Contro Giuliano |
Hai invocato l'aiuto di una massa di filosofi affinché, non potendolo fare la naturale abilità delle bestie, venissero in soccorso alla tua protetta almeno gli errori di uomini dotti.
Chi non vede però come il tuo appellarti a uomini dotti e a sette diverse è solo ostentazione di sapere, se non appena legge le tue parole scopre che non hanno nulla a che fare con i problemi che ci riguardano?
Chi può infatti ascoltare i filosofi da te ricordati: Talete di Mileto, uno dei sette sapienti, Anassimandro, Anassimene, Anassagora, Senofane, Parmenide, Leucippo, Democrito, Empedocle, Eraclito, Melisso, Platone, i Pitagorici, ciascuno con la propria soluzione dei problemi naturali?
Chi può, dico, ascoltare tutto questo, soprattutto se si tratta di gente non erudita, qual è la maggioranza degli uomini, senza restare stupito dallo strepito dei nomi e delle scuole riunite insieme e senza giudicarti grande, per il fatto che hai potuto imparare tante cose?
Questo tu vuoi. Limitandoti in effetti a citare tanti nomi alla rinfusa che nulla hanno a che fare con i problemi di nostro interesse, non hai detto assolutamente nulla.
Avevi preannunciato di dire queste cose e poi hai scritto: "Tutti i filosofi, benché insegnavano altro nelle scuole, pur adorando gli idoli come la plebe, nel compiere ricerche sulle cause naturali, tra tante futilità, hanno tuttavia come intravisto alcune porzioni di verità, che, pur evanescenti per la loro nebulosità, giustamente possono essere anteposte al vostro domma contro cui stiamo combattendo".
Per provarlo hai creduto dover aggiungere i nomi dei filosofi e dei fisici che anch'io or ora ho citato, con le opinioni che hanno avuto sulle cause naturali, ma non hai voluto o non hai potuto ricordarli tutti.
Nessun uomo di dottrina dubita che in questo hai ingannato solo gli inesperti.
Avevi cominciato a dimostrare "che tutti i filosofi che hanno tentato di fare ricerche sulle cause naturali, giustamente possono essere preferiti al domma contro cui dovevi combattere".
Perché allora, per non parlare di molti altri, nel ricordare Anassimene ed il suo discepolo Anassagora, hai taciuto l'altro discepolo Diogene, il quale, sui fenomeni naturali, ha avuto opinioni diverse da quelle del maestro e del discepolo e ha proposto un proprio sistema?
E se avesse pensato qualcosa che non potesse essere preferito a noi, a cui, a tuo dire, debbono essere preferiti tutti coloro che hanno espresso teorie sulla natura delle cose?
E se, per dimostrare questo, ti fossi gonfiato insipientemente, ricordando a vuoto il nome e le tesi dei filosofi?
Ne hai saltato uno che avresti dovuto esaminare più attentamente per la sua connessione con il maestro e il condiscepolo.
Hai avuto forse timore che fosse scambiato con Diogene il Cinico, o che, portando lo stesso nome, ai lettori venisse in mente costui che è stato più di te protettore della libidine, giacché non si vergognava di praticarla in pubblico, ragione per cui la sua setta ha preso il nome dai cani.
Tu invece ti professi difensore della libidine, ma nel contempo arrossisci della tua protetta, che non si addiceva alla fede ed alla libertà del protettore.
Dimmi, ti prego: se era tuo desiderio anteporre a noi i filosofi, per qual motivo non hai parlato di quelli che con molta ingegnosità hanno disputato dei costumi nella parte della filosofia che essi chiamavano "etica" e noi "morale"?
Questo infatti sarebbe stato molto congruente con te che reputi il piacere del corpo un bene dell'uomo, sia pure inferiore alla bontà della mente.
Ma chi non vede le tue intenzioni? Hai cercato di evitare che, proprio sulla questione del piacere, ti possano schiacciare quei filosofi più onesti, che Cicerone ha chiamato "consolari" per la loro onorabilità e magari gli stessi stoici, acerrimi nemici del piacere, la cui testimonianza hai creduto di poter riferire dalla persona di Balbo nel dialogo del medesimo Cicerone, testimonianza senz'altro vera ma perfettamente inutile alla tua causa.
Volendo nascondere la loro convinzione che il piacere del corpo non costituisce alcun bene per l'uomo, non hai ricordato nulla del problema morale, né nomi né dottrina di filosofi, cosa che sarebbe stata molto pertinente alla nostra questione, se qualcosa si poteva provare dai filosofi.
Contro costoro infatti non avrebbe potuto difenderti, non dico Epicuro, che ha riposto tutto il bene dell'uomo nel piacere del corpo, giacché non pensi, come lui, ma neppure Dinomaco, la cui filosofia ti è piaciuta.
Egli pensava di poter unire il piacere all'onestà, e che, al pari dell'onestà, il piacere potesse essere appetibile di per se stesso.23
Ritenendola ostile a te, hai avuto paura di toccare questa parte riguardante i costumi.
Vedi bene che proprio in ciò che costituisce il culmine della nostra controversia, quali e quanti filosofi e di quale straordinaria fama tra le genti sono preferiti a te.
Pensa soprattutto a Platone che Cicerone non dubita di chiamare quasi dio dei filosofi.24
Tu stesso non hai potuto fare a meno di citarlo quando hai voluto metterci contro o preferire a noi le teorie naturalistiche dei filosofi anziché quelle moralistiche.
E non dimenticare che Platone giustamente e significativamente ha detto che i piaceri sono l'allettamento e l'esca dei mali.
Hai forse ritenuto necessario ricordare quanto i filosofi da te citati pensavano della condizione dell'uomo, perché anch'esso è attinente alla questione naturale ed in qualche modo lo richiedeva la nostra causa? Non l'hai fatto ed a ragione.
Cosa infatti essi avevano imparato ed insegnato del primo uomo Adamo e di sua moglie, della loro prima caduta, dell'astuzia del serpente o della loro nudità, senza vergogna prima del peccato e con vergogna subito dopo?
Cosa infine avevano sentito delle parole dell'Apostolo: per opera di un solo uomo il peccato entrò nel mondo e attraverso il peccato la morte; così la morte passò a tutti gli uomini, perché in lui tutti peccarono? ( Rm 5,12 )
Ignari di queste parole e di questa verità, cosa avrebbero potuto sapere?
In verità, se circa la condizione dell'uomo hai ritenuto doveroso non citare per niente le teorie degli uomini molto lontani dalle nostre Sacre Scritture, ed hai pensato molto bene: quanto meno avrebbero potuto esserti di aiuto le parole citate da te riguardanti le loro opinioni sull'inizio di questo mondo visibile, problema intorno a cui non c'è controversia alcuna tra di noi?
La tua mente piuttosto è sconvolta dalla vanità dell'orgoglio, come se avessi appreso chissà che cosa dai libri dei filosofi.
Non sembra, però, che si siano avvicinati invano alla fede cristiana quelli che, vedendo questa vita piena di inganni e di miserie, hanno pensato che tutto fosse avvenuto per disegno di Dio, riconoscendo invero la giustizia al Creatore, da cui è stato fatto ed è governato questo mondo.
Quanto hanno pensato meglio di te ed in maniera più aderente alla verità sull'origine dell'uomo, i filosofi che Cicerone, quasi guidato e spinto dall'evidenza stessa della verità, ha citato nell'ultima parte del dialogo dell'Ortensio.
Dopo aver detto molte cose sulla vanità ed infelicità dell'uomo, come vediamo e lamentiamo: Per questi errori e contrarietà della vita umana, egli dice, è successo che talvolta nell'antichità i vati o gli espositori delle sacre iniziazioni e della mente divina, dànno l'impressione di avere intravisto qualcosa, dal momento che affermano che siamo nati per scontare pene contratte per qualche delitto commesso in una vita precedente.
Per la stessa ragione è accaduto che noi siamo in certo modo colpiti da un supplizio, descritto da Aristotele, simile a quello che subivano coloro che un tempo cadevano nelle mani dei predoni etruschi.
I poveretti venivano uccisi con una crudeltà raffinata: i loro corpi vivi erano legati il più stretto possibile ai cadaveri, facendo combaciare l'uno all'altro.
Come i vivi ai cadaveri, le nostre anime sono unite ai corpi.25
Quelli che pensavano in questo modo non hanno visto forse meglio di te il grave giogo posto sul figli di Adamo, nonché la potenza e la giustizia di Dio, anche se non hanno potuto intravedere la grazia, concessa dal Mediatore per la liberazione dell'uomo?
Ecco quindi che, su tua istigazione, ho trovato dagli scritti dei filosofi qualcosa che può essere realmente anteposto a te, che in essi non hai potuto trovare nulla di simile e non hai voluto tacere per esortarmi a trovare quello che va contro di te.
Come puoi ritenere favorevole a te una testimonianza dell'Apostolo che è contro di te, e, senza sapere quello che dici, dichiarare vergognose le nostre membra che prima del peccato erano nude e non ingeneravano turbamento?
Ho dovuto usare infatti la medesima testimonianza dell'Apostolo che hai usato tu: quelle membra del corpo che ritieniamo le più deboli, sono molto più necessarie ( 1 Cor 12,22 ) e tutte le altre parole che hai aggiunto per noi.
Vale la pena però di considerare come sei arrivato a dire: "È tempo ormai di far vedere sull'autorità della Legge, oltre che sulla evidenza della natura, che le nostre membra sono state formate in modo tale che alcune godessero di una libertà ed altre fossero coperte da pudore.
A conferma sia citato il maestro dei gentili, che scrivendo ai Corinzi, dice: Il nostro corpo non è composto di un membro solo, ma di molte membra". ( 1 Cor 12,12 )
Dopo aver citato le parole con cui l'Apostolo spiega mirabilmente l'unità e la concordia delle membra, scrivi: "Avendo nominato poche membra di tutto il corpo, per pudore non ha voluto nominare i genitali".
Ma con queste parole non rimproveri te stesso?
Era pudore dunque non nominare direttamente quello che Dio rettamente si era degnato di fare?
Poteva il banditore vergognarsi di proclamare ciò che il Giudice stesso non si era vergognato di creare?
Non è meglio dire che quelle membra che Dio aveva create oneste, noi le abbiamo rese disoneste con il peccato?
Su questo argomento aggiungi la testimonianza dell'Apostolo che si esprime, ce lo ricordi, in questi termini: Quelle membra del corpo che riteniamo le più deboli, sono molto più necessarie, e quelle che stimiamo le meno nobili del corpo, sono quelle che circondiamo di un più grande onore, e le nostre membra meno decenti sono trattate con decoro maggiore; al contrario, quelle oneste non ne hanno bisogno.
Iddio ha composto il corpo in modo da dare maggiore onore a ciò che ne manca, affinché non vi sia divisione nel corpo ma le membra siano vicendevolmente sollecite del bene comune. ( 1 Cor 12,22-25 )
Subito dopo, qual vincitore, esclami: "Ecco uno che ha veramente compreso l'opera di Dio, ecco un fedele predicatore della sua sapienza: le nostre membra meno decenti sono trattate con maggiore onore".
Hai creduto di poter legare tutta la tua causa ad una sola parola che dici di aver letto nell'Apostolo: le membra meno decenti.
Se avessi letto invece: le nostre membra disoneste, non ti saresti servito affatto di questa testimonianza.
In nessuna maniera infatti, e tanto meno prima del peccato, Dio avrebbe potuto creare qualcosa di disonesto nelle membra del corpo umano.
Impara pertanto quello che ignori non avendo voluto indagare con diligenza.
L'Apostolo ha scritto: disoneste, ma alcuni traduttori, tra i quali, penso, quello che è stato letto da te, per vergogna, credo, hanno chiamato meno decenti quelle membra che l'Apostolo aveva dichiarate disoneste.
Lo si prova dalle parole stesse scritte nel codice da cui le hai tradotte.
La parola intesa da te come meno decenti, in greco suona: άσχήμονα.
Le parole che seguono: sono circondate da maggiore onore in greco suonano εύσχημοσύνην che integralmente vengono interpretate onestà.
Ne segue che ad άσχήμονα si deve dare il significato di disoneste.
L'altra aggiunta, infine: quelle oneste in greco suonano εύσχημονα, donde appare chiaro che le membra che sono state chiamate άσχήμονα sono disoneste.
Ma, all'infuori di ogni considerazione delle parole greche, avrebbe dovuto parlarti chiaramente il fatto che sono dette disoneste quelle parti del corpo che copriamo con maggiore cura, mentre sono dette oneste le parti del corpo che non hanno bisogno di essere coperte.
Quale significato avrebbero infatti le parole quelle oneste non ne hanno bisogno, se non che sono disoneste quelle parti che hanno bisogno di essere coperte?
Si adopera l'onestà quindi con le cose disoneste allorquando queste sono ricoperte per quel senso di verecondia della natura ragionevole.
La loro onestà ed il loro onore è la copertura, tanto più abbondante quanto più disoneste sono le parti.
L'Apostolo non avrebbe scritto tali parole se avesse descritto il corpo quale l'uomo lo possedeva quando era nudo e non si vergognava.
Vedi pertanto con quanta impudenza hai detto che "all'inizio gli uomini erano nudi perché il coprirsi appartiene alla umana ingegnosità che essi ancora non avevano".
Ne seguirebbe che prima del peccato erano inetti e dopo il peccato sono diventati ingegnosi.
Dopo aver detto queste e molte altre idiozie, quasi con eleganza ed acume concludi: "Non hanno reso i genitali disonesti o diabolici perché avevano peccato, ma, poiché avevano paura, hanno ricoperto quelle membra che restavano nella medesima onestà originaria".
Al che rispondo dicendoti che le membra non sono affatto diaboliche per quanto riguarda la loro sostanza, la loro forma, la loro qualità, tutte opere di Dio.
Se quelle membra però sono rimaste nella identica onestà primitiva, perché mai l'Apostolo le ha dette disoneste?
Giustamente tu stesso hai ammesso che prima erano oneste: non avresti potuto infatti pensare diversamente se non con blasfema opinione.
Quelle membra, quindi, che Dio aveva fatto oneste, l'Apostolo le ha chiamate disoneste.
Ti domando il motivo. Se non è avvenuto a causa del peccato, per quale altro motivo è avvenuto?
Chi ha reso disoneste le opere oneste di Dio cosicché l'Apostolo le chiamasse disoneste?
È stato, forse, il nostro modo di essere nel quale si vede la ingegnosità del Creatore o la libidine nella quale c'è la pena del peccatore?
Anche adesso, infatti, ciò che Dio vi compie è onesto, mentre ciò che l'origine vi contrae è disonesto.
Pur tuttavia, affinché non ci siano divisioni nel corpo, Dio ha dato al senso naturale il dono che le membra siano sollecite le une per le altre e che le parti rese disoneste dalla concupiscenza siano ricoperte dal pudore.
"Perché mai, tu dici, al suono della voce di Dio che passeggiava nel paradiso, Adamo e sua moglie si nascosero, se le cinture potevano bastare a coprire la nudità dei genitali di cui si vergognavano"? ( Gen 3,7-8 )
Ma che dici, quando non trovi niente da dire?
Non capisci che cercarono un nascondiglio il più recondito possibile perché erano trepidanti di fronte a Dio?
La copertura posta intorno ai lombi copriva l'eccitazione che essi sentivano in se stessi mentre arrossivano.
Se quando erano nudi non sentivano vergogna, ne segue che dopo il peccato si sono coperti perché si vergognavano.
enza dubbio era la vergogna della disonestà.
Le parole: Erano nudi, ma non sentivano mutua vergogna, ( Gen 2,25 ) sono state scritte perché apparisse chiaro che hanno coperto quelle membra proprio per la vergogna.
Qui, invece, nascondendosi in mezzo al paradiso, Adamo rispose: Ho sentito la tua voce mentre camminavi nel giardino e mi sono nascosto perché ero nudo. ( Gen 3,10 )
Lì c'era la manifesta vergogna, qui l'occulta coscienza, che dopo la caduta aveva portato internamente la manifesta vergogna; lì il frutto del pudore, qui del timore; lì la concupiscenza che imponeva il rossore, qui la coscienza che richiedeva la pena.
Come uno sciocco, nascondendo il corpo, credeva di sfuggire a Colui che guarda l'interno dell'anima.
Quale significato hanno le parole del Signore: Chi ti ha fatto sapere che eri nudo, se non il fatto che hai mangiato dell'albero del quale ti avevo comandato di non mangiare? ( Gen 3,11 )
Cos'altro può significare la rivelazione della nudità per aver mangiato il frutto proibito, se non che dal peccato era stato spogliato quello che la grazia ricopriva?
Grande, infatti, era la grazia di Dio laddove il corpo terreno ed animale non possedeva la bestiale libidine.
Colui che, rivestito della grazia non aveva nel corpo nudo di che vergognarsi, spogliato della grazia ha sentito la necessità di coprirsi.
"È necessario fuggire - scrivi ancora - l'opinione secondo la quale nelle membra dell'uomo o nei suoi sensi il diavolo ha creato qualcosa".
Perché ci contrapponi le tue stravaganti obiezioni? Il diavolo non ha creato nulla nella natura dell'uomo, ma, convincendolo al peccato, ha solo violato quello che Dio aveva creato buono, cosicché, per la ferita inferta dal libero arbitrio di due uomini, tutto il genere umano è diventato zoppo.
Ecco che circonda i tuoi sensi la miseria del genere umano.
Sei uomo, non ritenere estraneo a te nulla di ciò che è umano.26
Quello che non soffri tu, compatiscilo negli altri.
Per quanta felicità terrena possa avere a tua disposizione, neppure tu trascorri un giorno della tua vita terrena senza una lotta interna, se è vero che ti sforzi di porre in atto ciò che professi.
Quando non riesci più a ricordare, guarda i fanciulli; quali e quanti mali debbono soffrire; tra quante menzogne, tra quanti tormenti, tra quanti errori e paure crescono.
Quando sono cresciuti poi, e magari sono al servizio di Dio, l'errore li tenta ancora per ingannarli; li tentano la fatica o il dolore per spezzarli, la libidine per accenderli; la tristezza per prostrarli; il tifo per esaltarli.
E chi può spiegare rapidamente tutti i pesi con i quali è appesantito il giogo sui figli di Adamo?
L'evidenza di questa miseranda situazione, ha spinto i filosofi pagani, che nulla sapevano o credevano del peccato originale, ad affermare che siamo nati per espiare i peccati commessi in una vita precedente e che le nostre anime sono unite al corpo corruttibile alla maniera del supplizio a cui i predoni etruschi erano soliti condannare i prigionieri: uomini vivi legati a cadaveri!27
L'Apostolo tronca la credenza secondo cui le singole anime sono inserite nei diversi corpi in rapporto ai meriti di una vita precedente.
Che altro rimane, se non che la causa di questi mali sia l'iniquità o l'impotenza di Dio, oppure la pena del primo ed antico peccato?
Siccome, però, Dio non è né ingiusto né impotente, resta solo quello che non vuoi ma sei costretto ad ammettere: un gravame assegnato da Dio e un giogo pesante sui figli dell'uomo, dal giorno nel quale sono usciti dal seno della madre fino al giorno nel quale ritorneranno alla madre di tutti, ( Sir 40,1 ) non ci sarebbe stato se non ci fosse stato in precedenza il demerito del peccato originale.
Indice |
23 | Cicerone, De finibus 5; Tuscul. 5 |
24 | Cicerone, De nat. deorum 2.4; Ep. 16 (ad Atticum) |
25 | Cicerone, Ortensio, framm. |
26 | Terenzio, Heautont. 1, 1, 25 |
27 | Cicerone, Ortensio, framm. |