Contro Giuliano |
Hai creduto dover raccogliere molte testimonianze dalla Sacra Scrittura per dimostrare, in una questione in cui non esiste dissenso fra di noi, "che l'uomo è creato da Dio", verità innegabile anche per un qualunque vermiciattolo.
A che pro tutto questo se non per procurarti uno spazio di parole, ove potessi vanamente e liberamente correre?
Dal momento che con molta loquacità ti sei servito della testimonianza del santo Giobbe, perché mai non ti sono venute in mente le parole dell'uomo di Dio riguardo ai peccati degli uomini: Nessuno può essere immune dal peccato, neppure un bambino di un sol giorno di vita? ( Gb 14,5 sec. LXX )
Per tutti, grandi e piccoli, la misericordia viene da Colui che è la sola salvezza degli uomini e delle bestie e che fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi. ( Mt 5,45 )
Chi lo può negare se non chi non crede che Dio esiste o ha cura delle cose terrene?
Come se fosse in discussione fra di noi, ce ne hai voluto dare un insegnamento dalla testimonianza di Giobbe: Di ossa e di nervi mi hai intessuto, mi hai donato vita e misericordia. ( Gb 10,11-12 )
Qui, in verità, avrebbe potuto non intendere tutti gli uomini, ma semplicemente ringraziare Dio per sé, perché il Creatore non aveva abbandonato lui, nato secondo la carne, ma gli aveva benignamente concesso di vivere secondo verità, vale a dire secondo giustizia.
E certamente per il fatto che la vita che aveva ricevuta nascendo era poca cosa, aveva aggiunto: e misericordia, affinché non restasse secondo natura figlio dell'ira come gli altri e crescesse non tra i vasi d'ira, ma tra quelli di misericordia.
Perché poi il fedele non è reo per il male che gli sta vicino e che è insito nelle sue membra, e pur tuttavia chi nasce da lui contrae il reato, non so quante volte te l'abbia detto.
Al fedele infatti questo beneficio lo porta la rigenerazione, non la generazione.
Con la rigenerazione, dunque, i figli debbono essere sciolti da questo reato, come lo sono stati in precedenza i genitori.
La dialettica ti ha insegnato una grande verità: "Ciò che è inerente al soggetto, non può esistere senza il soggetto a cui è inerente".
Per questo aggiungi: che "il male che è inerente al padre come ad un soggetto non può trasmettere un reato ad un altro reo, alla prole cioè, a cui non perviene".
Avresti parlato rettamente se il male della concupiscenza dal padre non pervenisse al figlio.
Dal momento però che nessuno è concepito senza di esso e nessuno ne nasce immune, come puoi affermare che non arriva laddove passa?
Non Aristotele, le cui categorie tu conosci come un insipiente, ma l'Apostolo ha detto: Per opera di un solo uomo il peccato entrò nel mondo … passò a tutti gli uomini. ( Rm 5,12 )
E in verità non è la dialettica che ti inganna, ma sei tu che non la capisci.
È vero, infatti, ciò che hai appreso dalle Categorie: Le cose che ineriscono ad un soggetto, come le qualità, non possono esistere senza il soggetto nel quale ineriscono.
Tali sono, per esempio, la forma e il colore nel soggetto corpo.
Esse passano da un soggetto all'altro qualificando, non trasferendosi.
Gli etiopi di razza negra generano figli negri ma non trasmettono il colore ai figli come una tunica con la qualità del proprio corpo, ma qualificano quello che da essi trae origine con la qualità del loro corpo.
Ancora più mirabile è il passaggio delle qualità dalle cose corporee a quelle incorporee, cosa che tuttavia avviene quando in certo qual modo assorbiamo le forme dei corpi che vediamo, le riponiamo nella memoria e le portiamo con noi ovunque andiamo.
Senza allontanarsi dai loro corpi, in un modo mirabile passano a noi dopo aver colpito i nostri sensi.
Come passano quindi dal corpo allo spirito, così possono passare dallo spirito al corpo.
I colori delle verghe variati da Giacobbe sono passati nelle pecore madri imprimendosi nelle loro anime, e da esse, con identico passaggio, si sono manifestati nel corpo degli agnelli. ( Gen 30,37-42 )
Che qualcosa del genere possa avvenire anche nei feti umani, lo attesta il nobilissimo medico Sorano e lo conferma con un esempio storico.
Racconta infatti che il tiranno Dionisio, essendo deforme e non volendo che i figli nascessero tali, era solito porre dinanzi alla moglie, durante l'unione coniugale, una bella immagine da cui il desiderio potesse in certo senso rapire la bellezza per trasmetterla nel figlio che stava per concepire.24
Dio infatti crea senza togliere le leggi da lui date ai movimenti di ciascuna natura.
Allo stesso modo i vizi che si trovano in un soggetto passano dai genitori ai figli, non come trasferendosi da un soggetto ad un altro, cosa che le Categorie sopra ricordate dimostrano impossibile, ma, cosa che non comprendi, imprimendosi e contagiando.
A che pro lavorare tanto con grandi argomenti per arrivare ad un abisso di empietà?
"La carne di Cristo, dici infatti, in quanto nata da Maria, la cui carne verginale al pari di quella di tutti gli altri uomini veniva da Adamo, non si differenzia dalla carne di peccato e senza alcuna distinzione l'Apostolo ha detto che Gesù è stato mandato in una carne simile a quella del peccato". ( Rm 8,3 )
Insisti, anzi, nel dichiarare che "non esiste alcuna carne di peccato affinché non sia tale anche quella di Cristo".
Che significa, allora, carne simile a quella del peccato, se non esiste alcuna carne di peccato?
Hai detto che "io non ho capito l'espressione dell'Apostolo".
Non ci hai spiegato, però, come, te maestro, possiamo sapere in qual modo una cosa possa essere simile ad una che non esiste.
Se questa è una affermazione da insipienti, e se la carne di Cristo senza dubbio non è carne di peccato, ma soltanto simile a quella di peccato, cosa rimane se non che, eccezion fatta della sua, la carne di tutti gli altri uomini è una carne di peccato?
Da questo appare che la concupiscenza, per opera della quale Cristo non volle essere concepito, ha immesso nel genere umano la propaggine del male.
Il corpo di Maria, quantunque derivato da essa, non l'ha tuttavia trasmesso nel corpo che non aveva concepito da essa.
Del resto è detestabile eretico chiunque nega che la carne di Cristo è stata detta simile alla carne di peccato appunto perché quella di tutti gli altri uomini è una carne di peccato, e paragona la carne di Cristo a quella di tutti gli altri che nascono uomini così da ritenere entrambe di una uguale purezza.
Credendo di aver fatto una grandissima scoperta, discuti abbondantemente per dire che "anche nel caso i figli contraessero qualcosa di male dai genitori, esso sarebbe espiato dalle mani di Dio, che li plasma nel ventre materno".
Come se noi lo negassimo, tu proponi molte testimonianze della Scrittura per dimostrarci che gli uomini sono plasmati da Dio.
Tra l'altro, citando le parole dell'Ecclesiastico, nelle quali si afferma che le opere di Dio sono occulte, ( Sir 3,22-23 ) aggiungi cose tue e dici che "tale affermazione rimprovera la vanità di chi crede di poter comprendere con la propria ricerca la profondità della natura".
Di' a te stesso queste cose e non voler temerariamente definire qualcosa sull'origine dell'anima che, senza ragione più che evidente o parole divine non ambigue, non può essere compresa.
Sappi piuttosto come la sapientissima madre dei Maccabei, di cui hai citato le parole rivolte ai figli: Non so come voi siate apparsi nel mio seno. ( 2 Mac 7,22 )
Non intendeva certamente parlare dei loro corpi, che non dubitava di aver concepito dal seme dell'uomo; ignorava però se l'anima dei figli era stata tratta dall'anima del padre, oppure da qualche altra parte.
Per non essere temeraria, non si vergognava di confessare la sua ignoranza.
"Per quale motivo i figli non vengono purificati mentre sono plasmati e liberati dalla maestà dell'Artefice dalle macchie attribuite ai genitori?".
Poni quest'altra questione, ma non fai caso che la stessa cosa si può dire anche dei difetti evidenti del corpo, con cui non pochi fanciulli nascono.
Anche se è ben lontano da noi dubitare che Dio vero e buono abbia plasmato tutti i corpi, dalle mani di così grande artefice tuttavia sono usciti molti corpi non solo difettosi, ma addirittura mostruosi, tali da essere chiamati errori di natura da alcuni che, non potendo comprendere perché la potenza di Dio faceva certe cose, si vergognavano di dichiarare l'ignoranza di ciò che non sapevano.
Per quanto riguarda la trasmissione del peccato originale a tutti gli uomini, siccome si trasmette per la concupiscenza della carne, non ha potuto essere trasmesso alla carne che la Vergine ha concepito non per mezzo di essa.
Quanto poi a ciò che hai voluto eccepire dal mio libro a Marcellino, di venerata memoria, che Adamo cioè "avrebbe corrotto in sé tutti quelli che sarebbero venuti dalla sua stirpe", è ben certo che Cristo non è venuto nel seno della madre attraverso la stirpe corrotta.
Dalla mia stessa argomentazione, però, riferirò parole molto attinenti alla questione, che non hai voluto citare e del perché non l'hai voluto sarà presto chiaro il motivo.
"Adamo, dicevo, ha corrotto in sé tutti quelli che sarebbero venuti dalla sua stirpe con l'occulta macchia della concupiscenza carnale".25
Non ha corrotto, quindi, la carne nel cui concepimento non c'era questa macchia.
La carne di Cristo pertanto ha tratto la mortalità dal corpo mortale della madre, perché aveva trovato il suo corpo mortale, non ha contratto il peccato originale perché non aveva trovato in esso la concupiscenza dell'unione carnale.
Qualora poi dalla madre non avesse preso neppure la mortalità, ma solo la sostanza della carne, la sua non solo non sarebbe stata una carne di peccato, ma neppure una carne simile ad una carne di peccato.
Mi paragoni e mi metti sullo stesso piano "dell'errore di Apollinare, che negava in Cristo i sensi della carne", per creare ovunque nebulosità agli occhi degli inesperti affinché non vedano la luce della verità.
Una cosa sono i sensi del corpo, senza i quali non è mai esistito un uomo, non esiste e non esisterà, ed una cosa ben diversa è la concupiscenza per cui la carne ha voglie contro lo spirito, senza la quale era l'uomo prima del peccato, con una natura umana simile a quella che Cristo uomo ci ha manifestato.
Come Adamo è stato fatto dalla terra senza la concupiscenza, così Cristo è stato fatto da una donna senza la concupiscenza.
Dalla donna tuttavia Cristo ha preso la debolezza della mortalità che prima del peccato non c'era nel primo uomo, affinché la sua fosse una carne simile a quella del peccato, che allora non esisteva.
Per offrirci un esempio di come soffrire, Cristo non ha avuto mali personali ma ha portato quelli degli altri.
Per noi si è sottoposto al dolore, non alla libidine.
Per questo è necessario che i figli di Adamo siano portati rinati a Cristo, affinché le immagini di Dio non abbiano a perdere il suo regno, cosa che chi dichiara non essere male, non ha né amore né timore di Dio.
Con questo male, però, è necessario che sia generato l'uomo da un'origine condannata.
Ben lontano, però, il pensare, come tu ci calunni, "che i rigenerati si trovano nella necessità di peccare, mentre Dio elargisce doni di virtù".
Quantunque nelle nostre membra vediamo una legge in contrasto con la legge della mente, non solo non ci troviamo nella necessità di peccare, ma possediamo piuttosto l'onore della lode, se il nostro spirito, con l'aiuto del dono spirituale ha desideri contro la concupiscenza della carne.
In qualunque direzione ti rivolga, contro qualunque cosa ti scagli, qualunque cosa o da qualunque parte raccolga, gonfi, ventili, o sparga, è certo che quello contro cui ha desideri lo spirito buono, non può essere buono.
"Una natura diversa, tu dici, non può averci dato l'esempio". Lo ha potuto senz'altro.
Cosa significa, infatti, l'esortazione che ci viene fatta di imitare il Padre, che fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi, ( Mt 5,45 ) affinché, sul suo esempio, amiamo i nostri nemici?
Per la verità, la natura di Cristo uomo non è stata diversa dalla nostra, ma fu diversa soltanto dal nostro vizio.
A differenza di tutti gli altri uomini infatti, egli è nato senza difetti.
Quanto alla vita, poi, nella quale dobbiamo imitare Cristo, conta molto per la distanza il fatto che noi siamo soltanto uomini, mentre egli è pure Dio.
Non è possibile, infatti, che uno che è soltanto uomo sia tanto giusto quanto uno che è anche Dio.
Citando la testimonianza dell'apostolo Pietro: Il quale non ha commesso peccato ( 1 Pt 2,22 ), hai proposto una grande verità, facendo notare che per l'Apostolo è stato sufficiente dire: Non ha commesso peccato, per indicare che in Cristo non c'era alcun peccato, e per insegnarci, tu concludi, che "chi non li ha fatti, non li ha neppure avuti".
È assolutamente vero. Da grande avrebbe certamente commesso peccati, se da piccolo ne avesse avuti.
All'infuori di lui non c'è stato nessuno che, nel crescere dell'età, non ha commesso peccato, proprio perché, all'infuori di lui, non c'è nessuno che non ha avuto peccato all'inizio della fanciullezza.
"Sopprimi la causa dell'esempio - tu dici - ed è soppressa anche quella del prezzo, che si è fatto per noi".
Non c'è da stupirsi se in Cristo riponi solo l'esempio, dal momento che escludi il presidio della grazia, di cui lui era pieno.
"Per la speranza di essere preservati dal male, continui, ricorriamo agli aiuti della fede; ma non siamo privi di quelli innati, perché la stessa virilità rimane dopo il battesimo".
Poiché con nome di virilità intendi la concupiscenza della carne, bisogna dire che rimane senz'altro e non lo puoi negare, e contro di essa deve avere desideri lo spirito, affinché l'uomo già rinato non sia irretito e attratto dalla concupiscenza.
Questa concupiscenza che contrastando attrae, anche nel caso in cui per la opposizione e la resistenza dello spirito di fatto non attrae, e quindi non concepisce e non partorisce il peccato, non è un bene. ( Gc 1,14-15 )
Di essa l'Apostolo ha detto: So che il bene non dimora in me, vale a dire nella mia carne. ( Rm 7,18 )
Se nella sua natura Cristo avesse avuto la concupiscenza, che non è un bene, non avrebbe potuto sanare la nostra.
"L'unione coniugale, fatta con l'intenzione di procreare, di per sé non è peccato, perché la buona volontà dell'anima guida ma non è guidata dal piacere del corpo che ne deriva".26
A queste parole citate dal mio libro, opponi le tue: "Da una cosa che è libera dal peccato, non nasce il peccato", con la convinzione di poter, in tal modo, distruggere il peccato originale, che, in verità, può essere distrutto solo dal Salvatore che voi negate ai bambini.
Egli però lo distrugge liberandoli dal reato, non negandolo.
L'unione coniugale, pertanto, fatta con l'intenzione di generare, non è peccato appunto perché fa buon uso della legge del peccato, della concupiscenza cioè insita nelle membra e contrastante la legge della mente.
Se questa non mantiene nel reato il genitore, che è stato rigenerato, qual meraviglia se conserva nel reato chi nasce, che da lui è stato generato?
Proprio per non restare nel reato anch'egli ha bisogno di essere rigenerato.
Se pensassi al beneficio che apportano ai manichei le tue parole: "Da una cosa che è libera dal peccato, non nasce il peccato", voleresti a distruggerle dal tuo libro e dalla mente di tutti quelli che l'hanno letto.
Se il peccato non deriva da una cosa che ne è libera, infatti, deve avere un'altra natura da cui derivare, come insegnano i manichei.
Quanto li hai aiutati con altre affermazioni simili, te l'ho già dimostrato nel primo volume di quest'opera.27
La parola di adesso e quelle di allora dicono la stessa cosa.
Vuoi capire che, se vogliamo vincere i manichei, oltre che i vostri errori specificamente pelagiani, dobbiamo distruggere anche alcune tue affermazioni, come quella di cui stiamo trattando: "Da una cosa che è libera dal peccato, non nasce il peccato"?
La verità smentisce te ed i manichei a cui hai unito la tua voce in questa occasione.
L'angelo che Dio ha creato, era una cosa libera dal peccato; e l'uomo che Dio ha creato all'inizio, era una cosa libera dal peccato.
Chi nega, dunque, che da cose libere dal peccato, sia derivato il peccato, o è apertamente manicheo o incautamente favorisce i manichei.
Dopo aver citato altre mie parole, proponi alcune argomentazioni, partendo dal presupposto che io abbia detto: "Quando serve ai coniugati per generare la prole, la libidine deve essere onorata".
Tu dici quello che vuoi: questo non l'ho mai detto né pensato.
Come può essere onorata, quando serve, se, per evitare che possa portare a sfrenati eccessi, dev'essere repressa dal dominio dello spirito?
Non ho mai detto che "è sempre un reato servirsi della libidine".
Come se l'avessi detto, però, tu concludi che "gli adulteri peccano meno dei maritati perché ai mariti la libidine serve per peccare, agli adulteri invece essa comanda".
Non avendolo però mai detto, le conseguenze che ne hai tratte non mi riguardano affatto.
Al contrario, sono convinto che non sempre è peccato fare uso della libidine, perché far buon uso di un male non è peccato.
Allo stesso modo una cosa non è buona per il solo fatto che il buono ne fa buon uso.
Di due uomini infatti sta scritto: Il figlio erudito sarà sapiente, ma si servirà di un ministro imprudente. ( Pr 10,4 sec. LXX )
Che forse l'imprudente può essere ritenuto buono perché il sapiente ne fa buon uso?
L'apostolo Giovanni non ha detto: Non servitevi del mondo, ma: Non amate il mondo, in cui includeva anche la concupiscenza della carne. ( 1 Gv 2,15-16 )
Chi fa uso di una cosa senza amarla, infatti, è come se non l'usasse, perché non ne fa uso per se stessa, ma per un'altra che ha davanti agli occhi, amandola al punto da servirsi di una cosa che non ama.
Per questo l'apostolo Paolo ha detto: E quelli che si giovano del mondo, come se non ne usassero. ( 1 Cor 7,31 )
Che significa come se non ne usassero se non che non amino quello di cui si servono, perché esso è tale che non se ne possa far buon uso diversamente?
Lo stesso si deve dire di tutte le altre cose di questo mondo che sono buone, ma tali tuttavia da non dover essere amate.
Onestamente, chi può affermare che il denaro è cattivo?
Eppure non ne fa buon uso colui che ci si affeziona.
Quanto a maggior ragione della libidine?
Uno spirito cattivo, infatti, brama il denaro, ma questo non ha voglie avverse allo spirito come invece le ha la libidine.
Per questo motivo chi sostiene che essa non è un male fa peccato, mentre non fa peccato chi ne fa buon uso.
"Se la libidine è cattiva, commettono un reato maggiore i maritati dei quali essa è al servizio, anziché gli adulteri ai quali essa comanda".
Se ti fossi espresso così, questo sarebbe stato un buon argomento per te qualora avessimo detto che quei coniugi, che si servono del male della concupiscenza per il solo scopo di generare, si servono di essa per un fine cattivo, come ad esempio un omicida si serve di un servitore per commettere un delitto.
Noi però diciamo che nei coniugi il compito della procreazione è un bene, anche se il nascituro contrae dal contagio del primo peccato una ferita che può essere sanata con la rinascita spirituale.
Di conseguenza, i buoni coniugi si servono del male della concupiscenza come il sapiente che, per compiere opere buone, si serve anche di un ministro imprudente.
Da uomini intelligentissimi voi rimproverate e ritenete degno di biasimo non il modo e il genere, ma l'eccesso della libidine perché, a vostro dire, "esso può essere mantenuto entro i giusti limiti dal sovrano potere dell'anima".
Compito dell'anima quindi, se le è possibile, è far sì che la libidine non si ecciti per andare oltre i limiti, dentro i quali essa la richiama.
Se questo non le è possibile, senza dubbio perché non oltrepassi i limiti, le oppone resistenza, come ad un improbo nemico che in tutti i modi si sforza di trasgredirli.
"Ma noi attestiamo, tu dici, che solo nelle vergini e nei continenti c'è un totale disprezzo per essa".
Che forse per questo le vergini ed i continenti non combattono contro la concupiscenza della carne?
Ma allora contro che cosa esercitano le loro gloriose lotte, esaltate anche da te, per salvaguardare la loro verginità e la loro continenza?28
Se combattono, è un male quello che sconfiggono.
E dove si trova questo male se non in loro stessi?
Anch'essi dunque possono giustamente affermare: Il bene non dimora in me, vale a dire, nella mia carne. ( Rm 7,18 )
Tu dici: "Il matrimonio altro non è che l'unione dei corpi", ed aggiungi una constatazione veritiera: "Non ci può essere propagazione senza reciproco desiderio e senza l'atto naturale".
Puoi negare forse che gli adulteri si uniscono con mutuo desiderio, con l'atto naturale e con l'unione dei corpi?
Non è questa, dunque, la definizione di matrimonio.
Una cosa è il matrimonio ed una cosa è ciò di cui neppure il matrimonio può fare a meno per avere figli.
Gli uomini infatti possono nascere senza il matrimonio e vi possono essere coniugi che non uniscono i loro corpi.
Altrimenti, per non dire altro, non ci sarebbero più coniugi certamente quando invecchiano e non possono più unirsi, o quando, non avendo più speranza di prole, si vergognano di unirsi o non lo vogliono.
Ti rendi conto di quanto sei stato sconsiderato affermando che il matrimonio altro non è se non l'unione dei corpi?
Sarebbe stato forse più accettabile se avessi detto che non può iniziare se non con l'unione dei corpi.
Si prende moglie infatti per la procreazione dei figli, e questi non possono essere generati altrimenti.
Se nessuno avesse peccato, però, l'unione dei corpi per la procreazione sarebbe stata diversa da quella che essa è adesso.
Ben lontano da noi il pensare che l'onestissima felicità nel paradiso ubbidisse sempre alla commozione della libidine; ben lontano il pensare che l'equilibrio tra anima e corpo sia stato turbato da qualcosa per cui la prima natura dell'uomo abbia dovuto combattere contro se stessa.
Nel paradiso dunque, se non si doveva servire la libidine né si doveva combatterla, o non c'era la libidine o non era quale essa è adesso.
Ora infatti dovrà contrastarla chi non vuole essere suo servitore, o dovrà assoggettarsi al suo servizio chi trascurerà di combatterla.
Dei due comportamenti, l'uno, benché lodevole, è molesto; l'altro è turpe e miserevole.
In questo mondo uno dei due comportamenti è necessario ai casti; nel paradiso invece entrambi erano sconosciuti ai beati.
Ancora una volta mi accusi di contraddizione, citando altre mie parole nelle quali distinguo il compito della procreazione dal desiderio del diletto carnale: "Una cosa è non avere rapporti se non con la volontà di generare, che non comporta colpa alcuna, ed una cosa ricercare il piacere della carne nei rapporti, ma solo col coniuge, che comporta colpa veniale".29
Queste due affermazioni non hanno nulla di contraddittorio, come possono osservare tutti quelli che insieme a me guardano la verità.
Ascolta tuttavia ciò che ripetutamente si è cercato di imprimere con forza nella mente di coloro che cerchi di ingannare.
Calunniosamente affermi che noi "offriamo una scusa agli uomini turpi e scandalosi che, dopo aver compiuto azioni nefande o immonde, dicono di aver agito contro volontà e per questo di non aver commesso alcun peccato": quasi che non esortassimo con insistenza a combattere contro la libidine.
Se voi dunque, che la ritenete buona, non volete farci credere che la vostra lotta contro di essa si sia raffreddata o quantomeno intiepidita, con quanta maggior vigilanza ed ardore dobbiamo combattere contro di essa noi che la riteniamo cattiva?
Noi diciamo che è contro la volontà il fatto che la carne abbia voglie contro lo spirito, e non il fatto che lo spirito abbia desideri contro la carne. ( Gal 5,17 )
Anzi, proprio in virtù di questi buoni desideri avviene che i coniugi fanno uso della libidine solo per la procreazione, facendo in tal modo buon uso di un male.
Il fare buon uso di questo male rende l'unione onesta e veramente nuziale; il desiderio invece del piacere e non della prole rende l'unione colpevole, ma solo venialmente nei coniugi.
Anche chi nasce da una onesta unione, pertanto, contrae la colpa che sarà sciolta con la rinascita, perché anche nell'unione onesta è insito il male di cui fa buon uso la bontà del matrimonio.
Ma non è ostacolo ai rinati ciò che lo era ai nati.
È logico, dunque, che chi nasce da essi trovi un ostacolo qualora non rinasca.
Con le argomentazioni che inutilmente scagli contro le mie parole, non ti accorgi di aiutare ancora una volta i manichei.
Ritieni che chi nasce dall'unione coniugale non contrae il peccato originale, perché, a tuo dire, "da quest'opera che non ha colpa non può derivare una colpa".
Perché mai allora dall'opera di Dio che non aveva colpa, è nata la colpa degli angeli e quella degli uomini?
Osserva, dunque, l'aiuto arrecato ai manichei, col cui disprezzo cerchi di coprire ciò che pensi contro la fondatissima fede cattolica.
Se infatti, secondo la tua definizione, "da un'opera che non ha colpa non può derivare una colpa", e nessuna opera di Dio ha una colpa, donde dunque è nata la colpa?
A questo punto, col tuo aiuto i manichei cercano di introdurre un'altra natura cattiva, da cui possa derivare il male, dal momento che, secondo le tue parole, "la colpa non deriva dall'opera di Dio".
Possono dunque essere vinti i manichei senza che lo sia anche tu insieme ad essi?
Gli angeli e gli uomini sono opera di Dio, liberi da colpa; da essi tuttavia è nata la colpa quando per mezzo del libero arbitrio, che essi avevano ricevuto senza colpa, si sono allontanati da Colui che non ha colpe.
Sono diventati cattivi non per l'unione col male, ma per la defezione dal bene.
Dici che "io ho lodato la continenza dell'era cristiana non per infervorare gli uomini alla verginità, ma per condannare il bene del matrimonio istituito da Dio".
E perché non si credesse che tu sia turbato da un malevole sospetto sul mio animo, quasi per mettermi alla prova, mi dici: "Se realmente inviti gli uomini all'impegno della continenza, devi ammettere che la virtù della castità può essere salvata da chi lo vuole, al punto che chiunque lo voglia sia santo nel corpo e nello spirito".
Rispondo che lo ammetto, ma non alla vostra maniera.
Voi l'attribuite alle sole forze dell'anima, io invece alla volontà aiutata dalla grazia di Dio.
Cosa infatti viene represso dal comando dell'anima per non peccare, se non il male con la cui vittoria si pecca?
Per non dire, quindi, insieme ai manichei che questo male si è mescolato a noi da un'altra natura, non resta che ammettere nella nostra natura una ferita che dovrà essere sanata, mentre il suo reato lo riteniamo già estinto con la rigenerazione.
Invano hai tentato di catalogare tutte le frodi degli eretici per paragonarmi ad essi, mentre volesse il cielo che tu non ne aumentassi il numero.
Affermi che "le parole con cui l'Apostolo indica gli eretici che proibiscono il matrimonio ( 1 Tm 4,3 ) mi toccano da vicino", quasi che io sostenga che, "dopo la venuta di Cristo, il matrimonio è una cosa turpe".
Ebbene, ascolta quanto ti diciamo affinché, dopo averlo ascoltato in molti modi e con molta frequenza, non abbia a dissimulare la verità simulando in certo senso la sordità.
Non diciamo affatto che il matrimonio è una cosa turpe: al contrario, affermiamo che l'incontinenza, per non cadere in una dannabile sozzura, dev'essere contenuta dall'onestà del matrimonio.
La dottrina cristiana non dice quello che dite voi, e cioè, per citare le tue parole, che "l'uomo è capace di controllare i suoi moti istintivi".
Non diciamo questo, ma ripetiamo le parole dell'Apostolo su questo argomento: Ciascuno riceve da Dio il suo dono particolare, ( 1 Cor 7,7 ) e quelle del Signore: Senza di me non potete fare nulla ( Gv 15,5 ) e: Non tutti comprendono questa parola, ma soltanto coloro ai quali è dato . ( Mt 19,11 )
Se fosse vero invece quello che dite voi, il Signore avrebbe potuto dire: "Non tutti comprendono questa parola, ma solo quelli che lo vogliono".
Domando: quali motivi istintivi l'uomo è capace di controllare, quelli buoni o quelli cattivi?
Se i buoni, lo spirito ha dunque desideri contro un bene e, di conseguenza, nell'uomo due beni sono in contrasto tra di loro.
Se così fosse, però, lo stesso reciproco contrasto tra due beni non potrebbe essere un bene.
Se i cattivi invece, dovrai ammettere che nell'uomo esistono moti cattivi istintivi, contro i quali deve combattere la castità.
Per non essere costretto a dire con i manichei che in noi c'è una mescolanza col male di un'altra natura, confessa piuttosto la nostra malattia originale.
Del male di questa malattia fa buon uso la castità coniugale.
Contro di esso gli sposati usano il rimedio del matrimonio ed i celibi esercitano gloriose lotte.
Credo di potere mantenere più comodamente la mia promessa con cui ho cominciato a rispondere a tutte le tue parole ed a sciogliere i nodi delle questioni che mi hai poste, se non supererò il numero dei tuoi libri.
Metto fine pertanto a questo libro per iniziare con un altro a controbattere il tuo ultimo libro.
Indice |
24 | Agostino, Retract. 2, 88 (62) |
25 | Agostino, De pecc. mer. et rem. 1, 9, 10 |
26 | Agostino, De nupt. et concup. 1,12,13 |
27 | 1,36-44 |
28 | 3,21,42; 4,2,9 |
29 | Agostino, De nupt. et concup. 1,15,17 |