Lettere |
Scritta dopo la precedente.
Paolino scrive a Romaniano, facoltoso concittadino e benefattore di Agostino ( che ne parla con riconoscenza in C. Ac. 2, 2, 3 s.), gli esprime la gioia per l'arrivo di fratelli e di notizie dall'Africa ( n. 1 ) congratulandosi con la chiesa d'Ippona per aver meritato Agostino come vescovo coadiutore ( n. 2 ).
Esorta poi Licenzio, figlio di Romaniano ( n. 3 ) a disprezzare il fasto della corte e a dedicarsi a Dio per consolare in tal modo il suo maestro, Agostino ( n. 4-5 ).
Acclude un carme, in cui esprime i suoi ammonimenti ed esortazioni al giovanetto.
Paolino e Terasia allo stimatissimo Signore e ragguardevolissimo fratello Romaniano
Il giorno precedente che spedissimo la presente, sono tornati dall'Africa i nostri fratelli, che aspettavamo con l'impazienza che hai potuto capire tu stesso, carissimo tra i servi di Dio e le persone più care.
Per loro mezzo abbiamo ricevuto lettere di Aurelio, Alipio, Agostino, Profuturo e Severo, tutti ormai diventati vescovi.
Felici quindi di aver ricevuto notizie così fresche di tanti e sì qualificati servi di Dio, ci siamo affrettati a farti partecipe della nostra contentezza, per condividere con te, per mezzo delle presenti consolanti notizie, la nostra gioia derivante dalla conclusione di quel viaggio che ci ha tenuti in ansia.
Se per caso sei venuto a sapere le stesse notizie circa i nostri venerabili e amatissimi amici per l'arrivo di altre navi, accoglile confermate anche da noi, e di nuovo esulta, per così dire, di gioia rinnovata.
Se invece saremo noi i primi a darti questa notizia, rallègrati che nella tua patria ci siamo procurato, per grazia di Cristo, tanto affetto per cui siamo i primi o tra i primi a sapere quanto ivi compie la Divina provvidenza, sempre mirabile - come sta scritto - nei suoi santi. ( Sal 68,36 )
Non vi scriviamo però soltanto per rallegrarci che Agostino abbia ricevuto l'episcopato, ma che le Chiese d'Africa abbiano meritato questa prova di sollecitudine da parte di Dio, di sentire cioè le parole del cielo per bocca di Agostino: questi, elevato in modo insolito a un più alto ufficio della religione cristiana, è stato consacrato non per essere il sostituto del vescovo nella cattedra, ma per essergli d'aiuto; in realtà, essendo ancora vivente il vescovo Valerio, Agostino è solo vescovo coadiutore della Chiesa d'Ippona.
Così quel santo vecchio, la cui purissima coscienza non fu mai offuscata d'alcuna macchia d'invidia o di gelosia, riceve ora dall'Altissimo frutti degni dei suoi sentimenti pacifici, meritando cioè d'avere ora per collega colui che desiderava semplicemente per suo successore.
Si sarebbe mai potuto credere una simile cosa prima che avvenisse?
Ma anche a proposito di quest'opera dell'Onnipotente può ripetersi quel detto del Vangelo: Ciò è difficile per gli uomini, a Dio invece tutto è possibile. ( Lc 18,27; Mt 19,26; Mc 10,27 )
Esultiamo perciò e rallegriamoci in Lui, che solo sa compiere meraviglie ( Sal 72,18 ) e fa vivere nella sua casa coloro che hanno uno stesso spirito; ( Sal 68,7 ) poiché rivolse il suo sguardo sulla nostra miseria ( Dt 26,7; Lc 7,16 ) e visitò con benefici il suo popolo; ( Lc 1,68 ) egli, che suscitò un potente Salvatore nella casa del suo servo David, ( Lc 1,69 ) ha ora suscitato un potente strumento della Chiesa in mezzo ai suoi eletti, per abbattere, come promette per mezzo del Profeta, la potenza dei peccatori, ( Sal 75,11 ) cioè dei Donatisti e dei Manichei.
Volesse il cielo che la tromba del Signore che risuona per mezzo di Agostino, arrivi a percuotere l'udito del nostro figliuolo Licenzio, che però dovrebbe udire con l'orecchio interiore per cui entra Cristo, dal quale il nemico non può rapire il seme di Dio. ( Mt 13,4.19; Mc 4,4.15; Lc 8,5.12 )
Allora sì che ad Agostino potrà sembrare d'essere veramente sommo pontefice di Cristo, perché allora si reputerebbe esaudito dall'Altissimo, se potesse cioè generarlo al Cristo qual figlio degno di sé, come lo generò degno di te nelle discipline letterarie.
Da non molto - credilo - ci ha scritto una lettera bruciante di ansia per lui.
Noi confidiamo in Cristo onnipotente che sui desideri carnali del nostro giovanetto prevalgano i desideri spirituali di Agostino.
Sarà vinto anche suo malgrado; sarà vinto, credimi, dalla fede del suo tenerissimo padre, perché non riporti una cattiva vittoria, qualora preferisse vincere con suo danno piuttosto che lasciarsi vincere per la propria salvezza.
E perché il dovere della fraterna gentilezza non sembrasse una parola priva di contenuto, mandiamo a te e al nostro figliuolo Licenzio cinque gallette dei soldati cristiani, con la cui tenuta da combattimento lottiamo per fare ogni giorno rifornimento di temperanza.
Non abbiamo infatti potuto escludere dalla nostra benedizione il tuo figliuolo, che desideriamo sia a noi intimamente congiunto per la medesima grazia.
Vogliamo però rivolgere brevi parole anche a lui, perché non abbia a dire che non è indirizzato a lui quanto ti abbiamo scritto di lui.
Parliamo ad Eschino, perché intenda Micione.
Ma perché usare parole d'altri, quando possiamo esprimere ogni cosa con parole nostre e quando usare un linguaggio non proprio suole essere segno di mente non sana?
Grazie a Dio la nostra è sana, poiché abbiamo per capo Cristo.
Facciamo voti che tu viva in Cristo sano ancora per moltissimi anni e sempre felice con tutta la tua casa, onoratissimo e desideratissimo signore e fratello.
Ascolta dunque, o figlio, la legge di tuo padre, ossia la fede di Agostino: non respingere i consigli di tua madre; ( Pr 1,8 ) termine questo che il tenero amore di Agostino può ben rivendicare ugualmente a giusto titolo nei tuoi riguardi.
Ti ha portato, egli, ancor piccino nel suo seno, ti ha nutrito col latte della sapienza terrena fin dalla prima fanciullezza, e adesso brama ardentemente di allattarti e allevarti per il Signore col latte spirituale.
Poiché, per quanto tu sia già adulto fisicamente, egli ti vede vagire ancora nella culla della vita spirituale, ancora balbettare la parola di Dio, tentare a stento i primi passi nella via di Cristo trascinando il piede incerto, anche se ti sostiene la dottrina di Agostino come la mano d'una madre guida un bimbo incapace di reggersi in piedi e una nutrice lo porta nelle sue braccia.
Se tu lo ascolterai e lo seguirai, riceverai, o figlio, una corona di grazie sul tuo capo ( Pr 4,9 ) per usare ancora una espressione di Salomone con cui vorrei attrarti.
Tu sarai allora veramente un console e un pontefice, non sognato dalla fantasia ma plasmato dalla verità in persona, cioè da Cristo, il quale realizzerà in te, coi sicuri effetti della sua azione, i vani sogni d'una falsa immaginazione.
Sicuro: sarai davvero pontefice e console, o Licenzio, se camminerai sulle orme profetiche e osserverai gl'insegnamenti apostolici di Agostino, come il beato Eliseo fece col beato Elia ( 2 Re 2,1s ) e il giovane Timoteo con l'illustre Apostolo; ( At 16,1-3 ) se non ti staccherai mai dal suo fianco sulla via del Signore, per meritare, mediante la pura e retta intenzione, di diventar sacerdote e di procurare ai popoli la salvezza col magistero della parola.
Ma basta con gli avvertimenti e le esortazioni; poche parole e poca fatica sono sufficienti a mio avviso, caro Licenzio, per spronarti a seguire Cristo, infiammato come fosti fin da ragazzo dallo spirito e dalle esortazioni del venerabile Agostino all'amore della verità e della sapienza ( l'una e l'altra sono in realtà Cristo ) e al sommo di tutti i beni.
S'egli potè esercitare sì scarsa influenza su di te, qual risultato potrei conseguire io, che sono di tanto a lui inferiore e tanto meno dotato delle sue risorse spirituali?
Ma poiché, convinto come sono della efficacia della sua parola e della bontà del tuo carattere, io voglio sperare che a tuo favore sia stato fatto più e meglio di quanto sia da fare, ho osato parlare aspirando a un doppio merito: ad esser cioè paragonato con la dovuta carità a quel grand'uomo nella sollecitudine che sente verso di te e ad esser annoverato, almeno con questo mio attestato d'affetto, tra coloro che hanno a cuore la tua salvezza.
So bene d'altronde che la palma di portare a termine la tua perfezione è destinata soprattutto ad Agostino.
Temo, o figlio, d'aver offeso le tue orecchie col rude e temerario mio parlare e, attraverso le orecchie, d'aver ferito anche il tuo animo con l'annoiarti.
M'è venuta però in mente la tua lettera indirizzata ad Agostino, dalla quale ho conosciuto la tua familiarità coi ritmi poetici; anch'io provai attrazione per essi quando ero anch'io nella tua età.
Ecco quindi che, nel ricordarmi della tua lettera, ho trovato nell'armonia dei versi il rimedio più adatto per placare il dolore che per caso avessi potuto arrecare alla tua anima e insieme richiamarti al Signore, creatore di qualsiasi specie di armonia.
Porgi l'orecchio a quanto ti dico, te ne prego, e non disprezzare l'affare della tua salvezza attraverso le mie parole; per quanto esse possano essere disprezzabili, accogliere come prova del mio amorevole desiderio e della paterna mia sollecitudine.
Esse sono rese degne di rispetto dal fatto che v'è inserito il nome di Cristo, tanto superiore a qualsiasi altro nome, ( Fil 2,9 ) che a nessun fedele è lecito disprezzarlo.
Orsù, dunque, rompi gli indugi1 e spezza le dure catene del mondo: non temere il mite giogo del benigno Signore.
Le cose di quaggiù sono belle, è vero, ma ammaliano soltanto gli spiriti frivoli: l'animo del saggio invece non rimane a bocca aperta davanti ad esse.
Adesso Roma, capace d'abbattere anche i forti, quale cattiva consigliera ti seduce, ahimé, con le varie sue bellezze.
Ma di fronte a tutte le attrattive dell'Urbe ti venga in mente ognora, o figlio, l'immagine paterna di Agostino.
Avendo lui presente al tuo sguardo e nel tuo cuore, potrai essere sicuro fra tanti pericoli della fragile vita.
Non cesserò tuttavia di ripeterti più volte ed ammonirti2 di fuggire gli aspri scogli della carriera militare.
Una gloriosa carriera è bensì affascinante, ma è pure prezzo di una dura schiavitù e la sua fine è piena di afflizione: a chi adesso piace raggiungerla, tosto dispiace averla desiderata.
È bello ascendere alle più alte cariche, ma si teme sempre di doverne discendere.
Se metterai il piede in fallo, più funesta sarà la caduta dalle più alte vette.
Adesso ti piacciono i falsi beni, adesso l'ambizione ti trascina con tutti i suoi soffi seducenti e ti porta nel suo grembo, fragile come il vetro, la vuota fama; ma una volta che il cinturone che non si cinge senza pericolo ti avrà circondato di grande affanno e una vana fatica ti avrà infiacchito, allora sarà troppo tardi e inutile accusare le vane speranze, allora vorrai spezzare le catene che ora ti prepari.
Allora ti ricorderai, ma invano, e ti affliggerai di aver disprezzato i veridici ammonimenti d'Agostino, tuo padre.
Perciò, se sei saggio e buono, o figliolo, ascolta e accogli le parole di due padri e il consiglio di due vecchi.
Perché sottrai l'orgoglioso collo al giogo di Cristo? Il mio peso è leggero, soave è il mio giogo, ( Mt 11,30 ) dice la voce della bontà divina; affidati a Dio, imponi sul tuo capo il giogo, porgi la bocca al così delicato freno3 e abbassando le spalle sottomettile a un peso così leggero.
Adesso lo puoi ancora fare, mentre sei ancora libero e non ti trattiene alcun legame né alcuna preoccupazione di matrimonio, né alcuna alta carica.
La vera e bella libertà è quella di servire Cristo e in Lui essere superiore a tutti: non è soggetto ai padroni né alle passioni degli uomini, non ai superbi tiranni solo chi si consacra a Cristo Signore.
E non credere che sia libera la nobiltà che ora vedi altera essere portata in lettiga tra lo stupore dei Romani, mentre vedi che essa si dà l'aria di essere tanto libera, che disdegna di piegare il collo a Dio.
Degni d'essere compianti da molti mortali sono proprio i nobili,4 essendo schiavi pure di schiavi e comprano domestiche, perché facciano le padrone.
Coloro che hanno sperimentato con amarezza la prepotenza degli eunuchi e le pene dei grandi palazzi, sanno bene quanto sudore e quanto danno alla dignità rechi lì il mantello militare, qui una carica pubblica.
Neppure chi è diventato potente e si è guadagnato con denaro d'essere più alto su tutti gli altri, arriva allo scopo di non servire ad alcuno.
Anche se si comporterà da padrone per tutta l'Urbe, se adora gli idoli è schiavo dei demoni.
E tuttavia, ahimé, proprio per servire a costoro tu, o Licenzio, rimani nell'Urbe e disprezzi il regno di Cristo per piacere ad essi?
E tu li chiami tuoi padroni e li saluti curvando la fronte mentre vedi che sono schiavi d'un pezzo di legno o di pietra?
Sotto il nome di Dio essi adorano l'argento e l'oro; la loro religione è l'oggetto amato dalla passione della cupidigia.
Auguro la disgrazia di amare costoro a chi non ama Agostino, di non adorare Cristo a chi piace adorare costoro.
Ecco perché Dio in persona afferma che non si può servire a due padroni, ( Mt 6,24; Lc 16,13 ) poiché a Dio piace una sola disposizione d'animo; non v'è che una sola fede, un unico Dio, ( Ef 4,5s ) un unico Cristo, Figlio del [ l'unico ] Padre, e [ perciò ] non può essere diviso con altri il culto dovuto all'unico Signore.
Quanto infatti è distante il cielo dalla terra, altrettanto lo è il regno e il dominio di Cristo da quello di Cesare.
Distàccati dunque dalla terra adesso, finché il soffio vitale anima queste membra,5 elèvati con l'animo fino al cielo; il peso della carne non potrà essere d'ostacolo.
Muori fin d'ora alle azioni carnali e pensa seriamente con animo sgombro da passioni ai beni del cielo.
Sei persona spirituale, quantunque trattenuto dai legami del corpo, se adesso vincerai e soffocherai le azioni carnali con religiosa disposizione di spirito.
Se tu, caro figliuolo, accoglierai queste esortazioni che t'ho scritto con fiducioso amore, sarai accolto da Dio.
Fa' conto che parlandoti così, io ti parli pure per bocca di Agostino; accogli, animati dal medesimo affetto per te, due padri; se ci respingerai, sarai strappato con maggior dolore da due persone; se invece ci ascolterai, sarai dolce vincolo d'affetto per l'uno e per l'altro.
Per il tuo bene due padri sopportano volentieri ansie e fatiche e sarà per te grande onore far contente due anime.
Ma quando mi metto accanto ad Agostino, non è per vanto d'essere a lui uguale, bensì m'associo a lui solo per l'amore che ti porto.
Poiché, qual ristoro mai potrei versarti irrorandoti con le gocce del povero rigagnolo che sono io?
Oltre a me, tu sei bagnato da due veri fiumi di sapienza: da Alipio cioè, ch'è tuo congiunto, e da Agostino, ch'è il tuo maestro; unito a te con vincoli di sangue il primo, padre del tuo ingegno il secondo.
Puoi contare sul valido aiuto di un parente e di un maestro così qualificati, o Licenzio, ed esiti, sostenuto dalle loro ali, ad innalzarti al cielo?
Qualunque cosa tu faccia ( poiché neppure il mondo speri d'averti amico ) non sarai sacrificato alla terra, o anima consacrata a Cristo.
Sebbene ora tu pensi alle nozze e alle alte cariche, un giorno sarai restituito al tuo Signore.
Sono convinto che due persone vinceranno un sol peccatore e le preghiere di due fratelli sperderanno al vento le tue aspirazioni.
Torna dunque sulla strada, sulla quale t'invitano a tornare il padre dell'anima tua con la parola e il tuo congiunto col vincolo di parentela, entrambi vescovi.
Essi desiderano ricondurti ai tuoi beni, poiché tu ora agogni a beni indegni di te.
Questi sono i beni contenuti nei tuoi possessi, questi sì che sono degni di te.
Torna a questi e brama sol questi, non perdere tempo nel desiderar i beni altrui.
Se rifiuterai i tuoi beni, chi ti darà gli altrui?
In tal modo non sarai più padrone di te stesso e, come se fossi bandito in lidi lontani, vivrai esule, ahimé, dagli affetti del tuo cuore!
Questi versi indirizzati con ansia paterna al figliuolo, bastino a farti comprendere che quanto auguro o temo per te, lo auguro e lo temo per me stesso.
Se accoglierai questo scritto ti apporterà un giorno la vita; se invece lo rifiuterai, sarà un testimonio d'accusa.
Cristo mi conceda, carissimo figliuolo, di vederti incolume e ti renda suo servo per sempre.
Vivi, ti prego, ma vivi per Iddio; poiché vivere per il mondo è una fatica che dà la morte; vita vera invece è vivere per Iddio.
Indice |
1 | Verg., Aen. 4, 569; Georg. 4, 412 |
2 | Verg., Aen. 3, 436 |
3 | Verg., Georg. 3, 188 |
4 | Hor., Carm. 1, 24, 9 |
5 | Verg., Aen 4, 336 |