Lettere

Indice

Lettera 138

Scritta nel 411/412.

Agostino, rispondendo all' Ep. 136 di Marcellino, confuta le obiezioni dei pagani criticanti che Dio avesse abrogato la Legge antica e il sacrificio ebraico, ordinandone uno nuovo ( n. 1-8 ); ribatte l'asserzione secondo la quale la dottrina di Cristo sarebbe dannosa allo Stato ( n. 9-17 ) e svela le infamie del culto pagano e le frodi dei maghi che i pagani esaltavano al di sopra dei miracoli di Cristo ( n. 18-20 ).

Agostino saluta nel Signore Marcellino, suo eccellente e meritamente illustre signore, suo carissimo e amatissimo figlio

1.1 - Soluzione dei quesiti posti da Marcellino

All'illustre, chiarissimo e carissimo Volusiano mi sono limitato a rispondere solo riguardo ai quesiti da lui proposti.

Quanto poi ai quesiti che tu stesso nella tua lettera mi hai proposto di spiegare a fondo e di risolvere come suggeriti o indicati da Volusiano o da altri, ho creduto doveroso inviarli a te particolarmente spiegati e risolti secondo le mie forze, non come si trattano questi argomenti in lavori che richiedono dei libri, ma nella misura che può bastare ad una corrispondenza epistolare, di modo che tu, se lo credi opportuno, possa leggere questa lettera ai tuoi amici, di cui nella conversazione quotidiana conosci per esperienza le obiezioni.

Se però questo mio scritto non basta ai loro orecchi meno educati ai sentimenti religiosi della fede, trattiamo prima tra noi a fondo ciò che tu pensi possa loro bastare e alla fine si proponga loro la soluzione formulata.

Anche se in molti punti la loro mentalità aborre e reagisce, col tempo, a forza di ragionamenti più copiosi e più sottili o almeno in base ad un'autorità a cui stimerebbero essi stessi cosa indegna l'opporsi, potranno forse acquistare la persuasione.

1.2 - Primo quesito: Muta la Provvidenza mutando le cose?

Ordunque, nella tua lettera affermi che alcuni obiettano " perché mai Dio, che si afferma essere il Dio anche dell'Antico Testamento, abbia disprezzato gli antichi sacrifici e si sia compiaciuto di nuovi.

Asseriscono che non è lecito correggere se non ciò che si dimostra essere stato fatto male in precedenza, o dicono che in nessun modo si sarebbe dovuto mutare ciò che una volta è stato fatto bene.

Dicono ancora che le cose ben fatte non si possono mutare se non ingiustamente".1

Queste parole le ho, trascritte in questa mia dalla tua lettera.

Se volessi rispondere sufficientemente a tali obiezioni, mi mancherebbe prima il tempo che gli esempi con cui provare che la natura delle cose e le opere umane possono mutare in base a una precisa disposizione, secondo l'opportunità dei tempi, senza che si alteri tuttavia la ragione stessa per cui queste cose mutano.

Citerò solo alcuni esempi, affinché l'attenzione dello spirito ridestata in qualche modo da essi, corra sveglia alla ricerca d'un maggior numero di esempi somiglianti.

All'inverno non succede forse l'estate col crescere man mano del calore?

Alle ore del giorno non succedono forse, in alterne vicende, le ore della notte?

Quante volte cangiano le nostre età!

La fanciullezza, destinata a non più tornare, cede il posto all'adolescenza; all'adolescenza succede la gioventù, neppure essa destinata a rimanere; la vecchiaia, che pone fine alla giovinezza, è troncata dalla morte.

Tutte queste cose mutano, ma non muta la disposizione della Provvidenza di Dio, per cui avviene che queste cose mutino.

Non muta, credo, il principio razionale dell'agricoltura, quando il contadino, in estate, dà ordini diversi da quelli che dà in inverno, e non muta sistema di vita chi la mattina si alza dopo aver riposato la notte.

Il maestro dà al giovane suggerimenti diversi da quelli che soleva dargli da fanciullo.

La dottrina rimane costante: pur cambiando i precetti, non muta, ma impartisce nuove istruzioni.

1.3 - Risposta di Vindiciano sulla diversità delle medicine

Vindiciano, famoso medico dei nostri tempi, consultato da un paziente, gli ordinò di applicare alla parte dolente la medicina che pareva opportuna per la circostanza.

Quello l'applicò e guarì. Trascorsi alcuni anni e apparsa la stessa infermità fisica, il paziente credette di dover usare la stessa prescrizione medica; la usò, ma peggiorò.

Meravigliato, ricorse al medico e gli spiegò il fatto; ma egli, acuto com'era, gli rispose: " Ti sei conciato male perché non sono stato io a prescriverti questa medicina ", talché gli astanti che l'udirono e lo conoscevano poco, credettero facesse meno assegnamento nell'arte medica che in non so quale diabolica virtù.

Quando perciò alcuni, stupiti, più tardi lo interrogarono, spiegò loro ciò che non avevano capito, che cioè ormai non avrebbe più suggerito quel rimedio a un'età diversa.

Tanta importanza ha dunque il dover cambiare le cose secondo le varie epoche, senza che mutino i criteri fondamentali e i precetti delle arti.

1.4 - Non ben fatto è quanto non conviene alla diversità dei tempi

Non è quindi vero ciò che si dice, che " una cosa fatta bene una volta non deve essere assolutamente mutata ".

Mutate le condizioni dei tempi, la stessa retta norma esige per lo più che si muti ciò che prima era ben fatto, sicché mentre essi dicono che non si agirebbe bene se si cambiasse, la verità proclama invece che si farebbe male a non cambiare, poiché l'una e l'altra cosa saranno ben fatte se saranno diverse secondo la diversità dei tempi.

Può accadere nello stesso tempo che, trattandosi di persone diverse, sia lecito ad una compiere impunemente ciò che ad un'altra non è lecito, non perché sia diversa la cosa, ma perché è diverso chi la compie;2 allo stesso modo una medesima persona deve agire, in tempi diversi, a  volte in un modo, a volte in un altro, non perché sia diversa da sé stessa la persona che agisce, ma perché è mutato il tempo.

1.5 - Il sacrificio dell'Antico Testamento sostituito con uno più conveniente

Il problema ha un campo assai vasto di applicazioni: lo può ben vedere chi è capace di scoprire né disdegna di considerare la differenza che corre tra ciò che è bello e ciò che è conveniente, e ch'è per così dire diffusa nell'universo.

Si considera bello per sé stesso e viene lodato ciò, il contrario del quale è il brutto e il deforme.

Ciò che invece è conveniente, il cui contrario è lo sconveniente, pende come legato ad un'altra cosa né si giudica in sé stesso, ma dall'oggetto cui è connesso.

Naturalmente anche il decente e l'indecente o è la medesima cosa o si considera allo stesso modo.

Orbene, applica alla questione, di cui si tratta, le considerazioni fatte finora.

Il sacrificio, che Dio aveva ordinato, era adatto ai primi tempi, ma ora non lo è più.

Ecco perché ha prescritto un altro sacrificio, che fosse adatto al nostro tempo.

Egli, immutabile creatore e moderatore delle cose mutevoli, molto più dell'uomo sa ciò che è opportuno per ciascuna età.

Ciò che a un dato momento deve dare, aggiungere, portar via, detrarre, accrescere o diminuire fino a che la bellezza dell'universo, particelle del quale sono le cose adatte a ciascun tempo, non si svolga e si compia come il concerto di un ineffabile artista, e poi coloro che adorano Dio come si deve anche nel tempo in cui occorre credere, non passino all'eterna contemplazione della Bellezza assoluta.

1.6 - I sacrifici servono non a Dio ma all'uomo

S'ingannano poi quanti credono che Dio imponga questi sacrifici per un proprio vantaggio o piacere e perciò giustamente non sanno spiegarsi perché Dio abbia operato questi mutamenti, come se per un piacere mutevole prescrivesse che gli si offrisse un sacrificio nel tempo passato e un altro nel tempo presente.

Ma la cosa non sta così. Dio non ordina nulla che giovi a lui stesso, ma a colui al quale dà ordini.

Vero signore è colui che non ha bisogno di servo, ma di cui ha bisogno il servo.

Nella Scrittura, chiamata Antico Testamento, anche in quel tempo in cui si offrivano sacrifici che ora non si offrono più, si trova questa espressione: Ho detto al Signore: Tu sei il mio Signore, poiché non hai bisogno dei miei beni. ( Sal 16,2 )

Iddio dunque non aveva bisogno di questi sacrifici né ha mai bisogno di alcuna cosa, ma sono simboli dei beni largiti da Dio per impregnare l'anima di virtù o per farci ottenere la salvezza eterna; nel compierne la celebrazione si esercitano doveri di pietà utili non a Dio, bensì a noi.

1.7 - I riti sacri del Nuovo Testamento annunciati dai Profeti

Sarebbe troppo lungo trattare convenientemente della verità dei simboli, che prendono nome di " sacramenti " quando si riferiscono alle cose divine.

Allo stesso modo che l'uomo non cambia perché di mattina fa una cosa e di sera un'altra, in questo mese o anno fa una cosa diversa che in un altro mese o in un altro anno, così Iddio non è mutevole perché volle che nella prima epoca dell'universo gli si offrisse un sacrificio e nella posteriore uno diverso, affinché, senza che Egli mutasse per nulla, convenientemente disponesse, nel corso dei tempi che mutano, dei simboli appropriati all'insegnamento quanto mai salutare della religione.

Coloro che s'impressionano di questi cambiamenti, sappiano che ciò esisteva già nella ragione divina e che, quando furono istituiti i nuovi sacrifici, non dispiacquero all'improvviso a Dio i precedenti, come se la sua volontà fosse cambiata, ma un simile disegno era già fisso e decretato nella stessa sapienza di Dio al quale anche a proposito di mutamenti maggiori la medesima Sacra Scrittura dice: Tu muterai quelle cose ed esse saranno mutate, ma Tu sei sempre lo stesso. ( Sal 102,28 )

A costoro bisogna far capire bene che tale mutazione dei riti sacri dell'Antico e del Nuovo Testamento fu anche predetta dai Profeti.

In tal modo capiranno, se riuscirà loro possibile, che ciò che è nuovo nel tempo non lo è al cospetto di Colui che creò i tempi e che, senza tempo, possiede tutte le cose che distribuisce nei diversi tempi secondo la loro varietà.3

Nello stesso salmo di cui ho citato un versetto per dimostrare che Dio non ha bisogno dei nostri sacrifici, e cioè: Ho detto al Signore: Tu sei il mio Signore, poiché non hai bisogno dei miei beni, si legge poco dopo ciò ch'è posto in bocca a Cristo: Non convocherò le loro riunioni col sangue, ( Sal 16,4 ) cioè con le vittime di animali, con cui si riunivano prima le assemblee dei Giudei.

Altrove dice: Non accetterò vitelli dalla tua mano né caproni dai tuoi greggi. ( Sal 50,9 )

Un altro Profeta: Ecco verranno i giorni, dice, che sancirò con la casa di Giacobbe una nuova alleanza, non come l'alleanza che feci per i loro padri, quando li trassi fuori dalla terra d'Egitto. ( Ger 31,31-32 sec. LXX: 38,31-32 )

Vi sono anche molti altri passi di questo genere, che ora sarebbe troppo lungo ricordare, nei quali è stato predetto che Dio avrebbe fatto ciò.

1.8 - Riti diversi per Cristo venturo e per Cristo venuto

Forse è ormai apparso abbastanza evidente che una cosa, che in un dato tempo è stata ordinata bene, può in un altro tempo essere mutata sapientemente ad opera di Colui che la muta, senza che sia mutata la disposizione contenuta nell'ordine stabilito dalla sua intelligenza.

In essa sono racchiuse insieme, senza successione nel tempo, le cose che non possono accadere tutte insieme nei diversi tempi, dato che questi non trascorrono tutti insieme in una sola volta.

A questo punto qualcuno potrebbe forse attendersi di sapere da me le cause di questo mutamento, ma tu sai quanto sarebbe lunga la spiegazione.

Nondimeno si potrebbe esprimere in breve questo concetto, che a una persona intelligente potrebbe forse bastare: che cioè l'avvento futuro di Cristo era opportuno fosse preannunciato con alcuni riti sacri, la venuta di Cristo invece fosse annunciata con altri, a quel modo che adesso noi, pur dicendo la medesima cosa, siamo stati costretti dalla diversità dei fatti a mutare anche le parole, se è vero che " l'essere preannunciati " è cosa diversa dall'" essere annunciati " come pure " l'avvento futuro " è tutt'altra cosa che " la venuta ".

2.9 - Secondo quesito: La mitezza cristiana contraria al bene dello Stato?

Vediamo ora qual è il quesito che segue nella tua lettera.

Hai soggiunto che gli oppositori dicono che " la predicazione e la dottrina di Cristo non si confanno in alcun modo alle leggi di uno Stato poiché, come si sa, essa prescrive che a nessuno dobbiamo restituire male per male, ( Rm 12,17 ) che dobbiamo offrire l'altra guancia a chi ci schiaffeggia, dare il mantello a chi tenta di portarci via la tunica, percorrere un doppio tratto di strada con chi ci costringe ad accompagnarlo "; ( Mt 5,39 ) cose tutte contrarie, così si afferma, alle leggi di uno Stato.

" Chi infatti, dicono essi, si lascerebbe portar via qualcosa dal nemico o non vorrebbe, per diritto di guerra, ricambiare il male ai saccheggiatori di una provincia romana? "4

Io forse confuterei con maggiore impegno questa o altre simili espressioni di censori che parlano spinti non tanto dal desiderio di censurare quanto d'indagare tale problema, se non discutessi con persone provviste d'una cultura liberale.

Ma che bisogno c'è di affaticarsi troppo a lungo?

Chiediamo piuttosto ad essi stessi in che modo poterono governare e accrescere lo Stato che da " piccolo e povero di mezzi resero grande e potente " gli antichi Romani che preferivano perdonare un torto ricevuto anziché vendicarsi?5

In che modo Cicerone, esaltando i costumi di Cesare, che fu certo capo dello Stato, poteva dire di lui che " nient'altro voleva dimenticare tranne le offese "?6

Cicerone diceva ciò o lodando Cesare o adulandolo esageratamente: se lo lodava, lo riconosceva come tale; se lo adulava, mostrava che un capo dello Stato doveva essere come egli falsamente lo esaltava.

Orbene, che cos'è il non rendere male per male se non aborrire dalla brama di vendetta e cioè voler perdonare un torto ricevuto piuttosto che vendicarsi e non desiderare altro che dimenticare le offese?

2.10 - Perdono e concordia cristiani, basi di ogni Stato

Quando queste espressioni si leggono nei loro scrittori, la gente prorompe in grida di approvazione e in applausi, si ha l'impressione che si rappresentino ed esaltino quei costumi, per cui era giusto che s'innalzasse lo Stato alla potenza con cui dominare su tutti i popoli, poiché i suoi cittadini preferivano " perdonare un torto ricevuto anziché vendicarsene ".

Quando invece si legge che per comando di Dio non si deve rendere male per male, ( Rm 12,17; 1 Pt 3,9; 1 Ts 5,15 ) quando questo ammonimento così salutare risuona da un luogo più alto nelle adunanze dei fedeli, come a scuole pubbliche dell'uno e dell'altro sesso e di ogni età e grado sociale, si accusa la religione come nemica dello Stato.

Se invece, come sarebbe giusto, si desse ascolto a questa religione, essa darebbe allo Stato un fondamento, una consacrazione, una forza, un accrescimento maggiore di quanto non fecero Romolo, Numa, Bruto e tutti gli altri famosi personaggi ed eroi del popolo romano.

Che cos'è infatti lo Stato se non il bene comune del popolo?7

Il bene comune di tutti e quindi senz'altro il bene dei cittadini d'uno Stato.

Che cos'è d'altronde una comunità di cittadini se non una moltitudine di persone unite tra loro dal vincolo della concordia?

Presso gli scrittori pagani infatti si legge: Una moltitudine dispersa e randagia formò in breve uno Stato in virtù della concordia.8

Ma quali precetti di concordia pensarono mai i Romani di far leggere nei loro templi, dal momento che quei poveri sventurati erano costretti a cercare il modo di poter onorare degli dèi discordi tra loro senz'offenderne alcuno?

Se avessero voluto imitare gli dèi nella discordia, si sarebbe infranto il vincolo della concordia e lo Stato sarebbe andato in rovina: cosa che s'incominciò a realizzare a poco a poco in seguito alle guerre civili quando i costumi si guastarono e si corruppero.

2.11 - Il male si vince col bene

Chi mai, per quanto estraneo alla religione cristiana, è talmente balordo da ignorare quanti precetti di concordia, non ricercati mediante discussioni umane, ma fissati per iscritto dall'autorità divina, vengono letti continuamente nelle chiese?

A questo si riferiscono quei precetti che si preferisce criticare anziché imparare: offrire cioè l'altra guancia a chi ci dà uno schiaffo, dare il mantello a chi ci vuol portar via la tunica, fare un doppio tratto di strada con chi ci costringe ad andare con lui.

Con questo precetto si mira a far si che il malvagio sia vinto da chi è buono o, a dir meglio, che nell'uomo cattivo il male sia vinto dal bene e l'uomo si liberi non dal male esteriore ed estraneo, ma da quello intimo ch'è veramente suo, ben più grave e dannoso della crudeltà d'ogni nemico esterno che lo massacri.

Chi dunque vince il male col bene, sopporta con pazienza la perdita dei vantaggi temporali per insegnare quanto siano da disprezzare, a vantaggio della fede e della giustizia, quei beni per il cui eccessivo amore si diviene cattivi.

In questo modo chi ha offeso, apprende dalla persona da lui offesa che cosa valgono i beni per cui ha offeso e vinto, non dalla violenza di chi lo perseguita, ma dalla benevolenza di chi lo sopporta, si pente e viene conquistato alla concordia, di cui nulla è più utile allo Stato.

Un tal modo di agire è inoltre plausibile quando si crede che gioverà alla persona alla quale si vogliono apportare correzione e concordia.

È con questa intenzione che si deve certamente agire, anche se ne verrà fuori un risultato diverso e, se l'individuo cui è stata somministrata la medicina per correggerlo e pacificarlo e, per così dire, curarlo e guarirlo, si rifiuterà di venire corretto e pacificato.

2.12 - Che vuol dire: Porgere l'altra guancia

Del resto, se volessimo considerare attentamente le parole e badare alla loro proprietà, non si deve offrire la guancia destra se sarà percossa la sinistra, poiché l'Evangelo dice: Se uno ti percoterà nella guancia destra, porgigli anche la sinistra. ( Mt 5,39 )

È piuttosto la sinistra ad essere percossa, perché questa si percuote più facilmente con la destra.

Ma l'espressione suole essere intesa come se fosse detto: " Se uno ti molesterà per ottenere la parte migliore, offrigli anche la peggiore, per evitare che per amore della vendetta più che della pazienza tu non disprezzi i beni eterni per i temporali, mentre questi sono da reputare molto meno preziosi di quelli eterni, come la sinistra è di minor pregio della destra ".

Questa fu sempre la disposizione d'animo dei santi martiri, poiché la punizione si reclama giustamente in ultima istanza, quando oramai non resta più alcuna possibilità per la correzione, cioè nell'ultimo e supremo giudizio.

Adesso invece si deve badare a non perdere, per non dire altro, la pazienza stessa di cui bisogna fare più conto di ogni altra cosa che il nemico possa strapparci nostro malgrado.

Un altro evangelista per vero, nel citare la stessa frase, non accennò affatto alla destra ma ricordò solo l'una e l'altra guancia, ( Lc 6,29 ) perché si capisse un po' più distintamente nell'altro evangelista, mentre egli si limitò a raccomandare la pazienza.

La persona giusta e pia deve dunque essere pronta a sopportare con pazienza la cattiveria di coloro che desidera far diventare buoni, senza unirsi anch'essa con eguale malvagità al numero dei cattivi.

2.13 - Come reagì Cristo schiaffeggiato

Questi precetti infine, tendono alla disposizione spirituale, cioè interiore, anziché all'azione esteriore e visibile a tutti, affinché nel segreto del cuore si possegga la pazienza congiunta alla benevolenza e appaia invece visibile ciò che giova a coloro a cui dobbiamo voler bene.

Ciò è dimostrato chiaramente dal fatto che lo stesso Cristo nostro Signore, esempio singolare di pazienza, quando fu schiaffeggiato in faccia replicò: Se ho parlato male, riprendimi per ciò che ho detto di male; se invece ho parlato bene, perché mi percuoti? ( Gv 18,23 )

Se consideriamo le parole, egli non adempì il suo precetto, poiché non presentò l'altra guancia a chi lo percosse, ma piuttosto impedì che colui che lo aveva offeso accrescesse l'offesa.

E dire ch'era venuto disposto non solo ad essere percosso in viso, ma anche a morire crocifisso per coloro da parte dei quali subiva questi affronti e per i quali, quando pendeva dalla croce, implorò: Padre, perdona loro, perché non sanno che cosa fanno. ( Lc 23,34 )

Pare che nemmeno l'apostolo Paolo adempisse al precetto del suo Signore e Maestro allorché anch'egli, essendo stato percosso, disse al principe dei sacerdoti: Ti percuoterà Dio, o parete imbiancata.

Tu siedi per giudicarmi secondo la Legge e dai ordine che contro la Legge mi si percuota. ( At 23,3 )

E poiché gli astanti esclamarono: Tu insulti il principe dei sacerdoti, volle in tono di scherno ricordare loro che cosa aveva detto, perché gli intelligenti capissero che ormai la venuta di Cristo doveva distruggere la parete imbiancata, cioè l'ipocrisia del sacerdozio dei Giudei.

Rispose infatti: Non sapevo, o fratelli, ch'egli fosse il sommo sacerdote, poiché sta scritto: Non maledire il principe del tuo popolo, ( Es 22,27 ) mentre senza dubbio Paolo cresciuto in mezzo a quel popolo ed istruito colà secondo la Legge, non poteva ignorare che il sommo sacerdote era quello e a coloro, ai quali era tanto noto, non poteva in alcun modo dare a intendere che egli non lo sapesse.

2.14 - Il castigo può esser segno d'amore

Questi comandamenti di pazienza debbono essere custoditi sempre nella buona disposizione del cuore e la stessa benevolenza si deve realizzare nella volontà di non rendere male per male. ( Rm 12,17; 1 Pt 3,9; 1 Ts 5,15 )

Però bisogna usare molti accorgimenti, ricorrendo anche al castigo dei riottosi, con un'asprezza per, così dire benigna: si deve badare alla loro utilità più che alla loro volontà.

Fu questa saggezza che gli scrittori romani elogiarono con somma eloquenza nel capo dello Stato.9

Per questo motivo un padre, nel correggere per quanto duramente si voglia il figlio, non perde mai il suo affetto di padre; egli tuttavia, nonostante la sua ripugnanza e la pena che prova, corregge chi a suo giudizio deve essere risanato anche suo malgrado e con dolore.

Se quindi lo Stato terreno osservasse i precetti di Cristo, neppure le guerre stesse si farebbero senza quella benevolenza, in modo che si provvederebbe più facilmente ai vinti in vista d'una società pacificata nell'amore e nella giustizia.

Colui infatti al quale si toglie la possibilità di fare il male è vinto con proprio vantaggio; poiché non v'è nulla di più infelice della felicità dei peccatori, da cui è alimentata l'impunità penale, e la volontà del male, come un nemico interno, è rafforzata.

Ma i cuori perversi e sviati dei mortali stimano felice la condizione degli uomini allorché si bada allo splendore dei palazzi e non alle macchie dell'anima; si costruiscono colossali teatri e si abbattono le fondamenta della virtù, quando è esaltata la pazza prodigalità e si deridono le opere di misericordia, quando gl'istrioni scialacquano le ricchezze di cui abbondano i ricchi, mentre i poveri hanno a mala pena il necessario per vivere; quando i popoli empi bestemmiano Dio, che per bocca dei predicatori della sua dottrina tuona contro questo male pubblico, mentre si cercano dèi in onore dei quali celebrare in teatro spettacoli sconci, che disonorano il corpo e l'anima.

Quando Dio permette che queste brutture aumentino, allora si sdegna più terribilmente; qualora le lasci impunite, allora punisce con maggiore durezza.

Quando invece abbatte il sostegno ai vizi e toglie i mezzi per soddisfare le passioni alimentate dalle abbondanti ricchezze, allora si oppone con animo misericordioso.

Con tale spirito di misericordia, se fosse possibile, i buoni farebbero anche le guerre, per far si che, riportando vittoria sulle passioni licenziose, si eliminassero questi vizi che da un governo giusto si dovrebbero estirpare o reprimere.

2.15 - Nella morale cristiana la salvezza dello Stato

Se la dottrina cristiana condannasse ogni specie di guerre, ai soldati che nel Vangelo chiedono il consiglio per salvarsi, prescriverebbe di gettar via le armi e di sottrarsi completamente agli obblighi del servizio militare.

Invece è stato loro detto: Non fate violenza a nessuno e non calunniate; siate contenti della vostra paga. ( Lc 3,14 )

Evidentemente non si vieta di attendere al servizio militare a coloro cui è comandato di accontentarsi della propria paga; pertanto coloro che affermano che la dottrina del Cristo è nemica dello Stato, ci diano un tale esercito, quale la dottrina di Cristo volle che fossero i soldati: ci diano tali provinciali, tali mariti, tali sposi, tali genitori, tali figli, tali padroni, tali servi, tali re, tali giudici, infine tali contribuenti e tali esattori del fisco, quali prescrive che siano la dottrina cristiana, e poi osino chiamarla nemica dello Stato e non esitino piuttosto a confessare che, se essa fosse osservata, sarebbe la potente salvezza dello Stato.

3.16 - Rovina dello Stato i vizi dei pagani

Ma perché dovrei rispondere quando affermano che per causa di alcuni imperatori cristiani molte sventure piombarono sull'impero romano?

Questa lagnanza generica è calunniosa.

Se citassero più chiaramente alcune colpe dei passati imperatori, anch'io potrei citarne di simili o forse di più gravi di imperatori non cristiani, per far capire che sono difetti propri degli uomini non della dottrina, o che sono imputabili non agli imperatori ma ad altri subordinati, senza i quali gli imperatori non potrebbero far nulla.

È ben chiaro da qual tempo lo Stato romano incominciò ad andare in rovina, poiché ne parlano i libri dei loro scrittori.

Molto prima che il nome di Cristo brillasse sulla terra, fu detto: O città venale e pronta ad andare in rovina, se trovasse un compratore.10

Anche nel libro della guerra di Catilina, scritto certamente prima della venuta di Cristo, il medesimo loro storico famosissimo non passa sotto silenzio quando l'esercito del popolo romano prese ad assuefarsi ai turpi amori, al vino, ad ammirare e ad apprezzare statue, quadri, vasi cesellati, a rubarli per conto proprio e in nome dello Stato, a spogliare templi, a insozzare ogni cosa sacra e profana.11

Quando dunque l'avidità e la rapacità, la corruzione e la dissolutezza non risparmiava né gli uomini né quelli che essi credevano dèi, allora lo splendore, la magnificenza e la salvezza dello Stato presero a rovinare.

Sarebbe ora troppo lungo esporre quali progressi abbiano compiuto questi pessimi vizi e quanto abbiano prosperato quelle iniquità che causarono tante sciagure al genere umano.

Ascoltino un loro poeta satirico che, mordendoli, dice il vero: Un tempo le umili condizioni serbavano caste le donne del Lazio e difesa contro il vizio era la povertà delle case e il faticare e il poco dormire, erano le mani incallite e rovinate dal filare la lana toscana, il terrore di Annibale che si avvicinava a Roma e i mariti raccolti a difesa sulla torre Collina.

Ora subiamo i danni di una lunga pace.

Ci è piombato addosso il lusso, più crudele delle armi, e fa le vendette del mondo da noi vinto.

Non ci manca nessun delitto, nessun misfatto della lussuria da quando è sparita la povertà di Roma.12

Perché dunque aspetti che io ponga in evidenza quanti mali abbia portato l'iniquità, invogliata da prosperi successi, dal momento che gli stessi scrittori più prudenti ed attenti videro che c'era più da dolersi della perdita della povertà che dell'opulenza romana?

La povertà conservava l'integrità dei costumi; a causa dell'opulenza invece la funesta perversione dei cittadini, più perniciosa di qualsiasi nemico, non fece irruzione contro le mura della città, ma invase l'animo degli stessi cittadini.

3.17 - La croce, segnacolo di salvezza temporale ed eterna

Ringraziamo il Signore nostro Dio che contro tali sciagure c'inviò un soccorso singolare.

Dove non ci trascinerebbe, chi non travolgerebbe, in qual abisso non ci sprofonderebbe questo torrente dell'orrenda malvagità del genere umano, se la croce di Cristo non s'elevasse ad altezze senza confronto, piantata com'è per così dire sull'inconcusso pilastro d'una si potente autorità, affinché afferrandoci al suo legno potessimo avere un fermo punto d'appoggio e non esser trascinati e inghiottiti dal vasto e turbinoso gorgo di coloro che in questo mondo ci consigliano il male e ci spingono al male?

In un tal guazzabuglio di pessimi costumi, in una tale corruzione dell'antica educazione, era necessario che accorresse in nostro aiuto l'autorità celeste la quale c'inducesse ad abbracciare la povertà volontaria, la continenza, la benevolenza, la giustizia, la concordia, la vera pietà e le altre virtù che sono come la luce e il sostegno della vita, non solo per trascorrere la vita terrena con tutta onestà né solo per mantenere la più completa concordia nella Città terrena, ma anche per arrivare alla salvezza eterna e alla Città celeste e divina del popolo - diciamo così - eterno, della quale ci fa entrare a far parte come cittadini la fede la speranza la carità.

Finché viviamo come esuli sulla terra, l'autorità di Cristo ci fa sopportare, anche se non riusciamo a correggerli, coloro che vorrebbero mantenere saldo uno Stato senza punire i vizi, mentre i primi Romani lo fondarono e l'accrebbero con le virtù, sebbene non avessero per il vero Dio la vera pietà, capace di condurli per il tramite della salutare religione nella Città eterna, ma conservarono una specie di probità della loro stirpe che era sufficiente a fondare, ad accrescere e a conservare la Città terrena.

Dio mostrò così nel ricchissimo e famoso impero romano quanta forza avessero le virtù civili anche senza la vera religione, affinché si comprendesse che, qualora ci sia anche la vera religione, gli uomini diventano cittadini della Città celeste, ove regna come regina la Verità, come legge la Carità e che ha per durata l'Eternità.

4.18 - Infamie del culto pagano e della magia

Chi non stimerebbe ridicolo il fatto che si cerca di paragonare o anche di preferire a Cristo un Apollonio e un Apuleio e altri versatissimi nelle arti magiche, per quanto sia più tollerabile quando lo mettono a confronto con questi personaggi che non con i loro dèi?

Apollonio valeva molto di più, bisogna confessarlo, del protettore ed autore di tanti stupri che si chiama Giove.

Ma queste, dicono i pagani, sono favole.

Lodino dunque ancora la lussuriosa, licenziosa e del tutto sacrilega prosperità dello Stato che inventò tali infamie, degli dèi, e che non solo le ha raccontate nei libri delle favole perché fossero ascoltate, ma le ha rappresentate anche negli spettacoli teatrali ove apparivano più delitti che divinità: gli dèi stessi lasciavano attribuire volentieri quei delitti a loro stessi, mentre avrebbero dovuto punire i loro adoratori solo perché assistevano con pazienza a quegli spettacoli.

" Ma non sono gli dèi che vengono esaltati con siffatte finzioni " replicano quelli.

Chi sono dunque costoro che vengono placati con la celebrazione di simili infamie?

La dottrina cristiana è chiamata nemica dello Stato perché ha smascherato e svelato a tutto il mondo la perversità e la falsità di questi demoni, per mezzo dei quali anche le arti magiche ingannano le menti degli uomini, perché ha distinto gli angeli santi dalla malignità dei demoni, perché ha ammonito di guardarsene e insegnato il modo come farlo?

Quasi che, se si fosse dovuta ottenere la felicità temporale per opera di questi demoni, non sarebbe stata preferibile l'infelicità!

Ma Dio non volle che si dubitasse neppure su questo punto.

Il Signore colmò d'ogni felicità temporale gli Ebrei, il primo popolo a onorare il vero Dio e a disprezzare gli dèi falsi e bugiardi, durante il tempo che fu necessario che rimanesse velato l'Antico Testamento, che è l'ombra e il velo del Nuovo Testamento, per far capire ad ognuno che la felicità non è in potere dei demoni, ma solo di Colui al quale obbediscono gli angeli, e davanti al quale tremano i demoni. ( Gc 2,19 )

4.19 - Apuleio deluso dalle arti magiche

Quanto poi ad Apuleio, per parlare soprattutto di lui, che essendo africano è più noto a noi Africani, con tutte le sue arti magiche non poté pervenire non dico ad essere imperatore, ma neppure un alto funzionario nei tribunali dello Stato, benché nato da nobile famiglia della sua patria, educato in modo liberale e dotato di grande eloquenza.

Si dirà forse che in qualità di filosofo disprezzò di sua volontà questi onori? Oh, no!

Sappiamo invece che, essendo sacerdote d'una provincia, tenne in gran conto celebrare spettacoli, abbigliare quelli che combattevano con le fiere, promuovere un processo contro alcuni cittadini per una statua da innalzare in suo onore ad Oea, di cui era originaria la moglie.

Perché i posteri non ignorassero questo fatto, tramandò per iscritto il discorso pronunciato per la medesima causa.

Quel mago dunque fu ciò che poté essere per ottenere la felicità terrena; risulta chiaro quindi che egli non fu più grande, non perché non lo volle, ma perché non poté esserlo.

Del resto si difese con somma eloquenza anche contro alcuni che gli avevano mosso l'accusa di praticare le arti magiche.

Mi meraviglio quindi che i suoi elogiatori, che lo esaltano per aver operato con quelle arti non so quali miracoli, tentino poi di essere testimoni contro la sua difesa.

Ma se la vedano loro, se sono essi a fornire la testimonianza vera o se fu invece Apuleio a fare una falsa difesa.

Coloro che apprendono le arti magiche solo per la felicità terrena o per una biasimevole curiosità o che, senza praticarle, le lodano tuttavia con pericolosa ammirazione, considerino, se sono saggi, e comprendano come il nostro David, senza bisogno di simili arti, da pastore di pecore giunse alla dignità regale.

Eppure la Scrittura che è sincera, non passò sotto silenzio i peccati né i meriti di lui, perché conoscessimo i modi di non offendere Dio e una volta offeso placarlo.

4.20 - Nessun profeta o mago paragonabile a Cristo

Riguardo ai miracoli che appaiono meravigliosi ai sensi degli uomini, errano molto coloro che paragonano i maghi coi santi Profeti, che sono di gran lunga superiori per la celebrità dei grandi miracoli.

Quanto più sbagliano se li mettono a confronto con Cristo del quale i Profeti, con cui nessun mago affatto è da paragonare, preannunziarono la venuta sia secondo la natura umana, che prese dalla Vergine, sia secondo la divinità, che giammai si separa dal Padre.

Mi accorgo di avere scritto una lettera molto prolissa, senza aver detto tuttavia di Cristo tutto quello che in qualunque modo potesse bastare sia a quelli che non riescono a comprendere la realtà divina a causa dell'indole per così dire naturale, sia a quelli che, pur avendo un ingegno sveglio e acuto, sono impediti dal capire per la smania di litigare e per la prevenzione dell'errore inveterato.

Cerca tuttavia di conoscere le obiezioni che faranno alle mie spiegazioni e scrivimi di nuovo, perché io le possa ribattere tutte con l'aiuto di Dio, sia per mezzo di lettere che per mezzo di libri.

Sii felice in Dio per sua grazia e misericordia, signore esimio e meritatamente insigne, figlio carissimo e desideratissimo.

Indice

1 Ep. 136
2 Teren., Adel. 823-825
3 De spir. et litt. 15, 27
4 Ep. 135,2
5 Sallust., Catil. 9, 5; 52, 19
6 Cicer., Pro Q. Ligar. 12, 35
7 Cicer., De rep. 1, 39
8 Sallust., Catil. 6, 2
9 Cicer., De rep. 5, 8
10 Sallust., Iugurt. 35, 10
11 Sallust., Catil. 11, 6
12 Iuven., Sat. 6