Contro la Lettera di Parmeniano |
Contro i Donatisti, in verità, ho già discusso a lungo altre volte, sia negli scritti che nei dibattiti, secondo le forze che il Signore mi dona.
Ma ora mi capita tra le mani una lettera che Parmeniano, già loro vescovo, ha scritto a Ticonio, uomo di acuto ingegno e di ricca eloquenza, e tuttavia donatista, ritenendo che questi fosse in errore su un punto che egli è costretto ad ammettere come vero.
Perciò ho deciso, avendomelo richiesto o, meglio, imposto i fratelli, di rispondere qui alla lettera di Parmeniano, soprattutto per via di alcune testimonianze delle Scritture, che egli non accetta come vanno accettate.
Ticonio, infatti, colpito da ogni parte dalle voci provenienti dalle sante Lettere, si scosse, aprì gli occhi e vide la Chiesa di Dio diffusa in tutta la terra, come l'avevano prevista e predetta, tanto tempo prima, il cuore e le labbra dei santi.
A questa vista, prese a dimostrare e a sostenere, contro i suoi stessi fratelli, questa tesi: Nessun peccato dell'uomo, per quanto scellerato e mostruoso, annulla le promesse di Dio; e nessuna empietà dei membri della Chiesa, quali che siano, può fare in modo che la fedeltà di Dio alla Chiesa futura, destinata a diffondersi sino ai confini della terra, fedeltà contenuta nelle promesse dei Padri e ora chiaramente manifestata, sia vanificata.
Ora, Ticonio, pur discutendone con passione e facondia, e mettendo a tacere i suoi avversari con molte, importanti e chiare testimonianze delle sacre Scritture, non vide la conseguenza che avrebbe dovuto vedere, e cioè, che in Africa, i cristiani appartenenti alla Chiesa sparsa nel mondo, non erano quelli legati ai Donatisti, separati dall'unità e dalla comunione con lo stesso mondo, ma quelli uniti a questo stesso mondo mediante la comunione.
Parmeniano e gli altri donatisti, invece, questa conseguenza la videro, ma preferirono assumere un atteggiamento molto ostile alla limpida verità, che Ticonio sosteneva anziché, ammettendola, essere superati dalle Chiese africane che godevano della comunione dell'unità, che Ticonio sosteneva, e dalla quale si erano separati.
In un primo momento, Parmeniano, pensò, diciamo così, di correggerlo con una lettera; ma poi, a quanto si dice, Ticonio fu condannato anche da un loro concilio.
Ora, a questa lettera che Parmeniano ha scritto a Ticonio per rimproverarlo di proclamare la Chiesa diffusa in tutto il mondo, e invitarlo a non cadere in questo ardire, noi abbiamo deciso di rispondere con questa opera.
Pertanto, vediamo innanzitutto quale credibilità ha la tesi in cui egli sostiene che i Galli, gli Spagnoli, gli Italiani e i loro colleghi - termine col quale vuole certamente intendere il mondo - sono simili ai traditori africani nella pratica dei delitti e nella complicità dei crimini.
In realtà, mentre Ticonio cita molte e importanti prove delle sacre Scritture, Parmeniano gli si rivolge senza prove, e pretende di essere creduto senza prove.
Evidentemente lo invita a seguire il suo esempio: anche lui infatti ha creduto ad alcuni suoi colleghi vescovi che, contro tante Chiese stabilite sulla vasta superficie della terra, non hanno che parole.
Ma può esserci qualcosa di più temerario di questa credulità?
Parmeniano dice, infatti, che, incaricati di una ambasciata, alcuni vescovi, a suo dire testimoni molto degni di fede, si recarono in queste province; quindi, in occasione di un loro secondo viaggio, questi santissimi sacerdoti del Signore, come egli dice, resero chiaramente pubbliche, con maggior completezza e veridicità, le loro accuse.
O uomo, che pensa di essere più credibile di Dio!
Ticonio rievoca i tuoni del Testamento di Dio, stabilito nella promessa fatta ad Abramo, nella promessa a Isacco e nella promessa a Giacobbe, quando Dio attesta di essere il loro Dio, dicendo: Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe: ecco il mio nome per sempre, ( Es 3, 6.15 ) e Parmeniano gli oppone i racconti dei suoi colleghi sacerdoti!
Che cosa fu detto ad Abramo? Nella tua discendenza saranno benedette tutte le nazioni. ( Gen 22,18 )
E che fu detto ad Isacco? Anche nella tua discendenza saranno benedette tutte le nazioni della terra, perché il tuo padre Abramo ha ascoltato la mia voce. ( Gen 26,4-5 )
E a Giacobbe che fu detto? Ecco: Non temere. Io sono il Dio di Abramo, tuo padre, e il Dio di Isacco.
La terra sulla quale tu sei coricato, la darò a te e alla tua discendenza.
La tua discendenza sarà come la polvere della terra e popolerà la terra che si estende verso il mare, verso l'Africo, l'Aquilone e l'Oriente.
In te e nella tua discendenza saranno benedette tutte le nazioni della terra. ( Gen 28,13-14 )
E perché non credano che qui si parla dei Giudei, l'Apostolo ci spieghi chi è la discendenza di Abramo, nella quale, come è stato detto, devono essere benedette tutte le nazioni.
Egli dice: Le promesse sono state fatte ad Abramo e alla sua discendenza.
Non dice la Scrittura: E ai discendenti, come se si trattasse di molti, ma: E alla tua discendenza, come se si trattasse di uno, cioè Cristo. ( Gal 3,16 )
È in Cristo dunque che tutte le nazioni riceveranno la benedizione: con tanta autorità è stato promesso, con tanta verità realizzato, ma lo contestano quelli che vogliono chiamarsi cristiani!
Ma che cosa oppongono a questo testo?
Ecco: " Incaricati di una ambasciata, alcuni testimoni molto degni di fede si recarono in queste province; quindi, durante un secondo viaggio di questi santissimi sacerdoti del Signore, il fatto è stato reso pubblico, chiaramente, con maggior completezza e veridicità ".
Che cosa, di grazia, che cosa hanno reso pubblico questi testimoni degni di fede, che voi volete più credibili di Dio?
Che per colpa dei traditori africani non è stato permesso alla discendenza di Abramo, cioè a Cristo, di giungere a tutte le nazioni?
Anzi, che essa è scomparsa dov'era giunta?
Dite pure che bisogna credere più ai vostri colleghi che al Testamento di Dio; ciò non ostante, vi gloriate di avere salvato dalle fiamme, il Testamento che cercate di distruggere con la lingua.
Scelga ciascuno ciò che vuole; ma se contro le folgori del cielo prevale il fumo di una menzogna terrena, lasciato il cielo, si disperda nei venti.
Se infatti Parmeniano non fosse stato attaccato alla sua cattedra, avrebbe scelto di credere più alla Scrittura di Dio che ai suoi colleghi.
Dio infatti dice a Giacobbe: Non ti abbandonerò finché non avrò fatto tutto ciò che ti ho detto. ( Gen 28,15 )
Quanto agli ambasciatori è certamente molto più attendibile che essi, già condannati con una giusta sentenza, non siano stati ammessi a fare comunione in quelle zone nelle quali Dio stava adempiendo le promesse fatte ai nostri padri e che quindi lanciarono queste accuse contro i santi sacerdoti di Dio, dai quali non avevano ottenuto d'essere ricevuti, per turbare con false dicerie, gli spiriti semplici della gente da loro ingannata, e separare temerariamente dalla pace universale gli spiriti ingenui sedotti dal loro nome orgoglioso.
Che di più stolto di questa stoltezza, o meglio, follia?
In tante nazioni della terra Dio ha in gran parte adempiuto, e sta adempiendo, finché le raggiunga veramente tutte, la sua promessa: Non ti abbandonerò finché non avrò fatto ciò che ti ho detto.
I Donatisti invece credono a quanti annunziano che la promessa di Dio non si è adempiuta; anzi che la discendenza di Abramo, cioè Cristo, è scomparsa dalle regioni della terra, nelle quali si era già stabilita e le promesse di Dio sono state vanificate: e tutto ciò perché essi non sono stati ammessi alla comunione con coloro, presso i quali la promessa, ad avviso del mondo, si era già adempiuta.
Eppure non si risponde loro: " Dio solo è verace, e ogni uomo è bugiardo. ( Rm 3,4 )
È dal vostro cuore che viene ciò che dite; chi infatti dice il falso, parla del suo. ( Gv 8,44 )
Voi dunque, in quanto uomini, mentite, perché, in quanto uomini, vi adirate ".
No, non si risponde loro così, ma anzi si crede loro quando dicono che Cristo è scomparso dalla terra che già aveva iniziato a possedere e quanti lo credono, pur essendo impudenti nel dire: " Noi siamo cristiani ", osano anche affermare: " Noi soli lo siamo ".
Secondo Parmeniano, " la prova che il mondo è stato contaminato dai delitti di tradimento e da altri sacrilegi sta nel fatto che molti delitti sono stati commessi al tempo della persecuzione, e tuttavia, in queste province, non è stata fatta in seguito nessuna separazione tra le popolazioni ".
Come se non poté essere possibile che una parte dei malvagi sia rimasta nascosta e non sia stata accusata, per poter essere condannata senza alcuna temerarietà, e che una parte sia stata scoperta e condannata; ma poiché venivano accusati di fatti evidenti, abbiano smesso di turbare e dividere le Chiese.
È quindi possibile che alcuni non siano stati accusati.
In questo caso allora alcuni crimini incerti siano stati rimessi al giudizio di Dio in compenso di una pace certa, altri, invece, scoperti e provati, abbiano ricevuta una condanna così dura da non rendere possibile a nessun condannato di ingannare la gente, simulando la propria innocenza, e non rompere mai il vincolo dell'unità.
Neppure nell'Africa, ci sarebbe questo grave male dello scisma, se non fosse prevalsa la fazione degli inventori di falsità, anziché la ragione dei sostenitori della verità.
Quanti lo desiderano, leggano i racconti, del vescovo della comunione cattolica, Ottato di Milevi, di venerabile memoria, racconti molto convincenti e documentati.
Vi si parla di Lucilla, all'epoca donna ricchissima e molto intrigante, che san Ceciliano, ancora diacono, aveva offeso per difendere la disciplina della Chiesa, e degli altri componenti della sua fazione.
Dei ladri del tesoro della Chiesa, e di quelli che si lamentavano per non essere giunti all'episcopato e perseguitavano con ogni insidia Ceciliano, preferito a loro.
Vi si parla dei Vescovi della Numidia, convocati da questa fazione per rovinare Ceciliano, deporlo e al suo posto ordinarne un altro.
Costoro, venendo con il loro primate, all'epoca Secondo di Tigisi, e con altri vescovi, ai quali proprio Secondo, pur di favorire la pace, aveva condonato i crimini della consegna dei Libri sacri, da loro stessi confessati, come attestano gli Atti ecclesiastici, mentre Ceciliano era assente, senza concedere una proroga per fare indagini più accurate e senza lasciare spazio alla difesa, decisero che egli era un traditore, danneggiando, così, un uomo assente, per un crimine di tradimento soltanto rinfacciato, mentre essi si erano reciprocamente condonati i crimini ammessi alla loro stessa presenza.
E così, di contro a un vescovo ancora in cattedra, con il quale tutto il mondo cristiano, nelle regioni d'oltremare e più lontane, e nelle stesse Chiese africane più importanti e più ferme contro siffatti inganni, era in comunione, ordinarono un nuovo vescovo.
Con questo gesto, essi cercavano di contestare le promesse di Dio, impedire che tutte le nazioni fossero benedette nella discendenza, e dire che i traditori africani avevano contaminato anche le zone del mondo che di Ceciliano o non avevano sentito neppure il nome; o al contrario che ne avevano certamente sentito parlare come di un innocente, qualunque fosse la sua vita, nella quale però i Donatisti non riuscirono a provare nessun crimine.
Inoltre, anche contro il mondo che dichiara: " Quello che tu rinfacci ai tuoi cittadini, io non l'ho potuto conoscere, e non dovevo condannare ciò che ignoravo ", essi citano il testo dell'Apostolo: Non solo quelli che fanno queste cose, ma anche quelli che sono d'accordo con quanti le fanno. ( Rm 1,32 )
In realtà, sarebbe stato poco condannare tante e grandi nazioni cristiane, senza ascoltarle, se non avessero osato citare anche contro lo stesso Apostolo un testo certamente suo, ma che non riflette il suo pensiero!
In realtà se è andare d'accordo con i malvagi, convivere con loro nella Chiesa, anche Paolo andava d'accordo con i falsi fratelli, ( 2 Cor 11,26 ) tra i quali dichiarava di essere in pericolo e ai quali permette di predicare il Vangelo, pur sapendo che lo predicavano senza retta intenzione, ma per invidia e senza carità. ( Fil 1,15-18 )
Se invece andare d'accordo con quanti fanno il male non significa altro che approvare e lodare le loro cattive azioni, allora il mondo, sull'esempio dell'Apostolo, non avrebbe approvato i crimini degli africani, anche se, venendoli a conoscere, li avesse tollerati per la pace della Chiesa.
Comunque che il mondo li abbia conosciuti, i Donatisti non lo provano, anche se riuscissero a provarne la verità.
È quindi infondata l'affermazione di Parmeniano, secondo la quale i traditori condannati in Africa, furono accolti dalle province d'oltremare nella comunione di santità.
Questo proprio non dobbiamo crederlo, se no condanniamo con audacia sacrilega e sulla base di una falsa accusa, il mondo fondato sull'unità di Cristo, anziché amarlo sulla base della verace promessa di Dio.
Che è più credibile, infatti, la parola di Dio: Nella tua discendenza saranno benedette tutte le nazioni, ( Gen 22,18 ) o le parole dei Donatisti: " Nella discendenza dei traditori africani, sono maledette tutte le nazioni "?
Ma così non conterebbe di più ciò che ha commesso la malvagità di ciò che ha promesso la verità?
Allora, non è preferibile credere che quanti vennero accolti nella comunione dalle province d'oltremare, o erano innocenti, e quindi non poterono essere oppressi dai loro calunniatori - e molti documenti fanno ritenere più attendibile questa versione - o che, non potendone dimostrare la malvagità, anche se c'era, siano stati creduti innocenti e accolti, senza che chi li accoglieva abbia contratto alcun contagio?
Ma c'è di più. Quand'anche per colpa di cattivi fratelli, come quelli che l'Apostolo sopportò nell'unità della Chiesa, e quelli che il martire Cipriano lamenta nella lettera sui Lapsi;1 quand'anche, ripeto, per colpa di simili fratelli, presenti anche nell'ordine dei giudici, si fosse reso impossibile, con qualche disonestà, individuare e cacciare i traditori, e il mondo cristiano fosse stato ingannato dalla loro finta innocenza, questo non avrebbe assolutamente perso la sua innocenza.
Quanto poi alle sue affermazioni su Ossio di Cordova, già vescovo cattolico, dobbiamo pretendere che ci provino non solo che egli era tale e quale essi lo dipingono, ma che questa sua identità era ben nota anche a coloro con i quali, come essi sostengono, Ossio era in comunione.
Se non lo provano, infatti, non ha senso dire che essi sapevano chi fosse.
E poiché egli non poté nuocere a quanti non lo conoscevano, i Donatisti, separandosi da questi innocenti, non possono, proprio per la sacrilega iniquità della separazione, essere innocenti.
In realtà, la versione più credibile è questa - sempre che Ossio, condannato dagli Spagnoli, sia stato assolto dai Galli -.
È possibile che gli Spagnoli, raggirati con false accuse, ingannati e presi astutamente in trappola, abbiano emessa una sentenza contro un innocente, ma che in seguito abbiano pacificamente aderito alla sentenza dei loro colleghi, che ne avevano provato l'innocenza.
Essi temevano, infatti, che, per difendere con tenace e accanita perversità i loro precedenti giudizi, accecati dall'empietà, potessero precipitare nel sacrilegio dello scisma, superiore a tutti i crimini.
È così che hanno fatto i miseri Donatisti che, neppure dopo essersi divisi e spezzettati tante volte, capiscono ciò che hanno fatto.
Così rivelano chiaramente perché sono diventati inguaribili: essi temono, evidentemente, di essere costretti a condannare il precedente e avventato giudizio, espresso contro Ceciliano assente, se, per rispetto della verità e della pace, si adeguassero al giudizio d'oltremare, in cui vennero vinti da Ceciliano presente.
Ma sarebbe maggiore la vittoria che riporterebbero, dominando, almeno dopo il giudizio, l'umano risentimento, che se avessero vinto quest'uomo in giudizio!
Infatti la vittoria più sublime, e più completa anche del più completo trionfo, è quella che si ottiene non solo su un uomo, ma su una intera città, come dice la Scrittura: È meglio vincere l'ira, che conquistare una città. ( Pr 16,32 )
Ora, essi desideravano vincere un uomo, ma l'ira li vinceva; e poiché non riuscirono a vincere l'uomo, furono vinti e dall'uomo e dall'ira.
Dall'uomo, perché furono vinti nel giudizio, dall'ira, perché, neppure vinti, si sono acquietati, visto che, con spirito pieno di malvagità, leggono o ascoltano le parole dell'Apostolo: Se poi quello che io ho demolito, lo ricostruisco di nuovo, io stesso mi dichiaro prevaricatore. ( Gal 2,18 )
Certo, se anche l'Apostolo queste parole le avesse intese con spirito tanto perverso, non sarebbe diventato né cristiano e né Apostolo; e né da predicatore, avrebbe edificato le Chiese, che prima da persecutore, distruggeva.
In nessun caso, quindi, i Donatisti hanno rivelato con tanta chiarezza il motivo per cui, neppure sconfitti, hanno voluto correggersi, come nell'odio verso gli Spagnoli che, dopo avere espresso giudizi differenti, si sono rimessi alla successiva discussione e al giudizio dei colleghi.
Infatti, come questo atteggiamento è frutto della docilità cristiana, così quello della ostinazione diabolica.
Perciò non c'è da meravigliarsi che da quella umiltà la pace è stata custodita, e da quella arroganza, distrutta.
Inoltre, ad essi viene giustamente restituito quello che hanno fatto, poiché essi hanno insegnato questo metodo ai posteri.
In effetti, anche i Massimianisti, per rifiutarsi di cedere al concilio dei loro trecentodieci colleghi che avevano giudicato innocente Primiano, precedentemente da loro stessi condannato , nella loro disperata ostinazione non trovarono altro argomento da opporre agli ignoranti che questo detto dell'Apostolo: Se poi quello che ho demolito, io lo ricostruisco, mi dichiaro io stesso prevaricatore.
Cento colleghi, avevano distrutto Primiano, ed essi non vollero ricostruirlo con trecento.
Così, mentre fingono di stare attenti a non ricostruire un uomo da loro distrutto, con un sacrilegio più grande hanno distrutto se stessi in un altro scisma.
E tuttavia, se vivesse, Parmeniano non oserebbe più rimproverare gli Spagnoli e né chiamarli prevaricatori, per aver adeguato il loro giudizio al giudizio dei colleghi, proprio per non offendere i suoi colleghi, molti dei quali, dopo avere condannato Primiano, ravvedutisi, passarono al concilio dei trecento; preferendo schierarsi contro i loro affrettati giudizi che contro la pace dell'unità, sia pure nel partito di Donato.
E Parmeniano avrebbe rispetto soprattutto per Pretestato di Assuri e Feliciano di Musti che, sebbene condannati da trecentodieci Vescovi, loro colleghi, per amore della concordia ritornarono da quelli stessi che li avevano condannati; e, per il bene della pace furono accolti dai loro condannatori con lo stesso amore, senza alcun danno alla loro dignità.
Nessuno tuttavia pensò di ribattezzare quelli che essi avevano battezzato fuori, nello scisma.
Oppure Parmeniano, che non apprezza molto quelli che rivedono i loro giudizi e che, fraintendendo l'Apostolo, chiama prevaricatori, detesterebbe questi due per aver deciso di tornare dentro, anziché di restare fuori?
Oppure insieme con alcuni di questi compagni, creerebbe anche i parmenianisti, come già sono sorti molti rami da questo grande tronco in tutta l'Africa?
È così, è fatale che sia così: divisi e ridotti in frammenti scompaiono quanti hanno preferito l'orgoglio della loro animosità al vincolo santissimo della pace cattolica.
In realtà non bisogna tanto temere le accuse di Parmeniano, quanto esaminarne le ammissioni.
Egli, dopo aver detto che lo spagnolo Ossio aveva aiutato Ceciliano per costringere una moltitudine di santi e di puri ad entrare nella loro comunione, ma che la fede dei servi di Dio era rimasta integra di fronte a questa empietà, ammette, più in là, che i suoi stessi amici erano andati anche da Costantino, il quale, con il suo arbitrato, affidò la causa all'esame dei vescovi giudici, presieduti da Milziade, Vescovo di Roma.
Ma dato che in questo giudizio, come attestano gli Atti ecclesiastici, i Donatisti furono vinti e Ceciliano fu trovato innocente, ecco che accusano di tradimento lo stesso Milziade.
Ora io domando: quando l'hanno saputo? Prima del giudizio?
Allora non avrebbero dovuto danneggiarsi, mettendosi a trattare la loro causa presso un tale giudice e sottoporsi, sia pure per ordine dell'Imperatore, da essi stessi avvicinato, al giudizio di un simile tribunale.
Se invece dicono che è stato solo dopo l'indizione della causa e l'emissione della sentenza che hanno appreso che Milziade era un traditore, possibile che la gente è sciocca fino a tal punto da credere a dei litiganti vinti e schierarsi contro i giudici che li hanno vinti?
Eppure, in tutta questa vicenda essi accusano, con grande temerarietà, gli Italiani, gli Spagnoli e i Galli, trascurando tutte le altre province e nazioni dalle quali si sono separati con un nefando sacrilegio, e alle quali non potevano certamente nuocere i crimini degli Italiani, degli Spagnoli e dei Galli, quand'anche accertati.
In realtà, essi, accecati dal capriccio o meglio dalla rabbia, accusano tutte le altre terre e sono adirati contro di loro perché, pur essendovi in Africa due partiti: uno dei traditori, dicono, e l'altro degli innocenti, hanno preferito sentirsi uniti ai traditori che agli innocenti.
Accusa sciocca che si confuta con pochissime e chiarissime parole.
In effetti queste terre, pur avendo sentito che in Africa c'erano due partiti, uno di traditori e un altro di innocenti, credettero innocente quello che aveva vinto la sua causa presso i giudici ecclesiastici vicini.
Restarono quindi sempre innocenti quelli che, pur non conoscendo l'andamento dei fatti in Africa, credettero ciò che con spirito religioso e pacifico avrebbero dovuto credere.
Quindi la separazione da questi innocenti non poté essere un fatto assolutamente innocente.
Parmeniano ammette anche che ad Arles si incontrarono i vescovi giudici e i partiti dell'Africa, ossia Ceciliano e i Donatisti.
Qui egli si fidò pienamente dei suoi, i quali, sconfitti, non poterono far altro che lagnarsi dei giudici.
Egli però non nega che essi erano ritornati da Costantino; e poiché anche in questo caso erano stati vinti con giudizio definitivo, accusa anche lui di corruzione e di favoritismo.
Ora, alla luce di tutti questi fatti, chi giudica senza parzialità scelga a chi credere: se ai giudici, che hanno emesso le sentenze, o ai litiganti, contro i quali sono state emesse, che si rifiutavano di porre fine alla contesa.
Senza dubbio il mondo ha creduto ai giudici.
Quanti invece sono dalla parte dei Donatisti e li difendono, riconoscono di credere a quelli che, in tante discussioni d'oltremare, non sono riusciti a vincere la loro causa, quale che fosse, e che, con ingenua credulità, accettano le lagnanze e le accuse contro i giudici.
Ora, se in questa faccenda, essi si dichiarano innocenti e si rifiutano di credere, alla leggera, che quelli che sono stati vinti, li ha vinti la verità, a maggior ragione sono innocenti quelli che si rifiutano di credere, alla leggera, qualche male degli stessi giudici di cui i vinti inevitabilmente si lamentano!
In effetti, non solo chi ha perso una causa giusta deplora l'iniquità, la lentezza e la negligenza del giudice, ma anche chi ha ricevuto una giusta condanna mormora del giudice innocente, con la stessa cecità con cui litigava con l'avversario innocente.
I Donatisti, quindi, non sono scellerati perché non vogliono credere niente, alla leggera, dei vinti, ma perché, con il furore di uno scisma, si sono separati da quei innocenti, che non vogliono credere nulla di male dei giudici e che hanno molte più ragione a non farlo.
Sorga dunque una Chiesa di quelle regioni: quella che per il nome di Cristo è la più nobile tra le sette e, se vi piace, in particolare Filadelfia, ( Ap 1,11 ) che nel suo nome simbolico, annuncia, nella lingua greca, la carità fraterna.
Ascoltiamone dunque la voce; e non parli la sua paglia, ma il suo frumento.
Supponiamo, che essa dica ai Donatisti: " Che avete contro di me, fratelli? Di che mi accusate?
Quanto io sia lontana dall'Africa in termini di spazio, voi avete potuto in parte saperlo e in parte sentirlo.
Ciò che allora vi hanno fatto o i traditori o gli accusatori e i condannatori dei traditori, o i calunniatori e gli oppressori degli innocenti, lo ignoro totalmente.
Ma il nostro Signore, che ha acquistato il mondo a prezzo del suo sangue, e il cui santo acquisto il profeta ha celebrato tanto tempo prima, dicendo: Hanno trapassato le mie mani e i piedi, hanno contato tutte le mie ossa.
Mi hanno guardato e considerato, hanno diviso tra loro le mie vesti e hanno tirato a sorte la mia veste, ( Sal 22,17-19 ) tra noi e voi, non ha costituito spazi vuoti e privi di cristiani, ma li ha riempiti tutti di gente santificata dal suo nome.
Nello stesso salmo di passione, infatti, è stato dichiarato non solo il prezzo pagato, ma anche la quantità acquistata.
Infatti, poco dopo vi si dice: Si ricorderanno e si convertiranno al Signore dell'universo, tutti i confini della terra e si prostreranno davanti a lui tutte le famiglie delle nazioni, poiché suo è il regno ed egli dominerà le nazioni. ( Sal 22,28-29 )
Della vostra questione, quindi, forse sarei obbligata a occuparmi solo se fossi vicina o molto lontana, e se tra noi e voi non abitassero altri cristiani, segnati dallo stesso nome e dalla pace della stessa unità.
Senonché tra noi e voi si trovano molte famiglie di nazioni, acquistate insieme a me col sangue di colui, al cui cospetto si prostrano tutte insieme a me.
È per il loro tramite che mi è giunta notizia di voi; e sono esse che, per la vicinanza, avrebbero potuto esaminare la vostra causa.
Se questo non è stato fatto, voi siete stati negligenti; se infatti non foste stati trascurati dagli altri, non verreste fino a noi.
Ma se c'è stato un giudizio, scusatemi: io non oso credere con leggerezza a voi sconfitti e condannare con altrettanta leggerezza i vostri giudici.
Un'altra cosa, poi, mi colpisce profondamente: se voi, benché innocenti, foste stati oppressi, amereste almeno noi fratelli che non vi abbiamo fatto nessun danno.
Invece voi, malgrado che noi sappiamo che la vostra causa, a norma del legittimo diritto ecclesiastico, è stata affidata ai vostri vicini, che sanno, davanti a Dio, come hanno giudicato, cercate tuttavia di lacerarci con calunnie e di perseguitarci con odi crudeli e, come se per colpa vostra Cristo ha perso la sua eredità presso di noi, cercate anche di ribattezzarci.
Dunque, cosa di buono possiamo pensare della vostra causa?
In realtà voi, non esitando, per dei sospetti temerari, a condannare i vostri fratelli molto lontani, mostrate come abbiano avuto ragione i vostri vicini a condannarvi.
Del resto, perché io non dovrei credere che abbia fatto bene un giudice vicino a condannarlo, dopo averlo ascoltato, colui che non esita a condannare me, suo fratello tanto lontano, senza avermi ascoltato?
Colui che mi accusa di questo grandissimo delitto: che non potendo essere presente in tribunale, ho preferito credere ai giudici presso i quali la causa fu inoltrata, che ai litiganti?
Ma se io non avessi preferito credere ai giudici, anche nel caso che i vinti fossero stati innocenti, non avrei potuto essere io innocente.
Ci faremmo complici di un grande delitto, se, non potendo scrutare il cuore degli uomini, non osservassimo neppure la disciplina ecclesiastica, rifiutandoci di credere a dei giudici, oltre i quali la causa non poté andare e tramite i quali la notizia poté giungere a noi.
Ebbene, tu che ti sei separato da questi innocenti con empia rottura, ti consideri ancora innocente?
Se veramente lo fossi, vedendo nelle sante Scritture che la messe del tuo Signore non si può separare dalla zizzania e dalla paglia prima della cernita e della vagliatura finali, preferiresti di gran lunga essere forte nel sopportare i cattivi che empio nell'abbandonare i buoni ".
Quante Chiese sparse nel mondo potrebbero far proprio questo giustissimo discorso, che io ho posto sulla bocca della Chiesa di Filadelfia!
Viceversa Parmeniano osa anche lagnarsi che Costantino ordinò di condurre al campo, cioè al supplizio, quelli che, vinti davanti ai giudici ecclesiastici, non riuscirono a provare le loro accuse neppure davanti a lui, e erano ancora mossi da un sacrilego furore contro i membri della santa Chiesa.
Lo accusa di avere ordinato questo supplizio quasi disumano, dietro suggerimento dello spagnolo Ossio: come è suo solito, è evidente, egli condanna senza avere ascoltato e solo in base a dei sospetti.
Come se non si può credere, e sarebbe più naturale e più verosimile che, in seguito ai suggerimenti dati da Ossio, in quanto Vescovo, l'Imperatore abbia modificato la sentenza contro un crimine, il sacrilegio dello scisma, che pure è mostruoso, in una pena più mite.
In realtà, quale ingiustizia subiscono i Donatisti, quando dal supremo tribunale di Dio, che lo presiede e che con questi flagelli li ammonisce a guardarsi dal fuoco eterno, ricevono dei castighi e per colpa dei loro crimini e per ordine delle autorità?
Via, dimostrino, prima, di non essere eretici o scismatici, e solo allora, se subiscono dei castighi gridino giustamente che non sono meritati; solo allora, quando sopportano tali castighi, osino dirsi martiri della verità.
Diversamente, se basta essere puniti dall'Imperatore o dai giudici suoi inviati, per essere martiri, tutte le carceri sono gremite di martiri, tutte le catene giudiziarie trascinano martiri, in tutte le miniere vi sono dei martiri tormentati, in tutte le isole si deportano martiri, in tutti gli istituti di pena la spada della legge colpisce dei martiri, e martiri sono tutti coloro che vengono gettati alle belve o bruciati vivi sul rogo per ordine dei giudici.
Ma se, come dice l'Apostolo: Non c'è autorità se non da Dio, ed essa è ministro della vendetta divina verso chi compie il male: non a caso egli porta la spada.
Vuoi non temere l'autorità? Fa' il bene e ne avrai lode. ( Rm 13, 1.3-4 )
In verità, un uomo buono che soffre, trae lode dal potere che lo fa soffrire; quanto al cattivo, le pene che merita per la sua ingiustizia, non le imputi alla crudeltà del potere.
E tuttavia quale castigo i Donatisti ricevono adeguato ai loro crimini?
Vero è che molta gente non ha il cuore nel petto, ma negli occhi.
Così, se sprizza sangue da un corpo mortale, chi guarda inorridisce; se le anime, staccate e separate dalla pace di Cristo, muoiono nel sacrilegio dello scisma o dell'eresia, nessuno piange perché non si vede niente; anzi questa morte, più tetra, più luttuosa e, a dirla chiaramente, più vera per la forza della consuetudine è perfino oggetto di derisione, visto che gli autori di tante morti si abbandonano pubblicamente ad insulti e non si degnano neppure di aprire un discorso con noi per chiarire la verità.
Se poi subiscono qualche fastidio temporale per un ordine chiarissimo e giustissimo delle autorità, nonostante che essi, con le bande private dei loro furiosi circoncellioni, ogni giorno e dappertutto commettano azioni molto più gravi, al di fuori di ogni legge ecclesiastica e civile, chiamano noi persecutori dei corpi, ma non chiamano se stessi uccisori di anime, anche se si prendono l'arbitrio di non rispettare neppure i corpi.
Ma poiché per via della cristiana mitezza è punito molto più severamente cavare un occhio in una lite, che accecare lo spirito in uno scisma, continuano a predicare e parlare contro di noi, ma non parlano con noi; e benché la verità li costringa a stare zitti, l'iniquità non li lascia tacere.
O forse in materia di religione non hanno diritto di intervenire l'Imperatore o i suoi inviati?
Perché, allora, i vostri ambasciatori si recarono dall'Imperatore?
Perché lo fecero giudice della loro causa, se erano intenzionati a non accettarne il giudizio?
Ma dove mirano questi discorsi? E che? Anche se ottengono che non spetta all'Imperatore stabilire delle pene contro i sostenitori di false opinioni religiose, tuttavia, se lo fa e li punisce, saranno martiri?
Ma così questo titolo si allargherà a tutti gli eretici, contro i quali il segreto potere di Dio ha stabilito, tramite il manifesto potere degli uomini, molte e severissime pene coercitive, e non solo agli eretici, in qualunque modo imbiancati almeno del nome cristiano, ma anche agli stessi pagani.
In verità sono anch'essi empi a causa della loro falsa religione; e recenti leggi hanno ordinato di distruggere e demolire i loro idoli, e di impedire, pena la morte, i loro sacrifici.
Se quindi uno di loro è condannato per tale crimine, lo si deve ritenere martire perché è stato punito dalle leggi a causa di una superstizione che egli riteneva una santa religione?
Nessuno, certo, quale che sia il suo modo di essere cristiano, oserebbe dirlo.
Dunque, non chiunque è punito dall'Imperatore per una questione di religione è reso martire.
Ma non si accorgono i difensori di queste idee, di essersi spinti così avanti da sostenere che i demoni stessi possono rivendicare per sé la gloria dei martiri, visto che da parte degli Imperatori cristiani, subiscono una tale persecuzione, che in quasi tutto il mondo si distruggono i loro templi, si fanno a pezzi i loro idoli, si proibiscono i loro sacrifici?
E che quanti li onorano, appena sono presi, vengono puniti?
Ma se dire questo è veramente da pazzi, ne consegue che non è dalla sofferenza che nasce la vera giustizia, ma è dalla giustizia che la sofferenza viene resa gloriosa.
Ecco perché il Signore, per evitare che, su questa questione, qualcuno annebbiasse le idee ai semplici e potesse ricercare la gloria dei martiri, nella condanna dei propri errori, non ha detto, genericamente: " Beati coloro che soffrono persecuzioni ", ma ha aggiunto una grande differenza per distinguere la vera pietà dal sacrilegio.
Ha detto infatti: Beati quelli che soffrono persecuzioni a causa della giustizia. ( Mt 5,10 )
Ora, non è assolutamente per la giustizia che soffrono quelli che hanno diviso la Chiesa di Cristo e che, quando cercano di separarla con finta giustizia dalla paglia prima del tempo e ne perseguitano il suo grano con false accuse, sono stati separati essi, piuttosto, come pula leggerissima, dai venti variabili delle opinioni.
" Ma questo non l'abbiamo fatto ", dicono.
Ed allora, prima, pensino a liberarsi da questa questione e poi a osare, se subiscono molestie e castighi dagli Imperatori cristiani, o cessare di lamentarsi o accettarle con vanto.
Ma sulla questione dello scisma, se pure non dicessi altro, basterebbe quanto ho detto sopra.
Oppure diranno che, se anche dimostriamo loro di essere in uno scisma sacrilego, e che, se per questa follia non diventano martiri, non spetta comunque agli Imperatori reprimere e punire gli errori?
Ma con questo che intendono dire? Che di una religione corrotta e falsa le autorità non si debbono occupare?
Ma noi abbiamo già detto molto dei pagani, e perfino dei demoni, visto che subiscono tante persecuzioni da parte degli Imperatori.
O non piace neppure questo? Perché allora, i Donatisti distruggono dove possono i loro templi, e non cessano di fare tali azioni con la furia dei loro circoncellioni o di rivendicarle?
O è più giusta la violenza privata che la vigilanza imperiale? Ma di questo non parlo.
Io chiedo: visto che l'Apostolo elenca le ben note opere della carne: fornicazione, impurità, lussuria, idolatria, stregonerie, inimicizie, contese, discordie, gelosie, dissensi, divisioni, invidie, ubriachezze, orge, e cose simili, ( Gal 5,19-21 ) che ne pensano i Donatisti, che ritengono giusto che gli Imperatori puniscano il delitto di idolatria?
Se poi non vogliono neppure questo, perché ammettono che è giusto esercitare la durezza delle leggi contro le stregonerie, mentre contro gli eretici e gli empi scismi non vogliono ammetterla, malgrado l'autorità dell'Apostolo li annoveri tra i frutti dell'iniquità?
Oppure non permettono neanche che le autorità della istituzione umana si curino di questi frutti?
Perché allora porta la spada colui che è chiamato ministro di Dio e vindice della sua ira verso i malfattori? ( Rm 13,4 )
A meno che, come alcuni di loro, del tutto ignoranti, sono soliti intendere, in questo testo si parli degli onori ecclesiastici, e che quindi si deve intendere, per spada, la vendetta spirituale che opera la scomunica, malgrado l'Apostolo, molto previdente, spieghi bene di che parla, nel contesto seguente.
Egli infatti aggiunge: Per questo, voi pagate i tributi; e subito dopo: Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi il tributo, il tributo; a chi le tasse le tasse; a chi il timore il timore; a chi il rispetto il rispetto. ( Rm 13,6-7 )
Altro non resta ormai con tutte le loro discussioni, che proibire ai cristiani di pagare i tributi, benché il Signore, in risposta ai Farisei che erano di questa opinione e che i Donatisti imitano, osservata la moneta, disse: Date a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio. ( Mt 22,21 )
In verità, essi sono disobbedienti ed empi in entrambi i precetti: non rendono a Dio l'amore cristiano e ai re il timore umano.
Sono talmente ciechi e insensati che, dopo aver cacciato dalle basiliche i loro scismatici massimianisti con l'aiuto delle autorità inviate dagli Imperatori cattolici, e averli costretti a cederle con la grande forza delle leggi e dei soldati, accusano la Cattolica se i principi cattolici ordinano qualcosa di simile a suo favore.
Quanto poi ai Massimianisti, prima di diventare Massimianisti, cioè, quando ancora erano uniti in un'unica comunità di Donatisti, ricordino a quante crudeltà e a quante sevizie hanno sottoposto Rogato il Mauro, mediante il re barbaro Firmo!
Perciò stiano zitti e non osino recriminare se ricevono analoghi castighi o dai Primianisti per via del loro scisma o coi Primianisti per via dello scisma dei Donatisti.
E non certo per la santa religione, ma per la loro sacrilega animosità.
Forse i Donatisti dicono di avere ricevuto dagli Imperatori cattolici, castighi più duri di quelli inflitti da essi, ai Rogatisti, tramite i re barbari, e ai Massimianisti, tramite i giudici inviati dagli Imperatori cattolici; oppure di quelli che infliggono con la furia dei circoncellioni a quanti possono.
Come se la questione fosse questa: se sono più severe le pene subite che quelle inflitte.
Questo proprio non lo ammetto. In verità, si contano molte più loro azioni davvero crudeli e feroci, o meglio, non si possono contare.
Quand'anche fossero poche o facessero soffrire di meno i loro destinatari, sarebbero certamente più crudeli, proprio perché non vengono da un ordine delle autorità regolari, ma sono frutto di furori irregolari.
A ben vedere, tuttavia, non sono poi tante le azioni criminose che essi hanno compiute contro i Massimianisti, tramite i giudici della costituzione umana.
Tra queste includano, se vogliono, anche quelle compiute da loro, tramite il barbaro Firmo, per perseguitare Rogato il Mauro; e sebbene questi sia un nemico spietato dei Romani, lo annoverino tra le autorità legittime.
Comunque non sono così numerose come quelle che essi compiono ogni giorno per mezzo di bande scatenate di giovani ubriachi, capeggiati dai loro uomini che, prima, erano armati solo di bastoni, ora invece hanno incominciato ad armarsi anche di ferri.
Questi, con il nome assai noto di circoncellioni, girano e infieriscono in tutta l'Africa, operando contro ogni legalità e autorità.
E quando i loro delitti vengono riferiti ai Donatisti, questi o fingono di non conoscere tale razza di uomini, o sostengono, con grande spudoratezza e contro la convinzione generale, che essi non hanno niente a che fare con loro.
E non ascoltano neppure la voce del mondo, che, con molta più credibilità e verità, afferma di non sapere ciò che è stato fatto in Africa, sia dal partito di Donato che contro il partito di Donato.
Sì, con molta più credibilità e verità, visto che ai vescovi donatisti, residenti in Africa, è permesso o di non conoscere i fatti dei circoncellioni donatisti o di dire che non li riguardano.
Ma, come stavo dicendo, ora non cerchiamo di sapere se i castighi che subiscono sono più duri di quelli che infliggono, ma se è permesso comportarsi così contro gli eretici e gli scismatici.
Se dicono che non è permesso, perché essi lo fanno?
Se invece dicono che è permesso, e dimostrano - ma non possono assolutamente farlo - che i castighi ricevuti dagli Imperatori cattolici sono più duri di quelli che essi infliggono ai loro scismatici tramite i giudici imperiali e i re barbari, o anche di quelli che infliggono ad ogni tipo di persone per mezzo dei loro folli circoncellioni, neppure questo deve meravigliarci: è vero infatti che hanno più potere i principi che i giudici da essi inviati, gli Imperatori romani che i re barbari, e che un ladrone riceve giustamente dalle leggi castighi più duri delle gravi azioni che egli compie contro le leggi.
È quindi giusto che, a norma di giuste costituzioni, i protettori dei circoncellioni soffrano più di quanto facciano soffrire i circoncellioni.
La mitezza cristiana, tuttavia, è così grande che i loro delitti sono incomparabilmente superiori alle loro pene.
Ma ecco: trecentodieci vescovi donatisti condannarono, nel loro concilio, i Massimianisti; costoro, con perversa ostinazione si rifiutavano di lasciare le basiliche.
Si andò dai giudici; il loro concilio fu inserito negli Atti proconsolari.
Dopo di che quanti erano stati condannati da un numero così alto di vescovi, ricevettero l'ordine di lasciare le basiliche.
Quelli che le lasciarono senza difficoltà, non ebbero a soffrire gran che; quelli invece che tentarono di resistere, chi ignora come furono puniti?
Ma supponiamo che la ferocia degli oppositori fosse stata così grande da arrivare alle ingiurie contro i giudici, non è forse vero che sarebbero stati puniti più severamente dalle leggi romane?
Così accadde anche allora, al termine della disputa che vide i Donatisti separarsi dalla comunione cattolica.
Poiché si cominciò a fare in modo che essi non conservassero le basiliche e le conservassero solo resistendo agli ordini imperiali, resistettero in modo tale che prese il sopravvento la ben nota violenza dei circoncellioni.
Si aggiunga che questi, con tumulti tanto crudeli e sanguinosi, attaccarono anche i messi che l'Imperatore aveva inviato in tutta l'Africa per portare doni alle Chiese.
Perciò contro di loro venivano emanate leggi tali che non permettevano loro di conservare neppure le basiliche, non appartenenti all'unità, ma che erano state edificate dai cristiani separati e ormai stabilitisi nel loro scisma.
In questa vicenda, il potere imperiale vendicò le offese ricevute.
Che cosa, in effetti, possono possedere con giustizia i nemici della giustizia?
E non si trova che un Imperatore abbia emanato una legge a favore loro, tranne Giuliano l'Apostata, che detestava profondamente la pace e l'unità cristiana, poiché detestava la religione, da cui aveva empiamente prevaricato.
I Donatisti si rivolsero a lui con una supplica, come attestano gli Atti giudiziari ai quali essi hanno allegato quanto avevano, e la formularono in termini tali, che quelli che approvarono Giuliano nel culto degli idoli, per timore, furono più misurati di questi che lo elogiarono per furore.
Gli dissero che in lui c'era posto solo per la giustizia.
Che cosa, quindi, si trovano ad aver detto, se non che non è giustizia la santità cristiana, che in lui non aveva nessun posto?
O che è giustizia il culto dei demoni, che in lui occupava il primo posto?
E chi ignora le leggi durissime emanate contro di loro dagli altri Imperatori?
Tra queste ce n'è una generale contro quanti vogliono essere chiamati cristiani e non sono in comunione con la Chiesa cattolica, ma si riuniscono nelle loro sette.
Eccone il contenuto: l'ordinante di un chierico e l'ordinato, siano multati di dieci libbre d'oro, e la sede in cui l'empia setta si riunisce, confiscata.
Vi sono poi altre disposizioni generali che li privano del diritto di fare testamento, di fare o di ricevere donazioni, e di fare lasciti testamentari.
Ecco un caso: dato che un nobile signore aveva rivolto una supplica agli Imperatori, perché la sorella, del partito di Donato, morendo aveva lasciato molti beni a non so quali membri della sua comunione, segnatamente ad un certo Agostino, loro vescovo, venne ordinato, a norma di questa legge generale, di restituire tutto al fratello.
Nell'ordinanza si fece menzione anche dei circoncellioni e del tipo di mezzi e di sostegni con cui respingerli, nel caso che, come erano soliti reagire, avessero fatto una resistenza violenta.
Erano così noti, infatti, e con le loro scorrerie avevano dato di sé tante prove, che il supplicante e l'Imperatore non ne potevano tacere.
Ma se questa è la realtà, e se queste sono le condanne inflitte dalle leggi umane e divine, la mitezza cristiana tuttavia è così grande che essi, non solo conservano le basiliche, che hanno edificate da scismatici, ma non hanno restituito all'unità cattolica, neppure tutte quelle che l'unità possedeva dall'origine.
E mentre i Donatisti hanno cacciato i Massimianisti dalle basiliche del partito di Donato, con l'aiuto dei giudici inviati dagli Imperatori cattolici, essi stessi non vengono cacciati dai molti luoghi che l'unità cattolica possedeva prima, neppure con le leggi degli stessi Imperatori cattolici.
Infine, se in qualche cosa si è agito verso di loro senza moderazione, e si è superata la dolcezza cristiana, se ne rammarica il grano della messe del Signore, cioè i cristiani degni di lode in Cristo, i quali crescono nella Chiesa cattolica in tutto il mondo, portando per frutto o il cento o il sessanta o il trenta per cento. ( Mt 13,23 )
Si uniscano dunque a noi nell'accusare con grande eloquenza la paglia nella messe cattolica, ma insieme a noi non ricusino di sopportarla con grande pazienza.
Colui che non ha voluto estirpare la zizzania prima del tempo e separarla dalla mescolanza col grano, ha detto: Lasciate che l'una e l'altro crescano insieme fino alla mietitura. ( Mt 13,30 )
E quando i discepoli gli chiesero di spiegare il senso della parabola, non ha detto: " Il campo è l'Africa ", ma: Il campo è questo mondo ( Mt 13,38 )
È in tutto il mondo, quindi, che questo grano è stato seminato, è in tutto il mondo che vi è stata seminata sopra la zizzania, ed è in tutto il mondo che l'una e l'altro crescono fino alla mietitura.
È stato forse Donato il primo mietitore?
O all'epoca in cui i Donatisti si sono separati dal mondo, era giunto il tempo della mietitura, visto che il Signore stesso, perché a nessuno fosse permesso dare interpretazioni arbitrarie, ha detto con molta chiarezza: La mietitura è la fine del mondo, e i mietitori sono gli angeli? ( Mt 13,39 )
Mietitori simili non possono sbagliare e raccogliere il frumento invece della zizzania e ammassare la zizzania invece del grano.
Ora, i Donatisti, fuggendo ciò che sembra zizzania, hanno dimostrato di essere essi zizzania, e commettendo un pubblico sacrilegio, hanno predicato contro il comando del Signore.
Così, malgrado il Signore dica: Lasciate che l'uno e l'altra crescano insieme fino alla mietitura, i Donatisti sostengono che nel vastissimo campo, che è il mondo, cresce solo la zizzania mentre il grano è diminuito ed è rimasto solo nell'Africa; e così recano un oltraggio sacrilego a Cristo, nostro re e principe.
Sta scritto infatti: Un popolo numeroso è la gloria del re; un popolo piccolo è la rovina del principe. ( Pr 4,27 )
Ma ormai è tempo, io credo, di fare una analisi accurata dei testi stessi della Scrittura, che i Donatisti interpretano erroneamente, ingannando gli ignoranti; e, con l'aiuto del Signore, spiegarli nel senso della verità cattolica.
Indice |
1 | Cypr., De lapsis 6 |