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Scritta nello stesso tempo (411/412).
Agostino risponde ai quesiti di Volusiano ( Ep. 135 ) esortandolo affinché s'impegni nel servizio della verità e non voglia tributargli lodi eccessive ( n. 1-3 ); spiega come debba intendersi l'immensità di Dio e l'onnipresenza del Verbo ( n. 4-7 ), la potenza di Dio e l'unione del Verbo alla natura umana del Cristo, mediatore tra Dio e gli uomini ( n. 8-12 ); mette poi a confronto i miracoli dei Profeti e dei maghi con quelli di Cristo ( n. 13-14 ).
Parla quindi della storia del popolo ebraico, preordinata al Cristianesimo, e della prodigiosa propagazione di questo ( n. 15-16 ), dei due precetti principali della religione cristiana e delle verità contenute nella S. Scrittura ( n. 17-18 ).
Esorta infine Volusiano a proporgli i suoi dubbi e a vivere da cristiano per esser cittadino della Città di Dio ( n. 19-20 ).
Agostino saluta nel Signore l'egregio suo signore Volusiano, suo figlio meritatamente illustre ed eccellentissimo
Ho letto la tua lettera, nella quale ho visto compendiato, con lodevole brevità, lo schema di una lunga disputa filosofica.
Ho dovuto quindi darti una risposta senza addurre alcuna scusa per rinviarla, dal momento che mi è capitata la fortuna d'avere un po' di tempo libero da altre preoccupazioni.
Le cose a scriver le quali avevo progettato di spendere questo tempo libero, le ho differite un poco, pensando che non era giusto fare attendere la risposta ad uno che avevo esortato io stesso a chiedere spiegazioni e che ora le chiedeva.
Chi v'è poi tra noi, i quali amministriamo secondo le nostre possibilità la grazia di Cristo, che, lette le tue parole, vorrebbe istruirti nella dottrina cristiana, perché bastasse a far ottenere soltanto a te la salvezza, non già di questa vita, molto simile a vapore che appare un istante e subito dopo svanisce, come si preoccupò di ammonirci la S. Scrittura, ( Gc 4,15 ) ma la salvezza eterna, per guadagnare e ottenere la quale noi siamo cristiani?
Sarebbe dunque troppo poco per noi che tu ricevessi solo un'istruzione capace di condurre te solo a salvamento.
Il tuo ingegno e la tua eloquenza così elevati e così brillanti devono giovare anche agli altri, contro la cui ottusità o perversità dev'esser difeso nel modo più opportuno il dono d'una grazia si preziosa, che spiriti meschini nella loro superbia non stimano uno zero ostentando esageratamente di avere una grandissima forza, mentre non ne hanno nessuna nel guarire i loro vizi o nel frenarli.
Tu dunque mi chiedi "
se il Signore e reggitore del mondo abbia riempito il seno d'una donna intemerata;
se la madre abbia sopportato le lunghe noie di dieci mesi e, benché vergine, lo abbia dato alla luce secondo l'ordinario modo di partorire e, in seguito al parto, la sua verginità sia rimasta inviolata;
se dentro il corpicciuolo d'un bimbo che vagiva si nascondesse Colui che l'universo potrebbe a mala pena contenere; se abbia sopportato gli anni della puerizia, si sia fatto adulto e maturo nella giovinezza;
se quel sommo Reggitore sia rimasto tanto tempo lontano dal suo regno e il governo dell'universo intero fosse rivolto a un solo corpicciuolo;
se infine si abbandonasse al sonno, si nutrisse di cibo e provasse tutti i sentimenti dei mortali senza che gl'indizi d'una maestà così grande si manifestassero con alcun segno atto a provarla poiché scacciare i demoni, guarire gli infermi, restituire la vita ai morti,
se pensiamo che anche altre persone fecero simili miracoli, sono piccole cose per un Dio ".
Mi scrivi che in una riunione di amici, da uno dei numerosi presenti fu intavolata questa discussione, che voi poi troncaste la parola a lui che voleva porre altre obiezioni e che, sciolta l'adunanza, deferiste la questione a una persona più brava e più esperta per timore che, mentre troppo imprudentemente si profanavano dei misteri, un errore ancora innocente potesse degenerare in una colpa.1
Nel resto della tua lettera ti rivolgi direttamente a me e, dopo aver confessata la tua ignoranza, mi esorti a concedere ciò che si aspetta da parte mia.
Aggiungi anche che importa alla mia reputazione dare una risposta alle tue domande poiché negli altri sacerdoti è perdonabile l'ignoranza e non reca danno al culto divino, ma quando si viene a me che sono vescovo non è normale che ignori qualsiasi questione che capiti.
Innanzi tutto dunque ti prego di abbandonare a mio riguardo questa opinione facilmente preconcetta, di deporre e sradicare dall'animo tali sentimenti, per quanto benevoli essi siano verso la mia persona, e di credere a me più che ad alcun altro quando si tratta di me, se vuoi ricambiare l'affetto ch'io ti porto.
Le Sacre Scritture sono tanto profonde che in esse avrei fatto ogni giorno dei progressi, se mi fossi sforzato di farne l'unico oggetto del mio studio dai primi anni della puerizia sino alla decrepita vecchiaia con tutta la calma possibile, con la maggiore applicazione e con un ingegno più vivace.2
Non che sia molto difficile giungere a comprendere in esse le cognizioni necessarie alla salvezza, ma dopo che uno ha riposto in esse la fede, senza la quale non si può vivere bene e santamente, a misura che vi si fanno dei progressi, molte cose restano da capire avvolte sotto il velo di numerose figure che nascondono i misteri.
Non solo, nelle parole con cui questi sono espressi, ma anche nell'essenza delle cose da comprendere si nasconde un tale abisso di sapienza, che alle persone che hanno passato più tempo in questo studio, dotate d'intelligenza più penetrante e più desiderose d'imparare, capita quello che si legge in un passo della stessa Scrittura: Quando l'uomo avrà finito, solo allora comincia. ( Sir 18,6 )
Ma perché dilungarmi su ciò? Bisogna venire piuttosto alla questione su cui m'interroghi.
Anzitutto desidero che tu sappia che la dottrina cristiana non insegna che Dio si sia mescolato alla carne, con cui doveva nascere dalla Vergine, in modo da disertare o abbandonare ogni cura del governo dell'universo o da racchiuderla in quel piccolo corpo come in una materia ristretta ed ammassata.
Così pensano gli individui che non sanno immaginare altro che corpi, sia più densi come l'acqua e la terra, sia più sottili, come l'aria o la luce.
Tuttavia nessuno di questi corpi può stare tutto intero in ogni luogo, ma è necessario che uno stia in un luogo e uno in un altro, essendo composti d'innumerevoli parti, e che un corpo, per quanto grande sia, o un corpicino, per quanto piccolo, occupino una parte dello spazio e la riempiano in modo che in nessuna parte siano interi.
Di conseguenza il condensarsi e il rarefarsi, il contrarsi e il dilatarsi, il ridursi in parti piccolissime e il crescere di mole, sono proprietà esclusive dei corpi.
Se la natura dell'anima è di gran lunga diversa da quella del corpo, quanto più lo è la natura di Dio, creatore dell'anima e del corpo?
Non si può dire che Dio riempia l'universo allo stesso modo che riempie l'acqua, l'aria, la luce stessa, si da riempirne una parte più piccola con una parte minore di sé stesso e una più grande con una parte maggiore di sé.
Egli ha il potere d'essere intero dovunque, senza essere racchiuso in alcun luogo, di venire senza allontanarsi dal luogo dov'era, d'andarsene senza abbandonare il luogo da dove era venuto.
L'anima dell'uomo si meraviglia di questa proprietà divina e, siccome non la comprende, non la crede nemmeno; l'anima però se ne meravigli dopo essersi meravigliata di sé stessa seppur ci riesce: s'innalzi alquanto al di sopra del corpo e di tutte le cose che suole percepire per mezzo del corpo e capisca chi è essa che si serve del corpo.
Ma forse non è capace, poiché è privilegio di un grande ingegno, come disse un filosofo, separare la mente dalle impressioni sensitive e allontanare il pensiero dal modo volgare di concepire le cose.3
Orbene, esamini in modo diverso dal solito e con maggior attenzione i sensi stessi del corpo.
Essi sono cinque e non possono esistere senza il corpo e senza l'anima, poiché il sentire è proprio d'un essere vivente, e il corpo riceve la vita dall'anima, e senza gli strumenti e, per così dire, gli apparecchi e gli organi del corpo non vediamo né udiamo né possiamo fare uso degli altri tre sensi.
Si sforzi di comprendere questo l'anima razionale e consideri i sensi corporei non con i sensi del corpo, ma con la stessa intelligenza e la ragione.
Certo l'uomo non può percepire se non è vivente; vive poi nella carne prima che i due elementi siano separati dalla morte.
In che modo dunque l'anima, che non vive se non unita al suo corpo, è capace di percepire ciò che è al di fuori del suo corpo?
Le stelle in cielo non sono forse a grandissima distanza dal suo corpo?
Non vede forse il sole in cielo?
Forse che il vedere non è anche percepire, dato che la vista è tra i cinque sensi quello che più eccelle tra gli altri?
Forse che vive anche nel cielo, poiché nel cielo ha sensazioni e non vi può essere senso dove non c'è vita?
O forse sente anche dove non vive, poiché, pur vivendo solo nel suo corpo, riceve sensazioni anche in quei luoghi che, al di fuori del corpo, contengono gli oggetti che raggiunge con la vista?
Vedi quanta oscurità vi sia in un senso così luminoso come quello che si chiama vista?
Considera anche l'udito, poiché anch'esso in qualche modo, si estende al di fuori del corpo.
Per quale motivo infatti diciamo: " fuori c'è rumore ", se non percepiamo dove c'è il rumore?
Noi dunque viviamo anche lì fuori del nostro corpo.
O possiamo forse percepire anche dove non viviamo, dato che non è possibile che vi sia percezione sensibile senza vita?
Gli altri tre sensi hanno le proprie percezioni in sé stessi, benché dell'odorato si possa in qualche modo dubitare.
Quanto al gusto e al tatto però non v'è alcun dubbio che ciò che gustiamo e tocchiamo non lo percepiamo se non nel nostro corpo.
Perciò lasciamo da' parte questi tre sensi.
La vista e l'udito offrono un argomento meraviglioso di discussione, cioè come mai l'anima può sentire dove non vive o come mai vive dove non è.
Certo essa non è se non nel proprio corpo, ma ha percezioni sensibili anche fuori di esso.
Se percepisce infatti anche dove vede, poiché anche il vedere è percepire coi sensi, percepisce anche dove ode, poiché anche l'udire è avere sensazioni.
Per conseguenza o essa vive anche lì fuori del corpo, e per questo si trova anche lì, o ha sensazioni dove non vive, o vive anche dove non è.
Tutti questi fenomeni sono meravigliosi, ma nessuno di essi può essere affermato senza una certa quale assurdità pur parlando d'un senso mortale.
Cosa è dunque l'anima in sé stessa, considerata fuori del senso del corpo, cioè nell'intelligenza con cui essa considera questi fenomeni?
Essa non giudica certamente col senso del corpo circa i sensi medesimi.
E, noi poi crediamo che si affermi qualcosa d'incredibile dell'onnipotenza di Dio quando si afferma che il Verbo di Dio, per mezzo del quale furono create tutte le cose, assunse il corpo dalla Vergine e apparve ai sensi mortali senza distruggere la sua potenza, senza abbandonare il governo dell'universo, senza allontanarsi dal cielo, del Padre cioè dal mistero, nel quale è con Lui e in Lui?
Il Verbo di Dio, per mezzo del quale furono create tutte le cose, non devi concepirlo come se qualcosa di lui passasse e il futuro diventasse passato.
Esso rimane com'è ed è tutto intero dovunque.
Esso viene quando si manifesta e se ne va quando si nasconde.
È tuttavia presente sia quando è occulto sia quando è manifesto, come la luce è davanti agli occhi di chi vede e di chi è cieco, ma è visibile al veggente, invisibile al cieco.
Così anche la voce è presente agli orecchi di chi ode e di chi è sordo: ma per quelli è manifesta, per questi nascosta.
Che v'è di più meraviglioso di quel che avviene a proposito delle nostre voci e delle parole che risuonano, cioè di una cosa che passa rapidissima?
Quando parliamo, non vi è posto neppure per la seconda sillaba, se la prima non ha cessato di risonare, eppure se c'è uno che ci ascolta, ode tutto ciò che diciamo; se ce ne sono due, odono entrambi ugualmente ciò che i singoli odono per intero; se stanno a sentire molti individui in silenzio, non fanno a pezzi e dividono tra loro i suoni, come i cibi, prendendone una parte ciascuno, ma tutto ciò che risuona, risulta intero per tutti, come per i singoli.
Pertanto non è piuttosto incredibile se ciò, che presenta agli orecchi la parola transuente dell'uomo, il Verbo permanente di Dio non lo presentasse alle cose di guisa che a quel modo che si odono dai singoli e da tutti insieme le parole per intero, così il Verbo di Dio possa essere simultaneamente dovunque nella sua interezza?
Non c'è pertanto da temere che un Dio cosi grande sembri aver sofferto angustie in quel corpicciolo di bimbo.
Poiché Dio è grande non per la mole, ma per la potenza;
egli che con la sua saggezza ha dotato le formichette e le minuscole api di un senso più fine di quello che hanno gli asini e i cammelli;
egli che da un piccolissimo granello crea l'albero del fico tanto grande, mentre da semi molto più grossi nascono molte piante di gran lunga più piccole;
egli che ha dotato la pupilla si piccola di tanta acutezza che, sprigionandosi attraverso gli occhi, in un battibaleno percorre quasi mezza volta celeste;
egli che da un punto, e quasi dal centro del cervello diffonde, distribuendoli in cinque direzioni, tutti i sensi;
egli infine che, per mezzo del cuore, un organo così piccolo, dispensa per tutte le parti del corpo il moto vitale, facendoci vedere con questi mezzi e con altri simili, effetti potenti da cause piccolissime,
egli che non è piccolo nelle cose che ci sembrano piccole.
La stessa grandezza della sua potenza, che in uno spazio angusto non prova molestia, fecondò il seno della Vergine rendendola madre non per opera di altri ma di sé medesimo; unì a sé l'anima razionale e per mezzo di essa anche il corpo umano, cioè l'uomo intero da trasformare radicalmente in meglio, senza mutarsi affatto in peggio, degnandosi di assumere la natura umana ed elargendo all'uomo la sua divinità.
La medesima potenza che, attraverso le inviolate viscere della Vergine Madre trasse a luce le membra del bambino, più tardi, attraverso le porte chiuse, fece passare le membra di lui divenuto adulto. ( Gv 20,26 )
Ora tutto ciò, se si cerca una ragione, non sarà più meraviglioso; se si desidera un esempio, non sarà più una cosa unica. Dobbiamo ammettere che Dio possa operare qualche cosa che noi dobbiamo confessare di non poter penetrare.
In tali fatti l'intera spiegazione risiede nella potenza di Colui che li opera.
Il fatto poi che Cristo si abbandona al sonno e si alimenta di cibo e prova tutti i sentimenti umani, induce gli uomini a credere alla sua natura di uomo da lui assunta, non annientata.
Ecco come si compì questo prodigio: ciò non ostante alcuni eretici, pur ammirando e lodando perversamente la sua potenza, non vollero affatto riconoscerne la natura di uomo, mentre in essa risalta tutto il pregio della grazia, per mezzo della quale egli salva coloro che credono in lui, che ha in sé i profondi tesori della sapienza e della scienza e riempie di fede le intelligenze per innalzarle all'eterna contemplazione della verità immutabile.
E che ( avrebbero detto gli eretici ) se l'Onnipotente avesse creato un uomo formato in qualsiasi parte, non dal seno materno, ma d'improvviso lo avesse presentato ai nostri occhi, se non lo avesse cambiato attraverso le varie età, dalla fanciullezza alla giovinezza, non gli avesse fatto prendere cibi né sonno?
Non avrebbe forse confermato un'opinione erronea?
Non si sarebbe forse potuto credere che in nessun modo avesse assunto la vera umanità e così per operare tutto miracolosamente, non ci avrebbe tolto ciò che operò misericordiosamente?
Ora invece è vero il contrario, che tra Dio e gli uomini Cristo apparve come Mediatore affinché, unendo in un'unica persona entrambe le nature, sublimasse l'umile natura umana con la sua natura straordinaria e temperasse la sua sublimità con l'umana caducità.
Quali meraviglie non opera Dio in tutti i movimenti di una creatura che parrebbero prodigiosi, se non avessero perduto pregio per il fatto che ci siamo abituati?
Infine quante cose ordinarie vengono reputate senz'alcun pregio mentre, se fossero prese in esame, ci riempirebbero di stupore!
Tale ad esempio è la potenza dei semi.
Chi può comprendere ed esprimere a parole quante energie contengono, di quanta vitalità, di quanta efficacia, di quanta occulta potenza, quanto grandi cose possono operare nella loro piccolezza?
Colui dunque che nella natura creò i semi anche senza semi, si creò per sé, senza seme, la natura di uomo.
Nel corpo suo conservò il ritmo ( ordinario ) dei tempi e la misurata successione delle età Colui che, senza alcun mutamento di sé, intessé la successione regolare dei secoli, creando così il mutamento.
Cresce infatti nel tempo ciò che ha inizio dal tempo, mentre il Verbo esistente prima di tutte le cose, per mezzo del quale furono fatti i secoli, scelse un'epoca in cui assumere il corpo ma non si sottomise al tempo per mutarsi in carne, poiché fu l'uomo ad accostarsi a Dio, non Dio a scostarsi da sé.
Alcuni reclamano che sia resa loro ragione del modo come Dio si sia unito all'uomo si da diventare l'unica persona di Cristo, ( sebbene fosse necessario che questo evento si compisse una sola volta ), come se essi potessero rendersi conto d'un fatto che accade ogni giorno, del modo cioè come l'anima si unisca al corpo si da formare un'unica persona umana.
Come infatti in una singola persona l'anima si unisce al corpo per essere uomo, così nell'unità della persona Dio si unisce all'uomo per essere Cristo.
Nella persona umana c'è dunque l'unione dell'anima col corpo, nella persona divina c'è l'unione di Dio con l'uomo, a patto però che colui il quale ascolta ciò faccia astrazione dal modo come si sogliono comportare i corpi, per cui due liquidi si mescolano in guisa che nessuno dei due conserva la sua integrità, anche se tra i corpi la luce si mescola senza alterarsi con l'aria.
La persona dell'uomo dunque è l'unione dell'anima col corpo, come la persona di Cristo è l'unione di Dio con l'uomo.
Infatti appena il Verbo di Dio si unì con un'anima avente corpo, nello stesso tempo prese l'anima e il corpo.
La prima operazione avviene ogni giorno per generare gli uomini, l'altra ebbe luogo una sola volta per liberarli dal peccato.
È anche vero però che l'unione di due sostanze incorporee si doveva credere più facilmente che non quella di una incorporea e di un'altra corporea.
Poiché se l'anima, riguardo alla propria natura, senza ingannarsi comprende di essere incorporea, a molta maggior ragione è incorporeo il Verbo di Dio e pertanto sarebbe dovuta essere più credibile l'unione del Verbo di Dio e dell'anima che non quella dell'anima e del corpo.
Ma mentre noi sperimentiamo questa verità in noi stessi, l'altra relativa a Cristo è un fatto che dobbiamo credere per fede.
Se poi ci si facesse obbligo di credere in tutte e due le cose, di cui non avessimo fatto egualmente esperienza, a quale di queste presteremmo piuttosto fede?
Non ammetteremmo forse che si sarebbero potute unire più facilmente due nature incorporee che non una incorporea e un'altra corporea?
Ma può darsi che si diano a queste cose i termini di unione o di mescolanza per l'abitudine che abbiamo con oggetti corporei, di natura ben diversa e che ci sono noti per via pure diversa.
Orbene, il Verbo di Dio e Figlio di Dio, coeterno al Padre, ch'è ad un tempo Potenza e Sapienza di Dio, ( 1 Cor 1,24 ) la quale abbraccia con potenza e governa con dolcezza tutto l'universo, ( Sap 8,1 ) dalle creature razionali più elevate fino alle infime creature materiali, presente e nascosta, non racchiusa in nessun luogo, in nessun luogo scissa, in nessun luogo turgida, ma senza mole e in ogni luogo intera, in un modo di gran lunga diverso da quello con cui si mostra a tutte le altre creature, assunse la natura umana e unito ad essa divenne un solo Gesù Cristo, Mediatore tra Dio e gli uomini, eguale al Padre secondo la divinità, minore al Padre secondo la carne, ( 1 Tm 2,5 ) cioè secondo l'uomo, immortale senza mutamento secondo la divinità che ha in comune col Padre, e nello stesso tempo mutevole e mortale secondo la debolezza che gli è comune con gli uomini.
Nella persona del Cristo, proprio nel tempo ch'egli aveva riconosciuto opportunissimo e decretato prima dei secoli, venne agli uomini il maestro e il soccorritore, per farci raggiungere l'eterna salvezza.
Ci fu maestro affinché tutto ciò che nel mondo fu detto con profitto e verità non solo dai santi Profeti ( che dissero sempre la verità ), ma anche dai filosofi e dai poeti medesimi e da qualsiasi altro letterato ( anche se frammischiarono - chi può dubitarne? - molte verità a falsità ) venisse avvalorato dall'autorità di Lui anche con la presenza tangibile del corpo a beneficio di coloro che non potessero scoprire e intendere chiaramente quelle asserzioni nell'intima loro verità.
Era lui la Verità che, prima di assumere la natura umana, era in tutti quelli che poterono esserne partecipi.
Ma fu soprattutto con l'esempio della sua incarnazione che ci diede un salutare insegnamento.
Poiché la maggior parte degli uomini bramosi della divinità pretendevano di aspirare a Dio più con superbia che con sentimenti religiosi, per mezzo delle potenze celesti, che reputavano dèi, e di vane cerimonie illecite di riti non sacri ma sacrileghi in cui i demoni, nati dalla superbia, erano per loro come gli Angeli santi, Iddio volle che gli uomini sapessero che quel Dio a cui aspiravano di arrivare per mezzo d'interposte potenze come se fosse lontanissimo, era tanto vicino agli uomini religiosi da degnarsi di prendere un corpo umano e di unirsi in certo modo con loro, si da unire a se stesso l'uomo tutto intero, come il corpo si unisce all'anima, eccetto l'ammasso mutevole nel quale Dio non si muta, mentre vediamo che hanno questa proprietà il corpo e l'anima.
Ci è poi di aiuto, poiché senza la grazia della fede che procede da Lui, nessuno è in grado di vincere le passioni peccaminose né purificarsi mediante il perdono dei peccati se non vincerà qualche rimasuglio delle passioni che ancora restasse ( a tentarlo e farlo cadere ).
Per ciò che riguarda il suo insegnamento, dove trovare l'individuo più ignorante o la più umile femminetta che non creda all'immortalità dell'anima e alla vita che ci sarà dopo la morte?
L'assiro Ferecide4 fu il primo a insegnare questa verità ai Greci e Pitagora di Samo restò totalmente impressionato dalla novità di quella dottrina che da atleta divenne filosofo.
Ora dunque, come dice Marone e tutti vediamo, l'amomo di Assiria nasce dappertutto.5
Per quanto riguarda poi l'aiuto della grazia, che è in Cristo, egli è proprio il capitano per mezzo del quale, se restano alcune tracce delle nostre colpe, saranno rese inefficaci e libereranno le terre da una continua paura.6
" Ma nessun indizio lampante di tanta maestà apparve adatto a provarla, obbiettano gli avversari, poiché lo scacciare i demoni dagli invasati, il guarire gl'infermi, risuscitare i morti, se si pensa che hanno fatto simili opere anche altri taumaturghi, sono piccole cose per un Dio ".
Anche noi confessiamo che alcuni di siffatti miracoli li compirono i Profeti; v'è forse tra questi prodigi uno più grande della risurrezione dei morti?
Ebbene lo compì tanto Elia, ( 1 Re 17,22 ) che Eliseo. ( 2 Re 4,35 )
Quanto ai miracoli dei maghi, se abbiano fatto rivivere anche dei morti, se la vedano coloro che si sforzano di confutare Apuleio non con accuse ma con elogi, sebbene questi si difenda con la più larga facondia dalla imputazione di praticare le arti magiche.
Noi leggiamo che i maghi dell'Egitto, espertissimi in codeste arti, furono superati dal servo di Dio, Mosè, poiché mentre quelli con nefande pratiche compirono dei prodigi, egli, dopo aver semplicemente invocato Dio, riuscì a sovvertire tutte le loro diaboliche macchinazioni. ( Es 7ss )
Ma tanto Mosè che tutti gli altri Profeti sommamente veritieri predissero Cristo Signore, gli tributarono grande gloria e preannunziarono ch'egli sarebbe venuto non come uno uguale o superiore a loro rispetto alla suddetta potenza taumaturgica, ma addirittura come Dio, Signore dell'universo, fatto uomo per amore degli uomini.
Cristo medesimo volle poi compiere tali miracoli perché non si verificasse l'assurdo che ciò che aveva compiuto per mezzo dei Profeti non lo compisse egli in persona.
Nondimeno doveva pur fare qualcosa di singolare: nascere dalla Vergine, risorgere dai morti, ascendere al cielo.
Non so cosa possa aspettarsi di più chi crede che questo sia poco per un Dio.7
Penso infatti che si esigano tali prodigi quali il Verbo avrebbe dovuto fare dopo aver assunto la natura umana.
In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio, e tutte le cose furono create per mezzo di lui. ( Gv 1,1 )
Forse che, presa la natura di uomo, avrebbe dovuto creare un altro mondo perché credessimo ch'era lui il creatore del mondo?
Ma in questo mondo non potrebbe esserne creato uno più grande né uguale.
Se ne avesse creato uno più piccolo, inferiore a questo, anche quest'opera sarebbe stata creduta egualmente piccola cosa.
Siccome dunque non conveniva che creasse un mondo nuovo, operò prodigi nuovi e straordinari nel mondo.
Un uomo nato da una Vergine, risorto dai morti a vita eterna ed esaltato al di sopra dei cieli, non è forse un'opera superiore alla creazione del mondo?
Può darsi che a questo punto rispondano di non credere che ciò sia accaduto.
Che cosa potrebbe quindi essere fatto per uomini che disprezzano ciò ch'è troppo piccolo e non credono a ciò ch'è troppo grande?
Si crede alla risurrezione dei morti solo perché lo fecero altri, ma. è piccola cosa per Iddio; che il corpo di Lui sia stato generato dalla Vergine e che dalla morte sia stato innalzato nella vita eterna al di sopra del cielo, non lo si crede perché nessuno fece altrettanto e perché ciò è possibile solo a Dio.
Ecco perché ciascuno ammette di buon grado le cose che reputa per lui facili non a farsi ma a comprendersi, mentre stima falsità e menzogne quelle che vanno oltre la sua intelligenza.8
Non essere simile a costoro, te ne scongiuro.
Si discute ampiamente di questi problemi, si studiano tutte le questioni necessarie e si spiegano scrutandone tutte le pieghe, ma è la fede ad aprir l'adito all'intelligenza, mentre a chiuderlo è l'incredulità.
Chi non si lascerà indurre a credere considerando l'ordine così mirabile degli avvenimenti fin da principio e la stessa connessione dei tempi, nella quale i fatti passati fanno fede dei presenti, gli avvenimenti posteriori confermano quelli precedenti, quelli recenti gli antichi? Dal popolo dei Caldei viene scelto un personaggio di provata fede religiosa, ( Gen 12,2 ) perché gli vengano rivelate le promesse divine, che dovranno compiersi negli ultimi tempi dopo una lunga serie di secoli, e si preannunzia che nel suo Discendente tutte le generazioni saranno benedette.
Questo uomo eletto, che venerava l'unico vero Dio, creatore dell'universo, benché vecchio, da una sposa alla quale la sterilità e la tarda età avevano tolto ogni speranza di diventare madre, genera un figlio che doveva essere il padre di tutti gli uomini. ( Gen 21,2 )
Da quel figlio si propaga un popolo numerosissimo, moltiplicatosi in Egitto, dove il piano di Dio, che si rafforzava col realizzare le promesse, aveva fatto emigrare quella stirpe dalle regioni d'Oriente.
Quel popolo, divenuto potente, viene cacciato dall'Egitto con presagi paurosi e con miracoli ( Es 13,17 ) e, sbaragliati gli empi nemici, viene condotto e stabilito nella terra promessa ed elevato perfino al regno.
In seguito però, col prevalere del peccato, offendendo assai spesso con atti di audacia sacrilega il vero Dio che l'aveva colmato di tanti benefici, ora flagellato da catastrofi, ora consolato da prosperità, viene condotto fino all'Incarnazione e alla manifestazione di Cristo.
Che Cristo, Verbo e Figlio di Dio, sarebbe venuto come Dio fatto uomo, sarebbe morto, risorto, salito al cielo; che per il nome suo, potentissimo fra tutti i popoli, avrebbe avuto i popoli a lui soggetti e che i credenti in lui avrebbero avuta la remissione dei peccati e la salvezza eterna: tutto ciò lo annunciarono tutte le promesse, tutte le profezie, le dignità sacerdotali, i sacrifici, i templi, in una parola tutti i riti e le cerimonie sacre di quel popolo.
Venne anche Cristo: nella sua nascita, nella sua vita, nelle sue azioni, nelle parole, nella sua passione, nella sua morte, risurrezione e ascensione si adempiono tutti i vaticini dei Profeti. ( Mt 1,25 )
Manda lo Spirito Santo, ne riempie i fedeli radunati in una sola stanza ( At 2,2 ) ove nella preghiera e nel desiderio aspettavano proprio l'avverarsi di questa promessa.
Riempiti quindi dello Spirito Santo, parlano subito nelle lingue di tutti i popoli, ne, confutano con coraggio gli errori, predicano la verità apportatrice della salvezza eterna, esortano a pentirsi dei peccati della vita passata, promettono perdono in virtù della grazia di Dio.
La predicazione della santa e vera religione è accompagnata da prodigi e miracoli convenienti.
Contro di loro si scatena la crudeltà degli infedeli, ma essi sopportano le persecuzioni già predette, sperano nelle promesse, insegnano i comandamenti.
Pochi di numero, si spargono per il mondo, convertono i popoli con una facilità meravigliosa, crescono in mezzo ai nemici, diventano più numerosi a causa delle persecuzioni, attraverso le angustie delle afflizioni si espandono fino agli estremi confini della terra.
Ignorantissimi, d'infima estrazione sociale, pochissimi, vengono ad un tratto illuminati, nobilitati, moltiplicati di numero.
Sottomettono a Cristo splendidi ingegni, forbitissimi oratori e dotti acuti e fecondi, ricchi di mirabile esperienza, e li indirizzano a predicare la dottrina della vera religione e della salvezza.
Tra l'alternativa di avversità e di prosperità esercitano sempre vigili la pazienza e la moderazione; in un mondo avviato all'estrema rovina, che attraverso le sventure fa presentire la catastrofe finale, con molta maggior fiducia perché anche questo fu predetto, attendono la felicità eterna della città celeste.
Frattanto contro la Chiesa di Cristo freme di rabbia l'incredulità delle empie nazioni pagane.
Ma essa trionfa con la pazienza e confessando, in mezzo alla ferocia degli avversari, la sua fede inconcussa.
Come poi seguì il sacrificio della Verità rivelata, ch'era velata a lungo dalle promesse espresse sotto forma di prefigurazioni simboliche, quei sacrifici, coi quali il sacrificio di Cristo veniva prefigurato, vengono tolti di mezzo con la distruzione dello stesso tempio.
Lo stesso popolo ebraico, reprobo per la sua infedeltà, sradicato dalle proprie sedi, viene disperso in tutte le parti del mondo, affinché porti dovunque i Libri Santi e in tal modo la testimonianza della profezia, con cui Cristo e la Chiesa erano stati preannunziati, venisse fatta conoscere dagli stessi avversari affinché non si credesse che l'avessimo inventata noi per la circostanza, tanto più che in quei libri era stato anche predetto che i Giudei non avrebbero creduto.
I templi, le statue dei demoni e i riti sacrileghi a poco a poco e con alterna vicenda, secondo le predicazioni delle profezie, vengono abbattuti.
Pullulano, come era stato preannunciato, le eresie contro il nome di Cristo coprendosi del nome di Cristo per stimolare la ricerca scientifica della santa religione.
Tutte queste cose, come si legge che furono predette, così si vedono adempiute e si attende che se ne debbano compiere ancor tante e molto importanti fra quelle che restano.
Qual è dunque l'anima bramosa d'eternità e pensosa di fronte alla brevità della vita presente che vorrà lottare contro la luce sublime di questa divina autorità?
Quali discussioni, quali dottrine di qualsivoglia filosofo, quali leggi di qualunque Stato si possono in alcun modo confrontare coi due precetti in cui Cristo dice che si compendia tutta la Legge ed i Profeti: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e Amerai il prossimo tuo come te stesso? ( Mt 22,37-39 )
In queste parole è racchiusa la filosofia naturale, poiché le cause tutte di ogni elemento della natura sono in Dio creatore; è racchiusa la filosofia morale, poiché una vita buona e onesta non da altra fonte riceve lo specifico suo aspetto che quando le cose da amarsi, cioè Dio e il prossimo, si amano come devono amarsi; è racchiusa la logica, poiché la verità e la luce dell'anima razionale non sono se non Dio; è racchiusa anche la salvezza d'uno Stato che si può reputare fortunato, poiché un ottimo Stato non si fonda né si conserva senza il fondamento e il vincolo della fede e della salda concordia, cioè se non quando si ama il bene comune, ossia Dio che è il sommo e verissimo bene, e in lui gli uomini si amano scambievolmente con la massima sincerità allorché si vogliono bene per amor di Lui, al quale non possono nascondere l'animo con cui amano.
Lo stesso linguaggio, in cui è redatta la Sacra Scrittura, quanto è accessibile a tutti, benché pochissimi possano penetrarlo a fondo!
Le verità manifeste, ch'essa contiene, le dice come un amico di famiglia, senza orpello ai cuori degli indotti e dei dotti; quelle invece che nasconde sotto simboli e figure non le innalza con un linguaggio superbo, a cui non ardirebbe accostarsi un'intelligenza piuttosto tarda e priva d'istruzione, come un povero non si accosterebbe a un ricco, ma invita tutti con un linguaggio umile, per nutrirli non solo della verità manifesta, ma anche per esercitarli ad approfondire la verità nascosta, contenendo sempre la medesima verità tanto in ciò che è chiaro quanto in ciò che è recondito.
Ma acciocché le verità manifestate non vengano a noia, la Sacra Scrittura in altri passi le copre d'un velo per farcele desiderare; il desiderio ce le presenta in certo qual modo nuove e, così rinnovellate, s'imprimono con dolcezza nel cuore.
Queste verità hanno il benefico effetto di correggere i malvagi, di nutrire gl'ingegni mediocri, d'essere un godimento per quelli brillanti.
Di questa dottrina è nemico colui che a causa del suo errore non sa ch'essa è la medicina più adatta a salvarlo o l'ha in odio a causa della propria malattia.
Vedi che lettera prolissa ho scritto.
Se dunque incontri qualche difficoltà in qualche passo e ci tieni assai che sia trattato estesamente tra di noi, non devi indurti ad attenerti agli stretti limiti delle lettere ordinarie come se fosse una regola da osservare; poiché tu sai benissimo quanto lunghe ne abbiano scritte gli antichi, quando trattavano una questione che non riuscivano a svolgere brevemente; e anche se gli scrittori di lettere profane seguissero un'usanza diversa, in tale materia ci si presenterebbe l'autorità dei nostri scrittori, più degna d'imitazione.
Osserva quindi l'estensione delle lettere degli Apostoli o anche di coloro che esposero le Sacre Scritture e non ti rincresca di propormi molti quesiti, se hai molti dubbi, o di svolgere un po' più a lungo l'oggetto del tuo quesito affinché, per quanto è in nostro potere, non rimanga ombra di dubbio che faccia da schermo alla luce della verità.
So che l'Eccellenza tua è esposta alle contestazioni ostinate di certuni che credono o vogliono che si creda che la dottrina cristiana sia incompatibile con gli interessi dello Stato, proprio perché non vorrebbe che lo Stato sussistesse sulla salda base delle virtù, ma sull'impunità dei vizi.
Ma i peccati di molti non restano impuniti9 da Dio, come lo sono da parte di un re solo uomo o dai capi di Stato chiunque essi siano; d'altra parte la misericordia e la grazia di Dio predicata agli uomini dall'uomo Cristo, comunicata loro da Dio e dal Figlio di Dio, cioè da Gesù Cristo medesimo, non abbandonano coloro che vivono nella sua fede e l'adorano con sentimento religioso, sia che sperimentino con rassegnazione e coraggio i mali di questa vita, sia che si servano dei suoi beni con misericordia e temperanza, destinati così a ricevere per l'uno e l'altro merito il premio eterno nella città suprema e divina, dove non ci saranno più né calamità da sopportare con fastidio né passioni da frenare con fatica, ma dove non dovremo che amare Dio e il prossimo senza alcuna difficoltà e con perfetta libertà.
Ti conservi incolume e sempre più felice la misericordiosa onnipotenza di Dio, mio egregio signore e figlio, meritamente illustre ed eccellentissimo.
Con ogni riguardo dovuto alla tua dignità saluto anche la tua santa madre, degna d'essere onorata in Cristo; il Signore voglia esaudire le sue preghiere elevate per la tua anima.
Possidio, mio santo fratello e collega nell'episcopato, invia i più vivi saluti all'Eccellenza tua.
Indice |
1 | Ep. 135,2 |
2 | Cicer., De orat. 1, 22 |
3 | Cicer., Tuscul. 1, 16, 38 |
4 | Cicer., Tuscul. 1, 16, 38 |
5 | Verg., Ecl. 4, 25; Ovid., Pont. 1, 9, 52 |
6 | Verg., Ecl. 4, 13-14 |
7 | Cassian., De incarnat. Chr. Dei c. Nestor. 7, 27 |
8 | Sallust., Catil. 3, 2 |
9 | Lucan., De bello civ. 5, 260 |