La Genesi alla lettera |
Commentando il libro della sacra Scrittura intitolato La Genesi dal principio fino all'espulsione del primo uomo dal paradiso, abbiamo composto undici libri sia affermando e difendendo ciò che per noi è certo, sia ricercando ed esprimendo le nostre opinioni o esitazioni su ciò che è incerto.
Quanto abbiamo potuto e come l'abbiamo potuto [ spiegare ], l'abbiamo esposto e messo per iscritto non tanto per prescrivere a ciascuno che cosa pensare sui punti oscuri, quanto per mostrare la necessità d'essere istruiti noi stessi su ciò di cui noi dubitavamo, e per distogliere il lettore dal fare affermazioni temerarie su problemi per i quali non siamo riusciti a presentare una dottrina sicura.
In questo dodicesimo libro, al contrario, ormai liberi dalla preoccupazione, da cui eravamo impediti, di spiegare punto per punto il testo delle Sacre Scritture, tratteremo con maggior libertà ed ampiezza la questione del paradiso perché non si creda che abbiamo voluto evitare di chiarire ciò che pare insinuare l'Apostolo, che cioè il paradiso sia situato al terzo cielo, quando dice: So che quattordici anni fa un uomo in Cristo, non so se con il corpo o se fuori del corpo, lo sa Dio, fu rapito fino al terzo cielo.
So inoltre che quest'uomo, non so se con il corpo o senza il corpo, solo Dio lo sa, fu rapito in paradiso e udì parole ineffabili che a un uomo non è possibile pronunciare. ( 2 Cor 12,2-4 )
A proposito di queste parole il primo quesito che di solito ci si pone è che cosa intende dire l'Apostolo quando parla del "terzo cielo", e in secondo luogo se vuol farci intendere che lì è il paradiso oppure vuol dire che, dopo essere stato rapito al "terzo cielo", fu rapito anche nel paradiso dovunque questo si trovi; sicché essere rapito al "terzo cielo" non sarebbe la stessa cosa ch'essere rapito nel paradiso, ma prima sarebbe stato rapito al "terzo cielo" e poi di lì nel paradiso.
È un problema tanto oscuro che, a mio avviso, non può essere risolto se uno - basandosi non [ solo ] sulle parole dell'Apostolo citate più sopra, ma anche su altri eventuali passi della sacra Scrittura o su ragioni evidenti - non riuscirà a trovare un argomento capace di provare che cosa è o non è il paradiso; se cioè è sito nel "terzo cielo", poiché non appare chiaro neppure se lo stesso "terzo cielo" è da considerarsi come un luogo materiale o forse come una condizione spirituale.
Si potrebbe in realtà affermare che un uomo avrebbe potuto essere rapito con il suo corpo solo in un luogo materiale ma poiché [ in questo passo ] l'Apostolo afferma anche di non sapere se fu rapito nel corpo o fuori del corpo, chi oserebbe affermare di sapere ciò che l'Apostolo afferma di non sapere?
Tuttavia se lo spirito senza il corpo non può essere rapito in luoghi materiali né un corpo in luoghi spirituali, la stessa incertezza dell'Apostolo - dal momento che nessuno dubita che fa quell'affermazione parlando di se stesso - ci costringe in un certo senso ad ammettere che il luogo ove fu rapito l'Apostolo era tale che non si potrebbe sapere né distinguere se fosse materiale o spirituale.
Quando infatti nel sogno o nell'estasi si formano immagini corporee, queste non si distinguono affatto dai corpi se non quando, ripreso l'uso dei sensi del corpo, la persona riconosce d'essere stata tra quelle immagini ch'essa non percepiva per mezzo dei sensi del corpo.
Chi, infatti, destatosi dal sonno, non si accorge subito che le cose viste in sogno erano [ puramente ] immaginarie, sebbene - quando le vedeva nel sogno - non fosse capace di distinguerle dalle visioni degli oggetti percepiti dagli individui che sono desti?
Io tuttavia so che a me è capitato - e non dubito quindi che anche altri possa aver avuto o possa avere la stessa mia esperienza - di veder qualche cosa in sogno e d'essere conscio che la vedevo in sogno e che le immagini, che di solito c'ingannano ritenendole reali, non erano dei veri corpi, ma anche dormendo ero perfettamente sicuro e convinto che quelle immagini erano solo fantasie che mi venivano in sogno.
Ciononostante io talvolta mi sono ingannato: come quando, vedendo ugualmente nel sogno un mio amico, mi sforzavo di persuaderlo di questa stessa verità, che cioè le cose che noi vedevamo, non erano corpi ma solo immagini di persone sognanti, sebbene m'apparisse anche lui certamente tra quelle immagini nella stessa loro forma.
Ciò nondimeno io dicevo altresì che non era neppure vero che noi fossimo a conversare insieme e che anch'egli nel sonno vedeva allora qualche altra cosa e ignorava assolutamente se io vedevo quegli oggetti.
Quando però mi sforzavo di convincerlo ch'egli non era lì in persona, d'altra parte ero anche propenso a pensare ch'egli era lì poiché non avrei certamente potuto conversare con lui se avessi avuto l'esatta impressione ch'egli in persona non era lì.
Per conseguenza la mia anima, benché in modo misterioso fosse sveglia mentre io dormivo, poteva essere lo zimbello solo d'immagini corporee come se fossero dei veri corpi.
A proposito dell'estasi ho potuto sentire quanto dichiarava un tale, un campagnolo a mala pena capace d'esprimere ciò di cui aveva avuto esperienza: egli sapeva ch'era sveglio e vedeva qualcosa ma non con gli occhi del corpo.
Per dirlo con le sue parole e per quanto io posso ricordarmele: "A veder lui - mi raccontava - era l'anima mia, non erano i miei occhi; io non sapevo tuttavia se fosse un corpo o l'immagine d'un corpo".
Egli non era capace di discernere di che si trattasse ma era tanto semplice e sincero che lo ascoltavo come se fossi stato io stesso a vedere ciò che egli mi narrava d'aver visto.
Se perciò Paolo vide il paradiso così come a Pietro apparve il vassoio calato giù dal cielo, ( At 10,11 ) a Giovanni apparvero tutte le visioni descritte nell'Apocalisse, ( Ap 1,13-20 ) a Ezechiele apparve la pianura piena d'ossa di morti e la loro risurrezione, ( Ez 37,1-10 ) a Isaia apparve Dio assiso [ sul suo trono ] e davanti a lui i Serafini e l'altare da cui fu preso il carbone ardente che purificò le labbra del Profeta, ( Is 6,1-7 ) è evidente che [ Paolo ] non poteva sapere se vedeva quelle cose nel corpo o fuori del corpo.
Ma se quelle realtà furono viste da San Paolo fuori del suo corpo e non erano corpi, possiamo chiederci ancora se fossero immagini di cose corporee oppure una sostanza che non ha alcuna somiglianza con i corpi, così com'è Dio, com'è lo spirito o l'intelligenza o la ragione dell'uomo, così come sono le virtù della prudenza, giustizia, castità, pietà e tutte le altre realtà di qualsiasi specie che noi enumeriamo, distinguiamo, definiamo con l'intelligenza o con il pensiero senza percepirne non solo i lineamenti o i colori ma neppure il suono, l'odore e il sapore, senza che il tatto ne abbia la sensazione di caldo o di freddo, di molle o di duro, di liscio o di ruvido, ma le percepiamo per mezzo di un'altra visione, di un'altra luce, di un'altra evidenza, di gran lunga più eccellente e più sicura di tutte le altre.
Ritorniamo dunque alle medesime parole dell'Apostolo ed esaminiamole più attentamente fissando anzitutto nel nostro intelletto la inconcussa convinzione che il suo discernimento della natura corporea e incorporea era immensamente più perfetto di quel che noi riusciamo a conoscere per quanti sforzi facciamo.
Se dunque egli sapeva che per mezzo del corpo non possono affatto vedersi le realtà spirituali né fuori del corpo possono vedersi quelle corporali, per qual motivo non precisò in qual modo poté vederle quando si riferisce proprio alle realtà vedute?
Se infatti era sicuro ch'erano realtà spirituali, perché non era ugualmente sicuro d'averle viste fuori del corpo?
Se invece sapeva ch'erano realtà corporali, come mai non sapeva anche che non avrebbe potuto vederle se non per mezzo del corpo?
Perché dunque dubita se le vide con il corpo o fuori del corpo, se non forse perché dubita ugualmente se quelle realtà fossero corpi o somiglianze di corpi?
Vediamo dunque prima, in tutto il contesto del passo che esaminiamo, di che cosa egli non dubita e così, quando resterà solo ciò di cui dubita, dalle sue certezze apparirà forse anche il motivo del suo dubbio.
So - egli dice - che un uomo in Cristo quattordici anni fa, non so se con il corpo o fuori del corpo, solo Dio lo sa, fu rapito fino al terzo cielo. ( 2 Cor 12,2 )
Egli dunque sa che quattordici anni prima un uomo in Cristo era stato rapito fino al terzo cielo.
Di ciò egli non ha il minimo dubbio e quindi non dobbiamo dubitare neppure noi.
Paolo però dubita d'essere stato rapito con il suo corpo o fuori del corpo; se perciò egli ne dubita, chi di noi oserà esserne certo?
Ne verrà forse anche di conseguenza che possiamo dubitare dell'esistenza del terzo cielo, in cui dice che quell'uomo fu rapito?
Se infatti gli fu mostrata [ in un sogno ispirato ] la realtà oggettiva, gli fu mostrato il terzo cielo; se invece gli fu mostrata solo un'immagine somigliante a realtà materiali, quello non era il terzo cielo, ma la visione si svolse secondo un determinato ordine in modo che a Paolo sembrò di salire al primo cielo e poi di vederne un altro al di sopra di quello e di salirvi e di nuovo gli parve di vederne un altro ancora più alto e giunto a quest'ultimo l'Apostolo poté dire di essere stato rapito al terzo cielo.
Ma che quello ov'era stato rapito fosse il terzo cielo, Paolo non ebbe alcun dubbio e volle che neppure noi ne dubitassimo.
Ecco perché inizia il suo racconto dicendo: Io so; data questa premessa ciò che egli dice di sapere non lo crede vero se non chi non crede all'Apostolo.
Paolo dunque sa che quell'uomo fu rapito fino al terzo cielo.
Per conseguenza il luogo ove fu rapito è realmente il terzo cielo e non un simbolo materiale come quello mostrato a Mosè, il quale però era tanto consapevole della differenza esistente tra la sostanza di Dio e la creatura visibile, con cui Dio si faceva vedere ai sensi umani e corporali, da dire: Mostrati a me in persona; ( Es 33,13 ) per di più non era neppure l'immagine d'una sostanza corporale come quella che vedeva Giovanni con lo spirito, a proposito della quale domandava cosa fosse e gli veniva risposto: "È una città", oppure: "Sono popoli", o qualcos'altro, quando vedeva la bestia o la donna o le acque o qualche altro oggetto.
Paolo invece dice: So che un uomo fu rapito al terzo cielo. ( Ap 13,1; Ap 17, 15.18 )
Se invece con il termine "cielo" avesse voluto denotare un'immagine spirituale somigliante a una sostanza corporale, sarebbe potuta essere così anche un'immagine del suo corpo quella in cui fu rapito e salì al terzo cielo.
Parlerebbe dunque in questi termini anche del proprio corpo, benché si trattasse solo di un'immagine del cielo, e non si sarebbe preoccupato di precisare che cosa sapeva e che cosa non sapeva; sapeva cioè che quell'uomo era stato rapito fino al terzo cielo ma non sapeva se con il corpo o fuori del corpo, ma avrebbe semplicemente narrato la visione chiamando gli oggetti da lui visti con i nomi di altri oggetti a cui quelli rassomigliavano.
Anche noi, quando raccontiamo i nostri sogni o qualche rivelazione avuta in sogno, diciamo: "Ho visto un monte", "Ho visto un fiume", "Ho visto tre persone" o altre cose del genere dando alle immagini il nome degli oggetti a cui erano simili; l'Apostolo invece dice: "Questo lo so; quest'altro non lo so".
Ma se tutte e due le cose gli apparvero sotto forma di un'immagine, ambedue gli erano ugualmente note o ugualmente ignote; se tuttavia egli vide realmente il cielo - e perciò gli era noto - in qual modo il corpo di quell'uomo poté apparirgli solamente sotto forma di un'immagine?
Poiché, se Paolo vedeva il cielo materiale, per qual motivo non si rendeva conto se lo vedeva con gli occhi del corpo?
Se invece era incerto se lo vedeva con gli occhi del corpo o dello spirito ( e perciò dice: Se [ ciò avvenne ] con il corpo o fuori del corpo io non lo so ), ( 2 Cor 12,2 ) come mai non gli era incerto anche se vedeva realmente il cielo materiale o questo gli si mostrava solo sotto forma di una immagine?
Così pure, se vedeva una sostanza incorporea non sotto l'aspetto d'una immagine corporea ma così come si vede la giustizia, la sapienza e altre cose della stessa specie, e di tal natura era il cielo, è anche evidente che nulla di tale specie può vedersi con gli occhi del corpo.
Per conseguenza, se sapeva d'aver visto qualcosa di tal genere, non poteva dubitare d'averlo visto in modo diverso che mediante gli occhi del corpo.
So - egli dice - che un uomo in Cristo, quattordici anni fa …
Questo lo so, e non ne dubiti nessuno che mi crede.
Ma se nel corpo o fuori del corpo io non lo so, Dio solo lo sa. ( 2 Cor 12,2 )
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