Opera incompiuta contro Giuliano |
Giuliano. Ma qualcuno dirà: Come risorgono i morti? Con quale corpo verranno? Stolto!
Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore.
Non ogni carne è la medesima carne: altra è la carne dell'uomo, altra quella degli animali, altra quella degli uccelli, altra quella dei pesci.
Anche i corpi sono celesti e terrestri, e altro è lo splendore dei corpi celesti, altro quello dei corpi terrestri.
Altro è il fulgore del sole, altro il chiarore della luna, altro il brillare delle stelle, e poi ogni stella differisce dall'altra nella luce.
Così è pure la risurrezione dei morti: si semina un corpo corruttibile e risorge incorruttibile, si semina un corpo ignobile e risorge glorioso, si semina un corpo debole e risorge pieno di forza, si semina un corpo animale e risorge un corpo spirituale.
È pure scritto del primo Adamo: L'uomo divenne un essere vivente; l'ultimo Adamo è diventato uno spirito vivificante. Il primo uomo, preso dalla terra, è terreno; il secondo uomo, venuto dal cielo, è celeste.
E quale è l'uomo fatto di terra, così sono gli uomini terreni; ma quale è l'uomo celeste, così anche gli uomini del cielo.
Come abbiamo portato l'immagine dell'uomo terreno, dobbiamo portare anche l'immagine dell'uomo celeste.( 1 Cor 15,33-49 )
L'Apostolo doma la difficoltà dell'argomento con l'uso di esempi e dice che nulla è impossibile, quando l'onnipotenza promette l'effetto.
Ma come persuade la risurrezione dei corpi con il confronto dei semi, così spiega la diversità dei risorgenti con le varietà delle creature; tuttavia parla esclusivamente della risurrezione dei beati.
Si semina, dice, un corpo ignobile e risorge glorioso, si semina un corpo debole e risorge pieno di forza, si semina un corpo animale e risorge un corpo spirituale.
Ciò non si può certamente avverare se non nei santi; anche gli empi vengono risvegliati, non per la gloria, ma per l'obbrobrio eterno, come asserisce il profeta. ( Ger 23,40 )
Qui distanzia opportunamente la natura e la grazia, ricorda l'antica testimonianza che del primo Adamo dice: L'uomo divenne un essere vivente, e aggiunge di suo: L'ultimo Adamo è diventato uno spirito vivificante.
E fa capire che i doni della immortalità appartengono allo spirito vivificante, mentre l'anima solamente vivente appartiene alla natura destinata a morire un giorno.
Non c'è dunque identità, dice, tra il vivente e il vivificante: è il vivificante che conferisce l'immortalità, e assegna al Cristo la potenza di conferire l'immortalità; vivente è invece chi vive la sua vita, ma non esclude la mortalità.
A questo fine dunque distingue ambedue le sentenze: per indicare che Adamo fu fatto come un vivente, ma non come un immortale; il Cristo invece fu fatto come uno spirito non soltanto vivente, ma anche conferente la risurrezione, gloriosa ai suoi, eterna a tutti.
Agostino. Che forse Adamo per questo sarebbe stato morituro, anche se non avesse peccato, perché era stato fatto con un corpo animale e non con un corpo spirituale?
Assolutamente sbagli, se per questo giudichi necessario a noi riempire il paradiso di Dio con le morti e con le pene dei morenti e inoltre con la spregevolezza, con la debolezza, con la corruzione, nelle quali sono seminati adesso i corpi animali degli uomini.
L'albero della vita infatti, che Dio piantò nel suo paradiso, difendeva dalla morte anche il corpo animale, finché, per il merito di una perseverante obbedienza, passasse, senza l'intervento della morte, alla gloria spirituale di cui i giusti entreranno in possesso risorgendo.
Giusto era infatti che l'immagine di Dio, non offuscata né invecchiata da nessun peccato, fosse inserita in un tale corpo dove, sebbene creato e plasmato di materia terrena, durasse la stabilità di vivere somministratagli dall'albero della vita e vivesse provvisoriamente per mezzo di un'anima vivente, che nessuna necessità separasse dal corpo, e poi per la pratica della obbedienza giungesse allo spirito vivificante, di modo che non le fosse sottratta questa vita minore, nella quale poteva e morire e non morire, ma le fosse data in aggiunta quella vita più ampia dove vivesse senza il beneficio di nessun albero e dove non potesse morire.
Ti domando infatti in quale corpo tu stimi che siano adesso Elia ed Enoch: in un corpo animale o in un corpo spirituale?
Se risponderai: " In un corpo animale ", per quale ragione non vuoi credere che Adamo ed Eva e i loro discendenti, se non avessero violato con nessuna prevaricazione il precetto di Dio, sarebbero vissuti, benché in un corpo animale, così come vivono adesso Elia ed Enoch?
Poiché Adamo ed Eva erano nel medesimo paradiso dove sono stati trasferiti Elia ed Enoch, e questi vivono nel medesimo paradiso donde, perché morissero, furono cacciati via Adamo ed Eva.
Infatti l'albero materiale della vita così somministrava la vita ai corpi animali come l'albero spirituale della vita, ossia la Sapienza di Dio, somministrava la vita della dottrina salvatrice alle menti sante.
Onde alcuni commentatori della parola di Dio, anche cattolici, hanno preferito presentare il paradiso come spirituale, senza però opporsi alla storia che più evidentemente indica il paradiso come materiale.
Se poi risponderai che Enoch ed Elia hanno già un corpo spirituale, per quale ragione non confessi che il corpo animale dei primi uomini e di quanti nascessero da essi per la serie delle successioni, se non fosse esistito nessun peccato, che meritamente li separasse dall'albero della vita, sarebbe potuto passare senza morte intermedia in un corpo spirituale, perché tu non sia costretto a riempire il paradiso di Dio, a riempire il luogo dei gaudi felici con le pene delle morti e dei morenti e con le innumerevoli sofferenze dei morbi mortali?
Giuliano. Ma, dice, non fu prima il corpo spirituale, bensì il corpo animale, e dopo quello spirituale.
Il primo uomo, preso dalla terra, è terrestre; il secondo uomo, preso dal cielo, è celeste.
Come abbiamo portato l'immagine dell'uomo terrestre, bisogna che portiamo l'immagine anche di quello celeste. ( 1 Cor 15, 46-47.49 )
Apertamente passa appunto ai liberi comportamenti e vuole che tra la nostra condotta passata e quella presente ci sia tanta distanza quanta ce n'è tra la mortalità e l'immortalità.
Il primo uomo, dice, preso dalla terra, è terrestre; il secondo uomo, preso dal cielo, è celeste: con il nome delle sostanze indica la diversità del proposito.
Non è infatti che il Cristo, chiamato da lui l'uomo celeste, la sua carne che prese dal seme di Davide, dal seme di Adamo, dalla carne di una donna e dentro una donna, l'abbia fatta discendere dal cielo.
Terrestre e celeste li riferisce dunque alle virtù e ai vizi.
Poi prosegue: Come abbiamo portato l'immagine dell'uomo terrestre, bisogna che portiamo l'immagine anche di quello celeste.
Altrettanto ai Romani: Parlo con esempi umani, a causa della debolezza della vostra carne.
Come avete messo le vostre membra a servizio dell'impurità e dell'iniquità a pro della iniquità, così mettete ora le vostre membra a servizio della giustizia per la vostra santificazione. ( Rm 6,19 )
Ma seguendo il tenore della esortazione che ha presa a fare, aggiunge un'affermazione che, se non è capìta bene, sembrerà rovesciare tutto quello che ha detto: Questo vi dico, fratelli: la carne e il sangue non possono possedere il regno di Dio, né ciò che è corruttibile possederà l'incorruttibilità.
Ossia, in questi passi nei quali non aveva fatto altro che affaticarsi nell'affermare la risurrezione della carne, destinata secondo la sua asserzione ad essere collocata nella gloria del regno, adesso dichiara: La carne e il sangue non possono possedere il regno di Dio.
Se la carne non possiede il regno di Dio, se non lo possiede il sangue, dov'è la risurrezione dei morti, della quale nei versetti precedenti l'Apostolo rigenera la pompa?
Ma secondo lo stile della Scrittura, l'Apostolo ha nominato carne e sangue i vizi e non la sostanza.
Poi ha esposto questa medesima verità: Ecco io vi annunzio un mistero: tutti certo risorgeremo, ma non tutti saremo trasformati.
Ha capito l'egregio Maestro di avere precedentemente rivendicato solo alla beatitudine futura il vocabolo di risurrezione, e quindi, perché ciò non rimanesse ambiguo, conclude: Tutti certo risorgeremo, ecco qual è il risveglio comune; ma non tutti saremo trasformati, ecco dove c'è la risurrezione dei beati.
La trasformazione dunque nella gloria si deve solamente a coloro che meritano non l'ira di Dio, ma l'amore di Dio.
In un istante, dice, in un batter d'occhio, al suono dell'ultima tromba, i morti risorgeranno incorrotti e noi saremo trasformati.
Qui passa di nuovo a quei santi che quel giorno troverà nella carne, e dice che in un momento, tanto breve quanto può essere l'estrema nota di un suono di tromba, e coloro che erano morti si sveglieranno incorrotti, cioè integri, e coloro che saranno trovati vivi verranno trasformati nella gloria.
È necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e che questo corpo mortale si vesta d'immortalità.
Quando poi questo corpo mortale si sarà vestito d'immortalità, allora si compirà la parola della Scrittura: La morte è scomparsa inghiottita nella tua vittoria.
Dov'è, o morte, il tuo aculeo? Dov'è la tua vittoria?
L'aculeo della morte è il peccato e la forza del peccato è la legge. ( 1 Cor 15,50-52 )
Indica, come spesso, che parlava unicamente della risurrezione dei santi e perciò, tralasciando il risveglio degli empi, dichiara giusto che nei corpi dei santi la corruttibilità sia divorata dalla eternità della gloria.
Quando poi questo si sarà compiuto, egli dice, allora sarà lecito insultare il diavolo e la morte perpetua, la quale aveva fatto sembrare mala questa corruzione naturale; allora scoppieranno i gaudi dei santi vedendo che hanno spuntato l'aculeo della morte, e diranno: Dov'è, o morte, il tuo aculeo? Dov'è la tua vittoria?
L'aculeo della morte è il peccato e la forza del peccato è la legge.
Cioè: O morte eterna, tu avevi come aculeo il peccato per ferire i disertori della giustizia; poiché, se tu non fossi stata armata di questo aculeo, ossia del peccato volontario, non avresti nociuto assolutamente a nessuno.
Questo peccato e questo aculeo li vedi infranti dalle forze della fede, testimone la nostra ricompensa, dalla quale tentavi di stornarci; il tuo aculeo fu appunto il peccato e la forza del tuo peccato era la legge, perché dove non c'è legge, non c'è nemmeno prevaricazione. ( Rm 4,15 )
Oppure: Sebbene il peccato fosse il tuo aculeo, questo divenne tuttavia più forte unicamente di fronte alle disposizioni d'animo dei prevaricatori, dopo che ad esso fu aggiunta la morte della legge, la quale tuttavia non era stata data per acuire l'aculeo.
La legge infatti è santa, e santo e giusto e buono è il comandamento, ma il peccato per rivelarsi peccato mi ha dato la morte servendosi di ciò che è bene, perché il peccato apparisse oltre misura peccaminoso per mezzo del comandamento. ( Rm 7,12-13 )
Questa forza dunque, che il tuo aculeo acquisiva con l'aiuto in noi di una spontanea iniquità, si presenta vinta e infranta dalle virtù dei fedeli, dalle corone ormai dei fedeli.
A te quindi i nostri insulti, mentre rendiamo grazie a Dio che ci ha dato questa vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. ( 1 Cor 15,46-57 )
Agostino. Dell'immagine dell'uomo terrestre e dell'immagine dell'uomo celeste si è discusso già sopra a sufficienza e ti abbiamo risposto che l'immagine dell'uomo celeste si può portare adesso nella fede e nella speranza, ma nella realtà stessa, manifestata e donata, si porterà quando il corpo che adesso si semina animale sarà risorto spirituale.
Coteste due immagini appunto, l'una dell'uomo terrestre e l'altra dell'uomo celeste, le applica alle singole realtà, ossia la prima al corpo animale e la seconda al corpo spirituale.
Precedentemente infatti ha detto: Ma non fu prima il corpo spirituale, bensì il corpo animale, e dopo quello spirituale, e aggiunse di seguito: Il primo uomo, preso dalla terra, è terrestre; il secondo uomo, preso dal cielo, è celeste. Come abbiamo portato l'immagine dell'uomo terrestre, bisogna che portiamo l'immagine anche di quello celeste.
Chi è il primo se non Adamo a causa del quale c'è la morte?
E chi è il secondo se non il Cristo, a causa del quale c'è la risurrezione dei morti?
Poiché a causa di un uomo venne la morte e a causa di un uomo la risurrezione dei morti.
Come infatti tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita nel Cristo: cioè, tutti coloro che riceveranno la vita, non la riceveranno se non nel Cristo; del che abbiamo già parlato sopra.
Non c'è proprio nessuna incertezza a quali due realtà si riferiscano queste due immagini: l'una infatti si riferisce alla morte, l'altra alla risurrezione.
La prima dunque alla morte del corpo, perché la seconda alla risurrezione del corpo; la prima al corpo animale che si semina nella ignominia, la seconda al corpo spirituale che risorgerà nella gloria: della ignominia ci vestiamo nascendo, della gloria ci vestiamo rinascendo.
Ma poiché sotto il peccato nasciamo e invece nella remissione dei peccati rinasciamo, dichiara: Come abbiamo portato l'immagine dell'uomo terrestre, bisogna che portiamo l'immagine anche di quello celeste.
Il primo fatto lo ricorda come avvenuto, il secondo esorta che avvenga.
Nessuno infatti può far sì di non essere nato nella pena, per cui si semina il suo corpo nella ignominia; ma se non sarà rinato e se non avrà perseverato ad esser ciò che è divenuto rinascendo nella grazia, non arriverà a possedere il corpo spirituale che risorgerà nella gloria.
Cos'è dunque quello che dici: Apertamente passa appunto ai liberi comportamenti e vuole che tra la nostra condotta passata e quella presente ci sia tanta distanza quanta ce n'è tra la mortalità e l'immortalità?
Poiché l'Apostolo piuttosto non passa ad un altro argomento, ma continua ciò che aveva cominciato a dire della risurrezione della carne, alla quale contrappone la morte della carne.
Non vuole pertanto far intendere in questo luogo i due comportamenti, cioè il buono e il cattivo, ma asserisce che come a causa di Adamo è avvenuta la morte della carne, così per mezzo del Cristo avverrà la risurrezione della carne.
Lascia tu che l'uomo di Dio faccia quello che fa: seguilo e non voler tentare che sia lui a seguire te.
Non ti segue infatti, per quanto tu possa sforzarti.
Apertamente contrappone la morte della carne alla risurrezione della carne; apertamente assegna a queste singole realtà i loro singoli autori: alla morte del corpo Adamo, alla risurrezione del corpo il Cristo.
Apertamente, confrontando nel senso opposto tra loro le due immagini, l'una dell'uomo terrestre e l'altra dell'uomo celeste, attribuisce la prima al corpo animale, che a causa di Adamo meritò di essere seminato nella ignominia, la seconda al corpo spirituale che per mezzo del Cristo meriterà di risorgere nella gloria.
Il quale Cristo anche secondo la carne è stato detto uomo celeste, non perché assunse dal cielo la carne, ma perché elevò al cielo anche la carne.
Se è vero che una buona scelta e una buona condotta fa sì che gli uomini giungano alla risurrezione gloriosa, è forse vero che per una cattiva scelta e per una cattiva condotta di questa vita, che abbiamo tenuta noi nati e cresciuti in età, avvenne che noi nascessimo in un corpo animale con la propaggine della morte?
Chi infatti con una cattiva scelta o con una qualche scelta si procurò l'inizio di una natività travagliata?
Chi con una cattiva condotta, comunque abbia vissuto, si rese necessaria la morte?
È pacifico che, se vogliamo riferire anche alla condotta queste due realtà, cioè l'immagine dell'uomo terrestre relativa al corpo animale e l'immagine dell'uomo celeste relativa al corpo spirituale, come poniamo la risurrezione del corpo spirituale dalla parte della giustizia, così dobbiamo porre la morte del corpo animale dalla parte del peccato, perché come nella giustizia del Cristo avverrà questa risurrezione, così nella iniquità di Adamo avvenne quella morte.
Il che se tu lo capisci e accedi a questa verità apertissima, io concedo quello che dici tu: l'uomo terrestre e l'uomo celeste stanno a indicare i vizi e le virtù. Infatti come la virtù del Cristo farà risorgere un corpo spirituale, così il vizio di Adamo fece morire il corpo animale.
Pertanto a questo testo non corrisponde quella sentenza del medesimo Apostolo ai Romani: Come avete messo le vostre membra a servizio dell'impurità e dell'iniquità a pro dell'iniquità, così mettete ora le vostre membra a servizio della giustizia per la vostra santificazione. ( Rm 6,19 )
Lì parlava infatti dei costumi, cattivi e buoni; qui parla invece della risurrezione del corpo e della morte del corpo.
Ma poiché alla risurrezione gloriosa, che avverrà quando risorgerà un corpo spirituale, coloro che hanno ormai l'uso di ragione non potranno giungere se non lo credono e non lo sperano, per questo, ricordando che abbiamo portato l'immagine dell'uomo terrestre, nella quale a causa dell'uomo c'è la morte, esorta che portiamo l'immagine dell'uomo celeste, nella quale c'è per mezzo di un uomo la risurrezione dei morti, perché, come per il peccato di Adamo andiamo alla morte del corpo animale, così per la giustizia del Cristo andiamo alla risurrezione del corpo spirituale.
Poi soggiunge: Questo vi dico, o fratelli: la carne e il sangue non possono possedere il regno di Dio.
Dove non ti disapproviamo per aver creduto che con i nomi di carne e di sangue sia stata indicata la sapienza della carne, e non la stessa sostanza del corpo animale che si semina, sì, nella ignominia, ma risorgerà tuttavia nella gloria e possederà senza dubbio il regno di Dio.
Sebbene si possa intendere anche diversamente: che in cotesto passo con i nomi della carne e del sangue sia stata indicata la corruzione che vediamo attualmente nella carne e nel sangue, una corruzione che certamente rimanendo corruttibile non possederà il regno di Dio, perché questo corpo corruttibile si vestirà di incorruttibilità.
Perciò dopo aver detto: La carne e il sangue non possono possedere il regno di Dio, quasi per spiegare che cosa avesse inteso con questi nomi, perché non si credesse che avesse inteso la stessa sostanza carnale, aggiunge: Né ciò che è corruttibile possederà l'incorruttibilità.
E secondo questo senso sembra più probabile che intrecci tutto il resto.
Ma, qualsiasi dei due significati abbia voluto seguire con queste parole l'autore delle medesime parole, né l'uno né l'altro va contro la fede, che è tale da non dubitare che la famiglia di Dio, congregata da tutte le genti, possederà in una carne incorruttibile il regno di Dio.
Non disapproviamo pertanto ciò che anche prima di noi hanno detto molti commentatori cattolici delle Scritture divine, cioè che la carne e il sangue possono essere intesi qui per gli uomini che " sanno " secondo la carne e il sangue, e che quindi non possederanno il regno dei cieli.
In tal senso infatti il medesimo Dottore delle genti dice: La sapienza della carne è morte.
Ma il fatto che tu non voglia accaduta la morte del corpo animale per il peccato del primo uomo, mentre senti dire dal medesimo Apostolo: Il corpo è morto a causa del peccato, ( Rm 8, 6.10 ) e mentre non osi negare che per la giustizia del secondo uomo ci sarà la risurrezione di un corpo spirituale, che si contrappone alla morte del corpo animale, e il fatto che tu non voglia questo per riempire dei corpi dei morti e attraverso di questi riempire anche degli strazi dei morenti il paradiso, memorabile luogo delle beate delizie, questo disapproviamo, questo detestiamo, questo giudichiamo degno di anatema.
Chi infatti si insulterà alla fine, quando si dirà: Dov'è, o morte, la tua vittoria? Dov'è, o morte, il tuo aculeo?
Se non o il diavolo, autore anche della morte corporale, o la stessa morte del corpo, che sarà divorata dalla risurrezione del corpo?
Questo discorso infatti si farà dopo che questo corpo corruttibile si sarà vestito d'incorruttibilità e questo corpo mortale si sarà vestito d'immortalità.
Senza ambiguità dice appunto l'Apostolo: Quando questo corpo corruttibile si sarà vestito d'immortalità, allora si compirà la parola della Scrittura: La morte è sparita nelle fauci della vittoria.
Dov'è, o morte, la tua vittoria? Dov'è, o morte, il tuo pungiglione?
A quale morte lo si dirà se non a quella che sparirà nella gola della vittoria?
E che morte è cotesta se non quella che sarà ingoiata nel momento stesso in cui questo corpo corruttibile e mortale indosserà l'incorruttibilità e l'immortalità?
Di questa morte corporale dunque l'aculeo è il peccato, perché a questa morte si dirà: Dov'è, o morte, il tuo aculeo?
Il quale aculeo ha detto che è il peccato: evidentemente l'aculeo dal quale la morte è stata fatta, non l'aculeo che è stato fatto dalla morte, come la coppa della morte è la coppa dalla quale è fatta la morte, non la coppa che è fatta dalla morte.
Perché dunque ad essere insultata non sarà questa morte, ma, come reputi tu, la morte perpetua?
Sarà forse la stessa morte perpetua ad essere ingoiata dalla vittoria, quando questo corpo mortale si vestirà d'immortalità?
È forse la stessa morte perpetua a contendere contro i santi, perché dal loro combattimento sia vinta la paura della morte, che precedentemente li teneva vinti, quando essi peccavano per la paura della morte?
Non fu forse per vincere la stessa morte corporale che il Signore è morto e ha ridotto all'impotenza colui che aveva il potere della morte, cioè il diavolo, e ha liberato coloro che per paura della morte erano rei di schiavitù per tutta la vita? ( Eb 2,14-15 )
Erano forse rei per la paura della morte eterna, quando piuttosto diventano rei coloro che non hanno paura della morte eterna?
Quindi il Signore, perché non si abbia paura di questa morte corporale, la cui paura fa rei gli uomini, ma si abbia paura piuttosto della morte sempiterna, la cui non paura fa rei gli uomini, dice apertissimamente: Non temete coloro che uccidono il corpo e dopo non possono fare più nulla, ma temete colui che ha il potere di gettare nella geenna e il corpo e l'anima. ( Lc 12,4-5 )
Questa della geenna è certamente la morte seconda e perpetua.
Non è contro la paura di questa morte che combattono i santi, ma piuttosto contro la paura della morte del corpo.
Infatti per vincere la morte corporale temono la morte eterna, perché dopo aver vinto la morte corporale con la pietà e la giustizia non sentiranno la morte eterna.
La morte corporale dunque e non la morte eterna insulteranno dicendo: Dov'è, o morte, la tua vittoria?
Il che in un altro testo si trova scritto così: Dov'è, o morte, il tuo contendere? ( Os 13,14 sec. LXX )
Poiché dunque l'aculeo della morte corporale è il peccato, con quale fronte tu osi dire che non dal peccato del primo uomo fu fatto che noi fossimo in lui allontanati dall'albero della vita e fossimo colpiti anche dalla morte del corpo?
Cos'è, ti prego, quello che con l'incredibile rabbia della tua bavosa loquacità latri contro l'evidenza delle parole di Dio, come se la tua anima non possa ottenere la vita nel paradiso di Dio, se tu non vi introduci la morte del corpo assieme a tanto numerose e a tanto grandi malattie corporali, esecutrici e precorritrici della morte?
Attento a te piuttosto, perché, mandando nel luogo delle sante delizie le pene del corpo, tu stesso non sconti nel luogo dei perpetui dolori le pene e dell'anima e del corpo.
Giuliano. In questo luogo Agostino è decisamente dell'opinione che l'aculeo della morte sia quell'antico peccato, non capendo ciò che segue: La forza del peccato è la legge, dove Agostino si sforza di sostenere che quella legge è il precetto imposto ad Adamo.
Ma quel precetto non fu la forza del peccato, bensì il genere di un peccato.
Altro è infatti dar forza a ciò che esiste, altro è procreare ciò che non esiste.
Cibarsi dunque di quell'albero non sarebbe stato un male, se non fosse stato interdetto; ma dopo che fu interdetto e fu usurpato dalla prevaricazione, ivi nacque il peccato dalla interdizione di Dio e dalla trasgressione dei progenitori, benché non per questo fosse stata data la legge perché si mancasse; ma tuttavia facendolo, cioè mangiando di quell'albero, l'uomo non avrebbe peccato, essendo buono l'albero, se dalla legge non ne fosse stata proibita la degustazione.
Di un'azione dunque che è perversa di per sé, per esempio il parricidio, il sacrilegio, l'adulterio, e che si riconosce come male anche senza l'emanazione di una legge, è esatto dire che dalla legge ha ricevuto forza presso i prevaricatori, i quali sono resi più bramosi dalla proibizione; a ciò che invece non si fa iniquamente se non perché è interdetto, risulta che dalla occasione della legge è stato conferito il genere del peccato, non la forza del peccato.
Ma poiché sono stato qui un po' troppo lungo, anche alla fine di questo mio libro avverto il mio lettore ad osservare bene che nella legge di Dio non si trova nessuna occasione dell'empietà manichea; ma se alcuni punti si reputano ambigui, non dubiti e che si possano spiegare secondo le regole della verità e della ragione, e che concordino con la giustizia.
Dunque con il medesimo vigore che spetta alla legge di Dio noi condanniamo e coloro che dicono: Non ci sarà la risurrezione dei morti per mezzo del Cristo, e costoro che ugualmente contro l'Apostolo asseriscono che il Cristo non ebbe un corpo della nostra natura, e venerano per questo le massime dei manichei.
Agostino. Io non ho mai detto che l'Apostolo dove scrive: La forza del peccato è la legge, abbia significato quella legge che fu data nel paradiso.
A vuoto dunque, come se io lo avessi detto, tu hai detto il molto che hai detto contro di me. Infatti come forza del peccato, già certamente esistente ma meno operante, io ho sempre inteso quella legge della quale il medesimo Apostolo scrive: Che diremo dunque?
Che la legge è peccato? No certamente.
Però io non ho conosciuto il peccato se non per la legge, né avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: Non concupire.
Prendendo pertanto occasione da questo comandamento, il peccato scatenò in me tutta la concupiscenza. ( Rm 7,7-8 )
Ecco in che modo la legge è la forza del peccato: il peccato infatti operava meno quando non operava ancora la prevaricazione, perché non era stata data ancora la legge: Dove infatti non c'è legge, non c'è nemmeno prevaricazione. ( Rm 4,15 )
Non era dunque ancora "tutta " la concupiscenza, prima che essa per la proibizione crescesse tanto e diventasse tanto forte da rompere il vincolo della stessa proibizione che l'aveva incrementata.
Anche tu stesso hai mostrato di saperlo, spendendo molte parole per questa sentenza, sebbene per provarlo tu abbia adoperato piuttosto altre testimonianze apostoliche e non quella adoperata ora da me, forse per non confessare che la concupiscenza è peccato.
Apertissimamente appunto ha dimostrato che essa è peccato colui che dice quello che ho ricordato: Io non ho conosciuto il peccato se non per la legge.
E come se domandassimo quale peccato, scrive: Non avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: Non concupire.
Questa concupiscenza dunque, certamente una concupiscenza cattiva che fa concupire la carne contro lo spirito, non esisteva ancora prima di quel grande peccato del primo uomo, ma cominciò ad esistere allora e viziò la natura umana per così dire nella traduce, dalla quale la natura trae il peccato originale.
Con questa concupiscenza appunto nasce ogni uomo, né il reato di questa concupiscenza si scioglie se non in coloro che rinascono, cosicché da questo reato dopo il suo proscioglimento non sia inquinato se non chi consente alla concupiscenza nel perpetrare un'opera cattiva, o non concupiscendo lo spirito contro la carne, o non concupiscendo lo spirito più fortemente della carne.
Addizionano dunque altre forze alla medesima concupiscenza i peccati che sopravvengono per la volontà propria di coloro che peccano, e la stessa consuetudine di peccare, che non per nulla si suole chiamare una seconda natura; ma nemmeno allora la concupiscenza è " tutta ".
Ha infatti ancora di che crescere, perché essa è " minore " finché a peccare non è uno che sa, ma uno che non sa.
Per questo l'Apostolo non dice: Non avrei avuto la concupiscenza, ma: Non avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: Non concupire.
Prendendo pertanto occasione da questo comandamento, il peccato scatenò in me tutta la concupiscenza.
Tutta è infatti la concupiscenza, quando i comportamenti proibiti si concupiscono più ardentemente e quando i peccati ormai già conosciuti, tolto di mezzo il pretesto dell'ignoranza e posta l'aggravante della prevaricazione della legge, si commettono più sfacciatamente.
Onde la legge di Dio, per quanti la grazia di Dio non aiuta per mezzo dell'Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo, non è stata detta correzione del peccato, ma piuttosto forza del peccato.
E quindi dopo aver detto: La forza del peccato è la legge, come se si rispondesse: Che faremo dunque, se il peccato non si toglie nemmeno con la legge, ma si accresce?
Soggiungendo subito dove i combattenti debbano riporre la loro speranza, dichiara: Siano rese grazie a Dio che ci ha dato la vittoria, o, come hanno altri codici e l'hanno pure i codici greci: che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo.
Verissimo assolutamente: Se infatti fosse stata data una legge capace di conferire la vita, la giustificazione scaturirebbe davvero dalla legge; la Scrittura invece ha rinchiuso ogni cosa sotto il peccato, perché ai credenti la promessa venisse data in virtù della fede in Gesù Cristo. ( Gal 3,21-22 )
Figli della promessa e vasi della misericordia sono coloro ai quali per questo la promessa è stata data per la fede in Gesù Cristo perché hanno ottenuto la misericordia per credere, come l'Apostolo dice anche di se stesso, ( 1 Cor 7,25 ) cosicché pure la stessa fede, dalla quale si inizia e alla quale si riferisce tutto ciò che facciamo con temperanza, con giustizia, con pietà, non si attribuisca all'arbitrio della nostra volontà, come se non fosse donata a noi dalla misericordia di Dio, dal quale è preparata anche la stessa volontà, come è stato scritto. ( Pr 8 sec. LXX )
Onde la santa Chiesa, con le labbra supplicanti dei sacerdoti, prega non solo per i fedeli, perché con perseverante pietà non vengano meno nel credere, ma anche per gli infedeli perché credano.
Da quando infatti con l'umano libero arbitrio Adamo commise quel grande peccato e condannò tutto il genere umano in blocco,40 tutti gli uomini che vengono liberati da questa comune condanna, non vengono liberati se non in forza della grazia divina e della misericordia divina, e tutto ciò che la legge di Dio comanda non si osserva se non perché Dio stesso che comanda aiuta, ispira, dona.
È Dio che si prega perché i fedeli perseverino, perché progrediscano, perché arrivino alla perfezione.
È Dio che si prega anche perché coloro che non credono comincino a credere.
E queste preghiere della Chiesa santa, che crescono e fervono in tutto l'orbe delle terre, desiderano sopprimerle ed estinguerle coloro che contro cotesta grazia di Dio, piuttosto che difendere l'arbitrio della volontà umana, lo sollevano per farlo precipitare dall'alto con più grave danno.
Tra costoro, o da soli o da capi, tenete banco contenzioso voi che non volete che il Cristo Gesù sia "Gesù " per i bambini, perché sostenete che non sono stati contaminati da nessun peccato originale, mentre il Signore per questo è stato chiamato Gesù perché ha salvato il suo popolo, non dalle malattie corporali, che fu solito guarire anche nel popolo non suo, ma dai suoi peccati. ( Mt 1,21 )
Sebbene dunque l'Apostolo nelle parole: L'aculeo della morte è il peccato, abbia espresso senza incertezza la morte che è stata opposta alla risurrezione del corpo, della quale stava parlando, cioè la morte del corpo: essa infatti sarà ingoiata dalla vittoria quando per la risurrezione di un corpo spirituale cesserà di esistere, perché allora ci sarà l'immortalità anche del corpo che non si può perdere per nessun peccato, tuttavia in quello che aggiunse di seguito: La forza del peccato è la legge, non significò la legge che fu data nel paradiso.
Essa infatti non poteva essere la forza di un peccato che non esisteva ancora.
Ma disse forza del peccato quella legge che subentrò perché sovrabbondasse il peccato e scatenasse tutta la concupiscenza: ossia non soltanto la concupiscenza che, sorta nel paradiso, diede la morte anche al corpo e con la quale nasce ogni uomo; né soltanto la concupiscenza che crebbe con l'accumularsi dei peccati commessi per i cattivi costumi di chiunque, ma altresì la concupiscenza che, resa ancora più ardente da un comandamento che proibiva, arrivò fino alla prevaricazione, perché la vittoria, con la quale fosse vinta non solo la cupidigia del peccato, ma anche la paura della morte corporale, e fosse infine inghiottita l'infermità della stessa mortalità, venisse prestata non dalla legge data per mezzo di Mosè, ma dalla grazia fatta per mezzo del Cristo.
Perciò l'Apostolo disse: L'aculeo della morte è il peccato e la forza del peccato è la legge.
Siano rese grazie a Dio che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, come se dicesse: L'aculeo della morte è certamente il peccato, perché è venuta dal peccato anche questa morte corporale.
All'autore della morte o anche alla morte stessa sarà detto alla fine da coloro che risorgendo nella gloria la inghiottiranno: Dov'è, o morte, la tua vittoria?
Dov'è, o morte, il tuo aculeo?
Ma questo aculeo, ossia il peccato, che a causa di uno solo penetrò e passò con la morte in tutti gli uomini, moltiplicato anche con l'addizione degli altri peccati, non lo poté togliere nemmeno la legge, santa e giusta e buona, la quale infatti divenne piuttosto la forza del peccato, perché la concupiscenza ardesse di più dopo che fu proibita e arrivasse al colmo della prevaricazione.
Che restava dunque se non che ci soccorresse la grazia?
E pertanto siano rese grazie a Dio che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo; a Dio che, rimettendo i nostri debiti e non inducendoci in tentazione, ci conduce all'ultima vittoria dalla quale sia inghiottita anche la morte del corpo, perché chi si vanta non confidi nella propria forza, ma si vanti nel Signore. ( 2 Cor 10,17 )
Questa fede retta e cattolica, nella quale abbiamo imparato e riteniamo che anche la morte del corpo fu inoculata da quell'aculeo che è il peccato, è tanto diversa dall'errore dei manichei ed è piuttosto così chiaramente avversa ad esso, che i manichei dicono, piuttosto con voi che con noi, Adamo creato talmente mortale da essere morituro sia che peccasse, sia che non peccasse.
Né per questo tuttavia noi diciamo manichei voi perché anche voi dite ciò.
Né tuttavia vedete che nemmeno noi per questo dobbiamo essere detti manichei da voi perché e i manichei e noi diciamo essere un male la concupiscenza per cui la carne concupisce contro lo spirito.
Ma voi in ciò che dite insieme ai manichei distate da loro per un altro errore, certamente dissimile, ma tuttavia un errore, perché la morte della carne non l'attribuite, come i manichei, ad una natura aliena e mescolata a noi, ma l'addossate alla nostra natura, benché non viziata da nessun peccato, e così il paradiso della voluttà più onesta e più felice lo riempite infelicemente e disonestamente dei funerali dei morti e degli strazi dei morenti.
Noi invece nel dire con i manichei che è un male e non viene dal Padre ( 1 Gv 2,16 ) la concupiscenza della carne per la quale la carne concupisce contro lo spirito, distiamo dai manichei non per un altro errore, sebbene dissimile, tuttavia eretico anch'esso, ma per la verità cattolica, perché questa discordia tra le due concupiscenze della carne e dello spirito non diciamo con i manichei che venne a noi dalla mescolanza di una natura aliena, coeterna a Dio e cattiva, ma con il cattolico Ambrogio e con i suoi colleghi dissertiamo e contro di voi entrambi asseriamo francamente che si è convertita nella nostra natura per la prevaricazione del primo uomo,41 e la carne del Cristo la predichiamo, non nulla, come i manichei, né aliena dalla natura della nostra carne, come ci calunniate voi, ma immune da questo nostro vizio, per il quale la carne concupisce contro lo spirito, e assolutamente integra.
Ma voi, negando che siano mali quelli che sono mali e non riferendo la loro origine al peccato del primo uomo, non ottenete che quei mali non esistano, ma con detestabile cecità favorite i manichei nel far credere che i mali vengano da una natura cattiva coeterna al Bene eterno, e accusate i manichei inutilmente, perché li aiutate miserabilmente.
Indice |
40 | Ioannes Constantinopol., Ep. ad Olymp. 3, 3 |
41 | Ambrosius, In Luc. 7, 12, 53 |