Il dono della perseveranza

Indice

8.16 - La grazia è donata gratuitamente

"Ma perché - si domanderà - la grazia di Dio non è data secondo i meriti degli uomini?". Rispondo: perché Dio è misericordioso.

"E perché allora non è data a tutti?". E qui rispondo: perché Dio è giudice.

Per questo la grazia è data da lui gratuitamente, mentre il suo giusto giudizio sugli altri dimostra quale bene la grazia conferisca a coloro ai quali è data.

Dunque non dobbiamo essere ingrati, perché secondo quanto piacque alla sua volontà per lodare la gloria della sua grazia ( Ef 1,5-6 ) Dio misericordioso libera molti da una perdizione talmente meritata che se non risparmiasse nessuno non sarebbe ingiusta.

Per colpa di uno solo tutti hanno subito un giudizio di condanna; e questo non è ingiusto, ma anzi è perfettamente giusto.

Dunque chi ne viene liberato, abbia cara la grazia; chi non ne viene liberato, riconosca il suo debito.

Se la nostra intelligenza riconosce nella remissione del debito la bontà, nell'esigerlo la giustizia, mai in Dio si troverà l'ingiustizia.

8.17 - Gratuità della grazia nei bambini

Dei bambini, ma addirittura dei gemelli, si riscontra un giudizio tanto diverso?".

E non è la stessa questione se un identico giudizio viene dato in una causa diversa?

Riandiamo a considerare allora quegli operai della vigna che lavorarono tutto il giorno e quelli che lavorarono un'ora sola; certo la causa rispetto al lavoro impiegato era diversa, e tuttavia nel pagamento del salario il giudizio fu lo stesso.

Ebbene anche qui quando mormoravano, cosa si sentirono rispondere dal padre di famiglia? "Voglio così".

Egli verso alcuni ebbe generosità, eppure verso gli altri non fece nessuna ingiustizia.

Entrambi i gruppi degli operai certo sono fra i giusti; però per quanto riguarda la giustizia e la grazia, al reo che è condannato Dio può dire a proposito del reo che è liberato: Prendi quello che è tuo e vattene; a questo io voglio donare quello che non gli è dovuto.

O non mi è lecito fare quello che voglio? O forse tu sei invidioso perché io sono buono? ( Mt 20,14-15 )

A questo punto se quello dicesse: "E perché non anche a me?", giustamente si sentirebbe rispondere: O uomo, chi sei tu per rispondere a Dio? ( Rm 9,20 )

Tu vedrai che Dio a uno di voi largisce con grandissima generosità, da te esige con estrema giustizia, ma con nessuno lo vedrai ingiusto.

Anzi, Egli sarebbe giusto anche se vi punisse entrambi; chi è liberato ha motivo di rendere grazie; chi è condannato non ha motivo di recriminare.

8.18 - Imperscrutabili sono i giudizi di Dio

È dovuto a tutti, condannando sì, ma non tutti, e in tal modo far rilevare la gratuità ancora maggiore della sua grazia verso i vasi di misericordia, perché, essendo noi nella stessa condizione, punirà me piuttosto che quello, o libererà quello piuttosto che me?".

Io non dò una risposta, se tu ne chiedi il motivo, perché confesso che non ho nulla da rispondere.

E se chiedi il perché anche di questo, allora rispondo: perché in tale questione come è giusta la sua ira, come grande è la sua misericordia, altrettanto imperscrutabili sono i suoi giudizi.

8.19 - Perché alcuni non ricevono la perseveranza?

Ma mettiamo che insista ulteriormente e dica: "Perché ad alcuni che lo hanno onorato con retta fede, non ha concesso di perseverare fino alla fine?".

Quale potrà essere il motivo, secondo te?

Questo solo: non mente colui che dice: Sono usciti di fra noi, ma non erano dei nostri; se fossero stati dei nostri, sarebbero restati senz'altro con noi. ( 1 Gv 2,19 )

E allora forse sono due le nature degli uomini? Non è nemmeno da pensarci.

Se ci fossero due nature, non ci sarebbe più la grazia; infatti a nessuno potrebbe donarsi una liberazione gratuita, se a una delle due nature questa venisse concessa come dovuta.

Agli uomini sembra che tutti quelli che appaiono buoni fedeli abbiano dovuto ricevere la perseveranza sino alla fine.

Ma Dio giudicò preferibile mescolare al numero determinato dei suoi santi alcuni individui che non avrebbero perseverato, affinché quelli ai quali non giova la sicurezza nelle prove di questa vita, non possano essere sicuri.

Molti infatti si trattengono da una pericolosa esaltazione per quello che dice l'Apostolo: Perciò chi crede di stare in piedi, veda di non cadere. ( 1 Cor 10,12 )

Chi cade, cade di sua volontà; e chi sta in piedi, ci sta per volontà di Dio.

Infatti Dio ha la potenza di sostenerlo; ( Rm 14,4 ) dunque non è lui che sostiene se stesso, ma Dio.

Perciò è bene non inorgoglirsi, ma aver timore. ( Rm 11,20 )

Ciascuno cade o sta in piedi per effetto di ciò che pensa.

Ma, come dice l'Apostolo nel passo che ho ricordato nel libro precedente: Non siamo capaci di pensare qualcosa da soli, come venisse proprio da noi, ma la nostra sufficienza viene da Dio. ( 2 Cor 3,5 )

E seguendo l'Apostolo anche il beato Ambrogio osa dire: Infatti non sono in nostro potere il nostro cuore e i nostri pensieri.12

E ognuno che sia umilmente e veracemente pio si accorge che questo è verissimo.

8.20 - Non sono in nostro potere il nostro cuore e i nostri pensieri

Ambrogio giunge a pronunciare quella frase nel libro che compose Sulla fuga dal mondo, insegnando che il mondo non dev'essere fuggito fisicamente, ma con il cuore; ora, secondo lui, ciò non si può realizzare se non con l'aiuto di Dio.

Dice infatti: Noi di continuo ripetiamo questo discorso di fuggire il secolo e volesse il cielo che alla facilità con cui ne parliamo corrispondesse altrettanta accortezza e sollecitudine nei nostri sentimenti!

Ma, e questo è peggio, spesso s'insinua l'allettamento delle cupidigie terrene e le vanità diffondendosi in noi s'impossessano del nostro spirito; cosicché mediti e rivolgi nell'animo proprio quello che cerchi di tenere lontano.

Per l'uomo guardarsi da ciò è difficile, ma spogliarsene impossibile.

Pertanto questa faccenda si risolve più in un'aspirazione che in una realizzazione, e lo attesta il Profeta dicendo: "Inclina il mio cuore verso i tuoi precetti, non verso l'avarizia". ( Sal 119,36 )

Infatti non sono in nostro potere il nostro cuore e i nostri pensieri : essi diffondendosi in noi all'improvviso confondono lo spirito e l'animo e ci traggono in una direzione diversa da quella che ci eravamo proposta.

Ci richiamano a pensieri mondani, ci mettono dentro aspirazioni materiali, riversano in noi desideri di voluttà, intessono seduzioni, e nello stesso tempo in cui cerchiamo di elevare la mente, intricati in vani pensieri, per lo più ci lasciamo cadere verso le cose di questa terra.13

Dunque non è in potere degli uomini, ma di Dio, che essi abbiano la potestà di divenire figli di Dio. ( Gv 1,12 )

È da lui che ricevono questo potere, da lui che concede al cuore umano meditazioni pie per mezzo delle quali esso ottiene la fede che opera attraverso la carità; ( Gal 5,6 ) ma per assumere e conservare questo bene e progredire in esso perseverando fino alla fine, non siamo capaci di pensare qualcosa da soli, come venisse proprio da noi, ma la nostra sufficienza viene da Dio, ( 2 Cor 3,5 ) in potestà del quale sono il nostro cuore e i nostri pensieri.

9.21 - La perseveranza è donata ai predestinati

Dunque fra i bambini ugualmente vincolati dal peccato originale, perché questo viene assunto e quello abbandonato?

E fra due individui malvagi ormai in età adulta, perché questo è chiamato con tal forza che segue Colui che lo chiama, e quello invece o non è chiamato o non è chiamato alla stessa maniera?

In ciò i giudizi di Dio sono imperscrutabili.

Ma perché, fra due persone pie, ad una è donata la perseveranza fino alla fine, all'altra no?

Su questo i giudizi di Dio sono ancora più imperscrutabili.

Ma una cosa dev'essere certissima per i credenti: che l'uno appartiene ai predestinati, l'altro no.

Infatti se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti senz'altro con noi, ( 1 Gv 2,19 ) dice uno dei predestinati che aveva bevuto questo segreto dal petto del Signore.

Che vuol dire, lo chiedo a voi: Non erano dei nostri; infatti se fossero stati dei nostri sarebbero restati senz'altro con noi?

Non è forse vero che gli uni e gli altri erano stati creati da Dio, gli uni e gli altri nati da Adamo, gli uni e gli altri fatti di terra?

E gli uni e gli altri non ricevettero forse un'anima della medesima ed unica natura da Colui che disse: Ogni soffio l'ho creato io? ( Is 57,16 )

Non è forse vero infine che gli uni e gli altri erano stati chiamati ed avevano seguito Colui che li chiamava, gli uni e gli altri erano stati giustificati fra gli empi e attraverso il lavacro della rigenerazione gli uni e gli altri erano stati rinnovati?

Ma se udisse queste parole quel predestinato che sapeva senza alcun dubbio quello che diceva, potrebbe rispondere così: Tutto ciò è vero, secondo tutto ciò essi erano dei nostri; però secondo una certa altra differenziazione non erano dei nostri: infatti se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti senz'altro con noi.

E qual è infine questa differenziazione?

Ci stanno innanzi agli occhi i Libri di Dio, non distogliamo lo sguardo; leva la sua voce la Scrittura divina, prestiamole orecchio.

Non erano di quelli perché non erano stati chiamati secondo il decreto; non erano stati eletti in Cristo prima della creazione del mondo, non avevano ottenuto in lui l'eredità, non erano predestinati secondo il decreto di Colui che opera tutte le cose. ( Rm 8,28; Ef 1,4.11 )

Infatti se fossero stati tutto questo, sarebbero stati dei loro e con essi senza dubbio sarebbero rimasti.

9.22 - Anche la morte tempestiva è una grazia di Dio

E non voglio stare a dire con quanta ampiezza sia possibile a Dio rivolgere alla sua fede le volontà degli uomini, distolte o addirittura contrarie.

E così pure egli può nei loro cuori operare in modo che non cedano ad alcuna avversità e non si allontanino da lui perché vinti da qualche tentazione; infatti è in suo potere anche quello che dice l'Apostolo: impedire che siano tentati al di sopra delle loro forze. ( 1 Cor 10,13 )

Insomma, per non ripetere tutto ciò, Dio, che aveva prescienza della loro caduta, aveva certo la possibilità di toglierli da questa vita prima che ciò accadesse.

Allora vogliamo tornare al punto di prima e rimettere in discussione quanto sia assurdo dire che gli uomini dopo morti sono giudicati anche per quei peccati che Dio aveva prescienza che avrebbero commesso, se fossero vissuti.

Ma questa ipotesi è talmente contraria ai sentimenti cristiani, o semplicemente umani, che si ha ritegno perfino di confutarla.

Perché allora non si dovrebbe dire che perfino lo stesso Vangelo, che è costato ai santi tanta fatica e tribolazioni, è stato predicato invano o che è a tutt'oggi predicato invano?

Così sarebbe, se gli uomini avessero potuto subire il giudizio anche senza aver ascoltato il Vangelo, semplicemente in base alla prescienza divina della ribellione o dell'obbedienza con cui avrebbero reagito se avessero ascoltato la buona Novella.

E non sarebbero state condannate nemmeno Tiro e Sidone, che già meritavano maggiore indulgenza rispetto a quelle città nelle quali non si credette, benché vi fossero compiuti da nostro Signore Gesù Cristo segni straordinari.

Infatti se questi segni fossero avvenuti a Tiro e Sidone, esse avrebbero fatto penitenza nella cenere e nel cilicio. ( Mt 11,21 )

Così parla la Verità e così con le sue stesse parole il Signore Gesù ci addita ancor più profondamente il mistero della predestinazione.

9.23 - Esempio di Tiro e Sidone

Ci si potrebbe domandare perché tanti miracoli furono compiuti presso coloro che pur avendoli davanti agli occhi non erano destinati a credere, e non lo furono invece presso quelli che, se vi avessero assistito, avrebbero creduto.

A ciò che risponderemo? Daremo, perché no?, la stessa risposta che ho addotta nel libro concernente Sei questioni contro i pagani,14 senza voler escludere altre ragioni che uomini d'ingegno acuto possono scoprire.

Dato che, come sapete, veniva chiesto perché Cristo fosse venuto dopo un tempo tanto lungo, risposi così: Il suo Vangelo non fu predicato in certi tempi e in certi luoghi perché Egli nella sua prescienza sapeva che di fronte alla sua predicazione tutti avrebbero reagito come reagirono molti di fronte alla sua presenza corporale, che non vollero credere in lui nemmeno dopo che ebbe risuscitato i morti.

Allo stesso modo un poco più sotto nel medesimo libro e sulla medesima questione scrissi: Che c'è di strano se Cristo, sapendo che nei primi secoli tutto il mondo era pieno di gente assolutamente chiusa alla fede, non volle giustamente essere predicato a queste persone?

Egli conosceva nella sua prescienza che non avrebbero creduto né alle sue parole né ai suoi miracoli.15

Questo non lo possiamo dire con certezza di Tiro o di Sidone; in esse ravvisiamo che i giudizi divini sono connessi a quelle ragioni segrete della predestinazione su cui allora dissi di non voler dare risposte pregiudiziali.

È certo molto facile mettere sotto accusa la mancanza di fede dei Giudei: essa veniva da una libera volontà, dato che non vollero credere ai prodigi tanto grandi compiuti presso di loro.

E anche di questo il Signore li incolpa e li rimprovera dicendo: Guai a te, Chorozain e Bethsaida, perché se in Tiro e in Sidone fossero stati fatti i miracoli che sono stati fatti tra di voi, già da tempo avrebbero fatto penitenza nel cilicio e nella cenere. ( Mt 11,21 )

Ma possiamo forse dire che anche gli abitanti di Tiro e di Sidone non vollero credere dopo che avvennero presso di loro simili prodigi o che non avrebbero creduto, se fossero avvenuti?

No: il Signore stesso testimonia per essi che avrebbero fatto penitenza con grande umiltà, se presso di loro fossero avvenute quelle manifestazioni del potere divino.

Eppure nel giorno del giudizio saranno puniti, per quanto con un castigo minore rispetto a quelle città che non vollero credere neppure dopo la realizzazione dei miracoli.

Infatti, proseguendo, il Signore dice: Perciò vi dico; Ci sarà più indulgenza per Tiro e Sidone nel giorno del giudizio che per voi. ( Mt 11,22 )

Dunque questi saranno puniti più severamente, Tiro e Sidone saranno trattate con più indulgenza, ma saranno tuttavia punite.

Ora ammettiamo che i morti vengano giudicati secondo le azioni che avrebbero compiuto se fossero vissuti; in base ad una simile premessa gli abitanti di Tiro e di Sidone, poiché sarebbero diventati credenti se il Vangelo fosse stato loro predicato con miracoli tanto grandi, non sarebbero affatto da punire; invece saranno puniti.

Dunque è falso che i morti vengono giudicati secondo ciò che avrebbero compiuto se il Vangelo fosse pervenuto fino a loro da vivi.

E se ciò è falso, non c'è motivo di sostenere riguardo ai bambini che vanno in perdizione morendo senza battesimo, che questo per essi avviene meritatamente, perché Dio aveva prescienza che se essi fossero vissuti e fosse stato loro predicato il Vangelo, non avrebbero prestato fede.

Non c'è altra soluzione: essi restano vincolati al peccato originale, e per questo solo incorrono nella condanna; così pure vediamo che altri che si trovano nella medesima causa ricevono il dono della rigenerazione solo attraverso la grazia gratuita di Dio.

Sempre per il suo occulto ma giusto giudizio, poiché presso Dio non c'è ingiustizia, ( Rm 9,14 ) alcuni che anche dopo il battesimo, per la loro vita pessima devono andare in perdizione, sono trattenuti in questo mondo fino a che effettivamente si perdono; eppure non perirebbero, se la morte corporale li soccorresse, prevenendo la loro caduta.

Perché nessun morto viene giudicato dalle azioni buone o cattive che avrebbe compiuto se non fosse morto; altrimenti gli abitanti di Tiro e di Sidone non espierebbero la loro pena in base a quello che compirono, ma piuttosto, in virtù di quello che avrebbero compiuto se presso di loro si fossero prodotti quei prodigi evangelici, attraverso una grande penitenza e la fede in Cristo avrebbero ottenuto la salvezza.

10.24 - Altra spiegazione sulla pena di Tiro e Sidone

Un trattatista cattolico non oscuro ha spiegato così quel passo del Vangelo: egli dice che il Signore ebbe prescienza che gli abitanti di Tiro e di Sidone si sarebbero ritratti in seguito dalla fede, pur essendosi convertiti dopo la realizzazione dei miracoli; e allora Dio per misericordia preferì non compiere nessun prodigio presso di loro, altrimenti essi sarebbero stati soggetti a un castigo più grave, perché è più grave abbandonare la fede già avuta che non averla avuta mai.

È l'opinione di un uomo dotto e oltremodo acuto, certo, ma io non ho motivo di esaminare adesso quello che in tale spiegazione si dovrebbe ancora approfondire, dato che ci appoggia così com'è, in quello che sosteniamo.

Se infatti Dio aveva prescienza che sarebbero ridiventati infedeli e per questo nella sua misericordia non fece presso di essi i miracoli per i quali avrebbero potuto diventare credenti, in modo da non doverli punire più gravemente, viene dimostrato con sufficiente chiarezza che nessuno da morto viene giudicato per quei peccati che, come Dio prevede, egli commetterebbe se non intervenisse ad impedirglielo un qualche soccorso.

Così diciamo che Cristo prestò aiuto agli abitanti di Tiro e di Sidone, se quell'interpretazione è veridica, e preferì che non si accostassero affatto alla fede, piuttosto che con una colpa ben maggiore se ne staccassero poi, giacché Egli aveva prescienza che lo avrebbero fatto, se si fossero convertiti.

Benché a questo punto si potrebbe dire: perché piuttosto non fu fatto sì che credessero e non fu fornito loro l'aiuto di partire da questa vita prima di abbandonare la fede?

Ebbene, io ignoro che cosa si potrebbe rispondere.

Se infatti si dice: a chi doveva abbandonare la fede fu concesso come beneficio di non cominciare ad averla perché maggiore sarebbe stata l'empietà di abbandonarla, si dimostra abbastanza che l'uomo non viene giudicato dal male che, come si prevede, farà, a meno che non gli si presti un qualunque soccorso perché non lo faccia.

Un tale provvedimento fu preso per colui che fu rapito perché la malizia non mutasse la sua mente. ( Sap 4,11 )

Ma perché questo stesso provvedimento non fu preso a favore degli abitanti di Tiro e di Sidone, in modo che credessero e venissero rapiti affinché la malizia non mutasse la loro mente?

Forse potrebbe rispondere quel dotto a cui parve bene di risolvere la questione in tal modo; io, per quanto riguarda quello che tratto qui, vedo che è sufficiente ciò: la dimostrazione che gli uomini anche secondo questo parere non sono giudicati in base a quello che non hanno compiuto, anche se si prevedeva che l'avrebbero compiuto.

Per quanto, come ho detto, si sente vergogna perfino a respingerla un'opinione come questa, che nei morenti o nei morti siano castigati i peccati di cui si prevedeva il compimento in una vita più lunga; a trattare simile ipotesi anche ristrettamente anziché tacerla del tutto, si può dare l'impressione che anche noi l'abbiamo fatta degna di qualche considerazione.

11.25 - Dio ha pietà di chi vuole senza considerare i meriti

Allora, come dice l'Apostolo: Non è né di colui che vuole né di colui che corre, ma di Dio che ha misericordia; ( Rm 9,16 ) egli presta soccorso ai bambini che vuole, anche se questi non vogliono e non corrono, e sono quelli che prima della creazione del mondo elesse in Cristo per dar loro la grazia gratuitamente, cioè senza che nessuno di essi avesse alcun merito precedente né di fede né di opere.

Anche nel caso degli adulti che previde avrebbero creduto ai suoi miracoli, se fossero stati fatti presso di loro, Egli non aiuta quelli che non vuole; su questi ultimi nella sua predestinazione giudicò altrimenti, in maniera occulta certo, ma giusta.

Infatti non c'è ingiustizia presso Dio, ma imperscrutabili sono i suoi giudizi e impenetrabili le vie; ( Rm 11,33 ) d'altronde tutte le vie del Signore sono misericordia e verità. ( Sal 25,10 )

Impenetrabile dunque è la misericordia per cui ha pietà di chi vuole, senza che questi abbia precedentemente meritato in alcun senso; e impenetrabile la verità per cui indurisce chi vuole; ( Rm 9,18 ) quest'ultimo certo lo aveva precedentemente meritato, ma per lo più anche colui di cui ha misericordia non aveva meritato niente di diverso.

Così pure è diversa la fine di due gemelli, dei quali l'uno è assunto, l'altro abbandonato, mentre i meriti erano uguali.

Di essi uno per la grande bontà di Dio viene liberato, mentre l'altro senza nessuna ingiustizia da parte del Signore è condannato.

O forse ci sarà ingiustizia presso Dio? Nemmeno lontanamente, ma impenetrabili sono le sue vie.

Dunque senza nutrire dubbi crediamo alla sua misericordia in quelli che sono liberati e alla sua verità in quelli che sono puniti; e non cerchiamo di scrutare ciò che è imperscrutabile e di penetrare ciò che è impenetrabile.

Dalla bocca dei bambini e dei lattanti Egli prepara la sua lode; ( Sal 8,3 ) perciò come in questi vediamo che la liberazione di certuni non è preceduta da alcun merito nel bene e la condanna di altri solo dagli originali demeriti comuni a tutti, anche negli adulti non dobbiamo esitare assolutamente a riconoscere che avviene lo stesso.

Non pensiamo quindi né che ad uno venga data la grazia perché se la meritava, né che ad un altro venga dato il castigo se non perché se lo meritava, sia che i liberati e i puniti abbiano colpe uguali, sia che le abbiano diverse.

Perciò chi crede di stare in piedi, veda di non cadere; ( 1 Cor 10,12 ) e chi si gloria, si glori non in se stesso, ma nel Signore. ( 1 Cor 1,31 )

11.26 - Sulla questione passi de Il libero arbitrio

Ma essi, come voi scrivete, non ammettono che si adduca la condizione dei bambini come esempio di quella degli adulti.16

Ma perché dicono ciò, se sono uomini che, diversamente dai pelagiani, non mettono in dubbio l'esistenza del peccato originale, che penetrò nel mondo attraverso un solo uomo e che, attraverso l'unico individuo, provocò la condanna di tutti? ( Rm 5,12-16 )

Anche i manichei non ammettono tutto ciò, quei manichei che non solo non tengono in alcuna autorità le scritture del Libro Antico, ma che accettano con riserva anche quelle che appartengono al Nuovo, prendendo quello che vogliono e respingendo quello che non vogliono come fosse una specie di loro privilegio, anzi di sacrilegio.

Contro di essi era la mia trattazione nei libri Sul libero arbitrio, opera che i fratelli credono ora di dovermi contrapporre.17

Ma io non ho voluto risolvere completamente questioni d'una estrema difficoltà che pure cadevano in argomento, perché non fosse troppo lunga un'opera dove io, contro individui tanto perversi, non potevo giovarmi dell'autorità delle Testimonianze divine.

Potevo tuttavia, come in effetti feci, concludere con sicurezza che qualunque fosse la vera nelle conclusioni che io mettevo avanti in forma non definitiva, bisognava lodare Iddio in ogni cosa, senza alcuna necessità di credere, come vogliono essi, a due sostanze coeterne e commiste, quella del bene e quella del male.

11.27 - Di tali passi ne ha parlato nelle Ritrattazioni

Dunque, nel primo libro delle Ritrattazioni, opera mia che voi ancora non avete letto, quando sono arrivato a ritrattare proprio questi libri, cioè quelli Sul libero arbitrio, mi sono espresso così: In questi libri, ho detto, sono stati trattati moltissimi argomenti, cosicché alcune questioni che si presentavano non potevo spiegarle completamente e certe altre richiedevano una discussione troppo lunga per quel punto.

Allora le ho differite, badando però a questo: se uno stesso problema presentava due o più facce, senza che si potesse distinguere quale soluzione fosse meglio in accordo con la verità, il nostro ragionamento portava sempre a concludere che qualunque fosse tra di esse la vera, risultava in ogni caso la convinzione o addirittura la dimostrazione che Dio dev'essere lodato.

In realtà quella disputa era stata intrapresa contro gli eretici convinti che il male non trae origine dal libero arbitrio; se è così, essi sostengono, a Dio, creatore di tutte le nature, dovrebbe essere riferita ogni colpa.

In questo modo, secondo l'errore a cui li trascina la loro empietà ( infatti parlo dei manichei ), vogliono introdurre una natura del male immutabile e coeterna a Dio.18

Allo stesso modo un po' più avanti, in un altro passo [ dicevo ]: Poi abbiamo detto da quale miseria giustissimamente inflitta ai peccatori ci libera la grazia di Dio.

Infatti l'uomo, di sua iniziativa, cioè per il libero arbitrio, poteva cadere ma non sollevarsi; a questa condizione di miseria risultante da una giusta condanna appartiene l'ignoranza e la difficoltà di cui ogni uomo soffre fin dal primo momento della sua nascita; da questo male non viene liberato nessuno se non per grazia di Dio.

Ma i pelagiani, negando il peccato originale, non vogliono riconoscere che questa miseria discende dalla giusta condanna; per quanto, anche se l'ignoranza e la difficoltà fossero le condizioni originarie proprie della natura umana, nemmeno a questo patto dovremmo incolpare Dio; anzi lo dovremmo lodare, come abbiamo sostenuto sempre nel terzo libro.

E questa tesi bisogna dimostrarla contro i manichei, i quali non accettano le sante Scritture dell'Antico Libro che contengono la narrazione del peccato originale, e sostengono con detestabile impudenza che tutto ciò che a questo riguardo si legge poi nelle Lettere apostoliche è stato introdotto da corruttori delle Scritture, mentre la verità è che è stato asserito dagli Apostoli.

Ma contro i pelagiani bisogna difendere proprio questo punto, cioè la caduta a causa del peccato originale, perché esso è affermato da tutt'e due le Scritture che essi professano di accettare.19

Così ho detto nel primo libro delle Ritrattazioni, riesaminando i libri Sul libero arbitrio.

Ma non ho espresso certamente queste sole osservazioni su questi libri, anzi ne ho fatte molte altre ancora, che ho ritenuto troppo lungo e superfluo inserire in quest'opera dedicata a voi.

Potrete giudicare da soli, penso, quando leggerete tutto.

Nel terzo libro Sul libero arbitrio dunque ho discusso il problema dei bambini in questo modo: ammettiamo pure che sia vero quello che dicono i pelagiani, che l'ignoranza e la difficoltà, senza le quali nessun uomo nasce, sia la condizione originaria propria della condizione umana e non il suo castigo; ebbene i manichei resterebbero sconfitti lo stesso, essi che sostengono due nature coeterne, cioè quella del bene e quella del male.

Ammessa pure l'ipotesi che ho presentato, sarebbe forse per questo da mettersi in dubbio o da abbandonare la fede che la Chiesa cattolica difende proprio contro i pelagiani e secondo la quale esiste il peccato originale, che contratto con la generazione dev'essere sciolto con la rigenerazione?

Anche questi nostri fratelli ammettono con noi tale fatto, cosicché su questo punto ci troviamo insieme a distruggere l'errore dei pelagiani.

Ma per quale motivo pensano poi di dover mettere in dubbio che Dio strappi dal potere delle tenebre e trasferisca nel regno del Figlio diletto ( Col 1,13 ) anche i bambini ai quali concede la sua grazia attraverso il sacramento del Battesimo?

E se ad alcuni la concede, ad altri no, per quale motivo non vogliono cantare al Signore la sua misericordia e il suo giudizio? ( Sal 101,1 )

In quanto al perché sia data ad alcuni piuttosto che ad altri: Chi ha conosciuto il pensiero del Signore? ( Rm 11,34 )

Chi sarebbe capace di scrutare l'imperscrutabile, chi di penetrare l'impenetrabile?

12.28 - Grazia gratuita e perciò vera grazia

Si dimostra dunque che la grazia di Dio non viene data secondo i meriti di chi la riceve, ma secondo quanto piace alla volontà di lui, in lode e gloria della sua stessa grazia, ( Ef 1,5-6 ) affinché chi si gloria in nessun modo si glori in se stesso, ma nel Signore. ( 1 Cor 1,31 )

Egli la dà agli uomini che vuole, perché è misericordioso, ma anche se non la dà, è giusto; e non la dà a chi non la vuole dare, affinché renda note le ricchezze della sua gloria verso i vasi di misericordia. ( Rm 9,23 )

Infatti dando ad alcuni quello che non meritano, vuole che la sua grazia sia davvero gratuita, e perciò autentica; ma non dandola a tutti mostra la condanna che tutti meritano.

Egli è buono nel beneficiare alcuni determinati, giusto nel punire gli altri; buono in tutti perché è bontà quando si corrisponde ciò che è dovuto, e giusto in tutti perché è giustizia quando si dona senza danno di nessuno quello che non è dovuto.

12.29 - Obiettano i pelagiani: grazia simile al fato, se non è data secondo i nostri meriti

Ma la grazia di Dio che non è assegnata secondo i meriti, cioè la grazia autentica, si può difendere anche se i bambini battezzati, come pensano i pelagiani, non vengono strappati alla potenza delle tenebre, giacché non sono colpevoli secondo loro di nessun peccato, ma vengono semplicemente trasferiti nel regno del Signore.

Anche così infatti viene concesso il regno senza che coloro ai quali viene concesso abbiano per niente meritato nel bene, e senza che abbiano mal meritato non viene concesso a quelli a cui non viene concesso.

E questo è quello che andiamo ripetendo contro i pelagiani, quando ci obiettano che se diciamo che la grazia di Dio non viene assegnata secondo i nostri meriti, la attribuiamo in realtà al fato.

Sono essi, piuttosto, che nel caso dei bambini attribuiscono la grazia di Dio al fato; infatti sono loro a parlare di fato, dove non c'è merito.

Anche secondo gli stessi pelagiani non si può proprio ritrovare nei bambini alcun merito in base al quale alcuni di essi vengano mandati nel regno, altri invece ne vengano respinti.

Anche ora, per mostrare che la grazia di Dio non viene data secondo i nostri meriti, ho preferito difendere questa certezza secondo entrambe le convinzioni.

Secondo la nostra, diciamo che i bambini sono vincolati al peccato originale; secondo quella dei pelagiani viene negata l'esistenza di questo peccato; eppure non vedo la necessità di mettere in dubbio che i bambini abbiano un peccato che viene perdonato da Colui che fa salvo il popolo suo dai suoi peccati. ( Mt 1,21 )

In questo stesso modo nel terzo libro Sul libero arbitrio mi sono opposto ai manichei secondo una duplice tesi: ho considerato infatti sia che l'ignoranza e la difficoltà, senza le quali nessun uomo nasce, siano un castigo, sia che costituiscano la condizione originaria propria della natura umana.

Tuttavia tengo ferma la prima delle due ipotesi, che io ho espressa anche in quell'opera abbastanza chiaramente: che questa non è la natura che l'uomo ebbe quando fu creato, ma il castigo che ebbe quando fu condannato.20

12.30 - Ancora sulla causa dei bambini

Invano dunque si eccepisce su quel mio vecchio libro, per impedirmi di svolgere la questione dei bambini come la devo svolgere e di dimostrare attraverso di essa alla luce della limpida verità che la grazia di Dio non viene data secondo i meriti degli uomini.

Infatti quando iniziai da laico i libri Sul libero arbitrio e da sacerdote li portai a termine, ancora ero in dubbio se i bambini che non rinascono nel Battesimo siano condannati e se quelli che rinascono siano liberati; però nessuno, io penso, sarà tanto ingiusto e malevolo da vietarmi di progredire e da pensare che io dovevo rimanere in quell'incertezza.

Ma se uno comprende più rettamente, non crederà che io dovessi avere necessariamente dei dubbi a questo proposito solo perché mi sembrò di dover confutare in quella maniera coloro contro i quali mi rivolgevo; io potevo ammettere cioè che ricadesse sui bambini il castigo del peccato originale, come pretende la verità, oppure che non avvenisse nulla del genere, come alcuni pensano erroneamente, tuttavia entrambe le premesse non consentivano di riconoscere la permistione di due nature, quella del bene e quella del male, secondo l'eresia introdotta dai manichei.

Dunque guardiamoci dall'abbandonare a quel punto la causa dei bambini, dicendo che per noi è incerto se quei bambini che muoiono rigenerati in Cristo passano alla salvezza eterna e quelli non rigenerati invece alla seconda morte.

Infatti le parole della Scrittura: Attraverso un solo uomo entrò nel mondo il peccato e attraverso il peccato la morte; e così è passata in tutti gli uomini, ( Rm 5,12 ) non si possono intendere rettamente che in un modo.

E nessuno, bambino o adulto, è liberato dalla morte perpetua che è la giustissima retribuzione del peccato, se non da Colui che morì perché ci fossero rimessi i peccati, originali o commessi da noi personalmente, senza averne lui stesso alcuno, né originale né personale.

Ma perché Egli libera alcuni piuttosto che altri?

Lo ripetiamo ancora e ancora, senza spazientirci: O uomo, chi sei tu per rispondere a Dio?.( Rm 9,20 )

Imperscrutabili sono i suoi giudizi e impenetrabili le sue vie!. ( Rm 11,33 )

A questo aggiungiamo: Non cercare ciò che è troppo difficile per te e non scrutare ciò che ti è inaccessibile. ( Sir 3,22 )

12.31 - L'assurdità dei futuribili

Vedete infatti, carissimi, quanto sia assurdo e alieno dalla correttezza della fede e dalla schiettezza della verità il dire che i bambini morti sono giudicati secondo quello che Dio ha prescienza che farebbero, se vivessero.

Eppure alcuni sono costretti ad arrivare a questa convinzione, anche se certamente ogni sentimento umano fondato su di un minimo di ragione, e soprattutto ogni sentimento cristiano, l'aborrisce.

Vi si è costretti quando ci si vuole sottrarre agli errori dei pelagiani, pensando però ancora di dover credere e per di più proclamare che la grazia di Dio attraverso Gesù Cristo nostro Signore, la sola a venirci in aiuto dopo la caduta del primo uomo che ci ha travolti, viene data secondo i nostri meriti.

Eppure Pelagio stesso, di fronte ai vescovi orientali che dovevano giudicarlo, condannò questa tesi per paura di essere condannato lui.

Allora non parliamo di questo argomento, cioè che i morti avrebbero potuto compiere delle opere sia buone sia cattive se fossero vissuti, dato che esse non esistono e non esisteranno nemmeno nella prescienza di Dio.

Se non diciamo questo, e vedete che grande errore si commette nel dirlo, che cosa resterà, quando avremo cacciata la nebbia della controversia, se non ammettere che la grazia di Dio non viene data secondo i nostri meriti, come appunto sostiene la Chiesa cattolica contro l'eresia pelagiana e come si scorge nella più aperta verità soprattutto nei bambini?

Infatti non è il destino che costringe Dio a prestare aiuto ad alcuni bambini e ad altri no, quando la causa è comune agli uni e agli altri.

Oppure penseremo che nel caso dei bambini le cose umane siano guidate non dalla divina provvidenza, ma dai casi fortuiti, proprio quando si tratta di condannare o di liberare anime razionali, mentre neppure un passero cade in terra senza la volontà del Padre nostro che è nei cieli? ( Mt 10,29 )

O ancora, se i bambini muoiono senza battesimo bisognerà attribuirlo alla negligenza dei genitori, cosicché in tal caso non c'entrerebbero affatto i giudizi divini?

Come se i piccoli stessi che muoiono in questo modo nel peccato si fossero scelti di propria volontà al momento della nascita genitori negligenti nei loro confronti!

E che dire quando un bambino talvolta spira prima che gli si possa prestare soccorso attraverso il ministero del battezzatore?

Parecchie volte infatti, anche se i genitori si affrettano e i ministri sono pronti a impartire il Battesimo al bambino, esso non gli viene dato lo stesso poiché non vuole Dio, che non lo trattiene in questa vita appena quel tanto necessario a fargli somministrare il sacramento.

E che vogliamo dire poi del fatto che talvolta si è potuto prestare il soccorso del Battesimo a bambini figli di non credenti perché non andassero in perdizione, e a figli di credenti no?

Qui certamente si dimostra che presso Dio non ci sono riguardi personali, ( Rm 2,11; Col 3,25 ) altrimenti libererebbe i figli di chi lo venera piuttosto che quelli dei suoi nemici.

Indice

12 Ambrogio, De fuga saec. 1, 1
13 Ambrogio, De fuga saec. 1, 1
14 Agostino, Ep. 102, q. 2, 8 ss
15 Agostino, Ep. 102, q. 2, 14
16 Ilario, Ep. 226, 8 [tra le agostiniane]
17 Agostino, De lib. arb. 3,23,66-70
18 Agostino, Retract. 1,9,2
19 Agostino, Retract. 1,9,6
20 Agostino, De lib. arb. 3,20.23