Esposizione dei Salmi

Indice

Salmo 69 (68)

Discorso 1

1 - Il Cristo totale e la sua voce

Noi siamo nati alla vita presente e siamo stati aggregati al popolo di Dio in un tempo in cui quell'arbusto nato dal chicco di senape ha ormai disteso i suoi rami e quel lievito, che dapprima era una cosa insignificante, ha fermentato le tre misure, ( Mt 13,31-33 ) cioè l'intero genere umano discendente dai tre figli di Noè. ( Gen 9,19 )

Ormai da oriente e da occidente, da settentrione e da meridione viene gente ad assidersi con i patriarchi, mentre sono stati cacciati fuori coloro che, sebbene nati da loro quanto alla carne, non ne hanno imitato la fede. ( Mt 8,11 )

Noi abbiamo dinnanzi agli occhi tutta questa gloria della Chiesa di Cristo.

Un tempo ella era sterile, ma le fu palesata, o meglio predetta, la gioia che avrebbe avuto più figli di colei che allora aveva marito. ( Is 54,1; Gal 4,27 )

Difatti ai nostri giorni la troviamo dimentica ormai dell'obbrobrio e dell'ignominia della sua vedovanza.

In tale stato di cose noi potremmo forse restare sorpresi se in qualche profezia ci capita di leggere parole concernenti la debolezza di Cristo e la nostra.

E potrebbe anche accadere che non ne siamo impressionati proprio per il fatto che non siamo più nel tempo in cui, abbondando l'afflizione, queste cose erano comprese e gustate.

Anche noi, tuttavia, dobbiamo pensare a quante tribolazioni ci affliggono e convincerci che la via sulla quale camminiamo è stretta ( Mt 7,14 ) ( posto che in essa camminiamo ), e sapere che essa conduce sì alla pace eterna, ma attraverso angustie e sofferenze.

Possiamo anche considerare come quella stessa condizione umana che è detta felicità sia da temere più che non la miseria, giacché la miseria di solito fa nascere il buon frutto dalla tribolazione, mentre la felicità corrompe l'anima con la sua perversa sicurezza e apre la porta al diavolo tentatore.

Se dunque penseremo con mente sana e coscienza retta ( come vittima ben condita con sale ) che la vita umana sulla terra è una prova ( Gb 7,1 ) e che nessuno è del tutto sicuro né deve sentirsi sicuro finché non sarà giunto a quella patria dalla quale nessun amico esce e nella quale nessun nemico è ammesso, potremo ascoltare con profitto anche ora, nella stessa pienezza di gloria che circonda la Chiesa, la voce della nostra tribolazione.

Come membra di Cristo, soggette al nostro capo e vicendevolmente strette le une alle altre mediante il vincolo della carità.

Potremo sempre dire, ricavandolo dai salmi, ciò che, come leggiamo, hanno detto i martiri prima di noi: che cioè le tribolazioni sono comuni a tutti, dall'inizio sino alla fine.

Ascoltando dunque il salmo che abbiamo cominciato a spiegare e del quale ci siamo proposti di parlare alla vostra Carità nel nome del Signore, cerchiamo di vederci in quel piccolo chicco di senape.

Allontaniamo per un momento il nostro pensiero dall'altezza dell'arbusto, dall'ampiezza dei suoi rami e da quella gloria nella quale riposano gli uccelli del cielo.

Ascoltiamo piuttosto come questa grandezza che ci allieta nell'arbusto sia germogliata da un minuto granellino.

Qui infatti parla Cristo ( lo diciamo a chi già lo sa ): e parla non solo come capo, ma anche come corpo.

Lo riconosciamo dalle stesse parole.

E che qui parli Cristo, non è assolutamente lecito dubitarlo.

Difatti, proprio in questo salmo si trovano le parole che si realizzarono appieno nella sua passione: Mi hanno dato per cibo il fiele e nella mia sete mi hanno dissetato con l'aceto. ( Sal 69,22 )

Queste parole si adempirono alla lettera: e proprio come era stato predetto, così si avverò.

Mentre pendeva dalla croce, Cristo disse: Ho sete!, e a questa parola gli fu porto dell'aceto in una spugna; ed egli, quando l'ebbe gustato, disse: È compiuto.

Poi, chinato il capo, rese lo spirito: ( Gv 19,28-30 ) mostrando che tutte le cose che erano state predette di lui si erano ormai compiute.

Non ci è concesso qui di intendere alcunché di diverso.

Anche gli Apostoli, parlando di Cristo, citano le testimonianze di questo salmo.

E chi oserà allontanarsi dalle loro parole? Quale agnello non seguirà gli arieti?

È certo dunque che qui parla Cristo.

A noi piace mostrare dove di preferenza parlino le sue membra, onde documentare che qui parla il Cristo totale.

Dal momento che sarebbe insulso dubitare che vi parli il Cristo.

2 - [v 1.] La nostra trasformazione da peccatori a uomini di Dio

Il titolo del salmo è: Sino alla fine, per coloro che saranno mutati, per David stesso.

Intendi qui il mutamento in meglio: il mutamento infatti può essere in meglio o in peggio.

In Adamo ed Eva fu in peggio; in coloro che, nati da Adamo e da Eva, sono stati incorporati a Cristo, è stato in meglio.

Come infatti per un solo uomo la morte, così anche per un solo uomo la resurrezione dei morti; e come in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti saranno vivificati. ( 1 Cor 15,21.22 )

Adamo volle cambiare dalla condizione in cui Dio l'aveva creato, ma si cambiò in peggio, cadde cioè nella colpa; i fedeli, dallo stato in cui li ha ridotti l'iniquità, si mutano in meglio per la grazia di Dio.

Causa del nostro cambiamento in peggio fu la nostra iniquità; per essere mutati in meglio non basta la nostra giustizia, ma occorre la grazia di Dio.

Imputiamo a noi stessi il fatto che ci siamo mutati in peggio; e del nostro essere divenuti migliori diamo gloria a Dio.

Orbene, questo salmo è: Per coloro che saranno mutati.

Ma da che cosa è scaturito questo mutamento, se non dalla passione di Cristo?

Pasqua in latino significa "passaggio".

Pasqua non è un nome greco, ma ebraico.

Il termine riecheggia, è vero, una parola che in greco dovrebbe significare "passione", poiché πασχεϊν significa "patire"; ma il significato della parola ebraica indica un'altra cosa: indica cioè un passaggio.

Ce lo fa capire anche Giovanni evangelista, il quale, nell'imminenza della passione, mentre il Signore si disponeva alla cena nella quale avrebbe affidato ai discepoli il sacramento del suo corpo e del suo sangue, così si esprime: Venne l'ora nella quale Gesù doveva passare da questo mondo al Padre. ( Gv 13,1 )

Indica in tal modo che "Pasqua" è lo stesso che "passaggio".

E certamente, se non fosse passato da qui al Padre colui che era venuto per noi, come saremmo potuti passare dalla nostra vita di colpa noi che non eravamo discesi per sollevare gli altri, ma eravamo caduti?

Egli invece non era caduto; discese per sollevare chi era caduto.

Comunque il suo passaggio, come anche il nostro, deve essere da qui al Padre, da questo mondo al regno dei cieli, dalla vita mortale alla vita eterna, dalla vita terrena alla vita celeste, dalla vita corruttibile a quella incorruttibile, da un mondo impastato di tribolazione ad una eterna e indisturbata quiete.

Per questo il titolo del salmo è: Per coloro che saranno mutati.

Riconosciamo descritta nelle parole del salmo la causa del nostro mutamento, cioè la passione del Signore; riconosciamovi anche la nostra voce in mezzo alle tribolazioni.

Riconosciamola e gemiamo; e, ascoltando e conoscendo, uniti nel medesimo gemito, lasciamoci trasformare in modo che si compia in noi il titolo del salmo: Per coloro che saranno mutati.

3 - [v 2.] Cristo paziente e vittorioso. La ripugnanza naturale dell'uomo per la morte

Salvami, o Dio, perché le acque sono entrate fino alla mia anima.

Quel chicco è ora disprezzato, stando almeno alle parole umili che pronunzia.

È sepolto nell'orto: mentre fra poco il mondo dovrà stupirsi dinnanzi alla grandezza di questa pianta, il cui seme fu disprezzato dai giudei.

Considerate infatti attentamente il chicco di senape: piccolo, scuro, del tutto insignificante.

In esso si adempiono le parole: Lo abbiamo visto, e non aveva bellezza né decoro. ( Is 53,2 )

E se dice che le acque sono entrate sino all'anima sua, è perché le folle, rappresentate sotto il nome di acque, hanno potuto prevalere sul Cristo fino a ucciderlo.

Sono riuscite a schernirlo, a catturarlo, ad incatenarlo, ad insultarlo, prenderlo a schiaffi e coprirlo di sputi.

E ce n'è ancora? sì, fino alla morte.

Dunque: Le acque sono entrate fino alla mia anima.

Dà alla vita sua fisica il nome di anima, e proprio fino a quest'anima essi sono potuti arrivare con i loro tormenti.

Ma, sarebbero riusciti a tanto se egli non l'avesse permesso?

Perché dunque grida quasi che soffra suo malgrado, se non perché nel capo sono rappresentate anticipatamente le sue membra?

Egli soffrì perché lo volle; i martiri invece hanno sofferto anche non volendo.

A Pietro infatti così prediceva Cristo la sua passione: Quando sarai vecchio, un altro ti cingerà e ti porterà dove tu non vorresti. ( Gv 21,18 )

Per quanto aneliamo ad essere uniti con Cristo, tuttavia noi rifuggiamo dal morire; e se volentieri ( o meglio con rassegnazione ) ci sottoponiamo alla morte, è perché non ci è data altra via per unirci a Cristo.

Se potessimo giungere a Cristo, cioè alla vita eterna, in un'altra maniera, chi vorrebbe morire?

In un passo delle sue lettere l'Apostolo si pone come a descrivere la nostra natura, cioè quella specie di comunione esistente fra l'anima e il corpo e quella dimestichezza che - per così dire - c'è tra di loro come tra elementi amalgamati e congiunti.

Quindi prosegue affermando che noi abbiamo nei cieli una casa, non fabbricata con le mani ma eterna.

Afferma cioè che ci è stata preparata un'immortalità, della quale dovremo rivestirci alla fine, quando saremo risorti dai morti.

Tuttavia, non può fare a meno di scrivere: Noi non vorremmo essere spogliati, ma solo rivestiti, e che quanto è in noi mortale fosse assorbito dalla vita. ( 2 Cor 5,1.4 )

Se fosse possibile, dice in sostanza, noi vorremmo divenire immortali ricevendo immediatamente l'immortalità cosicché ci trasformi prendendoci come siamo ora.

In altre parole, noi vorremmo che questa nostra condizione mortale fosse assorbita dalla vita senza che il corpo debba essere abbandonato nella morte per riaverlo alla fine dei tempi.

È vero dunque che [ attraverso la morte ] si passa da una condizione peggiore ad una migliore; tuttavia il passaggio è piuttosto amaro e contiene del fiele ( quello che i giudei diedero al Signore durante la passione ) e ha qualcosa di repellente che dobbiamo sopportare ( ripulsa che troviamo ben rappresentata nell'aceto con cui alcuni dissetarono il Signore ( Mt 27,34 ) ).

Ebbene il Signore, parlando come tipo di noi cristiani e trasferendoci in se stesso, ecco cosa dice: Salvami, o Dio, perché le acque sono entrate sino alla mia anima.

Coloro che lo perseguitavano poterono ucciderlo; ma ora non possono fargli più nulla.

E lo stesso Signore ci ha così preavvisati: Non temete coloro che uccidono il corpo e non possono fare di più.

Temete piuttosto colui che ha il potere di uccidere e il corpo e l'anima nel fuoco dell'inferno. ( Mt 10,28 )

Animati da questo maggior timore, disprezzeremo le paure più piccole; e per l'anelito verso l'eternità che in noi deve essere più grande, sentiremo disgusto per tutte le cose temporali.

Ora infatti le delizie terrene sono dolci, mentre amare sono le tribolazioni terrene.

Ma chi non vorrà bere alla coppa della tribolazione temporale, se temerà il fuoco dell'inferno?

E chi non disprezzerà la dolcezza del mondo, se anela alla dolcezza della vita eterna?

Gridiamo dunque per essere liberati: per evitare di consentire, magari perché oppressi dalle tribolazioni, all'iniquità, e per non essere da essa irreparabilmente assorbiti.

Salvami, o Dio, perché le acque sono entrate sino all'anima mia.

4 - [v 3.] Cristo ci arricchisce con la sua povertà

Sono immerso nel fango dell'abisso e non c'è sostanza.

Chi chiama " fango "? Forse coloro che lo hanno perseguitato.

Perché, se è vero che ogni uomo è formato di fango, ( Gen 2,7 ) costoro sono divenuti fango dell'abisso in quanto sono decaduti dalla giustizia.

Mentre chi non cede ai persecutori che desiderano trascinarlo all'iniquità, fa del suo fango oro.

Meriterà infatti che il suo fango sia tramutato in una condizione di vita celeste, e meriterà di diventare socio di coloro dei quali parla il titolo del salmo: Per coloro che saranno mutati.

Erano dunque, costoro, fango dell'abisso, e io ero agglutinato ad essi, cioè mi tenevano prigioniero e, abusando del loro grande potere, mi uccidevano.

Ecco perché sono immerso nel fango dell'abisso e non c'è sostanza.

Che significano le parole: Non c'è sostanza? Forse il fango stesso non è sostanza?

Oppure io, inchiodato al fango, ho cessato di essere una sostanza?

Che significano le parole: Sono immerso? È forse così che Cristo stava attaccato alla terra?

In verità, aderiva alla terra, ma non come si legge nel libro di Giobbe: La terra venne data in mano all'empio. ( Gb 9,24 )

Oppure vi era forse attaccato a motivo del suo corpo, in quanto nel corpo poté essere catturato e subire la crocifissione?

Se infatti non lo si fosse potuto trapassare con i chiodi, non sarebbe stato neppure crocifisso.

Perché dunque: Non c'è sostanza? Che forse quel fango non è una sostanza?

Il significato di queste parole: E non c'è sostanza riusciremo, per quanto possibile, a capirlo se prima avremo capito che cosa sia una sostanza.

La parola " sostanza " si usa, ad esempio, per indicare le ricchezze: come quando di qualcuno diciamo che possiede molte sostanze o che ha perduto le sue sostanze.

Ma dovremmo proprio pensare che nel nostro caso sia stato detto: Non c'è sostanza nel senso che non ci sono ricchezze, come se ora si trattasse delle ricchezze o si fosse posto un problema concernente le ricchezze?

O non bisognerà piuttosto ritenere che il fango sopra menzionato sia proprio la nostra povertà [ naturale ] e che le ricchezze ci saranno soltanto quando saremo divenuti partecipi della divinità?

Infatti le ricchezze saranno vere ricchezze, solo a patto che non ci manchi niente.

Possiamo accettare anche una simile interpretazione e intendere queste parole: Io sono immerso nel fango dell'abisso e non c'è sostanza, come se volesse dire: Io sono giunto alla povertà.

Dice infatti costui: Io sono povero e dolente; e l'Apostolo dice dal canto suo: Pur essendo ricco, egli si fece povero per voi per arricchirvi con la sua povertà. ( 2 Cor 8,9 )

Volendo dunque sottolineare la sua povertà, il Signore ha forse detto: Non c'è sostanza.

Difatti, quando assunse la natura del servo, egli si spinge fino all'estremo della povertà.

Quali sono invece le sue ricchezze? Pur essendo in forma di Dio, non stimò una rapina l'essere alla pari con Dio. ( Fil 2,6 )

Queste sono le sue grandi e incomparabili ricchezze.

E dove sta la sua povertà? Nel fatto che annientò se stesso prendendo la forma di schiavo, divenendo simile agli uomini e ritrovato nel sembiante come un uomo.

Egli, poi, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte.

Ecco perché può dire: Le acque sono entrate sino alla mia anima.

Aggiungi, se puoi, qualcosa al fatto del morire.

Che cosa vi potrai aggiungere? L'ignominia nella stessa morte.

Per questo continua: E la morte di croce. ( Fil 2,7.8 ) Grande povertà!

Ma da qui nasceranno grandi ricchezze.

Egli toccò il fondo della miseria; ma da questa sua povertà sovrabbonderanno le nostre ricchezze.

Quante ricchezze non dovrà egli possedere, se è in grado di arricchirci mediante la sua stessa povertà!

Che cosa mai farà di noi, quando ci parteciperà le sue ricchezze, se tanto ci ha arricchiti con la sua povertà?

5 - Le relazioni nell'unità della sostanza divina. Il male non è una sostanza

Sono immerso nel fango dell'abisso, e non c'è sostanza.

Il termine " sostanza " lo si potrebbe, veramente, intendere in un altro modo: cioè, la sostanza è quel che ci fa essere quello che siamo.

È, questo, un concetto un po' difficile a comprendersi, anche se si tratta di una cosa comune.

Ma siccome il termine non viene usato abitualmente, esso ha bisogno di una certa delucidazione e spiegazione.

Tuttavia, se starete attenti forse non dovremo sforzarci troppo.

Si parla spesso dell'uomo, dell'animale, della terra, del cielo, del sole, della luna, del mare, dell'aria.

Tutte queste cose sono sostanze, e lo sono in forza di quello che sono.

Le nature stesse sono delle sostanze. Dio è una sostanza; infatti ciò che non è sostanza, è nulla.

La sostanza dunque è una entità. Così anche nella fede cattolica, contro i veleni di certi eretici, ci siamo talmente consolidati che possiamo affermare: Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono un'unica sostanza.

Che significa: Sono un'unica sostanza? Faccio un esempio.

Se il Padre è oro, anche il Figlio è oro, e oro è anche lo Spirito Santo.

Qualunque cosa è il Padre in quanto Dio, tale cosa è il Figlio, tale è anche lo Spirito Santo.

Quanto invece all'essere Padre, non lo è per ciò che lo fa essere: difatti è chiamato " Padre " non in rapporto a sé, ma in rapporto al Figlio, mentre in rapporto a se stesso è detto Dio.

E in quanto è Dio, è sostanza. E poiché il Figlio è di quella stessa sostanza, senza dubbio anche il Figlio è Dio.

Ma poiché " Padre " non è il nome della sostanza ( lo si dice infatti così in riferimento al Figlio! ), noi non diciamo che il Figlio è Padre, mentre diciamo che il Figlio è Dio.

Chiedi che cosa sia il Padre? Ti si risponde: Dio.

Chiedi che cosa sia il Figlio? Ti si risponde: Dio.

Chiedi che cosa siano il Padre e il Figlio? Ti si risponde: Dio.

Se ti interrogano del solo Padre, rispondi che è Dio; se ti interrogano del solo Figlio, rispondi che è Dio; se ti interrogano di ambedue, non rispondi che sono dèi, ma che sono Dio.

Non così accade tra gli uomini. Se tu chiedi cosa sia il padre Abramo, ti si risponde: È un uomo.

Ti si risponde, cioè, con il nome della sostanza.

Se chiedi cosa sia suo figlio Isacco, ti si risponde: È un uomo.

Cioè, Abramo e Isacco sono della stessa sostanza.

Se poi chiedi che cosa siano Abramo ed Isacco, non ti si risponde che sono un uomo, ma che sono uomini.

Nelle Persone divine non è così.

È tanto grande la comunione in seno alla sostanza divina da ammettere l'uguaglianza escludendo ogni pluralità.

Fa' dunque il caso che uno venga a dirti: " Se tu affermi che il Figlio è ciò che è il Padre, ne segue che il Figlio necessariamente dovrà essere anche Padre ".

Ebbene, tu rispondi: " Quanto alla sostanza, ti ho detto che ciò che è il Figlio è il Padre; ma non secondo la relazione fra l'uno e l'altro ".

Per ciò che è in se stesso, il Figlio è detto Dio; in relazione al Padre, invece, è detto Figlio.

Ugualmente il Padre: in se stesso è Dio, in relazione al Figlio è Padre.

Ciò che è il Padre in relazione al Figlio non compete al Figlio e ciò che è il Figlio in relazione al Padre non compete al Padre.

Per quel che riguarda invece il Padre in se stesso e il Figlio in se stesso, il Padre è ciò che è il Figlio, cioè Dio.

Che significano dunque le parole: Non c'è sostanza?

In qual modo potremo intendere il versetto del salmo: Sono immerso nel fango dell'abisso, e non c'è sostanza, secondo questa interpretazione della sostanza?

Dio creò l'uomo, cioè creò una sostanza; e volesse il cielo che l'uomo fosse rimasto come Dio l'aveva creato!

Se l'uomo fosse restato come Dio lo aveva fatto non si sarebbe immerso nel fango colui che Dio ha generato.

Orbene non v'è dubbio che fu per sua colpa, se l'uomo decadde dalla sostanza nella quale era stato fatto: anche se in se stessa, la colpa ( o iniquità ) non è una sostanza.

L'iniquità infatti non è una natura creata da Dio ma una perversione causata dall'uomo.

Per rimediare a questa colpa, venne il Figlio di Dio nel fango dell'abisso e vi si immerse, anche se non fu immerso in una sostanza, perché fu immerso nella malizia degli uomini ( che non è una sostanza ).

Sono immerso - dice - nel fango dell'abisso, e non c'è sostanza.

Tutte le cose sono state fatte per mezzo suo e senza di lui nulla è stato fatto. ( Gv 1,3 )

Ogni natura è stata creata per sua opera, ma l'ingiustizia non è stata creata per mezzo di lui, perché l'ingiustizia non è cosa che si crei.

Per mezzo di lui sono state fatte solo quelle sostanze che lo lodano.

L'intera creazione, in atto di lodare Dio è ricordata dai tre fanciulli nella fornace; e dalle terrene alle celesti, o meglio dalle celesti alle terrene, giunge a Dio l'inno delle creature che lo lodano. ( Dn 3,24-90 )

Non perché tutte queste cose abbiano la percezione della lode che tributano, ma perché, se bene meditate dall'uomo, lo eccitano alla lode e il cuore che si riempie meditando sulle creature finisce col prorompere nell'inno al Creatore.

Tutte le cose lodano sì Dio, ma quelle che Dio ha create.

Avete mai notato, cantando quell'inno, se per caso anche l'avarizia sia invitata a lodare Dio?

In esso loda Dio anche il serpente; ma l'avarizia non lo loda.

Tutti i rettili sono nominati in quell'inno come in atto di lodare Dio.

Sono menzionati i rettili, ma non vi sono menzionati i vizi.

Questo perché le colpe vengono da noi, cioè dalla nostra volontà; ma le colpe non sono sostanze.

Orbene, fu in queste colpe che si immerse il Signore quando affrontò la passione.

Si sprofondò nelle colpe dei giudei, non nella sostanza degli uomini ( che per suo mezzo è stata creata ).

Dice: Mi immersi nel fango dell'abisso e non c'è sostanza.

In esso mi sono immerso e non ho trovato nulla che io avessi fatto.

6 - Sono giunto nel profondo del mare e la tempesta mi ha sommerso.

Siano rese grazie alla misericordia di colui che è venuto nel profondo del mare e si è degnato di farsi inghiottire dal mostro marino!

Fortunatamente egli ne venne vomitato nel terzo giorno. ( Mt 12,40 )

Giunse nel profondo del mare: in quella profondità nella quale noi ci eravamo inabissati quando si fece quel triste naufragio.

Egli stesso venne laggiù e la tempesta lo sommerse.

Ivi subì l'assalto dei flutti, cioè degli uomini stessi; e subì le tempeste, cioè le grida di coloro che dicevano: Crocifiggilo, crocifiggilo!

Mentre Pilato dichiarava: Non trovo in quest'uomo ragione alcuna per cui sia degno di essere ucciso, più forti echeggiavano le grida di quelli che dicevano: Crocifiggilo, crocifiggilo! ( Gv 19,6 )

La tempesta raddoppiava di intensità, fino a sommergere colui che era venuto nel profondo del mare.

E il Signore soccombeva per mano dei giudei di fronte a quei flutti cui non aveva ceduto quando camminava sopra le acque, ( Mt 14,25 ) e ai quali non solo non aveva ceduto lui, ma neppure aveva permesso a Pietro che vi cedesse.

Sono giunto nel profondo del mare, e la tempesta mi ha sommerso.

7 - [v 4.] Cristo non cessa di esortare alla conversione

Mi sono stancato nel gridare; rauche sono divenute le mie fauci.

Dove? Quando? Convinti che in questo salmo si descrive la passione del Signore, andiamo a consultare il Vangelo.

Vi troveremo la storia della sua passione; vi leggeremo che le acque sono entrate fin nella sua anima, in quanto i popoli hanno prevalso su di lui fino a condannarlo a morte.

Lo leggiamo e ci crediamo. Come pure sappiamo che egli fu sommerso dalla tempesta quando le trame ordite dai nemici per ucciderlo ottennero il successo sperato.

Ma che egli si sia stancato di gridare e che siano divenute rauche le sue fauci, non soltanto non lo leggiamo, ma anzi leggiamo proprio il contrario.

Egli, cioè, non rispondeva ad essi alcuna parola; e nel suo silenzio si adempiva quanto in un altro salmo è scritto: Sono divenuto come uomo che non ode e che nella sua bocca non ha di che rispondere. ( Sal 38,15 )

Come pure ciò che aveva profetizzato Isaia: Come pecora è trascinato al macello; e come agnello dinanzi al tosatore, così egli non ha aperto la sua bocca. ( Is 53,7 )

Se è divenuto come uomo che non ode e se nella sua bocca non ha di che replicare, come si è stancato gridando, e come sono divenute rauche le sue fauci?

O forse taceva proprio perché era rauco dal lungo ed inutile gridare?

Conosciamo, è vero, il grido che emise dalla croce e l'abbiamo letto in un altro salmo: Dio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? ( Sal 22,2 )

Ma, quanto poté essere forte quel grido, oppure quanto mai sarà durato, per rendere rauche le sue fauci?

A lungo però egli aveva gridato: Guai a voi scribi e farisei! ( Mt 23,13.14 )

A lungo aveva gridato: Guai al mondo per gli scandali! ( Mt 18,7 )

Ma, certamente, doveva aver gridato con voce rauca; e per questo non veniva compreso.

Come osservarono a volte i giudei: Cosa mai dice costui? Dure sono queste parole: chi le può ascoltare?

Noi non sappiamo cosa dica. ( Gv 6,61; Gv 16,18 )

Egli pronunciava tante parole; ma le sue fauci erano rauche.

Rauche, naturalmente, per coloro che non volevano intendere la sua voce.

Mi sono stancato nel gridare; rauche sono diventate le mie fauci.

8 - La speranza e le sue prove

I miei occhi sono venuti meno. Non hanno più speranza nel mio Dio.

Ci guardi il cielo dal riferire queste parole alla persona del nostro capo!

Lungi da noi pensare che si siano stancati di sperare in Dio gli occhi di colui nel quale per eccellenza risiedeva Dio, al fine di riconciliare con sé il mondo, ( 2 Cor 5,19 ) e che, anzi, era lui stesso il Verbo fatto carne e dimorante in mezzo a noi: ( Gv 1,14 ) di modo che non soltanto Dio era in lui, ma egli era Dio in persona.

Non può essere, dunque, questo il senso.

Non sono venuti meno, cessando di sperare in Dio, gli occhi del nostro capo.

I suoi occhi si sono stancati nel suo corpo, cioè nelle sue membra.

Queste parole sono delle membra; sono voce del corpo, non del capo.

Dove troveremo una tal voce in riferimento al suo corpo e alle sue membra?

Che cosa dirò? Quale episodio, fra tanti, ricorderò?

Quando subiva la passione, quando moriva, tutti i discepoli avevano perduta la speranza che egli fosse il Cristo.

Gli Apostoli furono superati da un ladrone! Egli credette; loro vennero meno. ( Lc 23,42 )

Osserva le sue membra nella disperazione! Guarda quei due che egli incontra per via, uno dei quali si chiamava Cleofa.

Si era dopo la resurrezione ed essi parlavano e parlavano, ma i loro occhi erano chiusi né potevano riconoscerlo.

E come avrebbero potuto riconoscere con gli occhi colui lungi dal quale vacillavano con l'anima?

Nei loro occhi era accaduto qualcosa di simile a ciò che era accaduto nei loro spiriti.

Parlavano dunque tra loro, quando egli si pose ad interrogarli di che cosa parlassero.

Gli risposero: Sei tu un pellegrino così estraneo a Gerusalemme?

Non sai le cose che sono accadute? e come Gesù Nazzareno, potente nelle opere e nelle parole, sia stato ucciso dagli anziani e dai capi dei sacerdoti?

Eppure, noi speravamo che egli avrebbe riscattato Israele. ( Lc 24,13-21 )

Avevano sperato, ora non speravano più.

I loro occhi si erano stancati di sperare nel loro Dio.

Ebbene, quando dice: I miei occhi sono venuti meno, stanchi di sperare nel mio Dio, egli trasferisce in se stesso gente di questa fatta.

E una tale speranza egli ridonava, quando mostrava le sue cicatrici perché fossero toccate.

Nel toccarle, Tommaso torna alla speranza che aveva perduta ed esclama: Signore mio e Dio mio!

Erano venuti meno i tuoi occhi, né osavi sperare nel tuo Dio.

Hai toccato le cicatrici e questo tuo Dio lo hai ritrovato.

Hai toccato la forma del servo e vi hai riconosciuto il tuo Signore.

A lui tuttavia il Signore diceva: Poiché hai visto, hai creduto.

E preannunziando la nostra fede, con la voce della sua misericordia continuava: Beati coloro che non vedono e credono! ( Gv 20,28.29 )

I miei occhi sono venuti meno; hanno perso la speranza nel mio Dio.

9 - [v. 5.] Cristo ha pagato debiti non suoi

Si sono moltiplicati più che i capelli del mio capo coloro che mi odiano senza ragione.

Quanto si sono moltiplicati? Fino ad aggregarsi uno dei dodici. ( Mt 26,14 )

Si sono moltiplicati più che i capelli del mio capo coloro che mi odiano senza ragione.

Paragona i suoi nemici ai capelli del suo capo.

Va da sé che essi sarebbero stati rasi, quando lui sarebbe stato crocifisso sul luogo del Calvario.

Accolgano le membra queste parole: imparino ad essere odiate senza motivo.

Se infatti è necessario, o cristiano, che il mondo nutra odio per te, perché non fai in modo di essere odiato senza ragione, onde riconoscere la tua voce nel corpo del tuo Signore e in questo salmo che di lui profetizza?

Ma come potrà essere che, senza motivo, il mondo nutra per te dell'odio?

Ciò accadrà quando sarai preso in odio senza aver fatto del male ad alcuno.

Questo è essere odiati senza un perché, cioè senza motivo.

È poco che il mondo ti odi senza motivo: fa' in modo che abbia a ripagarti col male per il bene da te fatto.

Si sono rafforzati i miei nemici, che mi perseguitano ingiustamente.

E come prima aveva detto: Si sono moltiplicati più che i capelli del mio capo, dice poi: Si sono rafforzati i miei nemici.

E come prima aveva detto: Coloro che mi odiano senza motivo, così poi aggiunge: Coloro che mi perseguitano ingiustamente.

Ciò che prima è senza motivo, poi è ingiustamente.

È questa la voce dei martiri: martiri non per la pena che subiscono, ma per la causa per cui soffrono.

Non è un motivo di gloria subire persecuzioni, essere tenuti prigionieri, essere flagellati o chiusi in carcere, essere proscritti o uccisi.

Solo quando tutto questo si subisce per una causa buona, è una gloria.

La gloria sta infatti nella bontà della causa, non nella durezza della pena.

Infatti, quali che siano i supplizi dei martiri, forse che possono uguagliare i supplizi di tutti gli assassini, di tutti i sacrileghi, di tutti i criminali?

E che? il mondo odia anche questi? Certamente.

Essi sorpassano la norma della condotta tollerata dal mondo con l'enormità della loro malizia, e sono, in un certo modo, estranei alla stessa società degli uomini, sovvertendo anche la pace terrena.

Essi subiscono molti tormenti, ma non senza ragione.

Osserva infatti le parole di quel ladrone inchiodato alla croce insieme con il Signore.

Da un lato della croce, uno dei ladroni insultava il Signore crocifisso e diceva: Se sei il Figlio di Dio, libera te stesso.

Sentendo questo, l'altro malfattore gli diede sulla voce dicendo: Tu non temi Dio, nemmeno ora che subisci la sua stessa condanna?

E noi giustamente la subiamo per le nostre colpe. ( Lc 23,39-41 )

Ecco, non pativa senza motivo; ma con la confessione si è vuotato del putridume ed è divenuto idoneo a nutrirsi del cibo del Signore.

Si è liberato della sua iniquità, l'ha manifestata e non l'ha più.

Ecco: ivi sono due ladroni, e con loro è anche il Signore.

Essi sono crocifissi e lui pure è crocifisso.

Il mondo odiava costoro, ma non senza ragione; Cristo invece era odiato senza motivo.

Io ho pagato per quel che non avevo rubato.

Ecco cosa significa " senza ragione ". Non avevo rubato, eppure pagavo.

Non avevo peccato e pagavo la pena del peccato.

Perché soltanto lui fu così: egli veramente non aveva rubato niente.

E non soltanto niente aveva rubato, ma per poter venire a noi si è privato anche di ciò che aveva senza averlo rubato.

Infatti, non stimò una rapina essere alla pari con Dio, e tuttavia annientò se stesso prendendo la forma di servo. ( Fil 2,6.7 )

Non ha assolutamente rubato nulla. Chi, invece, ha rubato? Adamo.

E chi ha rubato per primo? Colui che ha sedotto Adamo.

In qual modo ha rubato il diavolo? Porrò il mio trono ad aquilone e sarò simile all'Altissimo. ( Is 14,13 )

Usurpò per sé ciò che non aveva ricevuto: ecco la rapina.

Il diavolo usurpò per sé ciò che non aveva ricevuto, e perse ciò che aveva ricevuto; e dal calice stesso della sua superbia diede da bere a colui che voleva sedurre.

Gustate - disse - e sarete come dèi. ( Gen 3,5 )

Vollero rubare la divinità e persero la felicità.

Egli dunque aveva rubato, e per questo dovette rimborsare.

Ma io, dice, ho soddisfatto per quel che non ho rubato.

Il Signore stesso, nell'approssimarsi della passione, così dice nel Vangelo: Ecco, viene il principe di questo mondo ( cioè il diavolo ), ma in me non troverà niente; cioè, non troverà motivo per uccidermi.

Ma affinché tutti sappiano che io faccio la volontà del Padre mio, alzatevi e andiamo! ( Gv 14,30 )

E andò alla passione, a soddisfare per quello che egli non aveva rubato.

Che significano le parole: In me non troverà niente? Non troverà alcuna colpa.

Forse che il diavolo ha perduto qualcosa di casa sua? Lo ricerchi presso i ladri; presso di me non troverà nulla.

In rapporto al peccato dice di non aver rubato niente, di non aver usurpato nulla che non fosse suo: questo infatti sarebbe stato rapina ed iniquità.

Cristo invece non sottrasse al diavolo se non le anime che egli aveva rubate.

Diceva in proposito il Signore: Nessuno entra nella casa del forte e porta via i suoi vasi senza aver prima incatenato il forte. ( Mt 12,29 )

Egli incatenò il forte e portò via i suoi vasi, ma questo non era un furto.

Lo dice anche a te: " Questi vasi si erano perduti dalla mia grande casa.

Io quindi non ho compiuto un furto; ho solo ripreso ciò che mi era stato rubato ".

10 - [v 6.] Sapienza e stoltezza di Dio

Dio, tu hai conosciuto la mia stoltezza. Di nuovo parla a nome del corpo.

Vi può essere infatti stoltezza in Cristo? Non è forse lui la virtù di Dio e la sapienza di Dio?

Oppure chiama sua stoltezza quella della quale l'Apostolo afferma: La follia di Dio è più sapiente degli uomini. ( 1 Cor 1,25 )

La mia stoltezza: cioè l'essere stato schernito da coloro che si credevano di essere sapienti.

Tu sapevi perché ciò accadesse: Tu hai conosciuto la mia stoltezza.

Che cosa somiglia di più alla stoltezza di questo: avere la possibilità e la forza di far stramazzare in terra con una sola parola i propri persecutori e invece lasciarsi prendere, flagellare, coprire di sputi, schiaffeggiare, coronare di spine, inchiodare a un legno?

Tutto questo rasenta i limiti della stoltezza, sembra follia; ma questa follia supera ogni sapienza.

È indubbiamente pazzesco; ma anche buttare nella terra il grano, se uno non conosce l'arte dell'agricoltura, potrebbe sembrare una pazzia.

Era stato mietuto con grande fatica, lo si era trasportato sull'aia, era stato battuto e vagliato.

Si erano superati tanti pericoli delle stagioni e tante tempeste.

Si era lavorato tanto da parte dei contadini; e con tanta premura i padroni si erano dati da fare affinché il frumento, ben pulito, venisse riposto nel granaio.

Eppure, viene l'inverno e ciò che era stato così ben ripulito e sistemato viene tratto fuori e gettato per terra.

Sembrerebbe una pazzia. E se non è pazzia, lo si deve alla speranza.

Egli dunque non risparmiò se stesso e nemmeno il Padre lo risparmiò, ma per noi tutti lo diede. ( Rm 8,32 )

E di lui dice l'Apostolo: Mi ha amato e ha dato se stesso per me. ( Gal 2,20 )

Difatti, se il chicco non cade in terra e non muore, non dà frutto. ( Gv 12,24.25 )

Ecco la stoltezza! Tu la conosci.

E se anche i nemici l'avessero conosciuta, mai avrebbero crocifisso il Signore della gloria. ( 1 Cor 2,8 )

O Dio, tu hai conosciuto la mia stoltezza; e le mie colpe non ti sono nascoste.

È chiaro, evidente, manifesto, che tutto questo è stato detto a nome del corpo.

Cristo non commise alcuna colpa; si caricò delle colpe, ma non le commise.

E le mie colpe non ti sono nascoste.

Vuol dire: ti ho confessato tutte le mie colpe; e prima che aprissi bocca tu le hai viste nel mio pensiero, hai visto le ferite che dovevi sanare.

Ma dove? Certamente nel corpo, nelle membra: in quei fedeli che gli erano uniti come membra, fra i quali si annoverava quel tale che confessando a Dio i suoi peccati diceva: E le mie colpe non ti sono nascoste.

11 - [v 7.] La preghiera del corpo di Cristo tra le persecuzioni e gli scandali

Non arrossiscano per me coloro che sperano in te, Signore, Signore degli eserciti.

È di nuovo la voce del capo: Non arrossiscano per me! Non si dica loro: Dov'è colui del quale vi eravate fidati?

Non si dica loro: Dov'è colui che vi diceva: Credete in Dio, e credete in me? ( Gv 14,1 )

Non arrossiscano per me coloro che sperano in te, Signore, Signore degli eserciti.

Non siano confusi per me coloro che ti cercano, o Dio d'Israele.

Queste parole possono essere intese anche come dette dal corpo: a patto però che tu non consideri questo suo corpo come costituito da un uomo solo.

Un uomo solo infatti non è tutto il corpo di Cristo, ma soltanto un piccolo membro; il corpo consta di tutte le membra.

Il suo corpo totale è la Chiesa tutta intera.

Orbene, questa Chiesa può molto convenientemente dire: Non arrossiscano per causa mia coloro che sperano in te, Signore, Signore degli eserciti.

Fa' sì che io non sia a tal segno tormentata dai persecutori che si levano contro di me, né calpestata dai nemici invidiosi o dagli eretici che, usciti dalla mia compagine, ora mi abbaiano contro.

Uscirono perché non erano miei; poiché, se fossero stati miei forse sarebbero rimasti con me. ( 1 Gv 2,19 )

Fa' sì che io non sia oppressa dai loro scandali fino al punto da far arrossire, per causa mia, coloro che sperano in te, Signore, Signore degli eserciti.

Non rimangano confusi di me coloro che ti cercano, Dio d'Israele.

12 - [v 8.] Santa sfrontatezza del seguace di Cristo

Per te ho sopportato l'ignominia; la sfrontatezza ha coperto la mia faccia.

Conta poco dire: Io ho sopportato; quel che vale è l'aver sopportato per te.

Se sopporti una pena perché hai peccato, per colpa tua la sopporti, non a gloria di Dio.

Quale gloria avete, dice Pietro, se siete puniti e soffrite come peccatori? ( 1 Pt 2,20 )

Ma se sopporti una molestia per aver osservato il comandamento di Dio, la sopporti veramente per Iddio; e per questo la tua ricompensa resterà in eterno.

Non diversamente egli stesso volle sopportare per primo le umiliazioni perché anche noi imparassimo a sopportarle.

E se le ha sopportate lui ( che non aveva di che essere accusato ), quanto più dovremo sopportarle noi che, quand'anche non avessimo il peccato di cui il nemico ci accusa, siamo non di meno rei di qualche altra colpa per cui meritiamo un giusto castigo!

Uno ti accusa di essere ladro; tu invece ladro non sei.

È un insulto che ti si fa; tuttavia, anche se non sei ladro, non sei tale da non aver nulla che non dispiaccia a Dio.

Colui che non aveva rubato niente, che con estrema verità aveva detto: Ecco, viene il principe di questo mondo e in me non troverà niente, ( Gv 14,30 ) fu chiamato peccatore e ingiusto, ( Gv 9,24 ) fu accusato di essere Beelzebub ( Mt 10,25 ) e proclamato folle; e tu, servo, gravato di tante colpe, sdegnerai di accettare quegli insulti che il Signore accettò, pur non avendo colpe?

Egli venne per darti l'esempio. Come se egli avesse sofferto senza un motivo, tu non ne trai alcun profitto!

E perché mai avrà lui ascoltato le accuse, se non perché tu non venga meno mentre le ascolti?

Ecco: tu le ascolti e vieni meno.

Invano allora egli le ha ascoltate: poiché non per sé, ma per te le ha ascoltate.

Difatti, per te ho sopportato l'ignominia, la sfrontatezza ha coperto la mia faccia.

Dice: La sfrontatezza ha coperto la mia faccia.

Che cosa è la sfrontatezza? Essa consiste nel non vergognarsi.

È infatti quasi, una colpa sentirci dire: quest'uomo è uno sfrontato.

Nobile sfrontatezza per un uomo, non vergognarsi di Cristo.

" Sfrontatezza " pertanto equivale, su per giù, a " impudenza ".

È necessario che il cristiano abbia questa sfrontatezza, quando si trova in mezzo agli uomini ai quali Cristo non è gradito.

Se si vergognerà di Cristo sarà cancellato dal libro dei viventi.

È necessario dunque che tu abbia questa sfrontatezza quando sei insultato a causa di Cristo.

Così, quando ti viene detto: "Adoratore del crocifisso, adoratore di uno che è morto ignominiosamente, tu che veneri uno che fu giustiziato! "

Se arrossirai, sei morto. Presta attenzione alle parole di colui che non inganna nessuno: Chi si vergognerà di me al cospetto degli uomini, io mi vergognerò di lui al cospetto degli angeli di Dio. ( Lc 9,26 )

Sta' dunque bene attento! Sia in te la sfrontatezza!

Sii audace quando sopporti la vergogna in nome di Cristo; sii senz'altro audace!

Che cosa temi per la tua fronte quando l'hai munita con il segno della croce?

Questo significano dunque le parole: Per te ho sopportato l'ignominia, la sfrontatezza ha coperto la mia faccia.

Per te ho sopportato l'ignominia.

E perché non mi sono vergognato di te quando mi insultavano per causa tua, la sfrontatezza ha coperto la mia faccia.

13 - [vv 9.10.] Cristo misconosciuto dai suoi

Sono divenuto straniero per i miei fratelli e ospite per i figli della madre mia.

È divenuto ospite per i figli della sinagoga.

Nella sua patria si diceva di lui: Non sappiamo forse noi che egli è il figlio di Maria e di Giuseppe? ( Lc 4,22 )

E altrove: Ma noi non sappiamo donde sia costui! ( Gv 9,29 )

Ebbene, sono divenuto ospite per i figli della madre mia.

Non sapevano donde io fossi; eppure la mia carne era della loro stirpe.

Non sapevano che ero nato dalla stirpe di Abramo e che la mia carne era celata in lui già quando il servo, ponendo la mano sotto il suo fianco, giurò per il Dio del cielo. ( Gen 24,9 )

Sono divenuto ospite per i figli della madre mia.

Perché? Perché non lo riconobbero? Perché lo chiamarono straniero?

Perché osarono dire: Non sappiamo donde sia? Perché lo zelo per la tua casa mi divora.

Cioè, perché ho perseguitato in loro le loro ingiustizie; perché non ho loro usato indulgenza quando li rimproveravo; perché ho cercato la tua gloria nella tua casa; perché ho flagellato nel tempio coloro che si comportavano male, ( Gv 2,15 ) realizzando proprio la predizione che: Lo zelo per la tua casa mi divora.

Per questo sono straniero, per questo sono ospite; per questo essi dicono: Non sappiamo donde sia.

Riconoscerebbero donde sono se conoscessero i tuoi comandamenti!

E, quanto a me, se li avessi trovati obbedienti a questi tuoi comandamenti, lo zelo per la tua casa non mi avrebbe divorato.

E gli oltraggi dei tuoi oltraggiatori sono ricaduti su di me.

Di questa testimonianza si serve anche l'apostolo Paolo ( poco fa abbiamo letto le sue parole ), dicendo: Qualunque cosa è stata scritta antecedentemente, è stata scritta perché noi impariamo, in modo che abbiamo la speranza attraverso la consolazione delle Scritture. ( Rm 15,4 )

Lì egli dice che sono di Cristo queste parole: Gli oltraggi dei tuoi oltraggiatori sono ricaduti su di me.

Perché dei tuoi? Forse che si può oltraggiare il Padre senza oltraggiare Cristo stesso?

Perché gli oltraggi dei tuoi oltraggiatori sono ricaduti su di me?

Perché chi conosce me conosce anche il Padre; ( Gv 14,9 ) e nessuno oltraggia Cristo senza oltraggiare Dio: come nessuno onora il Padre, se non onora anche il Figlio. ( Gv 5,23 )

Gli oltraggi dei tuoi oltraggiatori sono ricaduti su di me perché costoro hanno incontrato me.

14 - [v 11.] Sete e digiuno di Cristo

Ho macerato nel digiuno la mia anima e mi si è volto in vergogna.

Già in un altro salmo abbiamo illustrato alla vostra Carità il senso spirituale del digiuno di Cristo.

Egli digiunava quando vennero meno tutti coloro che credevano in lui: difatti egli è affamato di gente che creda in lui.

E tale era anche la sua sete, quando disse alla donna: Ho sete, dammi da bere. ( Gv 4,7 )

Aveva cioè sete della fede di lei.

E quando disse dalla croce: Ho sete, ( Gv 19,28 ) cercava la fede di coloro per i quali aveva detto: Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno. ( Lc 23,34 )

Ma che cosa porsero quegli uomini all'assetato? Aceto.

E l'aceto indica anche un [ vino divenuto ] vecchio.

Rifiutandosi di diventare uomini nuovi, non potevano evidentemente offrirgli se non ciò che avevano di vecchio.

Ma perché non volevano rinnovarsi? Perché non rientravano nel titolo di questo salmo, ove sta scritto: Per coloro che saranno mutati.

Eccomi, dunque! Io ho macerato nel digiuno la mia anima.

Respinge anche il fiele che gli porgono: preferisce digiunare piuttosto che accettare l'amarezza.

Non entrano infatti nel suo corpo coloro che lo provocano all'ira e dei quali, in un altro passo del salmo, è detto: I provocatori non siano esaltati in se stessi. ( Sal 66,7 )

Dunque, ho macerato nel digiuno la mia anima, e mi si è volto in vergogna.

Mi si è cambiato in vergogna il fatto stesso di non aver ceduto a loro, cioè l'essere rimasto digiuno di loro.

Chi non cede a coloro che lo spingono al male rimane digiuno nei loro riguardi e per questo digiuno si busca degli insulti: cioè viene vilipeso perché non consente al male.

15 - [v 12.] Cristo deriso

E ho preso per mia veste un sacco. Del sacco e del motivo per cui lo indossa già abbiamo detto qualcosa.

Ma io, diceva, quando mi molestavano mi rivestivo di cilicio e umiliavo nel digiuno la mia anima. ( Sal 35,13 )

Ho preso per mia veste un sacco. Vuol dire: Celando la mia divinità, ( 1 Cor 2,8 ) io offrivo loro la mia carne affinché si sfogassero contro di essa.

La chiama sacco perché era una carne mortale: tanto che attraverso la carne fu in grado di condannare il peccato mediante la carne. ( Rm 8,3 )

E ho preso per mia veste un sacco e sono divenuto per loro una parabola: cioè, motivo di scherno.

Si ha la parabola quando si prende un tizio come esempio e se ne dice male.

Così quando si dice: " Vada a finir male come quello ", quel tale fa da parabola, cioè da paragone o da modello di maledizione.

Sono divenuto per loro una parabola.

16 - [v 13.] Mi insultavano coloro che sedevano sulla porta.

Sulla porta non vuol dir altro che " in pubblico ".

E contro di me cantavano coloro che bevevano vino.

Credete, fratelli, che questo sia capitato soltanto a Cristo? Ogni giorno gli capita nelle sue membra.

Quando un servo di Dio si vede costretto ad opporsi all'ubriachezza e alle orge dilaganti in qualche contrada o paese dove non è ancora ascoltata la parola di Dio, non solo cantano, ma per di più cominciano a cantare contro colui che vieta loro di cantare.

Mettete ora a confronto il digiuno di lui e il vino di costoro!

E contro di me cantavano coloro che bevevano vino: il vino dell'errore, il vino dell'empietà, il vino della superbia.

17 - [v 14.] Le vie del Signore sono misericordia e verità

Ma io davanti a te con la mia preghiera, Signore.

Io stavo dinanzi a te. In qual modo? Pregando.

Quando sei colpito da maledizioni e non sai che cosa fare; quando sei coperto di insulti e non hai modo di correggere colui dal quale sei dileggiato, non ti resta altro che pregare.

Ma ricordati di pregare anche per lui.

Ma io davanti a te con la mia preghiera, Signore. È tempo di grazia, o Dio.

Ecco, il chicco di grano viene seppellito; il frutto verrà. È tempo di grazia, o Dio.

Di questo tempo hanno parlato anche i profeti, come ricorda l'Apostolo: Ecco ora il tempo favorevole, ecco ora il giorno della salvezza. ( 2 Cor 6,2 )

È tempo di grazia, o Dio. Nella moltitudine della tua misericordia.

Ecco perché è tempo di grazia! Per la moltitudine della tua misericordia.

Se non ci fosse la moltitudine della tua misericordia, che cosa faremmo noi col cumulo delle nostre iniquità?

Nella moltitudine della tua misericordia. Esaudiscimi nella verità della tua salvezza.

Aveva detto: Della tua misericordia, e qui aggiunge anche " la verità ", perché tutte le vie del Signore sono misericordia e verità. ( Sal 25,10 )

Perché misericordia? Perché rimette i peccati.

Perché verità? Perché mantiene le promesse. Esaudiscimi nella verità della tua salvezza.

18 - [v 15.] Tentazione e consenso

Salvami dal fango perché non vi rimanga appiccicato.

Dal fango di cui prima aveva detto: Sono immerso nel fango dell'abisso e non c'è sostanza. ( Sal 69,3 )

E allora, dato che avete ben compresa la precedente spiegazione non rimane, a questo riguardo, materia da dilucidarvi.

Dice che deve essere liberato dal fango in cui prima diceva di essere immerso.

Salvami dal fango perché non vi rimanga appiccicato.

E aggiunge: Sia liberato da coloro che mi odiano.

Essi sono dunque il fango in cui ero immerso. Ma questo senso viene, forse, solo suggerito.

Poco prima aveva detto: Sono immerso; ora dice: Salvami dal fango perché non vi rimanga appiccicato.

Stando alle parole precedenti, avrebbe dovuto dire: "Salvami dal fango in cui sono immerso, liberandomi, non impedendo solamente che io mi attacchi ad esso ".

Era dunque immerso con la carne, non con lo spirito; e si esprime così riferendosi alla debolezza delle sue membra.

Quando cadi nella rete di uno che ti spinge a commettere l'iniquità, il tuo corpo è, sì, prigioniero ( cioè, con il corpo sei immerso nel fango dell'abisso ), ma finché non cedi al persecutore non sei incollato al fango.

Se, invece, cedi, ci rimani attaccato. Prega dunque affinché la tua anima non sia imprigionata come lo è il tuo corpo.

Sii libero, pur nelle catene. Sia io liberato da coloro che mi odiano e dal profondo delle acque.

19 - [v 16.] Confessare il peccato, non scusarlo

Non mi sommerga la tempesta delle acque. Eppure vi era già sommerso.

Non lo dicevi tu stesso? Sono giunto nel profondo del mare!

E non aggiungevi: E la tempesta mi ha sommerso? ( Sal 69,3 )

Ti ha sommerso nella carne: non ti sommerga nello spirito!

È un richiamo per coloro ai quali è detto: Se sarete perseguitati in una città, fuggite in un'altra. ( Mt 10,23 )

È a costoro che si rivolge l'invito di non lasciarsi imprigionare né quanto al corpo né quanto allo spirito.

Difatti anche il solo lasciarsi invischiare materialmente non è cosa da desiderarsi ma, per quanto possiamo, da evitarsi.

Tuttavia, se per un qualche attacco verremo a trovarci in mezzo ai peccatori, ormai materialmente siamo impegolati e siamo anche immersi nel fango dell'abisso.

Allora all'anima non rimane che pregare affinché non vi resti appiccicata, cioè che non consentiamo al male.

Che almeno non ci sommerga la tempesta delle acque sicché noi sprofondiamo nell'abisso di fango.

E non mi inghiotta l'abisso, né chiuda su di me il pozzo la sua bocca.

Che significa questo, fratelli? Che cosa domanda?

È un gran pozzo l'abisso dell'iniquità umana: chiunque vi cade, cade in un abisso.

Tuttavia, se chi vi è caduto confessa i peccati al suo Dio, allora il pozzo non chiuderà sopra di lui la sua bocca.

Come sta scritto in un altro salmo: Dall'abisso ho gridato a te, Signore; Signore, ascolta la mia voce. ( Sal 130,1.2 )

Ma se in lui si avvera ciò che dice un altro passo della Scrittura, e cioè: Il peccatore, quando sarà nell'abisso del male, disprezzerà, ( Pr 13,1.2 ) su di lui il pozzo ha chiuso la sua bocca.

In che senso " ha chiuso la sua bocca "? Ha tappato, cioè, la bocca di lui.

Il peccatore ricusa di confessare la propria colpevolezza: egli è allora veramente morto, e in lui si è compiuto ciò che altrove è detto: Nel morto, che è come chi non esiste, viene meno la confessione. ( Sir 17,26 )

Fratelli, dobbiamo temere moltissimo questa sciagura.

Se vedrai un uomo commettere un peccato, consideralo come immerso nel pozzo e fagli presente la sua colpevolezza.

Se egli ti dirà: " Ho peccato, veramente, lo confesso ", allora il pozzo non ha chiuso su di lui la sua bocca.

Se invece te lo senti rispondere: " Che male ho fatto? ", egli si fa difensore del suo peccato e allora il pozzo ha chiuso su di lui la sua bocca.

Egli non ha più modo di esserne tirato fuori.

Mancandogli il rimedio della confessione, non avrà più alcuna via alla misericordia.

Se tu ti fai difensore del tuo peccato, in qual modo Dio potrà liberartene?

Se dunque vuoi che egli sia il tuo liberatore, sii tu il tuo accusatore.

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