Lettere |
Scritta tra il 406 e il 408.
A nome dei chierici d'Ippona Agostino si lamenta con Gennaro per le sevizie dei Circoncellioni contro i Cattolici ( n. 1,6-9 ) e la loro ostinatezza contro i decreti dei Concili ( n. 2-5 ); chiede che l'errore e la discordia vengano eliminati ( n. 10-12 ).
Il clero cattolico della circoscrizione ecclesiastica d'Ippona a Gennaro
I vostri chierici e i vostri Circoncellioni si accaniscono contro di noi mettendo in atto una persecuzione di nuovo genere e di inaudita crudeltà.
Anche se rendessero male per male, agirebbero in ogni modo contro la legge di Cristo.
Ora però, esaminando attentamente tutte le vostre azioni e le nostre, risulta evidente che noi sperimentiamo a nostro danno ciò che sta scritto: Mi rendevano male per bene ( Sal 35,12 ) e ciò che si legge in un altro salmo: Con quelli che avevano in odio la pace, ero pacifico; quando parlavo loro, mi perseguitavano senza ragione. ( Sal 120,7 )
Siccome poi sei in età assai avanzata, pensiamo che conoscerai come la setta di Donato, che dapprima a Cartagine era chiamata setta di Maggiorino, accusò senza motivo Ceciliano, allora vescovo della Chiesa di Cartagine, presso l'Imperatore di allora, il famoso Costantino.
Nel timore però che la tua Nobiltà abbia per caso dimenticato questo particolare o dissimuli di conoscerlo, oppure forse realmente lo ignori ( cosa che peraltro noi non pensiamo ), accludiamo in questa nostra la copia del rapporto ufficiale del proconsole di quel tempo, Anulino, al quale la setta di Maggiorino si era rivolta perché dallo stesso fossero notificate all'imperatore le colpe da essi attribuite a Ceciliano.
Ai nostri augusti imperatori l'ex console Anulino, proconsole d'Africa
Il tuo devotissimo servo, ricevuti e venerati gli scritti divini della tua Maestà, ha procurato di comunicarli ufficialmente a Ceciliano e a quelli che vivono sotto di lui [ ai suoi sudditi ] chiamati chierici; ho esortato costoro a concludere l'unità con l'accordo di tutti, dato che, per grazioso indulto della tua Maestà, si vedono liberati da ogni servizio pubblico; li ho esortati a dedicarsi alle cose divine mantenendo la dovuta santità nella religione cattolica.
Pochi giorni dopo però sono venuti fuori alcuni con una gran folla di gente unitasi ad essi per opporsi a Ceciliano.
Costoro hanno presentato al tuo umilissimo servo un fascicolo di pergamena e un libretto senza sigillo, e mi hanno chiesto caldamente di spedirlo al sacro e venerato Tribunale imperiale della tua sacra Maestà.
Il tuo umilissimo servo ha procurato di spedire tutto alla tua Maestà, unitamente ai processi verbali dei medesimi fatti, affinché possa esaminarli e decidere in merito: Ceciliano ad ogni modo rimane nella sua cattedra.
Sono stati inviati pure due fascicoli, uno in pergamena intitolato Denuncia della Chiesa Cattolica contro le colpe di Ceciliano presentata dal partito di Maggiorino, l'altro senza sigillo unito alla stessa in pergamena.
Consegnato il 15 aprile in Cartagine al Signore Nostro Costantino Augusto, Console per la terza volta.
Ricevuto quel rapporto, l'imperatore diede ordine alle parti di convenire a Roma perché i vescovi discutessero la causa e la definissero giudizialmente.
Orbene, gli Atti ecclesiastici dimostrano chiaramente come la causa fu dibattuta e definita: Ceciliano fu giudicato innocente.
Ormai, dopo quel sereno ed equilibrato giudizio, sarebbe dovuta cessare qualunque ostinazione di rivalità e d'animosità.
Ecco invece i vostri antenati tornare alla carica presso l'imperatore, lamentandosi che il processo non si era svolto secondo le norme giuridiche e la causa non era stata esaminata in tutti i suoi aspetti.
Ecco allora l'imperatore concedere che si celebrasse un secondo processo ad Arles, città della Gallia: lì però molti vescovi della vostra setta condannarono l'inutile e diabolico scisma e tornarono in comunione con Ceciliano; altri, invece, animati da irriducibile ostinazione e da immane mania di litigare, si appellarono di nuovo al medesimo imperatore.
Anch'egli allora si vide costretto a definire la causa dei vescovi già dibattuta tra le parti e fu il primo ad emanare una legge contro la vostra setta: in forza di essa i luoghi delle vostre adunanze dovevano passare in proprietà del tesoro imperiale.
Se volessimo accludere i documenti di tutti questi fatti, ne verrebbe fuori un volume e non una semplice lettera.
Non dobbiamo però in nessun modo passare sotto silenzio il fatto che per l'insistenza dei vostri presso l'imperatore fu discussa e definita in pubblico processo la causa di Felice di Aptungi; di colui cioè che i vostri, nel vostro concilio di Cartagine, presieduto da Secondo, primate di Tigisi, dichiararono ch'era stato la prima causa di tutti i mali.
La prova? È lo stesso imperatore, già ricordato, ad attestare in una sua lettera, di cui riportiamo la copia qui appresso, che furono i vostri a inoltrargli accuse ed appelli incessanti a proposito di quella causa.
Gli imperatori Cesari Flavio Costantino Massimo e Valerio Liciniano, Licinio, a Probiano, proconsole dell'Africa
Il tuo predecessore Eliano, mentre adempiva le funzioni di Vero, uomo perfettissimo e vicario dei prefetti della nostra Africa, impedito da infermità, credette opportuno, a giusta ragione, di avocare al proprio esame ed alla propria giurisdizione, tra tutte le altre cause, anche la questione dell'ostilità che sembra sia stata sollevata contro Ceciliano, vescovo della Chiesa Cattolica.
Di fatto ordinò che si presentassero a lui il centurione Superio, il magistrato di Aptungi Ceciliano, l'ex capo dei curiali Saturnino, Celibio il giovane, capo dei curiali della medesima città e Solo, usciere municipale della suddetta città, e li giudicò nei modi conformi alla legge, in merito all'accusa imputata a Ceciliano: questa gli rinfacciava d'essere stato ordinato dal vescovo Felice, che a sua volta sarebbe stato - al dire degli avversari - colpevole di aver consegnato e dato alle fiamme le Sacre Scritture.
Sennonché risultò che Felice era innocente dell'imputazione mossagli.
Ultimamente Massimo accusò Ingenzio, decurione della città di Zicca, d'aver falsificato la lettera di Ceciliano ex duumviro.
Constatammo anzi coi nostri occhi, negli Atti municipali giacenti nell'archivio, come lo stesso Ingenzio era stato arrestato, ma non torturato in quanto aveva dichiarato di essere decurione della città di Zicca.
Ordiniamo quindi che il citato Ingenzio sia da te inviato sotto buona scorta al Tribunale imperiale di me, Costantino Augusto.
Potrà in tal modo comparire davanti a quelli che attualmente intentano il processo e non cessano di appellarsi ogni giorno all'imperatore; ad essi, che saranno presenti di persona, potrà proclamare e persuaderli che istigano, senza alcun ragionevole motivo, un movimento ostile a Ceciliano ed hanno cercato di sollevarsi con la forza contro di lui.
Solo così potrà ottenersi che, messe da parte simili contese, il popolo pratichi la propria religione col dovuto ossequio.
Orbene, vedendo che i fatti stanno così, perché mai cercate di sollevare contro di noi l'odiosità, derivante dalle disposizioni imperiali promulgate contro di voi?
Non siete stati forse proprio voi i primi a fare tutto quello che ora ci rimproverate?
Se gli imperatori in simili questioni non devono intervenire con le loro disposizioni, se una siffatta sollecitudine non compete a imperatori cristiani, chi costrinse i vostri antenati a deferire la causa di Ceciliano all'imperatore per tramite del proconsole?
Chi li costrinse ad accusare di nuovo presso di lui quel vescovo contro il quale, pur assente, avevate comunque già pronunciata la sentenza?
E dopo che era stato dichiarato innocente, chi vi costrinse a tramare altre calunnie presso l'imperatore a danno di Felice, che lo aveva ordinato vescovo?
E attualmente quale sentenza contraria alla vostra setta conserva ancora la sua validità tranne quella di Costantino il Grande?
Non fu essa preferita dai vostri stessi antenati a quella dei vescovi ed estorta con insistenti appelli all'imperatore?
Le sentenze imperiali vi dispiacciono? Ebbene, chi furono i primi a costringere gli imperatori ad emanarle?
Adesso voi gridate contro la Chiesa Cattolica per i decreti promulgati contro di voi dagli imperatori!
Allo stesso modo avrebbero voluto gridare contro Daniele quelli che, dopo che egli era stato liberato, furono gettati nella fossa dei leoni, dai quali prima volevano che egli fosse divorato! ( Dn 6,16-24 )
S'avvera quel che sta scritto: Non c'è differenza tra le minacce del re e l'ira del leone. ( Pr 19,12 )
I nemici con le loro calunnie fecero gettare Daniele nella fossa dei leoni, ma la sua innocenza trionfò sulla loro malvagità.
Daniele uscì illeso dalla fossa, ove furono gettati loro, trovandovi la morte.
Nello stesso modo i vostri antenati, per togliere di mezzo Ceciliano e i suoi compagni, li gettarono in pasto all'ira del monarca; ma la sua innocenza trionfò ed ora voi subite da parte degli imperatori le stesse pene che i vostri avrebbero voluto far subire a quelli.
Si avvera così quanto è scritto: Chi prepara la fossa al prossimo, vi cadrà lui stesso. ( Sir 27,29 )
Qual motivo dunque avete di lamentarvi di noi?
Eppure, nonostante tutto, la mansuetudine della Chiesa Cattolica sarebbe rimasta completamente soddisfatta anche solo di quelle disposizione imperiali, ma i vostri chierici e i vostri Circoncellioni, a causa delle loro mostruose scellerataggini e delle violenze da forsennati, con cui avete turbato e sconvolto la nostra tranquillità, l'hanno costretta a ricordare queste vostre imprese e a metterle nuovamente in luce.
Di fatto, prima che fossero giunte in Africa le disposizioni più recenti, di cui vi lamentate, i vostri erano soliti tendere agguati nelle strade ai nostri vescovi, rompere le ossa dei nostri chierici a forza di orribili percosse, infliggere gravissime ferite ai nostri laici e appiccare il fuoco alle loro case!
Arrivarono perfino a trascinare via di casa un prete che aveva preferito aderire di sua spontanea volontà all'unità della nostra comunione: dopo essersi sfogati a batterlo con cinica ed atroce voluttà, lo rotolarono in una pozzanghera melmosa, poi, dopo avergli messo addosso una specie di camiciotto di giunchi, durante la processione svoltasi per celebrare il loro scellerato trionfo, lo condussero in giro, fatto oggetto di compassione per alcuni, per altri di scherno; trascinatolo infine lontano di là, dove loro piacque, lo rimandarono libero, dopo ben dodici giorni.
Fu allora convocato Proculiano dal nostro vescovo, mediante intimazione del municipio; ma egli fece solo finta di fare le indagini, per cui fu convocato una seconda volta: allora dichiarò nei verbali pubblici che non avrebbe detto una parola di più!
E oggi gli autori di quel delitto sono vostri preti che ancora ci incutono terrore e ci perseguitano a loro talento!
Ciononostante, il nostro vescovo non presentò alcuna denuncia all'imperatore per tutti quei vostri oltraggi e persecuzioni, a cui era stata fatta segno allora la Chiesa Cattolica in questa nostra contrada.
In un Concilio fu invece decisa una conferenza per discutere pacificamente con voi e indurvi, se possibile, a incontrarvi tra voi stessi affinché, tolto di mezzo l'errore dell'eresia, la carità dei fratelli si potesse rallegrare nel vincolo della pace. ( Ef 4,3 )
Ora, nella detta conferenza, Proculiano dapprima rispose che avreste tenuto un Concilio per esaminare la risposta da dare; in seguito però, convocato di nuovo, a proposito della sua promessa dichiarò espressamente nei verbali pubblici che non voleva saperne di una discussione pacifica, come la tua Nobiltà può informarsi direttamente dagli Atti ufficiali.
Siccome poi la mostruosa ferocia dei vostri chierici e Circoncellioni, arcinota a tutti, non cessava, fu celebrato il processo e Proculiano fu giudicato eretico con Crispino; la mansuetudine dei Cattolici però non permise che fosse colpito dalla multa delle dieci libbre d'oro comminate dagli imperatori contro gli eretici.
Ciononostante egli credette suo dovere di appellarsi agli imperatori.
E che cosa costrinse a dare quella risposta al suo appello, se non la precedente malvagità dei vostri che vi aveva spinti pure a inoltrare l'appello?
E tuttavia, anche dopo il rescritto di condanna, grazie ai buoni uffici interposti dai nostri vescovi presso l'imperatore, egli non fu colpito dalla multa di dieci libbre d'oro.
Dal Concilio poi i nostri vescovi inviarono ambasciatori alla Corte imperiale, per ottenere che la multa delle dieci libbre d'oro, stabilita contro gli eretici, non colpisse tutti i vescovi e i chierici del vostro partito, ma solo quelli nel cui territorio la Chiesa Cattolica subisse violenze da parte dei vostri.
Quando però gli ambasciatori giunsero a Roma, l'imperatore era già rimasto talmente impressionato dai segni delle orribili e recentissime ferite ricevute dal vescovo cattolico di Bagai, che emanò le leggi le quali poi furono pure spedite.
E quando esse giunsero in Africa e cominciavano a sollecitarvi verso il bene anziché verso il male, cos'altro mai avreste potuto fare, se non mandare a dire ai nostri vescovi che, allo stesso modo ch'essi vi avevano invitati a conferire con loro, così voi l'invitavate a vostra volta, affinché nella conferenza apparisse chiara la verità?
Orbene, non solo non lo faceste, ma ancora adesso i vostri compiono azioni ben peggiori contro di noi.
Non solo ci rompono le ossa a bastonate o ci uccidono a stoccate, ma sono arrivati ad escogitare l'incredibile e criminale espediente di accecare i nostri versando nei loro occhi della calce mista ad aceto!
Saccheggiando poi le nostre case si fabbricano armi, con le quali vanno scorrazzando per tutte le direzioni, minacciosi e assetati di stragi, rapine, incendi e accecamenti. Per tutti questi misfatti siamo stati costretti a presentare le nostre proteste anzitutto a te, perché la tua Nobiltà voglia considerare quanti di voi, anzi tutti voi che vi dite vittime della persecuzione, pure essendo sotto le leggi imperiali, da voi giudicate come efferate, ve ne state tuttavia tranquilli e indisturbati nei vostri possedimenti mentre noi subiamo inaudite violenze da parte dei vostri.
Voi vi andate proclamando vittime della persecuzione e intanto noi veniamo massacrati dalle vostre bastonate e stoccate!
Voi vi andate proclamando vittime della persecuzione e noi frattanto abbiamo le nostre case devastate e saccheggiate dai vostri sgherri!
Voi vi andate proclamando vittime della persecuzione e intanto i nostri occhi vengono spenti dai vostri scherani con calce ed aceto!
Ma non basta; anche se qualcuno si dà la morte da se stesso, si cerca che tale genere di morte procuri a noi odiosità, a voi al contrario celebrità!
Non vogliono riconoscersi colpevoli del male che fanno a noi, mentre poi rigettano su di noi la colpa del male che si fanno da se stessi!
Vivono da briganti, muoiono da Circoncellioni e infine vengono venerati come martiri.
Eppure non abbiamo mai sentito dire nemmeno a proposito dei briganti, che abbiano talora accecato delle persone dopo averle depredate!
Tolgono sì alla luce quelli che uccidono, ma non tolgono la luce a quelli che lasciano vivi!
Se talvolta noi riusciamo ad avere nelle nostre mani qualcuno dei vostri seguaci, badiamo con grande affetto a conservarli illesi, conversiamo con essi e leggiamo loro tutto ciò con cui si può confutare vittoriosamente l'eresia che separa i fratelli dai fratelli; mettiamo così in pratica l'ordine dato dal Signore per bocca del profeta Isaia, nel passo che dice: Udite la parola del Signore, voi che l'ascoltate con timoroso ossequio.
A quelli che vi odiano o vi ripudiano dite: " Nostri fratelli voi siete " affinché il nome del Signore sia venerato e appaia loro nella gioia e restino confusi. ( Is 66,5 )
In tal modo ricongiungiamo alla fede che essi perdettero alcuni di loro, ricongiungiamo alla carità dello Spirito Santo e al corpo di Cristo [ la Chiesa ] quelli che considerano l'evidenza della verità e la bellezza della pace; non li ricongiungiamo però al battesimo da essi già ricevuto e che, per quanto disertori, conservano come distintivo indelebile del re.
Poiché sta scritto: Purificando i loro cuori con la fede; ( At 15,9 ) come pure: La carità copre la moltitudine dei peccati. ( 1 Pt 4,8 )
Ma se rifiutano di ritornare in armonia con l'unità di Cristo per ostinazione o per vergogna, non essendo capaci di sopportare gli insulti di coloro con i quali blateravano tante falsità e tramavano tante malvagità contro di noi, o più spesso, per evitare di subire d'ora in poi da noi le prepotenze che prima compivano contro di noi; in tal caso, come li abbiamo trattenuti illesi, così pure vengono lasciati andare illesi.
Rivolgiamo poi ogni specie di ammonizioni possibili anche ai nostri laici di trattenerli presso di loro illesi e di condurli a noi per correggerli ed istruirli.
Orbene, alcuni ci danno ascolto e, se possono, agiscono così; altri invece li trattano come briganti, essendo in realtà vittime delle loro angherie brigantesche.
Alcuni cioè sono costretti a ferirli per non essere feriti prima essi stessi e a respingere i colpi pronti ad abbattersi sulle loro teste.
Alcuni li agguantano e poi li consegnano ai giudici e non perdonano loro neppure quando c'interponiamo con le nostre suppliche, poiché hanno una terribile paura di subire mali orrendi da parte di essi.
Ad ogni modo essi non desistono dall'agire come briganti e poi pretendono di essere onorati come martiri.
Questo è dunque il nostro desiderio che esprimiamo alla tua Nobiltà mediante la presente lettera e che ti comunichiamo anche per bocca dei fratelli a te inviati.
Cercate anzitutto di svolgere possibilmente una pacifica discussione coi nostri vescovi per raggiungere i seguenti scopi: eliminare l'errore nella parte ove si troverà, senza punire persone ma correggendole; cercare di decidervi a tenere tra voi la riunione da voi già respinta.
Tanto meglio poi se delle decisioni, che prenderete, invierete una relazione scritta e sottoscritta all'imperatore, anziché alle autorità civili, le quali non possono ormai far altro che eseguire fedelmente le leggi emanate contro di voi.
Risulta infatti che i vostri colleghi, i quali si erano recati per mare alla Corte, dissero ai Prefetti che essi erano andati per avere udienza.
Fecero a questo proposito il nome di quel nostro santo padre, il vescovo Valentino, che si trovava allora alla Corte, affermando che volevano essere ascoltati con lui.
Il giudice però non poteva concedere una simile cosa perché doveva ormai giudicare a norma delle leggi già promulgate contro di voi: il vescovo poi non si era recato a Corte per quello scopo e neppure aveva avuto un simile mandato da parte dei vescovi della sua comunità.
Quanto meglio dunque potrà pronunciare un giudizio su tutta la vertenza ( anche se già dibattuta e chiusa ), l'imperatore in persona, quando gli verrà letta la relazione della vostra conferenza; non essendo egli soggetto alle stesse leggi, ha il potere di fare altre leggi.
Noi però vogliamo trattare con voi non per definire una seconda volta la vertenza, ma per dimostrare a quelli, che ancora non lo sanno, ch'essa è già definita.
E se i vostri vescovi acconsentiranno a fare ciò, che cosa avete da perdere?
Vi guadagnate anzi, perché apparirà sempre più chiara la vostra disposizione d'animo e non vi potrà essere rimproverata ragionevolmente la vostra diffidenza.
Pensate forse per caso che ciò non sia lecito, sebbene non ignoriate che Cristo Signore parlò della Legge perfino col diavolo? ( Mt 4,1-10 )
Inoltre non sapete forse che discussero con l'apostolo Paolo non solo i Giudei, ma anche i filosofi pagani della setta degli Stoici e degli Epicurei? ( At 17,18ss )
Forse che le attuali leggi dell'imperatore non vi permettono di abboccarvi coi nostri vescovi?
Ebbene abboccatevi intanto con i vostri vescovi della regione di Ippona, dove noi siamo vittime di tanti maltrattamenti da parte dei vostri!
Quanto sarebbe invece più corretto da parte dei vostri e a noi più accetto, se ci arrivassero vostre lettere piuttosto che le loro armi!
Insomma, inviateci una risposta scritta, quale noi ci auguriamo, per il tramite dei nostri fratelli che vi abbiamo inviato!
Se poi rifiutate pure questo, ascoltateci almeno insieme ai vostri, da parte dei quali subiamo i maltrattamenti già accennati.
Mostrateci il vero motivo per cui andate dicendo che siete vittime d'una persecuzione, mentre siamo proprio noi le vittime di orribili crudeltà da parte dei vostri!
Infatti, anche se proverete che siamo in errore, forse ci potete almeno concedere di non essere ribattezzati da voi.
Crediamo sia giusto che una tale grazia sia concessa a noi che siamo stati battezzati da coloro che voi condannaste senza processare.
La medesima grazia non la concedeste forse a coloro che erano stati battezzati da Feliciano di Musti e da Protestato di Assuri per sì lungo tempo, quando, in base a ordinanze giudiziarie, tentavate di cacciarli dalle basiliche perché erano in comunione con Massimiano insieme al quale erano stati condannati espressamente e nominatamente nel Concilio di Bagai?
Tutti questi fatti ve li proviamo coi verbali ufficiali dell'autorità giudiziaria e municipale; quei verbali a cui voi allegaste perfino gli Atti del vostro concilio, volendo dimostrare per qual motivo avevate cacciato dalle basiliche i vostri scismatici.
Nonostante tutto questo, voi che vi siete separati col vostro scisma nientemeno che dal Discendente di Abramo nel quale sono benedette tutte le genti, ( Gen 22,18 ) non volete essere cacciati dalle basiliche, e non per intimazione dei giudici così come voi scacciaste i vostri scismatici, ma in forza di leggi dei capi supremi della terra i quali, secondo la profezia avveratasi, ( Sal 72,14 ) adorano Cristo e al cui tribunale accusaste Ceciliano; siccome però foste sconfitti, doveste battervela in ritirata.
Se però non volete né ascoltarci né informarci, venite oppure mandate con noi nel territorio d'Ippona persone che vedano i vostri soldati armati: che dico soldati?
Nessun soldato aggiunge al numero delle sue armi calce e aceto da gettare negli occhi dei barbari!
Se non volete fare neppure questo, scrivete almeno a quei vostri masnadieri che cessino di compiere le loro scelleratezze, si astengano dal massacrare i nostri, dal fare rapine, dall'accecare le persone!
Non vogliamo dirvi: " Condannateli ".
Sarà affare vostro vedere come non riescano a contaminarvi costoro appartenenti alla vostra comunione e che vi abbiamo più su dimostrato essere dei briganti, e come invece noi saremmo contaminati da coloro che non siete mai riusciti a dimostrare esser stati dei " traditori ".
Scegliete quel che più vi piace.
Se poi voi disprezzate queste nostre denuncie, noi non ci pentiremo affatto di aver voluto trattare con voi con disposizioni pacifiche.
Il Signore non mancherà d'assistere la sua Chiesa in modo che sarete piuttosto voi a dovervi pentire d'aver disprezzato la nostra moderazione.
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