Contro Giuliano

Indice

Libro V

1.1 - Lamentele e insulti di Giuliano

L'ordine stesso delle cose mi chiede di passare ad esaminare il contenuto del tuo terzo libro, dopo avere risposto al primo ed al secondo.

Con la mia salutare fatica, per quanto il Signore me lo permetterà, risponderò al tuo pestilenziale lavoro.

Mi attengo naturalmente sempre allo stesso metodo di tralasciare tutto quello che non è pertinente con la nostra controversia, affinché i lettori di queste nostre opere non spendano più fatica e tempo nell'impresa di leggerle anziché nell'utilità dell'apprenderle.

Che necessità c'è di spendere altre parole contro quelle abituali e vuote, che hai posto all'inizio del tuo libro, "sull'avversione che vantate di sostenere per amore della verità e sul ristretto numero dei saggi a cui vi rallegrate di piacere"?

Questa infatti è la voce di tutti gli eretici, vecchi e nuovi, resa sporca e logora dall'uso stesso.

Ciò nonostante, di simili panni è costretta a rivestirsi la vostra grande superbia, che si dilata e si gonfia tanto da strapparli nel tentativo di ostentarli nella maniera più deforme.

Non è necessario respingere ancora una volta i tuoi calunniosi disprezzi con cui, dando l'impressione di colpire solo me personalmente, come un pazzo e come un cieco ti scagli e lanci offese contro tanti luminari della Chiesa Cattolica, pur tacendone i nomi.

Credo di aver risposto tanto esaurientemente ai tuoi primi due libri, che nessuno mi chiederà di più.

1.2 - La vana scienza degli eretici

Esageri "la difficoltà di conoscere la Sacra Scrittura" asserendo che "essa è riservata a pochi eruditi.

Conoscere, cioè, che Dio è creatore degli uomini e dell'universo, che è giusto, vero e pio, ed è il solo che arricchisce gli uomini con i suoi doni, e perciò l'unico e miglior motivo dell'impegno per il bene è, come tu dici, rendere onore a Dio".

Eppure non gli rendi tanto onore perché neghi che egli sia il liberatore dei fanciulli per opera di Cristo Gesù, che significa Salvatore, ed affermi che essi sono lavati dal suo battesimo senza conseguire la salvezza, come se non avessero bisogno di Cristo medico.

Questo perché Giuliano ha dato uno sguardo sagace alla vena dell'origine degli uomini e li ha dichiarati sani.

Quanto sarebbe stato meglio se non avessi imparato niente anziché agitarti tronfio in questa cosiddetta scienza della legge, sotto la guida non della legge di Dio, ma della vostra vanità, per giungere a questa empia presunzione nemica della fede cristiana e dell'anima tua.

1.3 - Risposta alle accuse di Giuliano

"La vostra tesi, tu scrivi, è talmente deforme e vuota che attribuite a Dio l'iniquità, al diavolo la creazione degli uomini, al peccato la sostanza ed ai bambini la coscienza senza la scienza".

Ti rispondo brevemente. La nostra tesi non è deforme poiché predica che il più bello tra i figli dell'uomo, ( Sal 45,3 ) è il Salvatore di tutti gli uomini e per questo anche dei bambini, e non è vuota poiché, non senza motivo, ma in conseguenza del peccato dice che l'uomo assomiglia ad un soffio ed i suoi giorni sono come ombra che passa. ( Sal 144,4 )

A Dio non attribuisce l'ingiustizia, ma la giustizia, poiché non ingiustamente i bambini sono colpiti da tali e tanti mali, come spessissimo vediamo.

Al diavolo non attribuisce la creazione degli uomini, ma solo la deformazione della loro origine.

Non attribuisce una sostanza al peccato, bensì l'atto ai primi uomini ed il contagio ai posteri.

Non attribuisce ai fanciulli la coscienza senza la scienza perché, dove non c'è scienza, non c'è neppure coscienza.

Colui nel quale tutti hanno peccato sa bene quello che ha fatto e che da lui ciascuno ha contratto il male.

1.4 - L'opposizione della moltitudine dei fedeli ai pelagiani

Tu invece prepari una moltitudine di idioti che chiami "uomini semplici, i quali, occupati in altri affari, non hanno ricevuto alcuna erudizione e si sono preoccupati di entrare nella Chiesa di Cristo con la sola fede, affinché non siano facilmente spaventati da astruse questioni.

Ritenendo Dio vero Creatore degli uomini, senza esitazione siano convinti che è anche pio, verace e giusto, e, conservando questo giudizio sulla Trinità, abbraccino e lodino tutto quanto è consono a questo modo di pensare, cosicché nessuna argomentazione contraria riesca a smuoverli, ma detestino ogni autorità o alleanza che cerchi di convincerli del contrario".

Se esamini attentamente queste tue parole, ti accorgerai che quella moltitudine è saldamente schierata contro di te.

L'unica ragione, infatti, per cui anche la moltitudine di cristiani, dal cui giudizio inesperto tu ti appelli ai pochi vostri, che vorresti far credere dottissimi e prudentissimi, detesta la vostra innovazione sta nel fatto che essi ritengono Dio creatore degli uomini e giustissimo e guardano i tanti tormenti dei propri bambini con la convinzione che, essendo Dio creatore sommamente buono e giusto, la sua immagine non soffrirebbe alcun male in quella età, se non ci fosse stato il peccato originale.

Supponiamo che qualcuno di loro, portando il proprio figlio, venga da te senza malizioso fragore, in un luogo dove nessun altro possa sentire e ti rimproverasse dicendo: Io con questa mente, questa intelligenza, questa ragione per cui sono fatto ad immagine di Dio, amo tanto il suo regno che ritengo grande pena per l'uomo l'esserne escluso per sempre.

Tu che non sei uno della massa degli ignoranti, ma un vero amatore del regno di Dio tra i pochi veramente prudenti, con tanto più ardore quanto più t'infiamma l'ardentissima compagnia dei pochi, senza che la massa riesca a raffreddarti minimamente, risponderai a quell'uomo e gli dirai: Non solo non è una grande pena per l'immagine di Dio l'essere esclusi per sempre dal suo regno, ma non lo è affatto.

Eppure sono convinto che non oserai dire questo neppure ad un uomo solo di cui non temi né la forza né la testimonianza.

Qualunque cosa tu possa dire o tacere ( come lo esigerebbe da te l'umano pudore più che la fede cristiana ), egli ti mostrerà suo figlio dicendoti: Dio è giusto, quale male impedisce a questa innocente immagine di Dio l'ingresso nel suo regno, se non esiste il peccato che attraverso un solo uomo è entrato nel mondo? ( Rm 5,12 )

Non ti rimarrà alcuna sapienza, credo, che ti faccia sentire più dotto di quell'ignorante; ma quando la tua spudoratezza se ne sarà andata, resterai più infante di quell'infante.

2.5 - Ancora sulla questione del pudore

Terminato il preambolo con cui hai tolto di mezzo gli ignoranti con un semplice ammonimento, e ti sei preparato le eruditissime orecchie di pochi, vediamo cosa dobbiamo trattare.

Non so quale idea geniale, che ti è sfuggita nel secondo libro, ti sia venuta in mente a proposito delle mie parole sulle membra vergognose, che, dopo il peccato, sono state coperte con cinture di foglie di fico, perché la natura razionale se ne vergognava.

Invano allora hai tentato di confutare queste mie parole: "Per qual motivo da quelle membra dopo il peccato è nata una confusione, se non perché in esse si era prodotto un movimento sconveniente?".1

Cosa dunque hai escogitato, che ti piace tanto, da non ometterla neppure dopo avere terminato il libro in cui con tanta loquacità hai trattato la questione?

Tu dici: "È scritto: … e si fecero delle vesti", ( Gen 3,7 ) e ci ricordi che c'è l'altra traduzione: … e si fecero delle cinture.

"La veste, spieghi dopo, può intendersi come un indumento per tutto il corpo ed appartiene all'ufficio del pudore".

Sono sorpreso che il traduttore letto da te, a meno che non si trattasse di un pelagiano, possa aver tradotto col termine vesti la parola greca perizomata.

Se anche qui ci fosse il pudore, al cui ufficio, tu dici, appartengono le vesti, non avresti cercato affatto di convincerci che i primi uomini hanno imparato dal peccato come da un maestro l'ufficio del pudore e che in essi l'innocenza e la spudoratezza abitavano insieme come due alleate o amiche.

A tuo dire, infatti, quando erano nudi e non si vergognavano, erano inverecondi ed aborrivano dal naturale senso del pudore.

Da questa aberrazione li ha corretti il peccato e, in tal modo, il senso riprovevole della caduta è diventato in essi maestro di pudore.

La cattiveria dunque ha trasformato in pudichi quelli che la giustizia aveva fatti impudichi.

Questa tua tesi però è così indecentemente impudica e deformemente nuda che, con tutte le foglie di parole che riuscirai a cucire insieme, non potrai ricoprirla.

2.6 - Il racconto della Genesi

Mi deridi asserendo che ho imparato dai pittori che Adamo e sua moglie hanno coperto i loro genitali e poi mi comandi di ascoltare il detto di Orazio: I pittori ed i poeti hanno avuto sempre uguale potere di osare qualsiasi cosa.2

Non da un pittore di vuote figure, invece, ma dall'autore della Sacra Scrittura ho imparato che prima del peccato i primi uomini erano nudi e non si vergognavano.

Non già perché la loro grande innocenza era tanto impudente, ma perché in essi non c'era ancora di che vergognarsi.

Peccarono, si guardarono, arrossirono, si coprirono… ( Gen 2,25-3,11 )

E tu ancora vai dicendo: "Non sentirono nulla di indecente e di nuovo".

Mi guardo bene dal pensare che questa tua impudenza te l'abbiano insegnata un Apostolo o un Profeta, ma neppure un pittore o un poeta.

Quegli stessi che, secondo un detto elegante, hanno avuto sempre uguale potere di osare qualsiasi cosa, si vergognerebbero di inventare per ridere quello che tu non ti vergogni di discutere perché ci si creda.

Nessun pittore oserebbe dipingere e nessun poeta oserebbe cantare due realtà viventi insieme, delle quali l'una è molto buona e l'altra è molto cattiva, l'innocenza voglio dire e la spudoratezza, come se fossero consone tra di loro e concordi.

Nessuno di loro potrebbe tanto dubitare dei sensi umani da ritenere di avere in sé un uguale potere di osare anche questo, ma piuttosto un'insana leggerezza.

2.7 - I perizomata

"Se si accetta l'interpretazione di perizomata nel senso di 'cinture' - tu scrivi - si è portati a credere che sono stati coperti i fianchi e non le cosce".

A proposito di queste tue parole innanzitutto mi rammarico del fatto che hai abusato tanto dell'ignoranza di quelli che non sanno il greco da non aver timore del giudizio di quelli che lo sanno.

Solo per maggiore comodità è accaduto che la lingua latina ha usurpato come sua la parola perizomata che troviamo nei codici greci.

Pertanto, quando affermi che con perizomata si intendono coperti i fianchi e non le cosce, credo che ti sia reso ridicolo a te stesso.

Quale persona, ignorante o dotta, non sa quali parti del corpo ricopra il perizoma?

Questo termine suole essere adoperato e valutato nella dote delle donne, e con esso non si copre se non la zona intorno ai lombi.

Domanda ed impara quello che tuttavia non credo ignori.

Anche se lo ignorassi, comunque, non credo vorrai sovvertire, non dico il linguaggio, ma il modo di vestire dell'uomo al punto di alzare il perizoma alle spalle o d'intendere che con esso sono stati coperti i fianchi dei primi uomini, lasciando scoperti i genitali e tutta la zona dei lombi con le cosce.

Quale vantaggio può portare a te piuttosto che a me la quantità del corpo scoperta al disopra o al di sotto della parte in cui entrambi sentivano la legge delle membra in contrasto con la legge dello spirito ( Rm 7,23 ) ed entrambi sentivano l'eccitazione per il reciproco sguardo che confondeva la cattiveria delle parti disobbedienti con la novità della loro disobbedienza?

Quanto più l'eccitazione era turbolenta, tanto più verecondo diventava il coprire la parte che si sentiva stimolata, talvolta insieme con un'ampia zona circostante.

Sia che la copertura scendeva dai fianchi, quindi, sia che scendeva dai lombi, erano coperte le parti vergognose, che non avrebbero causato vergogna se la legge del peccato non si fosse posta in aspro contrasto con la legge della mente.

Dove il senso è chiaro, però, non dobbiamo aggiungere la nostra interpretazione al senso della Scrittura.

Questo, infatti, non avverrebbe per umana ignoranza, ma per presunzione perversa.

Col termine perizoma viene espresso molto chiaramente quali parti del corpo furono coperte subito dopo il peccato da Adamo e sua moglie, che, prima del peccato erano nudi, ma non si vergognavano.

Vediamo cosa hanno coperto.

È troppo da insipienti cercare ancora ed è troppo da impudenti negare ancora ciò che hanno sentito.

A dispetto della tua ostinata opposizione, tu stesso sei convinto che per l'umano sentire non c'è altra risposta se non che quei primi uomini hanno coperto i genitali perché arrossivano per il movimento della concupiscenza.

Questa è la verità anche se tu innalzi il perizoma ai fianchi, oppure se, lasciando scoperti i fianchi, sostieni che ivi essi non hanno sentito nulla di male, oppure se spogli con orrore le parti che tu stesso ritieni debbano essere maggiormente coperte.

3.8 - La disobbedienza della carne pena e causa del peccato

Riporti altre parole del mio libro dove affermo che "la disobbedienza della carne è stata con pieno merito ripagata all'uomo disobbediente, poiché sarebbe stato ingiusto che, chi aveva disobbedito al suo Signore, trovasse obbedienza nel suo servo, vale a dire nel suo corpo",3 e vorresti dimostrare che questa ribellione della carne dev'essere piuttosto considerata lodevole se è pena del peccato.

Come se fosse una persona che coscientemente affligge il peccatore, quale vendicatrice dei delitti e, da questo punto di vista, anche ministro di Dio, l'adorni con un pomposo discorso, quasi fosse un grande bene.

Non pensi, però, che di questo passo potresti lodare gli angeli cattivi, che, pur essendo prevaricatori ed empi, Dio se ne serve per infliggere le meritate pene ai peccatori, come attesta la Scrittura: Sguinzagliò fra di loro il furore della sua ira; trasportò collera e angustia.

Inviò messaggeri di male; spianò la via alla sua ira. ( Sal 78,49 )

Loda anche costoro, loda il loro principe Satana, perché anch'egli è stato vendicatore del peccato, quando l'Apostolo gli ha affidato l'uomo per mandarne in rovina la carne. ( 1 Cor 5,5 )

Hai parlato abbastanza contro la grazia di Cristo e sei ormai idoneo a fare il panegirico a Satana ed ai suoi angeli, dei quali Dio giusto, che fa buon uso dei buoni e dei cattivi, si serve per punire gran numero di peccatori, ripagandoli secondo le loro opere e trasformando essi stessi in spiriti pessimi e dannati per punire i cattivi.

Loda pertanto queste terribili potestà, attraverso le quali i mali sono puniti con i mali, tu che esalti la concupiscenza della carne, perché con la sua disobbedienza è stata ripagata la disobbedienza del peccatore.

Loda l'iniquo re Saul perché anch'egli fu pena dei peccatori, avendo il Signore detto: Ti concedo un re nella mia ira. ( Os 13,11 )

Loda pure il demonio, che il re stesso ha dovuto sopportare perché anche questi è stato pena del peccatore. ( 1 Sam 16,14 )

Loda la cecità del cuore che c'è stata da parte di Israele.

Non si passi sotto silenzio il perché è stato detto: … finché l'insieme dei pagani non sia entrato, ( Rm 11,25 ) a meno che non vorrai negare che anche questa è stata una pena, e che sia stata non una pena qualunque, ma una grandissima pena, se fossi amante della luce interiore, lo dovresti gridare.

Per i Giudei questa cecità è stata il grande male dell'incredulità e la grande causa del peccato che ha portato all'uccisione di Cristo.

Se insisti a negare che questa cecità fu una pena, vuol dire che soffri dello stesso male, anche se non lo riconosci.

Se poi ammetti che è stata una pena, ma non pena del peccato, devi ammettere che qualche cosa può essere peccato e pena.

Ma se non è pena del peccato è una pena iniqua.

In tal caso però ritieni Dio ingiusto, perché per suo comando o per suo permesso è stata inflitta una pena, o lo ritieni debole perché non ha allontanato la pena inflitta ad un innocente.

Se poi, per evitare di sembrare cieco nel tuo cuore, sei costretto ad ammettere che è stata pena del peccato, cerca di capire quello che finora non hai voluto capire, che cioè la questione posta da te è ormai risolta.

Il diavolo, i suoi angeli, i cattivi re, peccatori essi stessi, per la giustizia divina diventano supplizio ai peccatori.

Come essi, però, non diventano degni di lode per il fatto che per loro mezzo viene inflitta una pena ai colpevoli, così la legge delle membra in contrasto con la legge della mente non è giustificata nel suo agire dal fatto che diventa pena giusta per chi ha agito ingiustamente.

E come la cecità del cuore, che solo la luce di Dio può diradare, è peccato perché non si crede in Dio, è pena del peccato perché il cuore superbo viene punito con una idonea riprensione ed è causa di peccato perché per colpa del cuore accecato si commette del male, così la concupiscenza della carne, contro cui ha desideri lo spirito buono, è peccato perché in essa è insita la ribellione contro il dominio della mente, è pena del peccato perché è stata meritata dalla disobbedienza ed è causa di peccato nella defezione di chi vi acconsente o nel contagio di chi nasce.

3.9 - Pene che occorre tollerare, pene di cui occorre liberarsi

Quantunque ti sia fermato a lungo su questa questione, è fuor di ogni dubbio che è svanito completamente tutto quello che hai detto per questa tua cieca e sconsiderata opinione, secondo cui hai ritenuto che la concupiscenza della carne non solo non deve essere disprezzata, ma addirittura deve essere lodata perché l'abbiamo dichiarata pena del peccato.

"Se la libidine è pena del peccato, è necessario lasciar perdere la castità, affinché non si dica che ribellandosi a Dio, essa abbia a svuotare la sentenza proferita da lui".

Questa tua affermazione ed altre del genere che vai intrecciando come conseguenti o collegate ad essa possono essere paragonate parola per parola alla cecità del cuore.

Se la cecità del cuore è pena del peccato, bisognerebbe lasciar perdere l'istruzione affinché non si dica che l'illuminazione dell'anima, ribelle a Dio, abbia a svuotare la sentenza proferita da lui.

Se è decisamente assurdo fare una affermazione del genere anche se la cecità del cuore è pena del peccato, non meno assurda è la tua affermazione, anche se la libidine, la ribellione della carne cioè, è pena del peccato.

Alla cecità del cuore deve opporsi la scienza ed alla libidine la continenza.

Quella pena poi, che non è né errore né libidine, la deve sopportare la pazienza.

Proprio per questo, quando con l'aiuto di Dio si vive della vera fede, Dio stesso è presente per illuminare la mente, per superare la concupiscenza e per sopportare le molestie.

Viene compiuto tutto rettamente, infatti, quando viene compiuto per lui, vale a dire quando si ama Dio gratuitamente, amore che non possiamo avere se non da lui.

In caso contrario, quando l'uomo si compiace molto di se stesso e confida nella sua virtù, se cade nelle grinfie della sua superbia, questo peccato tanto più si accresce quanto più le altre cupidigie diminuiscono, come se, rallegrandosi lodevolmente solo di essa, reprima le altre.

3.10 - Alcuni peccati sono anche pene del peccato

Ponendo da parte la bramosia di vincere, rifletti attentamente su quanto asserisci di aver letto in altri miei opuscoli e che invano hai cercato di confutare, sull'esistenza cioè di "taluni peccati che sono anche pena dei peccati";4 constaterai che è verissimo secondo quanto è stato detto della cecità del cuore.

Cosa hai ottenuto, di grazia, citando la testimonianza dell'Apostolo in cui diceva che alcuni Dio "li diede allora in balia della loro mentalità pervertita ed essi compirono cose indegne"?

Cosa hai ottenuto citando queste parole con cui dimostravo quello che hai letto in un'altra mia disputa?

L'hai visto come un'iperbole, figura che si usa quando l'oratore, per commuovere gli animi, esagera la verità delle cose.

Ma ti prendi la briga di farci vedere dove l'Apostolo ha parlato così.

"Inveendo contro i crimini degli empi, tu dici, li ha aggravati con i nomi delle pene e, dimostrando quanto orrore la turpitudine creasse nel suo animo, abitacolo di tutte le virtù, disse che quelli gli sembravano dannati più che rei".

Le sue parole però, e non quelle che tu gli fai dire, dimostrano che essi sono dannati e rei, rei non solo per le colpe commesse in passato, per le quali sono stati condannati, ma altresì rei donde sono stati condannati.

Li dichiara infatti rei quando dice: Avevano reso culto e servizio alle creature in cambio del Creatore, che sia benedetto per sempre. Amen. ( Rm 1,25 )

E li dichiara condannati per questo reato quando continua: Per questo Dio li diede in balia di passioni vergognose. ( Rm 1,26 )

Tu senti per questo e subito ti domandi invano come si debba intendere Dio li diede in balia, affaticandoti molto per dimostrare che egli li ha dati in balia abbandonandoli.

In qualunque modo l'abbia dati in balia, e "per questo" li ha dati in balia, "per questo" li ha abbandonati: puoi vederne le conseguenze, qualunque o comunque lo intenda.

L'Apostolo si è preoccupato di spiegare quale grave pena sia l'essere dati da Dio in balia di passioni vergognose, o con l'abbandono o in qualunque altro modo, spiegabile o non spiegabile, con cui ha agito egli che è sommamente buono e ineffabilmente giusto.

Infatti le loro donne tramutarono i rapporti conformi a natura con rapporti contro natura; del pari anche gli uomini abbandonarono i rapporti naturali con la donna e si accesero di brame gli uni verso gli altri, facendo, maschi con maschi, cose infami e ricevendo in loro stessi la giusta paga dovuta alla loro aberrazione. ( Rm 1,26-27 )

Cosa più evidente? Cosa più aperta? Cosa più manifesta?

Afferma che hanno ricevuto la mutua paga, condannati così a compiere tanti mali!

La stessa condanna, tuttavia, è un reato, dal quale sono avviluppati in maniera più inestricabile.

Sono peccato certamente e pena di precedenti peccati.

E, cosa ancor più mirabile, afferma che era necessario che essi ricevessero questa mutua paga.

Identico significato hanno le precedenti parole dell'Apostolo che pure hai citato: … sostituirono la gloria di Dio immortale con immagini di uomini mortali, di uccelli, di quadrupedi e di rettili.

Per questo Dio li diede, secondo le voglie dei loro cuori, in balia dell'impurità, ( Rm 1,23-24 ) eccetera.

Anche qui puoi vedere senza alcuna ambiguità la ragione per cui essi furono dati in balia.

Dopo avere specificato il male compiuto in precedenza, infatti, aggiunge: Per questo Dio li diede, secondo le voglie dei loro cuori, in balia … ( Rm 1,24 )

Di conseguenza, essa è pena del precedente peccato e tuttavia è anch'essa peccato, come spiegano le parole che seguono.

3.11 - Esegesi di Rm 1,24

Nella tua argomentazione contraria, credi di avere trovato la soluzione della questione perché l'Apostolo dice che essi sono stati dati in balia delle loro passioni.

"Già bruciavano infatti per la voglia del disordine", tu dici ed aggiungi: "Come si può credere che siano caduti in tali misfatti per la potenza di Dio che li dava in balia?".

Cosa è stato fatto di più, ti chiedo, o perché ha detto: Dio li diede in balia delle voglie del loro cuore, dal momento che, in certo senso, già erano in balia delle cattive voglie del loro cuore?

Ritieni forse logico che se uno ha desideri cattivi nel cuore, già di fatto acconsente anche a porli in atto?

Proprio per questo, altro è avere cattivi desideri nel cuore ed altro è essere dato in balia di essi, perché acconsentendovi si sia posseduti da essi, cosa che avviene quando, a giudizio di Dio, si è abbandonati in loro balia.

Invano altrimenti sarebbe stato detto: Non seguire le tue brame, ( Sir 18,30 ) se già ciascuno è reo quando le sente tumultuanti mentre tentano di spingerlo al male, pur non acconsentendovi se non è abbandonato in loro balia e se quando vive in grazia esercita gloriose lotte.

Che te ne pare di chi osserva queste parole: Se per la tua anima concedi licenza alle sue voglie - quali altre se non quelle cattive? -, queste ti renderanno godimento per i tuoi nemici. ( Sir 18,30-31 )

Che forse è già reo chi ha simili voglie nell'animo, a cui non deve acconsentire per non tornare in possesso del diavolo e dei suoi angeli, che sono nostri nemici e ci odiano?

3.12 - La cecità del cuore è anche pena del peccato

Quando dunque si dice che l'uomo viene dato in balia dei suoi desideri, egli diventa reo perché, abbandonato da Dio, cede ed acconsente ad essi ed allora è vinto, è preso, è attratto, è posseduto.

Si rimane infatti schiavi di chi ci ha vinto. ( 2 Pt 2,19 )

La pena del precedente peccato, quindi, diventa per lui peccato conseguente.

Non è forse peccato e pena del peccato quando leggiamo: Dio ha mandato in mezzo a loro uno spirito di smarrimento; essi fanno smarrire l'Egitto in ogni sua impresa, come un ubriaco si smarrisce nel suo vomito? ( Is 19,14 )

Non è forse peccato e pena del peccato quando il Profeta dice a Dio: Perché ci fai deviare dalle tue vie ed hai indurito il nostro cuore, così che non ti si tema? ( Is 63,17 )

Non è peccato e pena del peccato quando ripete ancora a Dio: Ecco tu sei adirato perché abbiamo peccato; siamo stati ribelli e siamo divenuti tutti come una cosa impura? ( Is 64,5-6 )

Non è forse peccato e pena del peccato quando leggiamo che i popoli sconfitti da Giosuè sono stati eccitati dal Signore perché si scontrassero con Israele e fossero sterminati?

Non è forse peccato e pena del peccato quando Roboamo non ha ascoltato il popolo che ben lo consigliava, ( Gs 11,20 ) perché, come dice la Scrittura: Ciò accadde per disposizione del Signore, perché si attuasse la parola che il Signore aveva detto di lui per mezzo del Profeta? ( 1 Re 12,15 )

Non è forse peccato e pena del peccato quando troviamo scritto che Amasia re di Giuda non ha voluto ascoltare Ioash re di Israele che lo pregava di non andare in guerra?

Così infatti leggiamo: Amasia non diede ascolto; ciò del resto era disegno di Dio, il quale voleva metterli in potere di Ioash, poiché essi erano andati in cerca delle divinità di Edom. ( 2 Cr 25,20 )

Potremmo citare molti altri passi, nei quali appare con molta evidenza che, per un occulto decreto di Dio, si produce una perversità nel cuore perché non si senta più la verità e si pecchi e lo stesso peccato diventi anche pena del precedente peccato.

Credere alla menzogna, infatti, e non alla verità è già di per sé un peccato.

E questo deriva dalla cecità del cuore, che, per occulto, ma giusto giudizio di Dio, si manifesta come pena di un altro peccato.

È la stessa cosa ciò che l'Apostolo scrive ai Tessalonicesi: Poiché non hanno accolto l'amore per la verità che li avrebbe salvati, Dio manda loro una potenza seduttrice che li farà aderire alla menzogna. ( 2 Ts 2,10 )

Ecco che la pena del peccato, è peccato.

Entrambi sono evidenti: brevemente è stato detto, chiaramente è stato detto, ed è stato detto da colui le cui parole hai cercato invano di rendere favorevoli alla tua tesi.

3.13 - Esempi di peccati che sono anche pene di peccati

"Quando si dice che gli uomini sono dati in balia delle loro voglie, si deve intendere che essi sono spinti verso il peccato perché abbandonati dalla divina pazienza, non dalla divina potenza".

Cosa vuoi dire con queste parole? Quasi che l'Apostolo non le abbia messe insieme, la pazienza e la potenza quando scrive: E che dunque se Dio, volendo mostrare la sua ira e manifestare la sua potenza, ha tollerato con immensa pazienza vasi provocanti la sua ira, pronti per la perdizione … ( Rm 9,22 )

A quale delle due credi che si riferiscano le parole: Se il profeta si lascia sedurre ed annunzia qualcosa, sono io, il Signore, che lo avrò sedotto; stenderò contro di lui la mano e lo sterminerò in mezzo al mio popolo Israele? ( Ez 14,9 )

Alla pazienza o alla potenza? Qualunque scelga, o anche entrambe, vedi che profetizzare il falso è peccato ed è pena del peccato.

Dirai forse che le parole: Sono io, il Signore, che avrò sedotto il profeta, debbano intendersi come se fosse scritto: "… io l'ho lasciato, affinché, sedotto in misura dei suoi demeriti andasse errando"?

Fa' come vuoi, ma rimane il fatto che egli è punito a causa del peccato per continuare a peccare profetizzando il falso.

Ascolta il profeta Michea: Ho visto Dio seduto sul trono, mentre tutto l'esercito del cielo stava in piedi vicino a lui, a destra ed a sinistra.

Il Signore parlò: Chi vuol sedurre Achab, re d'Israele, perché salga e cada a Ramat di Galaad?

E l'uno rispondeva in un modo, l'altro in un altro.

Finalmente uscì lo spirito, il quale, in piedi al cospetto del Signore, disse: Lo voglio sedurre!

Il Signore gli domandò: Come farai? Quegli rispose: Uscirò per diventare uno spirito menzognero in bocca ai suoi profeti.

Gli confermò: Tu lo sedurrai, e lo vincerai. Esci ed agisci in tal modo. ( 1 Re 22,19-22 )

Cosa dirai di fronte a queste parole? Lo stesso re ha peccato credendo ai falsi profeti.

Questa era anche la pena del peccato perché Dio giudicava e dava via libera agli angeli cattivi, come lo possiamo meglio capire nelle parole del Salmo: E sguinzagliò il furore della sua ira, inviando messaggeri del male. ( Sal 78,49 )

Forse sbagliando, giudicando o agendo ingiustamente o temerariamente?

No: ma non invano gli è stato detto: Il tuo giudizio come il grande abisso. ( Sal 36,7 )

Non invano l'Apostolo esclama: O abisso insondabile della sapienza e della scienza di Dio!

Quanto impenetrabili sono i suoi decreti e inesplorabili le sue vie!

Chi infatti ha mai conosciuto il pensiero del Signore? Chi ne fu mai consigliere?

Chi lo ha prevenuto con i suoi doni, da non aver diritto al contraccambio? ( Rm 11,33-35 )

Non sceglie nessuno che già sia degno ma, scegliendolo, lo rende degno; tuttavia non punisce nessuno che non sia degno di castigo.

Indice

1 Agostino, De nupt. et concup. 1,5,6
2 ORAZIO, Ars poetica 9-10
3 Agostino, De nupt. et concup. 1,6,7
4 Agostino, De nat. et gratia 22,24