Contro Giuliano

Indice

Libro IV

9.53 - La vergogna provata dalla prima coppia dopo il peccato

Arrivi anche alle parole del mio libro dove affermo: "Quei primi coniugi il cui matrimonio fu benedetto da Dio, con le parole: crescete e moltiplicatevi, ( Gen 1,28 ) non erano forse nudi e non arrossivano? ( Gen 2,25 )

Per quale motivo dunque, dopo il peccato, da quelle membra derivò un disordine, se non perché sopravvenne un movimento illecito, che certamente non ci sarebbe stato nel matrimonio se gli uomini non avessero peccato?"16

Avendo dapprima notato che secondo la S. Scrittura queste mie parole sono state poste in maniera tale che, chiunque abbia letto o leggerà quel passo del Genesi finirà per approvare quanto io ho scritto, hai sudato molto per contraddirmi con una lunghissima disputa, ma hai mancato di sincerità.

Sei rimasto fermo sulla tua tesi distorta quantunque l'esperienza dimostri che tu non sei riuscito a scardinare la mia tesi giusta.

Del tuo contraddittorio tralascio i gesti e i vanti, frutti di un individuo ansimante ed incapace di arrivare dove si propone, ma che tuttavia, entro la nebulosità in cui si nasconde, finge di esserci giunto.

Con l'aiuto del Signore, però, esaminerò le frasi fondamentali del tuo discorso e le stritolerò, affinché chi leggerà le tue e le mie parole possa vederne a terra sconfitto tutto il corpo, soprattutto rendendosi conto che le cose ripetute da te in mille modi, sono state spesso distrutte da me.

9.54 - Il matrimonio prima del peccato

Tra l'altro affermi che "io sono persuaso di poter dimostrare che Dio ha istituito un matrimonio spirituale per il fatto che dopo il peccato, i primi uomini, vergognandosi, coprirono le membra in cui risiede la libidine".

Se il matrimonio senza la libidine è spirituale, ne segue, sulla tua autorità, che saranno spirituali anche i corpi quando non ci sarà la libidine.

O per caso siete propensi ad amare questa libidine al punto da ritenerla presente nei corpi risuscitati, così come ritenete che sia stata presente nei corpi che erano nel paradiso prima del peccato?

Non dico affatto, come mi fai dire, che "non è naturale quello senza di cui la natura non può sussistere".

Dico soltanto che si chiama naturale quel vizio senza di cui, nelle condizioni attuali, la natura umana non nasce, quantunque all'inizio essa non sia stata creata tale.

Per questo motivo quel male non ha avuto origine dalla creazione della natura, bensì dalla cattiva volontà del primo uomo e non rimarrà, ma sarà condannato o sanato.

9.55 - Il pudore

Paragoni la mia tesi "ad una cimice che come dà fastidio da viva, così puzza quando viene schiacciata".

Vorresti dire che quasi "ti vergogni di schiacciarmi con una vittoria", oppure che "hai in orrore l'inseguirmi ed il distruggermi come se io sconfitto mi nascondessi nel sudiciume".

La ragione sta nel fatto che "il tuo pudore, quasi custode del tempio, ti toglie la libertà di parola nella parte del tuo discorso, in cui dovresti schiacciarmi o annientarmi, appunto perché sei costretto a trattare argomenti che generano rossore".

Perché mai non riesci a parlare liberamente del bene che vai lodando?

Perché mai non dovrebbe esservi libertà di parlare di un'opera di Dio, se la sua dignità è rimasta incontaminata e se il peccato non vi ha prodotto alcunché che ingenerasse pudore e togliesse la libertà di parola?

10.56 - La libidine è una malattia

"Se non c'è matrimonio senza libidine, tu continui, e voi in linea generale condannate la libidine, automaticamente condannate anche il matrimonio".

Di questo passo potresti dire: "se si condanna la morte bisognerà condannare tutti i mortali".

Se la libidine derivasse dal matrimonio, non esisterebbe prima del matrimonio o al di fuori di esso.

Tu dici: "Non può essere chiamata malattia qualcosa senza di cui non esiste matrimonio, poiché il matrimonio può esistere senza peccato, mentre la malattia è dichiarata peccato dall'Apostolo".

Ti risponderò dicendo che non ogni malattia è detta peccato.

Questa malattia invece è una pena del peccato, senza di cui non può esistere la natura umana non ancora sanata in ogni sua parte.

Se poi la libidine non può essere un male perché senza di essa non può esserci il bene del matrimonio, da un altro punto di vista il corpo non può essere buono, perché senza di esso non si può commettere il male dell'adulterio.

Questo è falso e così pure quello. Chi ignora d'altra parte il comando rivolto agli sposati dall'Apostolo: che ciascuno sappia possedere il proprio corpo ( vale a dire la propria moglie ) non seguendo la spinta della concupiscenza come i pagani che non conoscono Dio? ( 1 Ts 4,4-5 )

Chi legge l'Apostolo su questo argomento ti abbandonerà.

Non ti vergogni inoltre di introdurre o di ritenere presente nei coniugi prima del peccato la libidine che tu stesso, benché con un po' di rossore, riconosci come male?

Non sei forse tu che ti nascondi nel sudiciume quando t'incoroni con la libidine della carne e del sangue come di un roseo fiore di paradiso e, piacevolmente soffuso di tale colore, arrossisci e nello stesso tempo lodi?

11.57 - L'unione dei sessi nell'ipotesi che l'uomo non avesse peccato

Come è possibile trovare tanto diletto nel chiacchierare per dimostrare con una lunga disquisizione cose che già professiamo ed insegniamo, come se le negassimo?

Chi nega, infatti, che ci sarebbe stata ugualmente l'unione dei sessi se non ci fosse stato di mezzo il peccato?

Al pari delle altre membra, anche i genitali sarebbero stati mossi dalla volontà e non eccitati dalla libidine, oppure, se vogliamo, sarebbero stati mossi dalla libidine ( non intendiamo rattristarvi troppo a suo riguardo ) ma non quale essa è, bensì da una libidine posta al servizio della volontà.

Veramente voi, per difendere la vostra protetta, vi affannate con tanta fedeltà che patireste violenza se non la collocaste anche nel paradiso quale essa è in questo momento.

Voi dite che ivi essa non è diventata tale per il peccato, ma che sarebbe rimasta tale anche se nessuno avesse peccato.

In quella pace si sarebbe combattuto con essa, o per non combattere, sarebbe stata appagata ogni qualvolta si fosse eccitata.

Oh sante delizie del paradiso! Oh pudore di tanti vescovi! Oh fedeltà di tanti casti!

12.58 - L'autorità dei filosofi nella questione sul pudore

Con la pretesa di dimostrare che non tutto ciò che si copre, lo si copre per la vergogna derivante dal peccato, ti dilunghi nel ricordare le numerose parti del corpo che normalmente portiamo coperte.

Quasi che quelle parti fossero state coperte solo dopo il peccato, come hanno fatto quei primi uomini, di cui stiamo discutendo, che dopo il peccato hanno ricoperto quelle parti vergognose, che, prima del peccato, non erano né vergognose né coperte.

"Nel libro di Tullio, tu dici, Balbo ne ha parlato molto diligentemente con Cotta".17

Spinto da questo, continui e fai alcune osservazioni per accrescere la mia vergogna, poiché, pur con il magistero della Sacra Legge, non ho compreso cose alla cui conoscenza i gentili sono potuti arrivare col solo aiuto della ragione.

E riporti le parole di Balbo dal libro di Cicerone per insegnarci cosa gli stoici abbiano pensato delle differenze fra maschi e femmine negli animali muti e cosa abbiamo pensato dei genitali e della mirabile attrazione dell'unione dei corpi.

Tuttavia prima di citare le parole di Tullio o di qualsivoglia altro, con molta cautela hai voluto ammonire che "egli ha colto l'occasione di trattare della funzione dei sessi, parlando degli animali, poiché per pudore aveva tralasciato di trattarla nella descrizione dell'uomo".

Che vuol dire "per pudore"? Che forse il pudore viene offuscato nel sesso dell'uomo, nel quale Dio opera in maniera più degna come si conviene in una natura più eccellente?

Gli stoici ti hanno insegnato a parlare delle cose occulte, non ad arrossire di quelle vergognose.

Successivamente aggiungi "in che modo egli descriva l'uomo nel suo parlare; in qual modo esponga che lo stomaco sta al di sopra dell'intestino e come esso sia il ricettacolo dei cibi e delle bevande; come i polmoni ed il cuore ricevano l'aria dall'esterno; come nell'intestino avvengano cose mirabili con l'aiuto dei nervi e come esso, molteplice e tortuoso, trattenga e contenga tutto quello che ha ricevuto, secco o umido che sia, e tante altre cose del genere fino alla descrizione del modo in cui vengono espulsi gli avanzi dei cibi con la contrazione o il rilassamento degli intestini".

Avendo potuto descrivere questi processi nelle bestie, per quale motivo è passato a descriverli nell'uomo, se non perché essi non sono vergognosi, così come non era stato vergognoso descrivere nelle bestie i genitali e la funzione dei sessi, cosa che invece è vergognoso fare negli uomini?

La ragione è la stessa per cui dopo il peccato i genitali sono stati ricoperti con foglie di fico.

Nella descrizione del corpo umano, giunto al punto dove si tratta dell'espulsione degli avanzi dei cibi, scrive: "In verità non è difficile dire come avviene.

È bene tuttavia non parlarne affinché il discorso non abbia qualcosa di sgradevole".

Non ha detto: "affinché il discorso non abbia qualcosa che ingeneri confusione o vergogna", ma: "non abbia qualcosa di sgradevole".

Altro è ciò che infonde terrore ai sensi per la propria deformità ed altro è ciò che infonde pudore alle menti, pur se è bello.

Quello offende il gusto; questo invece muove la libidine o da essa è mosso.

12.59 - Il valore delle citazioni dei filosofi

Qual giovamento dunque ti portano queste cose?

"Lo stesso nostro Creatore - tu dici - non ha conosciuto alcun difetto nella sua arte per occultare con tanta diligenza i nostri organi vitali".

Ben lontano sia in verità che tanto Creatore possa aver conosciuto qualche difetto nella sua arte.

Il motivo per cui li ha nascosti l'hai dichiarato tu stesso poco sopra: "perché non si rovinassero o incutessero paura".

Gli organi che i primi coniugi hanno ricoperto con foglie di fico ( Gen 3,7 ) non si rovinavano né incutevano paura allorquando erano nudi e non arrossivano. ( Gen 2,25 )

La riservatezza della pudicizia ora evita di guardare quelle membra affinché la vista di esse non alletti più che spaventi.

Hai sperato invano, dunque, che la tua tesi potesse essere aiutata dalla testimonianza degli stoici, non essendo propriamente favorevole ad essi, che non hanno riposto alcuna particella di bene umano nel piacere del corpo.

Essi hanno preferito del resto lodare la libidine nelle bestie più che negli uomini, al contrario di come hai fatto tu.

Tullio invero, in armonia con la loro opinione, dice da qualche parte di non credere che "il bene di un montone sia identico a quello di Publio l'africano".

Questa espressione avrebbe dovuto ammonirti meglio su cosa avresti dovuto pensare della libidine degli uomini.

12.60 - Cicerone riconosce la miseria della condizione umana, pur ignorandone la causa

Se hai piacere che diciamo ancora qualcosa su tali scritti letterari, poiché anche in essi si trovano parecchie vestigia di verità, credo sia tuo dovere confessare apertamente che le parole citate da te non hanno valore alcuno contro di noi.

Esamina piuttosto se quello che sto per dire non sconvolga la tua asserzione.

Nel terzo libro Sulla Repubblica, lo stesso Tullio dice che "l'uomo è venuto alla luce da una natura non madre, ma matrigna, con un corpo nudo, fragile, debole e con l'anima ansiosa per le angustie, trepidante per i timori, fiacco per le fatiche, incline al piacere, ma che tuttavia, quasi sepolto in lui, c'è il fuoco divino dell'ingegno e della mente".18

Cosa rispondi? Lo scrittore non ha fatto derivare questi mali dalle cattive abitudini dei viventi, ma ha incolpato la natura.

Ha visto la realtà, ne ha ignorata la causa.

Gli era sconosciuto il motivo per cui era imposto un giogo pesante sui figli di Adamo dal giorno nel quale sono usciti dal seno della madre fino al giorno nel quale ritorneranno alla madre di tutti. ( Sir 40,1 )

Non conoscendo la Sacra Scrittura, ignorava il peccato originale.

Se avesse sentito bene della libidine che tu difendi, non gli sarebbe dispiaciuto che l'animo fosse ad essa incline.

12.61 - Cicerone chiama le libidini parti viziose dell'animo

Se poi difendi la libidine come un bene inferiore verso cui l'animo non deve piegarsi dai beni superiori, non perché sia un male ma solo perché è l'infimo dei beni, ascolta le parole ancora più chiare che lo stesso autore scrive nel terzo libro Sulla Repubblica, parlando della ragione del comando: "non vediamo noi che dalla natura stessa è stato dato a tutti i migliori un dominio con grande utilità per i deboli?

Perché Dio comanda all'uomo, l'anima al corpo e la ragione alla libidine, all'ira ed alle altre forze viziose della stessa anima?".19

Secondo l'insegnamento di costui, riconosci alfine che sono forze viziose dell'anima quelle che tu ritieni buone?

Ascolta ancora: "È necessario conoscere, aggiunge poco dopo, le differenze tra il comandare e il servire.

Come diciamo che l'anima comanda al corpo così diciamo che comanda anche alla libidine: al corpo come il re ai suoi cittadini o il padre ai figli; alla libidine, invece, come il padrone ai servi, perché la reprime e la spezza.

Le disposizioni dei re, degli imperatori, dei magistrati, dei genitori, dei popoli comandano ai cittadini o agli alleati, come l'anima al corpo.

I padroni invece opprimono i servi come la sapienza, la parte più nobile dell'animo, sovrasta le altre forze viziose e deboli, quali la libidine, l'ira e le altre passioni".

Hai ancora da blaterare contro di noi qualcosa tratta dagli scrittori di letteratura profana?

Se cercassi di sapere quello che dici a favore di questo errore - che Dio voglia allontanare da te! - contro tanti vescovi, esimi interpreti delle parole divine, ed in qual modo stai resistendo alla loro santità, cosa potrà rappresentare per te Tullio perché tu non gli rinfacci che su questo argomento ha vaneggiato e delirato?

Lascia perdere dunque i libri di quel genere e non voler insegnarci da essi qualcosa con tono sprezzante, affinché non accada che, mentre credi di essere innalzato, non venga schiacciato dalle loro testimonianze.

13.62 - Il movimento dei genitali prima del peccato non era indecoroso

Cosa hai creduto invano di argomentare dall'eccitazione della donna, di cui essa stessa si vergogna?

La donna non ha coperto infatti un movimento visibile, ma, avendo nelle stesse membra una sensazione occulta, simile a quella dell'uomo, entrambi hanno coperto quelle parti che nel reciproco sguardo entrambi avevano sentite mosse in se stessi ed entrambi erano arrossiti per se stessi o l'uno per l'altro.

Continuando a parlare vanamente, chiedi che "le vereconde orecchie ti perdonino e, più che indignarsi, si lamentino per la tua dura necessità".

Perché mai provi dell'imbarazzo nel parlare delle opere di Dio? Perché chiedi che ti si perdoni?

La richiesta di perdono da parte tua non è forse anch'essa una accusa della libidine?

"Se il membro dell'uomo, tu dici, poteva eccitarsi anche prima della colpa, non è stata introdotta alcuna novità".

Sì, poteva eccitarsi anche prima, ma non era indecente, tale cioè da ingenerare vergogna.

Lo muoveva infatti il comando della volontà e non la carne con voglie opposte allo spirito.

Proprio qui sta la novità vergognosa che la vostra nuova dottrina difende con impudenza.

In linea generale, non ho mai condannato il moto dei genitali, o, come tu dici "affermativamente".

Ho semplicemente condannato il moto prodotto dalla concupiscenza, per la quale la carne ha voglie opposte allo spirito. ( Gal 5,17 )

Se il tuo errore lo difende come un bene, non saprei proprio in qual modo il tuo spirito possa avere desideri opposti ad essa, opposti, cioè, ad un male.

13.63 - La disobbedienza delle membra conseguenza della disobbedienza dell'uomo

"Se la libidine si trovava nel frutto di quell'albero, tu dici, essa si rivela come opera di Dio e, di conseguenza, è difesa anche come buona".

Ti rispondo: la libidine non si trovava nel frutto dell'albero, che, di conseguenza, era buono.

Cattiva è la disobbedienza della libidine, che è sorta dopo la disobbedienza dell'uomo commessa nell'albero, mentre Dio l'abbandonava a se stesso.

Sia ben lontano il pensare che Dio, in qualunque età della vita umana o in qualunque tempo, da un albero buono abbia conferito un beneficio, a causa del quale gli uomini avessero nelle membra un avversario contro cui la pudicizia dovesse combattere.

13.64 - Giuliano loda la concupiscenza, ma condanna la lussuria

Sappiamo bene che "l'apostolo Giovanni, quando scriveva: Tutto ciò che è nel mondo: la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi, il tronfio orgoglio della vita, non è dal Padre, ma è dal mondo, ( 1 Gv 2,16 ) non ha inteso condannare questo mondo, vale a dire, il cielo e la terra e tutto ciò che c'è in esso di sostanziale, poiché proviene dal Padre per opera del Figlio".

Sappiamo tutto questo. Non ce lo insegnare.

Volendo spiegare la concupiscenza della carne che l'Apostolo esclude possa derivare dal Padre, hai detto che "con essa si deve intendere la lussuria".

Ma se ti domando a cosa si debba acconsentire perché si abbia la lussuria e cosa si debba contrastare perché non la si abbia, la tua tesi ti è di fronte: rifletti se è ancora da lodarsi quello che è lussuria se gli acconsenti o è continenza se gli resisti.

Mirabile sarebbe che decida se debba maggiormente disprezzarla insieme alla lussuria, che si ha acconsentendole, oppure se debba lodarla con la continenza che le dichiara guerra.

In questa guerra la castità è la vittoria della continenza la lussuria quella della concupiscenza.

Saresti giudice incorrotto ed integro, nel lodare la continenza e nel disprezzare la lussuria; pur tuttavia tratti come una persona la concupiscenza ( vedi tu perché hai paura di offenderla! ) così da non arrossire nel lodarla insieme alla sua avversaria e da non avere il coraggio di disprezzarla insieme alla sua vittoria.

Lungi sia che qualche uomo di Dio ti ascolti quando disprezzi la lussuria per approvarti poi quando lodi la concupiscenza, cosicché dal tuo parlare ritenga un bene quello che in se stesso sperimenta come un male.

Chi inoltre nella lotta sconfiggerà la concupiscenza, che a torto esalti, non avrà la lussuria che tu giustamente disprezzi.

Come potremo però obbedire all'apostolo Giovanni, se amiamo la concupiscenza della carne? Mi dirai: Non è lei che esalto.

Qual è dunque quella che Giovanni esclude venga dal Padre? La lussuria, risponderai.

Ma non saremo lussuriosi se non quando ameremo la concupiscenza che lodi.

Proprio per questo, quando l'Apostolo diceva: non amate la concupiscenza della carne, voleva che noi non fossimo lussuriosi.

Quando ci viene proibita la lussuria, quindi, ci viene proibito di amare la concupiscenza della carne lodata da te.

Siccome questa però, che ci è proibito di amare non è dal Padre, anche la concupiscenza che tu esalti non viene dal Padre.

Due beni infatti che vengono dal Padre non possono combattersi tra di loro.

La continenza e la concupiscenza invece si combattono tra di loro.

Decidi quale delle due vorresti che venga dal Padre.

Vedo la tua perplessità: saresti favorevole alla concupiscenza, ma arrossisci per la continenza.

Ebbene, vinca il tuo pudore e da esso sia sconfitto il tuo errore.

E poiché dal Padre viene la continenza con cui è sconfitta la concupiscenza della carne, ricevi da lui la continenza per la quale giustamente sei arrossito e sconfiggi la concupiscenza, che con bocca malvagia hai esaltato.

14.65 - Il piacere dei sensi

Hai perfino ritenuto opportuno chiedere l'aiuto del piacere di tutti i sensi, come se il piacere degli organi genitali con così grande avvocato non fosse sufficiente a se stesso, se non gli venisse in soccorso la schiera dei colleghi.

Ritieni "logico, infatti, che dovremmo dire derivati dal diavolo e non da Dio i sensi della vista, dell'udito, del gusto, dell'odorato, del tatto, se ammettiamo che la concupiscenza della carne, a cui ci opponiamo con la continenza, non esisteva nel paradiso prima del peccato, ma è sopraggiunta a causa del peccato, ispirato al primo uomo dal diavolo".

In tal modo non sai o fingi di non sapere che, in qualsiasi senso del corpo, altro è la vivacità, l'utilità e la necessità di sentire ed altro la libidine del sentire.

La vivacità del sentire si ha quando, in misura maggiore o minore, uno riesce a percepire nelle stesse cose materiali ciò che è vero a seconda del loro modo o della loro natura distinguendolo più o meno dal falso.

L'utilità del sentire sta nel determinare quello che si deve approvare o riprovare, accettare o respingere, desiderare o evitare per il corpo e la vita che ci portiamo appresso.

La necessità del sentire si ha quando i nostri sensi sono costretti a percepire anche le cose che non vogliono.

La libidine del sentire invece, di cui ora trattiamo, è quella che ci spinge a sentire il desiderio del piacere carnale sia che la nostra mente è favorevole, sia che è contraria.

Essa è avversa all'amore della sapienza ed è nemica delle virtù.

Per quanto attiene all'unione dei due sessi, il matrimonio fa buon uso di questo male quando i coniugi generano i figli per mezzo di esso, ma non fanno nulla solo per esso.

Se avessi voluto o potuto distinguerlo dalla vivacità, dall'utilità e dalla necessità dei sentire, avresti compreso quanto vanamente hai detto tante cose superflue.

Il Signore infatti non ha detto: chiunque guarda una donna, ma chiunque guarda una donna desiderandola ha già commesso in cuor suo adulterio con lei. ( Mt 5,28 )

Se non sei ostinato, ecco la distinzione tra il senso del vedere e la libidine del sentire.

Quello l'ha creato Dio quando ha formato il corpo; questa l'ha seminata il diavolo, quando ha ispirato il peccato.

14.66 - Il desiderio del piacere sensibile dev'essere vinto

Gli uomini pii dunque lodino il cielo e la terra e tutto ciò che c'è in essi e attraverso di essi lodino Dio per la loro bellezza, non per l'ardore della libidine.

Il religioso e l'avaro in maniera diversa lodano lo splendore dell'oro: l'uno con la venerazione per il Creatore, l'altro con l'ansia di possedere la creatura.

Un canto sacro muove certamente l'animo all'amore della pietà: se anche qui viene riprovata la libidine dell'ascolto, qualora si desideri il suono e non il significato, quanto a maggior ragione dev'essere provata se si diletta nel sentire canzoncine vuote e magari sporche?

Gli altri tre sensi più attinenti al corpo ed in certo senso più grossolani, non si proiettano fuori, ma compiono all'interno quanto compete loro.

L'odorato si distingue da chi odora; il sapore da chi gusta ed il tatto da chi tocca.

Non sono infatti la stessa cosa il caldo e il freddo o il liscio o il rude; né questi sono la stessa cosa che il molle e il duro, così come da essi si distingue notevolmente il pesante e il leggero.

Quando in tutte queste cose si evitano le molestie, quali il puzzo, l'amaro, il caldo, il freddo, il rude, il duro, il pesante, si ha ricerca di comodità, non libidine del piacere.

I contrari di queste cose, che accettiamo tranquillamente, quando non hanno rilevanza per la salute o per l'allontanamento del dolore e della fatica, anche se sono accettati con una certa soddisfazione quando ci sono, non debbono essere desiderati con libidine quando non ci sono.

Non è bene il desiderarli. Simile appetito infatti dev'essere domato e sanato anche nelle cose di qualsiasi genere.

Quale uomo, quanto si voglia castigatore della propria concupiscenza, entrando in un luogo impregnato di profumo d'incenso, può evitare di sentirne il soave odore, a meno che non chiuda le narici o con forza di volontà si alieni dai sensi del corpo?

Uscendo da quel luogo, avrà forse desiderio di esso in casa o dovunque vada?

Qualora poi lo desideri, dovrà forse saziare questo desiderio o non piuttosto frenarlo ed agire con lo spirito contro le voglie della carne, finché non giunga alla sua primitiva sanità, nella quale non avrà più desideri del genere?

È una piccola cosa ma è come è scritto: chi disprezza il poco, muore a poco a poco. ( Sir 19,1 )

14.67 - Il piacere e la necessità di mangiare

Abbiamo bisogno del sostegno degli alimenti.

Se non fossero piacevoli non li potremmo neppure prendere e con nausea li respingeremmo: dobbiamo anche guardarci da pericolosi fastidi.

La debolezza del nostro corpo ha bisogno non solo del cibo, ma anche del suo sapore, non per appagare la libidine, ma per salvaguardare la salute.

Quando la natura pertanto richiede in certo modo i sussidi che le mancano, non si chiama libidine, ma solo fame o sete.

Quando, però, dopo aver consumato il necessario, l'amore del cibo sollecita ulteriormente l'animo, già è libidine, già è male cui non bisogna cedere ma resistere.

Queste due cose la fame, cioè, e l'amore del mangiare le distingue anche il poeta, quando, dopo il travaglio del mare, giudicando essere stato sufficiente per i compagni di Enea, naufraghi e forestieri, l'aver preso tanto cibo quanto ne richiedeva la necessità di mangiare, scriveva: … saziata la fame e tolte via le mense …20

Lo stesso Enea, invece, quando fu ricevuto ospite da Evandro, ritenendo giustamente che il banchetto regale più ricco offriva da mangiare in misura superiore al necessario, non ritenne sufficiente dire: saziata la fame, ma aggiunge: soddisfatto l'amore del mangiare.21

Quanto a maggior ragione spetta a noi conoscere e distinguere quale sia la necessità di mangiare e quale il piacere della voracità.

È compito nostro nutrire con lo spirito desideri avversi alle voglie della carne, dilettarci della legge di Dio secondo l'uomo interiore, ( Rm 7,22 ) e non offuscare minimamente la serenità del suo gusto con piaceri libidinosi.

Questo piacere del mangiare, dunque, lo si deve reprimere non col mangiare, ma con l'astinenza.

14.68 - Nel paradiso nessun eccesso

Chi, sobrio di mente, non preferirebbe, se fosse possibile, prendere cibi o bevande senza alcun pungente piacere carnale, così come prendiamo gli alimenti gassosi, che assorbiamo o emettiamo dall'aria che ci circonda aspirando ed espirando?

Questo alimento che prendiamo senza intermissione con la bocca e col naso, non sa di niente e non ha alcun odore, eppure, senza di esso, non possiamo vivere neanche per un piccolo intervallo di tempo, mentre possiamo stare a lungo senza cibo o bevanda.

Pur tuttavia non se ne avverte il bisogno, ma solo il fastidio, quando si chiudono la bocca e le narici oppure quando, per decisione della volontà, interrompiamo per un tantino, fino a quando lo permette il fastidio stesso, il compito dei polmoni, con cui, come con dei mantici, a movimenti alternati aspiriamo o emettiamo respiri vitali.

Quanto saremmo più felici se potessimo prendere cibo e bevanda ad intervalli lunghi, come ora, o ad intervalli ancor più lunghi, senza l'allettante soavità del sapore.

Quanto fastidio e quanta rovina allontaneremmo!

Se quelli che prendono gli alimenti con temperanza in questa vita sono chiamati parchi e sobri e giustamente sono tenuti in onore - non mancano in verità coloro che prendono il cibo solo nella misura richiesta dalla natura o anche in misura inferiore, preferendo, nel caso dovessero sbagliarsi nel misurare il necessario, aver mangiato di meno anziché di più - quanto a maggior ragione è necessario ritenere che, in quella dignità originaria ci sarebbe stata una misura onesta nel prendere il cibo, per offrire al corpo animale solo il necessario, senza eccedere in nulla la misura naturale, così come bisogna ritenere che si siano comportati i primi uomini nel paradiso?

14.69 - L'ipotesi della libidine nel paradiso

Non si può passare sotto silenzio che alcuni, non disprezzabili espositori della parola di Dio, sono propensi a credere che nel paradiso non c'era alcun bisogno di tale alimento, ma che lì vi sarebbe stato il solo piacere ed il solo alimento del quale si diletta e si ciba il cuore dei sapienti.

È stato scritto: Maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra. ( Gen 1,27-28 )

Sono d'accordo con quelli che intendono queste parole secondo il sesso corporeo e visibile, così come le altre che seguono: Poi Dio disse: ecco, io vi dò ogni sorta di graminacee produttrici di semente, che sono sulla superficie della terra ed anche ogni sorta di alberi in cui vi sono frutti portatori di seme: costituiranno il vostro nutrimento.

Ma a tutte le fiere della terra, a tutti i volatili del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è l'alito di vita, io dò come nutrimento le erbe verdi. ( Gen 1,28-30 )

Essi intendono queste parole nel senso che entrambi i sessi facevano uso dei medesimi alimenti di cui si servivano anche gli altri animali e da essi ricevevano un congruo sostentamento necessario al corpo animale, sia pure immortale sotto un certo aspetto, perché non fosse rovinato dalla necessità; dall'albero della vita invece per non essere condotti a morte dalla vecchiaia.

Per nessun motivo però sarei disposto a credere che, in quel luogo di tanta felicità, la carne abbia potuto avere voglie opposte allo spirito e lo spirito contro la carne e che, a causa di questo conflitto, essi siano vissuti senza pace interiore, o che lo spirito non abbia contrastato i desideri della carne o che li abbia appagati con turpe sottomissione, ogni qualvolta la libidine avesse suggerito qualcosa.

Bisogna dunque concludere che lì non c'era alcuna concupiscenza della carne, ma si viveva in modo tale che tutto il necessario veniva ottenuto con appropriati compiti delle membra, senza alcun movimento libidinoso - non perché non viene seminata con la libidine, infatti, ma solo dal volontario movimento delle mani dell'agricoltore, la terra non concepisce i suoi frutti da partorire - oppure, per non offendere troppo quelli che in qualche modo difendono i piaceri del corpo, che ivi c'era la libidine dei sensi carnali, ma in tutto soggetta alla volontà razionale, che era presente solo per servire alla salute del corpo o alla propagazione della stirpe ed in misura tale da non distrarre per nulla la mente dalla gioia della celeste contemplazione, escludendo qualunque vano o importuno movimento.

Da essa insomma sarebbe derivato solo il giovamento e nulla sarebbe stato fatto per essa.

14.70 - L'uso del piacere inevitabile

Quanto diversa sia nella realtà attuale, lo sanno molto bene quelli che la combattono.

Si insinua infatti in quelli che vedono o sentono qualcosa, anche se vedono o sentono per altri motivi, con moto improvviso tra le cose necessarie che nulla hanno a che fare con essa, per carpire una voluttuosa sensazione sia pure escludendo la percezione del piacere di toccare.

E negli stessi pensieri, anche quando nulla di scabroso appare dinanzi agli occhi o risuona nelle orecchie, quanti ricordi di cose già svanite o sopite essa non cerca di risvegliare insieme a turpi ricordi?

Quanto strepito non crea nelle sante e caste intenzioni col frastuono di sordidi richiami?

Quando poi si arriva all'uso del piacere necessario, con cui ristoriamo il nostro corpo, chi può spiegare come essa non ci permetta di percepire la misura della necessità e come nasconda o oltrepassi il limite del ristabilimento della salute, attraendo verso qualsiasi piacere si presenti?

Chi può spiegare come, mentre riteniamo insufficiente quello che di fatto lo è, spinti dalle sue sollecitazioni, volentieri siamo portati a credere di servire la salute, mentre in realtà serviamo la ghiottoneria?

Il male fatto ce lo attesta la spiacevole indigestione, per paura della quale spesso ci nutriamo meno di quanto sia sufficiente a togliere la fame.

La cupidigia, come si vede, ignora dove finisce la necessità.

14.71 - Le differenze dei piaceri carnali

Il piacere del mangiare e del bere può essere tollerato purché, con maggior volontà possibile, stiamo attenti a non rimpinzarci troppo facilmente, eccedendo talvolta nella misura del vitto sufficiente.

Contro questa concupiscenza del cibo combattiamo col digiuno o col cibarci con maggiore sobrietà e facciamo buon uso di essa, che è un male, quando attraverso di essa ci procuriamo solo ciò che può tornare utile alla salute.

Ho detto che questo piacere può essere tollerato perché la sua forza non è sufficiente a distrarci dai pensieri attinenti alla sapienza, se con diletto siamo intenti ad essi.

Durante i banchetti, infatti, riusciamo non solo a pensare, ma anche a discutere di grandi problemi e, mentre si mangia e si beve, parliamo senza perdere minimamente l'attenzione nel dire o nell'ascoltare e, forse più intensamente che se ci venisse letto, imprimiamo nella nostra mente quello che desideriamo conoscere o ricordare.

L'altra libidine, invece, quella per la quale ti scontri con tanto ardore, anche quando si fa uso di essa con buoni intendimenti, nella generazione per esempio, può mai permettere, nel mentre la si appaga, di pensare, non dico alla sapienza, ma a qualunque altro problema?

Ad essa non si dedicano totalmente il corpo e l'anima?

Ed il culmine del suo piacere non viene forse raggiunto con un certo soffocamento della mente?

Quando poi essa prende il sopravvento e spinge anche gli sposati ad unirsi non per la generazione ma per la passione del godimento carnale, che Paolo afferma aver detto a modo di concessione, non a modo di comando, ( 1 Cor 7,6 ) la mente emerge e, dopo quel turbine, respira l'aria dei pensieri constatando la verità di quanto qualcuno ha detto circa la vicinanza del pentimento al piacere.

Quale uomo, amante del bene spirituale, sposato solo per la propagazione della prole, non vorrebbe procreare i figli senza di essa, se fosse possibile, o per lo meno senza la sua forte passione?

Se non ci è dato di pensare nulla di meglio credo sia nostro dovere attribuire alla vita del paradiso che indubbiamente era molto più bella, quello che i santi coniugi amerebbero in questa vita.

14.72 - I filosofi pagani condannano il piacere corporale

La filosofia dei pagani, per carità, non sia più nobile di quella dei cristiani, che è la sola vera filosofia, se con questo nome si vuole significare lo studio e l'amore della sapienza!

Considera, infatti, quanto Tullio dice nel dialogo dell'Ortensio.

Le sue parole avrebbero dovuto piacerti di più delle parole di Balbo che difendeva gli stoici.

Quantunque vere, quelle parole non hanno potuto aiutarti perché si riferivano alla parte inferiore dell'uomo, al corpo.

Ascolta dunque ciò che egli dice per la vitalità della mente contro il piacere del corpo: Bisogna forse bramare i piaceri del corpo che, giustamente e significativamente, da Platone sono stati chiamati allettamento ed esca dei mali?

Quale indebolimento della salute, quale deformazione del temperamento e del corpo, quale turpe danno, quale disonore non viene evocato e destato dal piacere?

Il suo eccitamento così come è il più forte, è il maggior nemico della filosofia.

Il grande piacere del corpo infatti non può andare d'accordo con il pensiero.

Mentre si fa uso di quel piacere, di cui nulla c'è di più forte, chi mai è capace di riflettere, di ragionare, o di pensare qualche cosa?

Chi mai può avere tanta impetuosità da voler eccitare i propri sensi giorno e notte, senza la minima pausa, come nel culmine del piacere voluttuario?

Quale uomo sano di mente non avrebbe preferito che la natura non ci avesse dato alcun piacere?22

Queste parole le ha dette uno che non sapeva nulla della vita dei primi uomini, della felicità del paradiso e della risurrezione dei corpi.

Arrossiamo dunque per queste veritiere affermazioni degli empi, noi che abbiamo imparato, nella vera e santa filosofia della vera pietà, che la carne ha voglie contro lo spirito e lo spirito contro la carne. ( Gal 5,17 )

Cicerone però ignorava perché avvenisse ciò, eppure, a differenza di quello che fai tu, non solo non favoriva la concupiscenza ma la contrastava tenacemente, cosa che al contrario tu non solo non fai ma ti arrabbi energicamente con quelli che lo fanno.

Con timidezza cerchi di lodare le voglie dello spirito e della carne, in lotta tra di loro come in guerra, quasi temendo di avere come nemica quella che potrebbe sconfiggere l'altra.

Coraggio, piuttosto, non avere paura, loda la concupiscenza dello spirito contro quella della carne perché essa combatte tanto più acremente, quanto più castamente.

Senza timore alcuno, quindi, condanna la legge che contrasta la mente, con la medesima legge contro cui essa è in contrasto.

14.73 - Contemplazione della bellezza e eccitamento della libidine

Altro è la considerazione della bellezza, anche corporale, sia quella che si vede, come il colore o la figura, sia quella che si sente, come il canto o la melodia, considerazione riservata all'animale ragionevole, e altro è la commozione della libidine, che deve essere frenata dalla ragione.

S. Giovanni apostolo, infatti, ha detto che la concupiscenza che ha voglie contro lo spirito non viene dal Padre. ( 1 Gv 2,16 )

Nessuno la può giudicare buona, se non chi non ama che il suo spirito abbia desideri opposti ad essa.

Se non sia tale nel movimento e nell'ardore dei genitali, lo spirito non abbia desideri opposti ad essa affinché non si dimostri ingrato nutrendo desideri opposti al dono di Dio.

Le si dia tutto ciò che brama, come ad una cosa che viene dal Padre, e qualora non si ha nulla da darle, si chieda al Padre non che la tolga di mezzo o la reprima, ma che appaghi integralmente la concupiscenza da lui donata.

Se questo è parlare da insipienti, perché paragonarla al vino o al cibo?

Perché illuderci di dire qualcosa quando affermiamo: "né l'ubriachezza condanni il vino, né l'ingordigia il cibo, né l'oscenità disonori la libidine", dal momento che non si ha né ebrietà, né ingordigia, né oscenità quando la concupiscenza della carne è vinta dallo spirito che nutre desideri contro di essa?

"La sua colpa sta nell'eccesso", dici tu.

Non ti rendi conto, però ( come ti sarebbe stato molto facile, qualora avessi voluto sconfiggere quella anziché me ), che per non cadere nell'eccesso è necessario resistere al male della concupiscenza.

Due sono i mali: l'uno lo possediamo e l'altro lo commettiamo se non resistiamo a quello che possediamo.

14.74 - La libidine nelle bestie non è un disordine

Abbiamo già detto in precedenza che nelle bestie la concupiscenza non è un male perché in esse non ha voglie opposte allo spirito.

Esse infatti non hanno la ragione con cui soggiogare la libidine sconfiggendola o con cui lavorare per combatterla.

Chi ti ha detto che "si pecca sempre ad imitazione delle bestie"?

Per controbattere questa tesi che nessuno ti aveva obiettato ti sei affannato tanto da raccogliere una congerie di cose superflue che anche la scienza medica insegna dopo averle osservate nelle bestie.

Affinché, però, non si creda che la concupiscenza della carne non è un male, per il fatto che è un bene nelle bestie, la cui natura, incapace di aspirare alla sapienza, può trovare diletto in essa, è stato ribadito che è un bene nelle bestie che vi trovano diletto senza alcun contrasto, mentre è un male negli uomini, nei quali essa ha voglie opposte allo spirito.

Indice

16 Agostino, De nupt. et concup. 1,5,6
17 Cicerone, De nat. deorum 1, 2
18 Cicerone, De rep. 3
19 Cicerone, De rep. 3.
20 Virgilio, Aen. 1, 216
21 Virgilio, Aen. 8, 184
22 Cicerone, Ortensio, framm.