in seguito è giunto fra le mie mani il testo completo, non mi è dispiaciuto affatto rispondere al tutto.
Se d'altronde non avessi risposto alla lettera che tu mi hai inviata, forse l'avresti giudicato un gesto irriguardoso; temo comunque che quanto ti scrivo lo considererai nuovo motivo di contesa.
Se poi tu, avendo constatato che la mia lettera non era indirizzata a te, in quanto sembrava confutare soltanto un vescovo del partito di Donato o il partito stesso di Donato, hai creduto tuo dovere, conscio com'eri di possedere una certa capacità, di farla tua e di pubblicare una controrisposta, dal momento che appartieni alla sua comunione, pur senza essere vincolato da una qualsiasi funzione clericale, tanto meno era lecito tacere a me, proprio in forza degli obblighi derivanti dal peso del mio ufficio, sia nei confronti di Petiliano sia di te stesso, poiché lui attaccava la Chiesa per la quale milito, e tu, con uno scritto dello stesso tipo, hai composto, presentato e redatto un testo diretto espressamente a me.
Nella prima parte dello scritto ti sei sforzato di rendere sospetta l'eloquenza agli occhi degli uomini.
Infatti, lodando apparentemente la mia arte oratoria, e come se temessi in certo qual modo che io mi servissi di quest'arte per ingannare te o qualche altro inducendovi in errore, ti sei lanciato ad accusare l'eloquenza in se stessa, utilizzando contro di essa un testo delle sante Scritture, ove secondo te si dice: Nella molta eloquenza non sfuggirai il peccato. ( Pr 10,19 )
Ora, lì non è detto: nella molta eloquenza, ma nel multiloquio.
La loquacità infatti è un flusso di parole superflue, cioè il vizio che si contrae per il culto eccessivo della parola.
Per lo più infatti amano parlare anche coloro che non sanno che cosa dire e come dirlo, sia che si tratti di esprimere correttamente il proprio pensiero sia di rispettare i principi grammaticali per quanto attiene la retta e ordinata pronunzia delle parole.
Invece l'eloquenza è la capacità di parlare, esprimendo in modo appropriato ciò che sentiamo dentro, della quale dobbiamo servirci quando pensiamo cose giuste.
Non così se ne sono serviti gli eretici.
Infatti, se avessero veramente pensato in maniera corretta, non solo non avrebbero potuto dire nulla di male, ma avrebbero potuto spiegare anche il bene in forma eloquente.
Pertanto hai accusato a sproposito l'eloquenza richiamando alla mente queste esemplificazioni.
Non si deve smettere infatti di armare i soldati in difesa della patria per il solo fatto che molti hanno impugnato le armi contro la patria; così pure i medici valenti e dotti non devono tralasciare di utilizzare gli strumenti chirurgici per salvare la vita per il solo fatto che anche gli incompetenti e i senza scrupoli se ne sono serviti per rovinare la salute.
Chi non sa che, come la medicina è utile o inutile nella misura in cui persegue ciò che è utile o inutile, così l'eloquenza, cioè la conoscenza pratica e la facilità di parola è utile o inutile a seconda dell'utilità o inutilità di ciò che si dice?
Suppongo che neppure tu ignori questo.
Penso comunque che tu, constatando che molti mi considerano eloquente, per distogliere da me l'interesse del lettore o dell'ascoltatore, hai creduto bene di attaccare la mia eloquenza; così chiunque, insospettito dalla tua affermazione, non presterà più attenzione a ciò che dico; e, per il fatto stesso che mi esprimo in modo eloquente, mi prenderà per un tipo da evitare e fuggire.
Vedi, dunque, se questo tuo modo di agire non appartenga a quella cosiddetta "arte perversa che molti" - secondo la tua citazione di Platone - "a buon diritto hanno giudicato bene di bandire dalla città e dal consorzio del genere umano".1
Qui non si tratta di quell'eloquenza, che davvero vorrei augurarmi di possedere per esprimere secondo il mio gusto ciò che sento; si tratta invece del mestiere malefico del sofista, che si propone di sostenere in tutto e per tutto i pro e i contro, non secondo la sua convinzione personale, ma per spirito di polemica o per interesse personale.
Ecco che cosa ne dice la santa Scrittura: Chi parla come il sofista è odioso. ( Sir 37,23 )
Sono convinto che l'apostolo Paolo voglia distogliere da questa occupazione la giovinezza di Timoteo, quando dice: Evita le vane discussioni, che non giovano a nulla, se non alla perdizione di chi le ascolta; ma, per non dare l'impressione che gli abbia interdetto l'arte dell'eloquenza, aggiunge subito dopo: Sforzati di presentarti davanti a Dio come un operaio degno di approvazione, che tratta come si conviene la parola della verità. ( 2 Tm 2,14-15 )
È questo, senza dubbio, il sentimento che si è insinuato nel tuo animo: per il gusto di contraddire - questo infatti non era il tuo modo di sentire, ma piuttosto volevi distogliere da noi l'interesse di colui che è assetato di istruzione - tu mi hai etichettato eloquente, ma vituperando l'eloquenza.
Ora, come posso credere che tu abbia agito così per intima convinzione, sapendo bene quanto ci teniate a decantare l'eloquenza di Donato, di Parmeniano e di altri membri del vostro partito?
Potrebbe esserci qualcosa di più utile di essa, se riversasse le sue onde tanto copiose a favore dell'unità, della verità, della carità?
Ma perché devo parlare degli altri? Non sei proprio tu la prova vivente che, non per convinzione ma per spirito di contraddizione, ti sei eretto a censore per vituperare l'eloquenza?
Infatti tutto ciò che hai scritto in seguito, non lo hai forse fatto per tentare da una parte di convincere il lettore attraverso l'eloquenza, e dall'altra di accusare eloquentemente la stessa eloquenza?
Dimmi: perché mai dichiari "di non poter competere con me sul piano dell'eloquenza e di non possedere una conoscenza approfondita dei modelli della legge cristiana"?
Ti ho forse costretto io a replicare ai miei scritti? È per questo motivo che cerchi di esimerti e scusarti?
Se non possiedi un'adeguata preparazione, perché allora non taci, o piuttosto perché non parli come se desiderassi di essere istruito?
Affermi che "io insisto e sfido continuamente i vostri a discettare con me per chiarire ulteriormente la questione della verità, mentre i vostri lo fanno con maggiore cautela e pazienza, poiché istruiscono i loro fedeli soltanto in chiesa sui precetti della Legge, senza preoccuparsi di rispondere a noi, ben sapendo che, se la Legge di Dio e tanti documenti delle Scritture canoniche non possono indurci ad accettare ciò che è più buono e più vero, giammai un'autorità umana, dissolto l'errore, potrà richiamarci alla norma della verità".
Perché, allora, hai pensato bene di parlare contro di noi, mentre essi tacciono?
Se essi fanno bene, perché non li imiti? E se fanno male, perché li lodi?
Tu affermi che io, "con arroganza intollerabile, credo di poter risolvere da solo una questione che agli altri è parsa inestricabile e quindi è stata rimessa al giudizio di Dio".
Per questo, poco sopra, hai dichiarato che "io pretendo di dirimere, dopo tanti anni e dopo tante sentenze di giudici e arbitri, una questione che numerosi vescovi dotti di ambedue le parti hanno dibattuto davanti agli imperatori senza poterla risolvere".
Ma è proprio vero che solo io mi do tanto da fare per questo? Io sarei l'unico che cerca di dibattere tale questione e desidera risolverla?
A mio avviso, se tu avessi voluto incolpare i nostri di essere stati gli unici ad aver fatto questo tentativo, non avresti confessato che anche i vostri hanno tentato ciò.
Ma, dal momento che non puoi rimproverare almeno i vostri di aver fatto quel tentativo, di aver avuto quella volontà e insistenza, neppure io voglio essere estraneo a un'opera tanto buona.
Perché mi incolpi e mi rimproveri? Non sarà forse per gelosia? Questo non si deve credere temerariamente di te.
Non resta allora che questo: tu mi incolpi, per puro spirito di polemica, di ciò che sei costretto a lodare anche nei vostri!
Ma, dici, è una intollerabile arroganza presumere che uno possa risolvere da solo la questione, che molti e così qualificati individui hanno lasciato insoluta.
Ti prego di non attribuire soltanto a me un simile tentativo: in molti ci adoperiamo perché essa si risolva, anzi, perché si riconosca che è già stata risolta.
Infatti coloro i quali hanno sostenuto che essa non è stata ancora risolta, sono precisamente quelli che non hanno voluto accettare la soluzione e ve l'hanno tenuta nascosta, cosicché anche voi, ingannati dalla loro autorità, crediate che la questione è tuttora pendente.
I nostri invece, dal momento in cui essa fu risolta, non hanno mai cessato di far conoscere tale soluzione con tutti i mezzi a loro disposizione, sia in pubblico che in privato, affinché nessuno persistesse in un errore tanto funesto e nel giorno del giudizio finale non potesse recriminare contro la negligenza dei ministri di Dio nei suoi confronti.
Pertanto, non siamo noi a voler riconsiderare daccapo una questione già risolta da un pezzo, ma piuttosto vogliamo dimostrare come essa sia stata risolta, soprattutto tenendo presenti coloro che la ignorano.
In tal modo, quando i difensori sono convinti del proprio errore, o anch'essi sono liberati perché si sono corretti, oppure, se questi persistono nella loro aperta ostinazione dopo essere stati confutati, coloro che amano la verità più della rivalità potranno vedere ciò che devono seguire.
E questo lavoro non è senza frutto, come tu pensi.
Infatti, se potessi vedere come questo errore era dilagato per l'Africa in lungo e in largo, e quanto poche sono le regioni che non si sono ancora emendate ritornando alla pace cattolica, tu non giudicheresti del tutto sterile e vano lo zelo dei difensori della pace e dell'unità cristiana!
Ora, se questa medicina, applicata con tanta diligenza, qua e là non ha dato ancora risultati, è già sufficiente, per renderne conto a Dio, che non si sia tralasciato di impiegarla.
Come infatti il maligno persuasore del peccato, anche se non riesce nel suo intento, incorre giustamente nella pena riservata al seduttore, così il fedele annunciatore della giustizia, anche se è rifiutato dagli uomini, non sia mai che possa essere defraudato presso Dio della ricompensa per il suo lavoro.
Si tratta di un impegno certo per un risultato incerto; e chiamo incerto, non il premio di chi opera, ma la disposizione interiore di chi ascolta.
Infatti non è certo per noi se colui, al quale viene annunciata la verità, darà il suo assenso, ma è certo che anche a tali individui è opportuno predicare la verità, come è altrettanto certo che una degna ricompensa attende coloro che la predicano fedelmente, sia che ricevano una buona accoglienza sia il disprezzo, sia che debbano soffrire per questo motivo ogni sorta di male per un certo tempo.
Il Signore dice nel Vangelo: Quando voi entrate, dite: Pace a questa casa.
Se coloro che vi abitano ne saranno degni, la vostra pace riposi su di loro; altrimenti ritorni a voi. ( Mt 10,12-13 )
Egli ha forse garantito loro la certezza che, coloro ai quali avrebbero predicato la loro pace, li avrebbero accolti?
E tuttavia li rese pienamente consapevoli che avrebbero dovuto predicarla senza esitazione.
Anche l'apostolo Paolo dice: Un servo del Signore non dev'essere litigioso, ma mite con tutti; atto a insegnare, paziente, dolce nel riprendere gli oppositori, nella speranza che Dio voglia loro concedere di convertirsi, perché riconoscano la verità e ritornino in sé sfuggendo ai lacci del diavolo, che li ha catturati per sottometterli alla sua volontà. ( 2 Tm 2,24-26 )
Considera bene: lui non vuole che costui disputi, vuole piuttosto che corregga con moderazione coloro che non la pensano come lui, affinché il servo di Dio non prenda la proibizione di essere aggressivo come un pretesto per essere remissivo.
È vero che molti mal sopportano e con fastidio anche una leggera correzione, sia perché giustificano i loro peccati sia perché non sanno che cosa rispondere, e tuttavia non vogliono arrendersi alla verità.
Costoro trattano da litigiosi e attaccabrighe coloro che si adoperano con zelo e senza mezzi termini per convincerli del loro errore.
La falsità, infatti, che teme di essere scoperta e redarguita, accusa lo zelo per la verità applicandogli il nome di quei vizi che la verità condanna.
Ma, è lecito per questo motivo desistere da un simile impegno?
Osserva come lo stesso Apostolo pungoli Timoteo, affinché non abbassi il tono dell'annuncio solo perché ai suoi ascoltatori non è carezzevole la predicazione della verità : Ti scongiuro - dice - davanti a Dio e a Cristo Gesù, che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina. ( 2 Tm 4,1-2 )
Chi mai, ascoltando queste parole, se è servo fedele di Dio, se non è operaio ipocrita, rallenterà il suo zelo e la sua costanza?
Chi oserà, davanti a una simile dichiarazione, mostrarsi indolente?
In questa faccenda, dunque, la tua parlantina non ci disturba affatto!
Noi predichiamo nient'altro che questo, con l'aiuto del Signore nostro Dio: l'utilità, la pietà, la santità dell'unità cristiana; noi predichiamo, per chi lo vuole, in modo opportuno, e per chi si oppone, in modo inopportuno; e con tutte le forze possibili noi mostriamo che tale questione, sorta fra noi e il partito di Donato, è già stata risolta da molto tempo, e siamo in grado di dire a favore di chi e contro chi è stata data!
Riconoscano una buona volta in se stessi il nome e il crimine del loro contendere pieno di animosità, poiché o con ostinata astuzia offrono il loro appoggio alla falsità o con gelosa presunzione mettono il loro linguaggio al servizio della verità.
Due modelli di contestatori che l'Apostolo ha così tratteggiato: il primo, nella persona di Alessandro, del quale dice: Alessandro, il ramaio, mi ha procurato molti mali.
Il Signore gli renderà secondo le sue opere; guàrdatene anche tu, perché è stato un accanito avversario della nostra predicazione; ( 2 Tm 4,14-15 ) il secondo, in coloro di cui dice: Alcuni, al contrario, predicano Cristo anche per invidia e spirito di contesa, con intenzione non pura, pensando di aggiungere dolore alle mie catene. ( Fil 1,15-17 )
Senza alcun dubbio questi ultimi annunziavano lo stesso messaggio di Paolo, benché non con gli stessi sentimenti, con la stessa volontà, non con la stessa carità ma per invidia, come disse lui, e per spirito di contesa, volendo nel loro orgoglio primeggiare anche nella predicazione e anteporsi all'apostolo Paolo.
Il quale, da parte sua, non ne soffriva, anzi, ne gioiva vedendo che quel messaggio, che desiderava intensamente di far conoscere in un raggio sempre più ampio, era predicato da loro: Ma questo - soggiunge - che importa?
Purché in ogni maniera, per ipocrisia o per sincerità, Cristo venga annunziato. ( Fil 1,18 )
Essi non avevano la rettitudine del suo cuore, poiché mancavano di intenzione sincera ed agivano per spirito di rivalità; tuttavia annunziavano la verità, cioè Cristo.
Tu, pertanto, non potendo farti giudice delle cose intime del nostro cuore, lìmitati a controllare se resistiamo alla verità o desideriamo con tutte le forze confutare coloro che resistono alla verità.
Senza alcun dubbio, se ci sforziamo di persuadere ad accogliere la verità e respingiamo l'errore, anche se lo facessimo non con la verità della propria retta intenzione, ma per ottenere un vantaggio in questo mondo e la gloria degli uomini, gli amici della verità devono rallegrarsene, perché con questo pretesto si annunzia la verità, come dice l'Apostolo: Anche di questo io mi rallegrerò. ( Fil 1,18 )
Se al contrario - Dio lo sa benissimo, e anche tu avresti potuto saperlo, secondo la capacità umana, se vivessi con noi - noi ci dedichiamo con sollecita carità alla fatica che reclama questo servizio, penso che sia ingiusto biasimare il nostro ministero, se lottiamo con fervore di spirito per la verità contro qualsiasi avversario della verità.
Se voi considerate contestatore e violento seminatore di discordie chi si impegna ad aprire o sostenere contro qualcuno una disputa animata, considerate allora che cosa si deve pensare dello stesso Signore Gesù Cristo e dei suoi servi, i Profeti e gli Apostoli!
Il Signore stesso, il Figlio di Dio, tenne forse discorsi sulla verità solo con i discepoli o le folle che credevano in lui, oppure anche con i nemici che gli tendevano insidie, lo criticavano, l'interrogavano, lo combattevano, lo maledivano?
Egli ha forse disdegnato di discutere perfino con una donna sola la questione della preghiera contro il parere o l'eresia dei samaritani? ( Gv 4,20-21 )
Ma lui sapeva in precedenza - ribatti tu - che quella avrebbe creduto.
Che cosa? E quante cose non ha rinfacciato apertamente e ripetutamente contro i Giudei, i Farisei, i Sadducei che, non solo non avrebbero assolutamente creduto, ma lo avrebbero contraddetto e perseguitato con tutte le forze?
Non li ha forse interrogati quando volle e su ciò che volle, per confonderli attraverso le loro risposte?
Quando gli ponevano domande insidiose per metterlo in difficoltà e con la sua replica li zittiva, non ha forse risposto senza alcuna ambiguità? ( Mt 22, 15-23.41-46; Lc 20,20-27 )
Ora, non si legge da nessuna parte che, nel corso di queste sue dispute, qualcuno di loro si sia convertito e lo abbia seguito.
Certamente il Signore sapeva, nella sua prescienza, che nulla di quanto diceva ad essi, o in loro favore o contro di loro, avrebbe giovato alla loro salvezza.
Ma egli, forse, ci ha confortati con il suo esempio, noi che non siamo in grado di conoscere in anticipo la futura fede o mancanza di fede degli uomini; altrimenti, se talvolta predichiamo a cuori impenetrabili e corrotti senza ottenere alcun frutto di salvezza, potremmo scoraggiarci e desistere dal predicare con insistenza, perché è una pena lavorare a vuoto.
Che dire poi del diavolo stesso? Non solo Dio, ma neppure alcun uomo può dubitare che lui, mai e poi mai, si convertirà alla giustizia; eppure il Figlio di Dio, di fronte ai suoi attacchi insidiosi e alle questioni capziose che gli opponeva desumendole dalle sante Scritture, gli rispose confutandolo per mezzo delle sante Scritture, né giudicò indegno di lui, il Cristo, avere un dialogo con Satana sulle sacre Scritture. ( Mt 4,3-10 )
Non prevedeva forse con certezza che le sue parole, infruttuose per i Giudei e per il diavolo, sarebbero state di grande utilità per i pagani che avrebbero creduto?
Leggiamo che anche i Profeti furono inviati a uomini talmente disobbedienti che Dio stesso, colui appunto che inviava i Profeti, prediceva al tempo stesso che coloro ai quali Lui li inviava non avrebbero obbedito alle loro parole.
Non considero il fatto che essi, in forza dello spirito profetico, prevedessero senz'altro anche questo, e cioè che sarebbero state disprezzate le loro parole; pur tuttavia essi continuavano a parlare loro con tutto il loro veemente ardore.
Lo dice in modo chiarissimo il Signore al profeta Ezechiele: Va', entra nella casa d'Israele e riferisci loro le mie parole, poiché tu non sei inviato a un popolo dal linguaggio ignoto e di lingua barbara, ma alla casa d'Israele: non a grandi popoli dal linguaggio astruso e di lingua barbara, dei quali tu non comprendi le parole.
Se a loro ti avessi inviato, ti avrebbero ascoltato; ma gli Israeliti non vogliono ascoltare te, perché non vogliono ascoltare me; tutta la casa d'Israele è di dura cervice e di cuore ostinato.
Ma io ti ho dato una fronte dura quanto la loro fronte e renderò forte il tuo combattimento contro il loro. ( Ez 3,4-8 )
Ecco, un servo di Dio è inviato con l'ordine di parlare a individui che non lo avrebbero ascoltato, e colui che lo inviava con l'ordine di parlare era il Signore, che prediceva anche il loro rifiuto di ascoltare.
Per qual motivo, per il bene di chi, per qual frutto, per quale risultato costui viene inviato al combattimento della predicazione della verità contro coloro che lo osteggeranno e gli disobbediranno?
Ci sarà forse qualcuno che avrà il coraggio di dire che i santi Profeti di Dio furono oggetto dello stesso biasimo che tu hai lanciato contro di me con quelle parole: " Se tu sai che la questione di cui si tratta non può essere risolta da te, perché ti affatichi invano?
Perché ti imbarchi in una impresa inutile? Perché questa diatriba del tutto superflua e senza frutto?
Non è un grossolano errore voler spiegare ciò che non sei in grado di spiegare, dal momento che anche la Legge ti avverte: Non occuparti delle cose misteriose e non indagare ciò che trascende le tue capacità; ( Sir 3,22 ) e ancora: L'uomo litigioso prepara liti e l'uomo iracondo dilata il peccato "? ( Sir 28,11 )
Certamente non dirai queste cose a Ezechiele, il quale è inviato con la parola di Dio a dar battaglia contro coloro che si rifiutano di obbedire, contro coloro che pensano, dicono e fanno sempre il contrario.
Se tu infatti gli parlassi così, forse ti risponderebbe con la risposta degli Apostoli agli stessi Giudei: A chi si deve obbedire?
A Dio oppure agli uomini? ( At 5,29 ) Questa è la risposta che anch'io darei a te.
A questo punto, se mi solleciti a mostrarti quando Dio ha ordinato anche a me di fare ciò che tu mi proibisci, ricordati che le Lettere degli Apostoli non sono state scritte soltanto per coloro che le ascoltavano quando erano state composte, ma anche per noi: non per altro motivo infatti si leggono in chiesa.
Considera anche ciò che dice l'Apostolo: Volete forse una prova che Cristo parla in me?, ( 2 Cor 13,3 ) e ricorda adesso, non ciò che Paolo, ma ciò che Cristo ha detto per mezzo di Paolo, un testo che ho citato poco sopra: Predica la parola, insisti a tempo opportuno e inopportuno, ( 2 Tm 4,2 ) con ciò che segue.
Nota anche ciò che disse a Tito, quando spiegava i requisiti necessari per il vescovo: gli raccomandava anche la perseveranza nell'insegnamento conforme alla dottrina della parola autentica: Perché sia in grado di esortare con la sua sana dottrina e di confutare coloro che contraddicono.
Vi sono, infatti, soprattutto fra quelli che provengono dalla circoncisione, molti spiriti insubordinati, chiacchieroni e seduttori.
A questi tali bisogna chiudere la bocca. ( Tt 1,9-11 )
Non dice dunque che sono tali soltanto quelli che provengono dalla circoncisione, ma questi tali sono soprattutto loro.
Tuttavia, affermò con un mandato inesorabile che il vescovo deve, secondo la sana dottrina, confutare e respingere anche i ciarlatani e gli imbroglioni.
Riconosco che anche a me è stato affidato questo mandato, ed è quanto mi sforzo di fare secondo le mie forze; in questa opera insisto con perseveranza, nella misura in cui mi aiuta colui che me lo ha imposto.
Perché ti opponi e fai ostruzionismo, perché proibisci e rimproveri? Si deve obbedire a te o a Dio? ( At 5,29 )
A meno che tu non pretenda che questi testi, i quali ho tratto dalle sante Scritture, si debbano intendere in un senso che i vostri osservano di fatto e per cui li lodi, in base al quale soltanto nella Chiesa i popoli devono apprendere i precetti della Legge.
Tu pensi forse che in essa si debbano correggere e convincere coloro che la pensano diversamente, cosicché ciascun dottore si accontenti di emendare l'errore dei suoi solo attraverso la discussione e la predicazione; se invece insiste nel fare altrettanto con coloro che sono al di fuori, lo si dovrà considerare un fanatico, un attaccabrighe e un litigioso: " poiché lo stesso Ezechiele - dici tu - e gli altri profeti erano inviati con le parole di Dio al loro popolo, Israeliti cioè agli Israeliti ".
Anche a questo ti rispondo. L'ho già ricordato sopra: lo stesso Signore Gesù, che si propose come esempio ai suoi discepoli, non disdegnò di esporre la verità e di rispondere sopra la Legge non solo ai Giudei, ma anche ai Farisei, ai Sadducei, ai Samaritani e allo stesso Demonio, principe di tutti gli inganni ed errori.
Ma, perché tu non creda che il Signore poteva permettersi questo, mentre ai suoi servi non era concesso, ascolta ciò che si legge negli Atti degli Apostoli: Un tale Giudeo, chiamato Apollo, nativo di Alessandria, versato nelle Scritture, giunse ad Efeso.
Questi era stato ammaestrato nella via del Signore e pieno di fervore parlava e insegnava esattamente ciò che si riferiva a Gesù, sebbene conoscesse soltanto il battesimo di Giovanni.
Egli intanto cominciò a parlare francamente nella sinagoga.
Priscilla e Aquila lo ascoltarono, poi lo presero con sé e gli esposero con maggiore accuratezza la via di Dio.
Poiché egli desiderava passare nell'Acaia, i fratelli lo incoraggiarono e scrissero ai discepoli di fargli buona accoglienza.
Giunto colà, fu molto utile a quelli che per opera della grazia erano divenuti credenti; confutava infatti vigorosamente i Giudei, dimostrando pubblicamente attraverso le Scritture che Gesù è il Cristo. ( At 18,24-28 )
Che ne dici di costui? Che ne pensi? Lo potrete forse accusare di essere un tipo litigioso, un fanatico sobillatore, un seminatore di discordia, a meno che non vogliate essere calpestati dall'autorità di un Libro così santo?
Non sarà forse perché costui, avendo creduto in Cristo pur essendo un Giudeo, doveva per questo ripudiare pubblicamente i Giudei che combattevano la fede cristiana e negavano che Gesù era il Cristo, mentre noi, perché non siamo mai stati membri del partito di Donato, non possiamo confutare il partito di Donato che lotta contro l'unità cristiana?
L'apostolo Paolo è mai stato cultore degli idoli, ha mai seguito l'eresia degli Epicurei o degli Stoici, con i quali tuttavia né si vergognò né fu riluttante ad avere un dibattito sulla questione del Dio vivo e vero?
Ascolta che cosa è scritto al riguardo nel medesimo libro: Mentre Paolo li attendeva ad Atene, fremeva nel suo spirito al vedere la città piena di idoli.
Discuteva frattanto nella sinagoga con i Giudei, con i pagani e i credenti in Dio e ogni giorno sulla piazza principale con quelli che incontrava.
Anche certi filosofi epicurei e stoici discutevano con lui e alcuni dicevano: "Che cosa vorrà mai insegnare questo ciarlatano? ".
E altri: " Sembra essere un annunziatore di divinità straniere ". ( At 17,16-18 )
Come vedi, l'apostolo Paolo non disdegna di intrattenersi con gli Stoici e gli Epicurei, eresie non solo diverse dalla sua dottrina, ma anche opposte fra loro.
Egli discute con essi non solo al di fuori della chiesa, ma anche al di fuori della sinagoga; e le loro credenze non lo intimoriscono affatto né gli fanno abbandonare, sotto il pretesto di evitare liti e dispute, la predicazione della verità cristiana.
Infatti, osserva che cosa la santa Scrittura dice nel testo che segue: Presolo con sé, lo condussero sull'Areòpago e dissero: " Possiamo dunque sapere qual è questa nuova dottrina predicata da te?
Cose strane davvero ci metti negli orecchi; desideriamo dunque conoscere di che cosa si tratta ".
Tutti gli Ateniesi infatti e gli stranieri colà residenti non avevano passatempo più gradito che parlare e sentir parlare.
Allora Paolo, alzatosi in mezzo all'Areòpago, disse: " Cittadini ateniesi, vedo che in tutto siete molto timorati degli dèi.
Passando infatti e osservando i monumenti del vostro culto, ho trovato anche un'ara con l'iscrizione: Al Dio ignoto.
Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio, ( At 17,19-23 ) ed anche ciò che segue, ma sarebbe troppo lungo citarlo per intero.
Comunque, per la questione che stiamo trattando, è sufficiente che tu faccia attenzione, te ne prego, a questo fatto: un Ebreo, figlio di Ebrei, un Apostolo di Cristo parla non solo all'interno di una sinagoga ebraica, o in una chiesa cristiana, ma nell'Areopago degli Ateniesi, che fra i Greci sono veri campioni in fatto di dialettica e di empietà.
Da lì sorsero le sètte filosofiche più ciarlatane, di cui molte, per esempio gli Stoici che ho appena rammentato, disputano, più che sulle idee, sulle parole: esattamente ciò che l'Apostolo ha vietato a Timoteo, dicendo che questo serve solo per la rovina dei suoi uditori. ( 2 Tm 2,14 )
È di questo, tu lo sai bene, che Tullio ha detto: Le dispute verbali da molto tempo tormentano quei meschini di Greculi, più avidi di battibecchi che di verità.2
Nonostante ciò, il nostro Paolo si prese cura di parlare e correggere costoro, per nulla intimorito dal nome stesso del luogo in cui si trovava, che trae il suo nome da Marte, chiamato il dio della guerra.
Là parlava intrepido, annunciando parole di pace a coloro che erano disposti a credergli; là, rivestito delle armi spirituali, espugnava errori nefasti.
A quest'uomo mitissimo non facevano paura coloro che lo combattevano, né quest'uomo semplicissimo era intimidito dai sottili ragionatori con la loro dialettica.
Tu sai bene come fiorì in sommo grado la dialettica presso gli Stoici, benché anche gli stessi Epicurei, che non solo non si vergognavano di ignorare le arti liberali, ma se ne compiacevano, si vantavano di possedere ed insegnare a loro volta alcuni principi della dialettica, il cui impiego avrebbe evitato ogni sorpresa.
Del resto, che cosa è la dialettica, se non l'abilità nel discutere?
Ho creduto opportuno fornire questa spiegazione, poiché tu mi hai rinfacciato l'uso della dialettica, quasi non sia adeguata alla verità cristiana, e pertanto i vostri dottori a buon diritto hanno pensato bene di snobbarmi, anzi di evitarmi, considerandomi un semplice dialettico, anziché pensare di confutarmi e vincermi definitivamente.
Essi evidentemente non sono riusciti a convincerti, dal momento che tu non hai rinunciato a disputare con noi, anche per iscritto; tuttavia mi accusi di fare della pura dialettica al fine di confondere gli ignoranti e di lodare coloro che non hanno accettato di venire a disputare con me.
Tu, naturalmente, non ti servi della dialettica scrivendo contro di noi.
Ma, allora, perché ti sei cacciato in un simile pericolo di disputare, se non sai discutere?
Se invece tu sai discutere, perché - come dialettico - te la prendi con la dialettica?
Sei così temerario o ingrato da non riuscire a frenare una ignoranza che ti fa battere in ritirata o di accusare una scienza che ti aiuta?
Io ho qui sotto gli occhi il tuo scritto, proprio quello che mi hai inviato; vedo che tu spieghi determinati concetti con stile ridondante e ricercato - diciamolo pure: eloquente - , altri invece sono sviluppati con sottile arguzia, cioè con arte dialettica, e tuttavia biasimi l'eloquenza e la dialettica.
Se esse sono dannose, perché te ne servi? Se non lo sono, perché le attacchi?
Ma, suvvia, non lasciamoci tormentare anche noi da una disputa sulle parole: quando si comprende bene la sostanza della cosa, non si deve penare sul nome con cui gli uomini hanno voluto chiamarla.
Pertanto, se si deve chiamare eloquente non solo chi parla con parola faconda e fiorita, ma anche vera; se a sua volta si deve chiamare dialettico il filosofo che disquisisce non solo con ragionamento sottile, ma anche giusto, tu non sei né eloquente né dialettico; e non perché la tua parola sia vacua e disadorna, o la tua dialettica sia senza vigore e finezza, ma perché impieghi la stessa facondia e abilità per difendere il falso.
Se, invece, si ha il diritto di parlare di eloquenza e di dialettica non solo a proposito della verità, ma anche quando si tratta una causa sbagliata in uno stile elegante e vigoroso, tu sei senz'altro eloquente e dialettico, poiché esprimi con talento idee inconsistenti e difendi con acume idee false. Ma esaminerò il tuo caso.
È un dato accertato che gli Stoici furono sommi dialettici.
Perché dunque l'apostolo Paolo non avrebbe dovuto evitarli con la massima cautela per non imbattersi con le loro disquisizioni, dal momento che lodi i vostri vescovi perché non accettano di discutere con noi, come se fossimo dei dialettici?
Se poi anche Paolo era un dialettico, e quindi non temeva per nulla di discutere con gli Stoici, in quanto non si limitava ad imbastire ragionamenti sottili come i loro ma anche veritieri, che essi non sapevano esprimere, guàrdati bene dall'incriminare chiunque perché usa la dialettica, che tu stesso riconosci essere stata usata dagli Apostoli.
Infatti, se mi biasimi per questo, credo che tu non ti inganni per ignoranza, ma vuoi ingannare con astuzia.
" Dialettica " è un vocabolo greco che, se l'uso lo ammettesse, si potrebbe forse chiamare in latino " disputatoria ", così come " grammatica " corrisponde in latino a " letteratura ", secondo la denominazione adottata dai migliori esperti delle due lingue.
Come infatti le lettere dell'alfabeto hanno dato il loro nome alla grammatica, poiché in greco le " lettere " si chiamano γράμματα, così pure la dialettica prende il nome da " discussione ", poiché discussione si chiama in greco διαλογή o διάλεξις.
E come il grammatico dagli antichi è stato chiamato latinamente " litterator ", così la parola greca " dialettico " si dice in latino " disputator ", vocabolo molto più usato e accolto.
Non credo che ormai ti rifiuti di vedere nell'Apostolo il " disputator ", anche se rifiuti di vedere in lui il " dialettico ".
Ora, riprovare in greco ciò che sei costretto ad approvare in latino, che altro è se non tentare di indurre in errore gli ignoranti e fare torto ai dotti?
Se invece non vuoi vedere nell'Apostolo anche il " disputator ", che disputava in maniera così assidua ed egregia, tu non conosci né il greco né il latino, o, cosa che è più credibile, tu con una parola greca inganni coloro che ignorano il greco, e con una parola latina inganni coloro che non sanno neppure il latino.
C'è qualcosa, non dico di più incolto, poiché tu non manchi di saperlo, ma di fallace dell'intendere e leggere tali e così variegati discorsi dell'Apostolo, nei quali proclama la verità e confuta l'errore, e poi negare che lui avesse l'abitudine di disputare, quando ciò non si può fare se non discutendo?
E se riconosci che lui lo ha fatto abitualmente, poiché le sue lettere ti obbligano ad ammetterlo, perché sostieni allora che esse non si devono chiamare discussioni, ma discorsi o epistole?
E perché dovrei in tal caso dilungarmi su questo punto con te, in modo che coloro che ignorano queste distinzioni approvino uno di noi, e disapprovino l'altro?
Ciò che insegno lo traggo dalle divine Scritture, davanti alle quali ti devi inchinare; cito alla lettera le stesse parole, gli stessi nomi delle cose.
Ecco, nel medesimo testo degli Atti degli Apostoli che ho richiamato, hai a disposizione una frase proprio su Paolo: Discuteva frattanto nella sinagoga con i Giudei e sulla piazza principale con i pagani e i credenti in Dio. ( At 17,17 )
Ed ecco un altro testo: benché lui svolgesse la sua attività con il popolo cristiano in mezzo all'assemblea dei fratelli, così è scritto: Un ragazzo chiamato Eutico, che stava seduto sulla finestra, fu preso da un sonno profondo mentre Paolo continuava a conversare. ( At 20,9 )
Ed ecco ancora il libro dei Salmi: A lui sia gradita la mia discussione. ( Sal 104,34 )
Lo trovi anche nel profeta Isaia: Venite, discutiamo, dice il Signore. ( Is 1, 18 sec. LXX )
E in molti altri testi delle divine Scritture, leggi dove troverai questa parola e consulta attentamente i codici greci su queste stesse testimonianze delle sante Scritture: vedrai da dove deriva la parola " dialettica ".
Anche ciò che fanno tutti i giusti con Dio, ai quali è detto: Venite, discutiamo, dice il Signore, tu non mancherai di imitare con saggezza e pietà, anziché biasimare con insulsa leggerezza.
Chi infatti discute, lo fa per discernere il vero dal falso.
Coloro che non sono in grado di farlo, e tuttavia vogliono passare per dialettici, pongono domande insidiose per carpire il consenso degli incauti e trarre dalle loro risposte delle deduzioni, con cui ridicolizzarli per l'errore evidente in cui sono caduti, oppure li ingannano facendo loro credere un errore latente, che per lo più anch'essi scambiano per verità.
Invece il vero dialettico, cioè colui che discerne il vero dal falso, comincia con il premunirsi interiormente dal fare false distinzioni: risultato che non può raggiungere senza l'aiuto di Dio.
Poi, quando propone agli altri le sue acquisizioni personali, cerca di individuare prima di tutto le certezze che essi hanno già conosciuto, per condurli da qui verso ciò che essi o ignoravano o non volevano credere, mostrando loro che tutto ciò discendeva da quello che essi, per scienza o per fede, già possedevano.
In tal modo, con simile procedimento, le verità su cui essi si trovano in pieno accordo li obbligano a riconoscere le altre verità che avevano negato; e così il vero che antecedentemente era ritenuto falso, si distingue dal falso, quando si scopre che è in accordo con quella verità che già antecedentemente si riteneva tale.
Indice |
1 | Platone, Leggi, XI 937e-938c |
2 | Cicerone, De orat. 1, 11, 47 |