Esposizione dei Salmi

Indice

Salmo 90 (89)

1 - [v 1.] Questo salmo si intitola: Preghiera di Mosè uomo di Dio.

Per mezzo di quest'uomo di Dio il Signore diede la legge al suo popolo; per suo mezzo lo liberò dalla schiavitù e lo guidò per quarant'anni nel deserto.

Mosè fu dunque ministro del Vecchio Testamento e profeta del Nuovo, poiché tutte queste cose accadevano in mezzo a loro con valore di simbolo, come dice l'Apostolo, ma sono state scritte per correzione di noi, cui è toccato vivere alla fine dei tempi. ( 1 Cor 10,11 )

Ebbene, è riferendoci a questo disegno divino compiutosi per mezzo di Mosè, che dobbiamo scorrere il presente salmo che ha preso il titolo dalla sua preghiera.

2 - Mosè ministro di Dio, profeta e scrittore sacro

Dice: Signore, tu sei diventato nostro rifugio di generazione in generazione.

Cioè: in ogni generazione, oppure nelle due generazioni: la vecchia e la nuova.

Mosè infatti, come accennavo, è stato ministro del Testamento concernente la vecchia generazione, e profeta del Testamento concernente la generazione nuova.

Gesù stesso, garante di questo Testamento e sposo nelle nozze concluse con quella generazione, ebbe a dire: Se credeste in Mosè, credereste anche in me; infatti egli ha scritto di me. ( Gv 5,46 )

Non che dobbiamo credere che Mosè abbia scritto tale e quale questo salmo, dal momento che non si trova in nessuno dei suoi libri, nei quali sono pur trascritti i suoi cantici.

Per cui, se è stato posto nel titolo il nome di un così grande servo di Dio, lo si è fatto per conferire al salmo un significato più profondo, e così accendere l'attenzione di chi lo legge o lo ascolta.

Dice dunque: Tu, sei diventato Signore, nostro rifugio di generazione in generazione.

3 - [v 2.] Dio eterno diventa nostro rifugio

In che maniera Dio è diventato nostro rifugio?

Cominciando ad essere per noi una cosa che prima non era, cioè un rifugio, mentre, per quanto riguarda lui personalmente, egli esisteva anche prima di essere nostro rifugio.

Lo afferma continuando: Prima che ci fossero i monti e che fosse formata la terra e il mondo, dal secolo e fino al secolo tu esisti.

Ebbene, tu che esisti da sempre, e prima che noi fossimo e prima che fosse il mondo, ti sei fatto nostro rifugio dal momento in cui noi ci siamo rivolti a te.

Non mi sembra che si debbano intendere senza le opportune precisazioni le parole: Prima che ci fossero i monti e che fosse formata la terra, oppure ( come recano alcuni codici, variando leggermente l'unica parola greca ) prima che fosse plasmata la terra.

I monti sono, come è noto, le parti più alte della terra.

Ebbene, se Dio esisteva già prima che fosse formata la terra e se è vero che la terra è stata formata da lui, non si aggiunge niente di nuovo quando si menzionano i monti o qualsiasi altra parte della terra.

Dio esiste non solo prima della terra ma anche prima del cielo e della terra e prima di tutte le creature corporali e spirituali.

Ma, introducendosi una tale distinzione, si è voluto, forse, stabilire una differenza nell'ambito delle creature razionali: in modo che, forse, con il nome di monti si indicassero quelle sublimi creature che sono gli angeli, mentre con il nome di terra si sottolineasse l'idea della meschinità dell'uomo.

E perciò, anche se di tutte le cose create è esatto dire che furono fatte o formate, tuttavia, badando alla proprietà dei due termini, occorrerà dire che gli angeli furono fatti.

Difatti là dove vengono enumerate le opere compiute dal Signore nel cielo, l'elenco si conclude così: Egli disse e furono fatte; egli comandò e furono create. ( Sal 147,5 )

Quando invece si trattò di creare l'uomo quanto al corpo, lo si formò dalla terra.

Difatti questa è la parola usata dalla Scrittura dove leggiamo: Dio plasmò, oppure Dio formò, l'uomo con il fango della terra. ( Gen 2,7 )

Ebbene, prima che venissero all'esistenza quegli esseri che nel creato sono i più grandi e sublimi ( che cosa infatti è superiore alle creature razionali esistenti in cielo? ) e prima che fosse plasmata la terra ( prima cioè che sulla terra vi fosse chi ti riconosce e ti loda ), tu esisti.

Ma siccome tutto questo sarebbe poco perché tutte queste cose hanno cominciato a essere o nel tempo o con il tempo, dice: Tu esisti dal secolo e fino al secolo.

Usando parole più appropriate, si dovrebbe dire: Dall'eternità e fino all'eternità.

Dio infatti non esiste dal secolo, ma da prima del secolo; e neppure esisterà fino al secolo, dato che questo ha una fine mentre Dio è senza fine.

Ma la parola greca è ambigua, per cui nelle Scritture il traduttore latino ha posto molte volte o " secolo " al posto di " eternità " oppure " eternità " al posto di " secolo ".

È molto significativo, comunque, che egli non dica: Tu sei esistito nel secolo; ne: Tu esisterai fino al secolo; ma usa il tempo presente, indicando così che l'essenza di Dio è assolutamente immutabile.

In essa non c'è il " fu " o il " sarà ", ma soltanto " è ".

Per questo leggiamo: Io sono colui che sono; e: Colui che è mi ha mandato a voi. ( Es 3,14 )

Così pure sta scritto: Tu cambierai le cose, ed esse si cambieranno; ma tu sei sempre lo stesso e i tuoi anni non verranno meno. ( Sal 102,27-28 )

Ecco quale eternità si è fatta rifugio per noi, affinché fuggendo da questa mutevolezza temporale, noi possiamo rifugiarci in essa e rimanervi per sempre.

4 - [v 3.] Il libero arbitrio incapace di superare le tentazioni

Ma finché siamo qui in terra, noi viviamo in mezzo a molte e gravi tentazioni, e ci sarebbe da temere che per causa loro noi ci allontaniamo da tale rifugio.

Vediamo dunque cosa chiede proseguendo la sua preghiera quest'uomo di Dio.

Non distogliere da te l'uomo [ sì che scivoli ] nell'abiezione.

Non permettere cioè che egli, allontanandosi dai tuoi beni eterni e sublimi, finisca col desiderare le cose temporali e gusti solo le cose terrene.

Chiede a Dio ciò che Dio stesso ha ordinato.

Con parole del tutto simili noi diciamo nella nostra preghiera: Non ci indurre in tentazione. ( Mt 6,13 )

Aggiunge poi: E tu hai detto: Convertitevi, figli degli uomini.

È come se dicesse: richiedo ciò che tu hai comandato.

Così rende gloria alla grazia di lui, in modo che chi si gloria si glori nel Signore, ( 1 Cor 1,31 ) poiché senza il tuo aiuto, mediante l'arbitrio della nostra volontà non possiamo superare le tentazioni di questa vita.

Dice: Non distogliere da te l'uomo [ sì che scivoli ] nell'abiezione, e tuttavia tu hai detto: Convertitevi, figli degli uomini.

Da' dunque ciò che hai ordinato.

Esaudisci la preghiera del supplice e aiuta la fede di chi è volenteroso.

5 - [v 4.] La fugacità del tempo

Perché mille anni dinanzi ai tuoi occhi sono come il giorno di ieri che è già passato.

Per questo dobbiamo dirigerci, da questi giorni che passano e scompaiono, al tuo rifugio dove sei tu, l'immutabile.

Perché, per quanto ci si possa augurare lungo il tempo di questa vita, mille anni dinanzi ai tuoi occhi sono come il giorno di ieri che è già passato.

Fossero almeno come il giorno di domani, che deve ancora venire!

Dobbiamo invece considerare come già passate tutte le cose circoscritte entro i limiti del tempo.

Per questo l'ideale dell'Apostolo lo portava a considerarle come secondarie, dimenticandole come roba sorpassata, e ciò dobbiamo intendere di tutte le cose temporali.

Viceversa, egli si protendeva verso le cose che gli erano davanti ( Fil 3,13 ) e ciò indica il suo desiderio delle cose eterne.

Perché poi nessuno creda che mille anni debbano essere computati dinanzi a Dio come un giorno solo nel senso che i giorni di Dio siano effettivamente di tale durata, mentre con questo modo di dire mira solo a ridicolizzare la lunghezza del tempo, aggiunge: E come una vigilia notturna, la cui durata, come sappiamo, non supera le tre ore.

E tuttavia ci sono stati uomini che hanno preteso monopolizzare la scienza dei tempi!

Ai suoi discepoli, che desideravano conoscerli, il Signore rispose: Non tocca a voi conoscere i tempi che il Padre ha posto in suo potere. ( At 1,7 )

Tali uomini hanno circoscritto la durata di questo mondo in seimila anni, come se potessero essere ridotti a sei giorni.

Non hanno considerato che quando furono dette le parole: Come un solo giorno, che è passato, non erano trascorsi soltanto mille anni.

E soprattutto avrebbe dovuto porli in guardia a non giocare con cose tanto incerte, com'è il tempo, la nota che esso è come una vigilia notturna.

Infatti ci potrebbe anche essere una qualche parvenza di verità nell'ipotesi dei sei giorni, per il fatto che in sei giorni Dio all'inizio completò la sua opera; ma non ce n'è alcuna che possano presentare come conforme con l'ipotesi delle sei vigilie, cioè con le diciotto ore che le sei veglie formano.

6 - [vv 5.6.] Le miserie della condizione mortale

Poi quest'uomo di Dio, o piuttosto lo spirito profetico, sembra in certo qual modo voler promulgare la legge di Dio la quale, scritta con sapienza a noi celata, fissa alla stirpe umana peccatrice e il decorso della vita mortale e le miserie della mortalità.

Dice: Come cose che si considerano niente saranno i loro anni.

Il mattino passerà come erba; il mattino fiorirà e passerà; la sera cadrà, si irrigidirà e inaridirà.

Dunque la felicità che gli eredi del Vecchio Testamento avevano chiesto al Signore loro Dio come un grande bene, nella provvidenza occulta di Dio meritò di essere condizionata dalla legge che Mosè sembra descrivere quando dice: Come cose che si considerano niente saranno i loro anni.

Sono infatti un nulla le cose che, prima che giungano, non sono ancora; e una volta giunte, ormai non esistono più.

Non vengono infatti per restare, ma per scomparire.

Il mattino, cioè le cose di prima, come erba passerà; il mattino fiorirà e passerà.

La sera, cioè le cose successive, cadrà, si irrigidirà e inaridirà.

Cadrà, nella morte; si irrigidirà, nel cadavere; inaridirà nella polvere.

Chi subisce queste vicende se non la carne, sede della dannata concupiscenza degli uomini carnali?

Ogni carne è infatti erba; e la gloria dell'uomo è come il fiore dell'erba.

L'erba inaridisce, il fiore avvizzisce; ma la parola del Signore resta in eterno. ( Is 40,6.8 )

7 - [v 7.] Proclamando che dal peccato è derivata a noi questa pena, aggiunge subito: Perché noi siamo venuti meno nella tua ira, e nella tua indignazione siamo stati turbati.

Siamo venuti meno, per la debolezza; siamo stati turbati, dal timore della morte.

Siamo divenuti deboli e abbiamo paura del momento in cui finirà la nostra debolezza.

Un altro ti cingerà, diceva il Signore, e ti porterà dove tu non vorresti. ( Gv 21,18 )

Anche se si trattava di uno che doveva essere non punito ma coronato col martirio.

Del resto anche l'anima del Signore, che volle totalmente riprodurre in se stesso la nostra immagine, divenne triste fino alla morte; ( Mt 26,38 ) perché il Signore non volle avere altra dipartita da questo mondo, se non la morte. ( Sal 68,21 )

8 - [v 8.] Hai posto le nostre iniquità al tuo cospetto: cioè non vi hai sorvolato.

E il nostro secolo nella luce del tuo volto. È sottinteso: Hai posto.

Le parole nella luce del tuo volto equivalgono a quelle che ha dette prima: al tuo cospetto; e le parole il nostro secolo equivalgono alle altre: Le nostre iniquità.

9 - [vv 9.10.] La brevità della vita

Perché tutti i nostri giorni sono svaniti, e noi siamo venuti meno nella tua ira.

Con queste parole ti dimostra a sufficienza che la nostra mortalità è una condanna.

Dice che sono svaniti i giorni, o perché durante tali giorni vengono meno gli uomini in quanto amano le cose che passano, o perché i giorni stessi sono effettivamente divenuti pochi. ( Gen 6,3 )

Il secondo senso mi sembra esplicitato dalle parole che seguono: I nostri anni erano considerati come tela di ragno.

I giorni dei nostri anni in se stessi sono settanta anni, ma nei più forti sono ottanta anni; il loro di più è sofferenza e dolore.

Queste parole sembrerebbero indicare la brevità e la miseria di questa vita; infatti sono chiamati longevi coloro che in questo mondo raggiungono settanta anni.

Alcuni, è vero, sembrano possedere ancora delle forze fino ad ottanta; però, se vivono di più, si moltiplicano i loro stenti e i loro dolori.

Moltissimi però anche prima dei settanta anni già sono vecchi e pieni di acciacchi e di malanni; come talvolta si incontrano vecchi che hanno più di ottanta anni e dimostrano di possedere ancora una mirabile vigoria.

È meglio quindi ricercare in questi numeri un qualche significato spirituale.

Non è infatti aumentata l'ira di Dio contro i figli di Adamo ( per la cui colpa il peccato entrò nel mondo e attraverso il peccato anche la morte, ( Rm 5,12 ) che è passata così in tutti gli uomini ) per il fatto che ora si vive molto meno di quanto non vivessero gli antichi.

Del resto qui è ridicolizzata anche la longevità degli antichi, se le loro migliaia di anni vengono paragonate al giorno di ieri già passato oppure a tre ore.

E poi l'uomo viveva a lungo anche quando provocò l'ira di Dio al punto che dovette mandare il diluvio in cui tutti perirono.

10 - Le promesse del Vecchio Testamento e quelle del Nuovo

Ognuno sa che settanta anni sommati a ottanta fanno centocinquanta; e questo libro dei salmi ci mostra con sufficiente chiarezza che il centocinquanta è un numero sacro.

Nel suo significato il numero centocinquanta ha lo stesso valore del quindici: numero che si forma con la somma di sette più otto.

Il primo di questi numeri poi, per il riferimento all'osservanza del sabato, ci ricorda il Vecchio Testamento, mentre il secondo numero ci ricorda il Nuovo Testamento, a cagione della resurrezione del Signore.

Infatti proprio per questo nel tempio ci sono quindici gradini, nei salmi ci sono quindici canti graduali e l'acqua del diluvio superò i monti più alti di quindici cubiti. ( Gen 7,20 )

E se in qualche altro passo si incontra questo numero, è sempre per sottolineare il suo significato sacro.

Orbene, egli dice: I nostri anni erano considerati come tela di ragno.

Cioè: noi ci affaticavamo in cose corruttibili; ordivamo tele fragili che, come dice il profeta Isaia, non ci coprivano affatto. ( Is 59,6 )

I giorni dei nostri anni in se stessi sono settanta anni: ma nei più forti sono ottanta.

Una cosa sono in se stessi; un'altra nei più forti.

In se stessi, cioè, negli anni o nei giorni stessi, intendiamo le cose temporali: per questo sono settanta.

Nel Vecchio Testamento, infatti, a quanto sembra, erano promesse le cose temporali.

Ma se si prendono gli anni non più in se stessi ma nei più forti ( cioè non più nelle cose temporali, ma in quelle eterne ), sono ottanta anni.

Difatti il Nuovo Testamento annuncia la speranza del rinnovamento e della resurrezione che dura per l'eternità.

Il loro di più è fatica e dolore. Cioè: chiunque viola questa fede e cerca qualcosa di più trova fatiche e dolori.

Tutto questo si potrebbe intendere anche nel senso che, sebbene ci troviamo nel Nuovo Testamento, raffigurato dal numero ottanta, questa nostra vita ha da sostenere in gran copia fatiche e dolori, mentre gemiamo in noi stessi sperando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo.

Noi infatti siamo stati salvati nella speranza, per cui dobbiamo aspettare con pazienza ciò che non vediamo ancora. ( Rm 8,23-35 )

Tutto questo è opera della misericordia di Dio; per cui [ il testo ] continua dicendo: È sopraggiunta su di noi la mansuetudine e saremo sottoposti a disciplina.

Il Signore corregge chi ama, flagella ogni figlio che accoglie, ( Eb 12,6 ) e a certuni, anche tra i più forti, dà un pungiglione nella carne, che li tormenti affinché non si insuperbiscano della grandezza delle loro rivelazioni, ma la virtù possa diventare perfetta proprio nella debolezza ( 2 Cor 12,7.9 )

 Alcuni codici non recano Saremo sottoposti e disciplina, ma saremo ammaestrati: la qual cosa rientra ugualmente nell'ambito della mansuetudine.

Nessuno può essere infatti ammaestrato senza fatica e dolore; perché è nella debolezza che la virtù diviene perfetta.

11 - [vv 11.12.] L'ira di Dio e la bramosia di piaceri mondani

Chi conosce il potere della tua ira? chi sa calcolarla mediante il tuo timore?

È di pochissimi uomini, dice, conoscere il potere della tua ira, perché con moltissima gente tu ti adiri maggiormente quando li risparmi.

Tanto che, quando tu mandi tribolazioni e dolori, questo è segno non della tua ira ma piuttosto della tua mansuetudine.

Sono mezzi con cui correggi ed ammaestri coloro che ami, affinché non siano tormentati dalle pene eterne.

Così infatti si legge in un altro salmo: Il peccatore ha irritato il Signore; per la grandezza della sua ira non lo ricercherà. ( Sal 11,4 )

Ebbene chi conosce, cioè quanti uomini sono in grado di valutare, il potere della tua ira e riescono a calcolarla mediante il tuo timore?

Anche qui si sottintende chi sa.

Molto difficilmente si trova chi sappia calcolare la tua ira in questo modo, cioè sulla base del timore che incuti.

Chi poi potrà arrivare a tanto da comprendere che, se tu sembri risparmiare qualche peccatore contro cui sei maggiormente adirato, è per farlo prosperare nella sua via, affinché poi nell'ultimo giorno riceva pene più grandi?

Il potere dell'ira umana, infatti, una volta ucciso il corpo, non può più far niente.

Dio invece ha il potere di punire in questa vita e di precipitare nell'inferno dopo la morte del corpo. ( Mt 10,28 )

In realtà quei pochi che sono davvero sapienti intendono la felicità vana e fallace degli empi come un segno più palese dell'ira di Dio.

Queste cose non sapeva colui i cui piedi per poco non incespicarono, perché invidiava i peccatori vedendo la loro pace.

Lo apprese quando entrò nel santuario di Dio e guardò ai tempi della fine. ( Sal 73,2.3.17 )

Ma sono pochi coloro che penetrano in tali recessi, sì da apprendere e valutare l'ira di Dio fondandosi sul timore che incute, e da considerare come una pena la prosperità dei malvagi.

12 - La destra di Dio

Fa' conoscere così la tua destra.

Questa è infatti la lezione preferita dai codici greci; non come certi codici latini che recano: Fa' conoscere a me la tua destra.

Che significa allora: Fa' conoscere così la tua destra, se non " fa' conoscere il tuo Cristo "?

Di Cristo infatti fu detto: E il braccio del Signore a chi è stato rivelato? ( Is 53,1 )

Fa' dunque conoscere Cristo, in modo che in lui i tuoi fedeli apprendano veramente a chiederti e a sperare quei premi della fede che non appaiono nel Vecchio Testamento ma sono rivelati nel Nuovo.

Che non mettano al primo posto nel loro pensiero né desiderino o amino esageratamente la felicità consistente in beni terreni e temporali, in modo che i loro piedi non abbiano ad inciampare quando vedranno che tale felicità è posseduta anche da coloro che non ti rendono culto, né i loro passi vacillino quando si accorgeranno di non saper calcolare la tua ira. Infatti attraverso la preghiera che qui eleva quest'uomo di Dio ci si fa conoscere il Cristo, e alla luce delle sue sofferenze siamo guidati a ricercare non quei vantaggi che vengono annunciati dal Vecchio Testamento ( ove sono le ombre del futuro ) ma i beni eterni.

Per destra di Dio si potrebbe anche intendere quella destra, dove Dio collocherà i suoi giusti separandoli dagli empi.

Difatti anche questa destra di Dio si manifesta quando egli flagella ogni figlio che accoglie ( Mt 25,32-33 ) e non lo lascia prosperare nei suoi peccati adirandosi ancora di più contro di lui.

È sua mansuetudine se lo flagella con la sinistra, per collocarlo infine alla sua destra dopo averlo fatto ravvedere. ( Eb 12,6 )

Quanto alle parole che recano molti codici: Fammi conoscere la tua destra, possono essere riferite all'uno e all'altra, cioè tanto a Cristo quanto alla felicità eterna.

Dio infatti non ha una destra di natura corporea, come nemmeno la sua ira è un moto passionale.

13 - Aggiunge poi: E, mediante la sapienza, coloro che sono prigionieri di cuore, mentre altri codici recano, non prigionieri, ma eruditi.

La parola greca suona nei due casi quasi alla stessa maniera e differisce appena in una sola sillaba.

Comunque, eruditi nella sapienza sono coloro che mettono, come sta scritto, il piede nei suoi ceppi ( Sir 6,25 ) ( non il piede del corpo, è chiaro, ma il piede del cuore ) e che sono legati dai suoi vincoli come da catene d'oro: cioè coloro che non s'allontanano dalla via di Dio né fuggono da lui.

Cosicché qualunque lezione si preferisca, rimane sempre salva la dottrina insegnataci dalla verità.

Chi poi siano questi prigionieri o eruditi di cuore mediante la sapienza, Dio lo ha palesato nel Nuovo Testamento.

Sono quei tali che hanno disprezzato ogni cosa per la fede, detestata dalla empietà dei giudei e dei gentili, e hanno tollerato di essere privati di quei beni che, al tempo del Vecchio Testamento, erano ritenuti, da coloro che giudicavano secondo la carne, come promesse di grande valore.

14 - [v 13.] La preghiera del martire non esprime impazienza

E siccome si sono fatti conoscere come gente che disprezzava le cose umane e con le loro sofferenze attestavano che occorreva aspirare a beni eterni ( difatti sono stati chiamati " testimoni " o, con parola greca, " martiri " ), per questo hanno subito moltissime e durissime sofferenze temporali.

A tutto questo volge lo sguardo quest'uomo di Dio ( o meglio lo spirito profetico rappresentato da Mosè ) e dice: Volgiti, Signore! Fino a quando? Sii arrendevole con i tuoi servi.

È la voce di coloro, o a favore di coloro, che, sopportando molte pene perché perseguitati da questo mondo, ci si presentano come aventi il cuore imprigionato dalla sapienza: persone che, anche se oppresse da tanti mali, non abbandonano Dio per volgersi ai beni di questo mondo.

In un altro passo delle Scritture si dice: Fino a quando distogli la tua faccia da me? ( Sal 13,1 )

Similmente qui dice: Volgiti, Signore! Fino a quando?

A questo proposito, quei tali che in modo assai carnale attribuiscono a Dio la forma del corpo umano, debbono sapere che Dio non distoglie né rivolge il suo volto con un movimento simile ai movimenti del nostro corpo.

Costoro dovrebbero ricordare le parole che questo stesso salmo conteneva più sopra: Tu hai posto le nostre iniquità al tuo cospetto, e il nostro secolo nella luce del tuo volto. ( Sal 90,8 )

Ebbene, come può dire qui: Volgiti ( cioè sii propizio ), quasi che, adirato, avesse distolto il suo volto, se là fa intendere che si adira senza distogliere il suo volto dalle colpe e dalla vita di coloro contro i quali si adira, ma anzi le tiene dinanzi a sé, nella luce del suo volto?

Quanto all'espressione: Fino a quando, è parola della giustizia che prega, non dell'impazienza indignata.

Molto bene poi è stato posto: Sii arrendevole! là dove altri hanno tradotto alla lettera: Consenti di scongiurare.

Colui infatti che ha tradotto: Sii arrendevole! ha evitato ogni ambiguità, perché il verbo " scongiurare " è generico e il soggetto di deprecatur potrebbe essere tanto colui che scongiura quanto colui che è scongiurato.

Infatti si dice deprecor te e deprecor a te, vale a dire: " ti scongiuro " e " sono scongiurato da te ".

15 - [vv 14.15.] Il giorno eterno formi l'oggetto dei nostri desideri

Anticipando poi nella speranza i beni futuri e considerandoli come già attuali, dice: Siamo ricolmi fin dal mattino della tua misericordia.

Nelle fatiche e sofferenze della notte, è stata accesa per noi la profezia, come lampada che arde in luogo oscuro, finché non splenda il giorno e la stella del mattino non sorga nei nostri cuori. ( 2 Pt 1,19 )

Sono infatti beati i puri di cuore perché vedranno Dio. ( Mt 5,8 )

Allora i giusti saranno colmati di quella felicità di cui hanno fame e sete, ora che camminano nella fede e sono esuli dal Signore. ( 2 Cor 5,6 )

Per questo leggiamo anche: Mi ricolmerai di letizia con il tuo volto. ( Sal 16,11 )

Al mattino saranno alla tua presenza e contempleranno; ( Sal 5,5 ) e così saranno saziati, come altri hanno tradotto: Siamo stati saziati al mattino della tua misericordia, e come altrove leggiamo: Sarò saziato quando si manifesterà la tua gloria. ( Sal 17,15 )

Per questo è detto: Mostraci il Padre e ci basta; e del pari il Signore medesimo diceva: Mostrerò a lui me stesso. ( Gv 14,8.21 )

Finché tutto questo non accadrà, nessun bene ci basta, né deve bastarci, perché il nostro desiderio non ha da fermarsi sulla via, mentre deve protendersi verso la meta finale finché non vi giunga.

Siamo ricolmi fin dal mattino della tua misericordia; e abbiamo esultato e ci siamo rallegrati in tutti i nostri giorni.

Quel giorno è il giorno senza fine. Sono un tutt'uno quei giorni; per questo saziano.

Non cedono infatti il posto a quelli che vengono dopo, là dove non c'è nulla che ancora non esista per non essere ancora venuto, e niente c'è che non esista più per essersene già andato.

Esistono tutti insieme, perché tutti sono un giorno solo che sta fermo e non passa.

Questa è l'eternità. E sono questi i giorni dei quali sta scritto: Qual è l'uomo che ama la vita e desidera vedere i giorni buoni? ( Sal 34,13 )

Questi giorni sono chiamati altrove anni, là dove si dice a Dio: Tu sei sempre lo stesso e i tuoi anni non verranno meno.

Non sono infatti anni che non contano niente oppure giorni che sono passati come ombra. ( Sal 102,28 )

Sono giorni che durano, il cui numero scongiurava di conoscere colui che diceva: Fammi conoscere, Signore, la mia fine ( giungendo alla quale starò fermo e non cercherò niente altro ) e il numero dei miei giorni che è.

Un numero appunto che è, non uno che non è.

Infatti questi giorni, dei quali diceva più avanti: Ecco hai fatto vecchi i miei giorni, ( Sal 39,5-6 ) non sono, perché non stanno fermi, non restano, ma scorrono e si succedono con estrema rapidità.

Né si trova in essi un'ora nella quale possiamo sostare senza che ne sia già trascorsa una parte, mentre un'altra parte non stia per venire: un'ora, insomma, che stia ferma e duri.

Per contro, non vengono meno quegli anni e quei giorni nei quali saremo anche noi indefettibili, anzi, esenti da logorio, saremo ogni giorno ristorati.

Arda la nostra anima dal desiderio di quei giorni; ne abbia una sete ardente e tormentosa, affinché possiamo essere lassù ricolmati, saziati, e poter dire lassù ciò che qui preannunziamo: Siamo saziati fin dal mattino della tua misericordia, e abbiamo esultato, e ci siamo rallegrati in tutti i nostri giorni.

Ci siamo allietati per i giorni nei quali ci hai umiliati, per gli anni nei quali abbiamo visto miserie.

16 - [v 16.] Opera della mano dell'artefice divino

Ma ora, mentre siamo ancora in questi giorni malaugurati, diciamo quanto segue: Guarda i tuoi servi e le tue opere.

I tuoi servi, essi stessi sono tua opera: e non solo in quanto sono uomini ma anche perché sono tuoi servi, e come tali possono eseguire i tuoi comandi.

Siamo infatti sue creature, non soltanto in Adamo ma anche in quanto siamo stati creati in Cristo Gesù, per le opere buone che Dio ha preparato affinché camminiamo in esse. ( Ef 2,10 )

Perché è Dio che opera in noi e il volere e l'operare conforme alla buona volontà. ( Fil 2,13 )

E governa i loro figli, affinché siano quei retti di cuore verso i quali Dio è buono.

Buono è infatti il Dio di Israele, ma con i retti di cuore.

Non con quanti assomigliano a colui i cui piedi vacillarono perché, scorgendo la pace dei peccatori, stava per provar disgusto di Dio, quasi che egli non conoscesse queste cose, non se ne curasse e si disinteressasse del governo del genere umano. ( Sal 73,1-14 )

17 - [v 17.] La carità fine della legge e compendio delle virtù

E lo splendore del Signore Dio nostro sia sopra di noi.

Al riguardo è detto altrove: È impressa in noi la luce del tuo volto, Signore. ( Sal 4,7 )

E dirigi in noi le opere delle nostre mani: in modo che non le compiamo per ottenerne una ricompensa terrena, poiché allora queste opere non sarebbero rette ma distorte.

Molti codici concludono qui questo salmo, ma in altri si legge un ultimo verso: E dirigi l'opera delle nostre mani.

I più attenti e dotti contrassegnano questo verso con una stella, che chiamano asterisco: un segno con cui indicano le frasi che si incontrano in ebraico oppure in altre traduzioni greche, mentre non si trovano nella traduzione dei Settanta.

Se vogliamo spiegare questo verso, mi sembra che il suo contenuto miri a sottolineare come tutte le nostre opere buone si riducano ad un'unica opera, quella della carità.

Difatti la pienezza della legge è la carità. ( Rm 13,10 )

Ora, nel versetto precedente aveva detto: E dirigi in noi le opere delle nostre mani; in quest'ultimo versetto non ripete: Dirigi le opere, ma dice: Dirigi l'opera delle nostre mani.

Come se volesse cioè mostrare con l'ultimo verso che le varie opere si riducono ad un'opera sola e sono dirette a questa sola opera.

Le opere infatti sono rette quando si dirigono ad un unico fine: e fine del comandamento è la carità che sgorga da cuore puro, da buona coscienza ( 1 Tm 1,5 ) e da fede verace.

Unica è dunque l'opera nella quale sono racchiuse tutte le altre: la fede che opera per mezzo dell'amore. ( Gal 5,6 )

Non diversamente il Signore dice nel Vangelo: Questa è l'opera di Dio: che crediate in colui che Dio ha mandato. ( Gv 6,29 )

Ebbene, ricordiamo, concludendo, come in questo salmo sono con ogni chiarezza distinte la vita vecchia e la vita nuova, la vita mortale e quella vitale, gli anni che non contano niente e i giorni nei quali è la pienezza della misericordia e della vera gioia.

Vi si descrivono cioè, e in maniera assai esplicita, il castigo del primo uomo e il regno del secondo.

Che se nel titolo di questo salmo è stato posto il nome di Mosè, uomo di Dio, credo che lo si sia fatto per mostrare a quanti studiano le Scritture con animo pio e retta intenzione, che anche quella legge di Dio che fu data per mezzo di Mosè e nella quale Dio sembrerebbe promettere per le buone opere soltanto ( o quasi soltanto ) premi d'ordine temporale, senza alcun dubbio contiene sotto il suo velo un qualcos'altro che questo salmo mira ad evidenziare.

Quando poi tutti saranno passati a Cristo, sarà tolto il velo ( 2 Cor 3,16 ) e gli occhi di ognuno saranno illuminati affinché possano vedere le meraviglie della legge di Dio.

E questo sarà ancora un dono di colui al quale diciamo: Togli il velo dai miei occhi, e considererò le meraviglie della tua legge. ( Sal 119,18 )

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