La Genesi alla lettera |
Ora, se mi si chiede se l'anima nel dipartirsi dal corpo viene trasportata in qualche luogo materiale oppure in uno spazio immateriale ma simile a luoghi materiali, o se, al contrario, in nessuno di essi ma in un luogo più eccellente non solo dei corpi ma anche delle immagini dei corpi, risponderò senz'altro ch'essa non può essere portata in un luogo materiale se non con un "corpo" oppure non è portata in nessun luogo materiale.
Orbene, se l'anima può avere un "corpo" quando si partirà dal corpo, lo dimostri chi ne è capace; io non lo credo.
L'anima, al contrario, è portata, a seconda dei meriti, in un soggiorno spirituale o in luoghi di pena la cui natura è simile a quella dei corpi, luoghi come quelli mostrati a coloro che, rapiti fuori dei sensi, giacendo come se fossero morti, videro le pene dell'inferno.
Costoro portavano con sé una certa somiglianza del loro corpo con cui potevano essere portati là e sperimentare con la somiglianza dei loro sensi.
Io infatti non capisco perché l'anima avrebbe una somiglianza del proprio corpo quando, mentre il corpo resta privo di sensi pur non essendo totalmente morto, vede oggetti come quelli [ delle visioni ] raccontate da molte persone una volta tornate tra i vivi appena usciti da quel rapimento, e non l'avrebbe quando, a causa della morte effettiva esce totalmente dal suo corpo.
Ne segue dunque che l'anima è portata o verso luoghi di pena oppure verso altri luoghi somiglianti a quelli materiali, non tuttavia di pena, ma di pace e di gioia.
Ora, non si può dire che quelle pene o quella pace e quella gioia siano false, poiché le cose sono false quando si scambia una cosa per un'altra a causa di un giudizio erroneo.
Così, per esempio, s'ingannava certamente Pietro quando vedeva quel vassoio e immaginava che in esso fossero non immagini di corpi, ma corpi reali. ( At 10,11-12 )
Egli errava anche in un'altra occasione quando, avendolo sciolto dalle catene un angelo, uscì dal carcere camminando con il proprio corpo a contatto con oggetti materiali e tuttavia credeva d'avere ancora una visione. ( At 12,7-9 )
Ciò si spiega poiché da una parte gli animali contenuti in quel vassoio erano immagini spirituali somiglianti a quelle corporali e d'altra parte la visione d'un uomo sciolto dalle catene per un miracolo aveva l'apparenza di un'immagine spirituale.
In entrambi i casi l'anima s'ingannava ma solo perché scambiava una cosa per un'altra.
Gli oggetti dunque, da cui le anime, una volta uscite dal corpo, provano il bene o il male, non sono materiali ma solo somiglianti ad essi, dal momento che anche le anime appaiono a se stesse sotto forme simili ai loro corpi; ciononostante quegli oggetti sono reali e sono reali la gioia o la pena prodotte da una sostanza spirituale.
Anche nel sonno infatti c'è una gran differenza tra l'aver sogni di gioia o incubi di sofferenza.
Ecco perché alcuni si rattristano svegliandosi da sogni in cui avevano goduto dei beni che avevano bramato mentre in altre occasioni, svegliandosi da sogni in cui erano stati in preda a terrori e tormenti, ebbero paura di dormire per non ricadere nei medesimi incubi.
Ora, certamente non si deve dubitare che quelle che si chiamano pene dell'inferno sono più intense e perciò sono percepite con dolore più vivo.
Coloro, infatti, che sono stati rapiti fuori dei sensi del corpo, hanno raccontato in seguito d'essersi trovati in esperienza più forte di quella d'un sogno benché naturalmente fosse meno intensa di quanto sarebbe stata se fossero morti del tutto.
L'inferno dunque esiste, ma io penso che la sua natura sia spirituale, non materiale.
Non si devono ascoltare nemmeno coloro i quali affermano che l'inferno corrisponde allo svolgersi della vita presente e che non esiste dopo la morte; ma se la vedano essi in qual senso interpretare le finzioni poetiche.
Noi non dobbiamo allontanarci dall'autorità delle Sacre Scritture, alle quali solo dobbiamo prestare fede a proposito di questo problema.
Potremmo d'altronde dimostrare che i sapienti pagani non dubitarono affatto della realtà dell'inferno che dopo la vita presente riceve le anime dei morti.
Con ragione però ci si pone in quesito perché mai si dice che l'inferno è sottoterra, se non è un luogo materiale, o perché si chiama inferno, se non è sotterra.
Al contrario, che l'anima non è materiale non è solo una mia opinione ma oso anzi proclamare apertamente di saperlo con certezza.
Chi però afferma che l'anima non può avere la somiglianza d'un corpo o addirittura delle membra d'un corpo, dovrebbe dire che non è l'anima quella che in sogno vede se stessa camminare o star seduta, andare e tornare qua e là a piedi o volando, ma nulla di ciò può avvenire senza ch'essa abbia una certa somiglianza d'un corpo.
Per conseguenza, se essa porta anche nell'inferno siffatta somiglianza - che non è corporea ma qualcosa di simile a un corpo - sembra che si trovi ugualmente anche in luoghi non fisici ma simili a quelli fisici, sia nel riposo che nei tormenti.
Ciononostante debbo confessare altresì di non aver trovato un testo [ della sacra Scrittura ] ove sia chiamato "inferno" il soggiorno ove riposano le anime dei giusti.
Noi inoltre, per la verità, non senza ragione crediamo che l'anima di Cristo andò fino ai luoghi ove sono tormentati i peccatori per liberare dai loro tormenti coloro che, per la sua inscrutabile giustizia, aveva deciso dover liberare.
In qual altro senso infatti si può intendere ciò che dice la Scrittura: Dio lo risuscitò dai morti dopo aver abolito le sofferenze degli inferi, poiché non era possibile ch'egli fosse tenuto in loro potere?. ( At 2,24 )
Io non vedo che si possa intendere [ questa frase ] se non nel senso ch'egli liberò alcuni dalle pene dell'inferno in virtù del potere per cui è il Signore, poiché ognuno piega a lui le ginocchia nei cieli, sulla terra e sottoterra; ( Fil 2,10 ) a causa del suo potere egli non poteva neppure essere tenuto nei lacci delle pene ch'egli aveva sciolti.
Ma né Abramo né quel povero ch'era nel suo seno - cioè nel soggiorno misterioso del suo riposo - si trovavano in mezzo alle sofferenze, poiché [ nella sacra Scrittura ] leggiamo che tra il loro riposo e i tormenti dell'inferno è stabilito un grande abisso; d'altronde la Scrittura non dice neppure ch'essi fossero nell'inferno, poiché [ Cristo ] dice: Ora avvenne che quel povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo.
Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando [ questi ] nell'inferno tra i tormenti, ecc. ( Lc 16,22-26 )
Vediamo quindi che l'inferno è menzionato non a proposito del riposo del povero ma a proposito del castigo del ricco.
Quanto a ciò che Giacobbe dice ai suoi figli: Voi farete scendere con dolore la mia vecchiaia nell'inferno, ( Gen 44,29 ) sembra piuttosto indicare che egli temeva di restare sconvolto a causa d'una tristezza sì grande da andare non al riposo dei beati ma nell'inferno dei peccatori.
La tristezza infatti è un male non lieve per l'anima, dal momento che anche l'Apostolo era tanto ansioso per un fedele nel timore che fosse oppresso da una tristezza più grave. ( 2 Cor 2,7 )
Come dunque ho detto, non ho ancora trovato e cerco ancora un passo delle Scritture - parlo solo di quelle canoniche - in cui il termine "inferno" sia preso in senso buono.
Quanto poi al "seno di Abramo" e al riposo in cui quel povero fu portato dagli angeli non so se alcuno possa intenderli se non in senso buono.
Non vedo, per conseguenza, come potremmo credere che quel riposo sia nell'inferno.
Ma mentre stiamo cercando di dare una risposta al quesito che ci siamo proposti - e sia che la troviamo, sia che non la troviamo -, la lunghezza di questo libro ci spinge a concluderlo una buona volta.
Noi abbiamo cominciato la discussione sul paradiso a proposito d'un passo dell'Apostolo, in cui dice di conoscere un uomo, ch'era stato rapito fino al terzo cielo, ma d'ignorare se con il corpo o senza il corpo, e d'essere stato rapito in paradiso e d'aver udito parole arcane che nessuno può ripetere.
Noi perciò non determiniamo alla leggera se il paradiso è sito nel terzo cielo oppure se [ l'Apostolo ] fu rapito anche al terzo cielo e poi di lì nel paradiso.
Poiché, se può chiamarsi con ragione "paradiso", nel senso proprio della parola, un luogo ricco di alberi e, in senso figurato, anche una regione - diciamo così - spirituale, ove si gode la felicità, è "paradiso" non solo il terzo cielo, qualunque cosa esso sia - che in realtà è una cosa meravigliosa e sommamente bella -, ma anche la gioia derivante dalla buona coscienza nell'uomo.
Ecco perché anche la Chiesa, per i fedeli servi di Dio che vivono nella temperanza, nella giustizia e nell'amore verso Dio, è chiamata giustamente "paradiso", ( Sir 40,27 ) ricca com'è di grazie abbondanti e di caste delizie, ( Ct 8,5 ) poiché anche nelle tribolazioni si gloria della propria pazienza ed è ricolma di grande gioia poiché le consolazioni di Dio rallegrano la sua anima in proporzione della moltitudine delle sofferenze che prova nel suo cuore. ( Sal 94,19 )
Con quanta maggior ragione può dunque chiamarsi "paradiso" dopo questa vita anche il seno di Abramo in cui non ci sarà più alcuna tentazione ma un meraviglioso riposo dopo tutte le sofferenze di questa vita!
Poiché anche lì c'è una luce sua propria e tutta speciale di natura certamente straordinaria.
Tale era la luce che vide quel ricco tra i tormenti e nelle tenebre dell'inferno; sebbene ci fosse di mezzo un grande abisso, tuttavia anche da tanto lontano la vide così chiara da riconoscervi il povero ch'egli una volta aveva disprezzato.
Se le cose stanno così, si dice o si crede che l'inferno è situato sotterra perché nello spirito è presentata un'appropriata somiglianza delle cose corporali; in tal modo, poiché le anime dei defunti, che hanno meritato l'inferno, hanno peccato per l'amore della carne, mediante immagini delle realtà corporee, è procurato loro ciò che suole essere procurato a un cadavere che ordinariamente è sepolto sotterra.
L'inferno perciò in latino si chiama inferi poiché è situato al di sotto [ della terra ].
Allo stesso modo poi che nell'ambito dei corpi, se si attengono alla legge di gravità, quelli pesanti sono più in basso, così nell'ambito degli spiriti si trovano più in basso tutti quelli che sono più tristi.
Ecco perché si dice che anche nella lingua greca l'etimologia del nome con cui è denotato l'inferno esprime il significato di "ciò che non ha nulla di piacevole".
Tuttavia il nostro Salvatore, dopo essere morto per noi, non disdegnò di visitare anche quella parte del mondo per liberare di lì coloro ch'egli non poteva ignorare dover essere liberati conforme alla sua divina, occulta giustizia.
Ecco perché all'anima del buon ladrone, al quale aveva detto: Oggi sarai con me in paradiso, ( Lc 23,43 ) promise non l'inferno ove sono puniti i peccatori, ma il seno di Abramo - poiché Cristo non può non essere dappertutto, essendo lui la Sapienza di Dio che penetra in ogni cosa a causa della sua purezza ( Sap. 7,24 ) - oppure promise il paradiso, sia ch'esso si trovi nel terzo cielo o in qualsiasi altro luogo in cui fu rapito l'Apostolo dopo essere stato al terzo cielo, se pur è vero che l'unica dimora, in cui sono le anime dei beati, non è l'unica e medesima cosa denominata con nomi diversi.
Pare dunque che per "primo cielo" sia giusto intendere - con un termine generico - tutto questo cielo materiale che si trova al di sopra delle acque e della terra, per secondo cielo invece quello visto dallo spirito, sotto immagini corporali - come quello dal quale a Pietro rapito in estasi fu fatto scendere quel vassoio pieno di animali ( At 10,10-12 ) - e per "terzo cielo" ciò che la mente contempla dopo essere stata separata, allontanata e rapita completamente fuori dei sensi del corpo e talmente purificata da essere capace di vedere e udire in modo ineffabile - grazie alla carità dello Spirito Santo - le realtà che si trovano in quel cielo e la stessa essenza di Dio come anche il Verbo di Dio, per mezzo del quale è stata fatta ogni cosa. ( Gv 1,3 )
Non senza ragione noi crediamo non solo che l'Apostolo fu rapito fin lassù, ( 2 Cor 12,2-4 ) ma altresì che forse è lì il paradiso più eminente e - se così può dirsi - il paradiso dei paradisi.
Se infatti l'anima buona trova la gioia nel bene che si trova in ogni creatura, quanto più eccellente è la gioia ch'essa trova nel Verbo di Dio, per mezzo del quale è stata fatta ogni cosa?
Ma che bisogno hanno gli spiriti dei defunti di riprendere il proprio corpo nella risurrezione, se possono avere la suprema felicità senza il loro corpo?
È un'obiezione che potrebbe turbare qualcuno ma per verità è un problema troppo difficile a essere trattato completamente in questo libro.
Non si deve tuttavia dubitare affatto che la mente dell'uomo, anche allorché è rapita fuori dei sensi del corpo o quando, dopo la morte, avendo abbandonato il corpo, non è più soggetta alle immagini dei corpi, non è in grado di vedere l'essenza immutabile di Dio, come la vedono gli angeli santi.
Ciò può avvenire per qualche altra causa misteriosa o perché è innata nell'anima una specie di brama naturale di governare il corpo.
Questa brama raffrena in qualche modo l'anima dal tendere con tutte le sue forze verso quel sommo cielo fino a quando non sarà riunita al corpo in modo che quella sua brama rimanga soddisfatta nel governare il corpo.
Se, al contrario, il corpo è di tal natura che è difficile e gravoso governarlo come lo è questa carne che si corrompe e appesantisce l'anima ( Sap 9,15 ) - derivando esso da una discendenza corrotta dal peccato - maggiormente distoglie la mente dalla visione del sommo cielo.
Era dunque necessario che l'anima fosse strappata ai sensi della medesima carne perché le fosse mostrato come potesse raggiungere quella visione.
Quando perciò l'anima, fatta uguale agli angeli riprenderà questo corpo non più quale corpo naturale ma, a causa della futura trasformazione, divenuto corpo spirituale, raggiungerà la perfezione della sua natura, obbediente e dirigente, vivificata e vivificante con una facilità tanto ineffabile che tornerà a sua gloria il corpo che le era di peso.
Poiché anche allora ci saranno ovviamente le tre specie di visioni che abbiamo spiegato ma non ci sarà alcun errore che ci farà scambiare una cosa per un'altra né a proposito delle cose corporali, né di quelle spirituali e molto meno a proposito di quelle intellettuali.
L'anima godrà perfettamente [ nella visione ] di queste realtà percepite dall'intelletto ed esse saranno talmente presenti ed evidenti che in confronto ci sono molto meno chiare le forme corporee di questo mondo che noi percepiamo adesso con i sensi del corpo: in quest'ultime forme sono assorte molte persone al punto di pensare che non ve ne siano altre e immaginare che tutto ciò che non è di tal genere non esista affatto.
I sapienti invece, a proposito di queste forme [ d'oggetti ] si comportano diversamente: benché quelle appaiano più ovvie o più eccellenti, essi tuttavia si attengono con maggior sicurezza alle cose di cui si rendono conto, secondo il grado della loro intelligenza, oltrepassando le forme corporali, benché non siano capaci di contemplare le realtà intelligibili con la mente in modo così chiaro come vedono le realtà sensibili con i sensi del corpo.
Gli angeli santi al contrario, se da una parte svolgono il compito di giudicare e governare le realtà del mondo materiale, d'altra parte non sono attaccati a esse in modo più intimo; essi inoltre discernono con lo spirito le immagini simboliche di quelle realtà e le trattano, per così dire, con tanta efficacia da poterle comunicare anche allo spirito degli uomini mediante una rivelazione.
Per di più essi contemplano l'immutabile essenza del Creatore così chiaramente che, poiché la vedono e l'amano, la preferiscono a tutte le altre cose e giudicano ogni cosa alla luce di essa e si dirigono verso di essa per essere mossi da essa nell'agire e regolano [ così ] ogni loro azione in conformità con essa.
Infine all'Apostolo, sebbene rapito fuori dei sensi del corpo fino al terzo cielo e al paradiso, mancò certamente una cosa per avere una piena e perfetta conoscenza delle cose, poiché non sapeva s'egli c'era con il corpo o senza il corpo.
Questa conoscenza [ a noi ] non mancherà certamente quando, dopo che avremo ripreso il corpo nella risurrezione dei morti, questo corpo corruttibile si rivestirà d'incorruttibilità e questo corpo mortale si rivestirà d'immortalità. ( 1 Cor 15,53 )
Poiché ogni cosa sarà evidente senza errore e senza ignoranza, occupando ciascuna di esse il proprio posto, sia le corporali che le spirituali e le intellettuali, nella propria natura integra e nella perfetta felicità.
Io so tuttavia che alcuni dei più stimati commentatori delle Sacre Scritture in conformità con la fede cattolica, che mi hanno preceduto, hanno dato un'interpretazione diversa di quello che l'Apostolo chiama "terzo cielo"; essi cioè vorrebbero sostenere che vi sia una distinzione tra l'uomo corporale, l'uomo naturale e l'uomo spirituale; l'Apostolo inoltre sarebbe stato rapito per contemplare in una visione di straordinaria evidenza il regno delle realtà incorporee che le persone spirituali anche in questa vita amano e desiderano godere al di sopra di ogni altra cosa.
La ragione per cui io invece ho preferito chiamare spirituale e intellettuale ciò che quelli chiamano forse naturale e spirituale, usando solo termini differenti per indicare cose identiche, credo d'averla spiegata a sufficienza nella prima parte di quest' [ ultimo ] libro.
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