Lettere |
Scritta alla fine del 415.
Agostino lieto delle notizie ricevute e dolente per le lettere spedite ma non recapitate a Paolino ( n. 1-2 ) risponde ai suoi quesiti tratti dai Salmi ( n. 3-10 ), da S. Paolo ( n. 11-30 ) e dal Vangelo ( n. 31-33 ) propostigli da Paolino nella precedente lettera 121: tra l'altro parla del mistero della salvezza ( n. 19 ), la cui unica via è Cristo ( n. 17 ), dei reprobi ( n. 18 ) e dei predestinati ( n. 21-22 ), della falsa umiltà ( n. 27-28 ).
Infine invia saluti all'amido e a un altro Paolino ( n. 34 ).
Agostino saluta nel Signore il beatissimo Paolino, venerabilmente amato e amabilmente venerato, santo e santamente carissimo fratello e collega nell'episcopato
Ringrazio anzitutto Iddio che conforta gli afflitti e consola gli umili ( 2 Cor 7,6 ) per averci presto rallegrato con l'arrivo tanto propizio di Quinto, nostro fratello e collega nel sacerdozio, e dei suoi compagni di traversata e ringrazio altresì la sincerità del tuo cuore mentre rispondo alla lettera della Santità tua che ce ne dava la notizia; rispondo approfittando dell'occasione, che proprio ora mi si è offerta del figlio nostro Rufino, nostro collega nel diaconato.
È partito difatti dal porto di Ippona.
Approvo il consiglio di misericordia, che il Signore ti ha ispirato e di cui hai cortesemente messo a parte anche me: lo favorisca e lo faccia riuscire bene Iddio, che già in gran parte ha alleviata la mia ansia col far giungere quel prete, di cui mi parli tanto bene e mi è carissimo, non solo per le sue buone opere, ma, anche per le tue sante preghiere.
Mi è giunta la lettera della tua Reverenza, nella quale mi poni molti quesiti e m'inviti a fare ricerche e, mentre chiedi il mio parere, mi dai degli insegnamenti.
Ma, come ho potuto costatare da questa tua ultima lettera, non è stata recapitata alla tua Reverenza quella che t'inviai senza indugio in risposta ai tuoi quesiti per mezzo di persone da cui viene la nostra santa consolazione.
Purtroppo non sono riuscito a ricordarmi in qual modo e in qual senso rispondevo con quella lettera ad alcuni tuoi quesiti e non ho potuto nemmeno rintracciarne la copia per fare un riscontro.
Sono tuttora sicurissimo di aver risposto ad alcuni quesiti, ma non a tutti, poiché la fretta del latore mi faceva pressione perché la terminassi presto.
Contemporaneamente t'avevo spedito anche, come mi chiedevi, la copia della lettera, che avevo scritta in risposta alla tua Carità e inviata a Cartagine, riguardo alla risurrezione dei corpi, in cui era venuta fuori la questione dell'uso che avremmo fatto delle membra.
Adesso quindi t'invio la copia di tale lettera e quella d'una altra lettera che presumo non sia giunta nelle tue mani neppure essa, dato che mi interroghi di nuovo su certi argomenti, a cui, leggendo, ricordo di aver già risposto allora.
Ma non so più per mezzo di chi te l'ho spedita.
Come lo attesta la medesima lettera, gli scritti della tua Carità, ai quali risposi con quella mia lettera, mi furono inviati da Ippona da parte dei nostri, quando mi trovavo presso il santo nostro fratello Bonifacio, collega nell'episcopato, ma non vidi il latore e risposi immediatamente per iscritto.
Allora, come ti scrissi, non avevo potuto consultare i manoscritti greci circa alcuni versetti del salmo decimo sesto: in seguito li trovai e li consultai.
Uno recava la lezione dei nostri manoscritti latini: Signore, mandali in rovina e disperdili dalla terra. ( Sal 17,14 )
Un altro recava la lezione concordante con la tua: " ( Separali ) dal piccolo numero della terra ".
Il senso della prima lezione è chiaro: " Sopprimili dalla terra, che tu hai loro data, e disperdili tra i pagani ".
Questo accadde loro, quando furono vinti e sterminati in una terribile guerra.
Non vedo invece in qual senso si debba intendere l'altra lezione, senonché, a paragone del gran numero ( degli Ebrei ) periti, si salvò solo una piccola parte dei restanti, precisamente in rapporto al pochi, dai quali la Sacra Scrittura preannunziò che dovevano essere spartiti, cioè divisi e separati, tutti gli altri, dicendo: Signore, a eccezione dei pochi, cioè del piccolo numero di coloro che hai risparmiati tra quella gente, disperdili dalla terra.
Per " terra " bisogna intendere la Chiesa e l'eredità dei fedeli e dei santi, la quale è chiamata anche terra dei viventi, ( Sal 27,13; Sal 142,6; Is 38,11; Is 53,8; Ger 11,19 ) la quale può essere indicata anche nel passo evangelico che dice: Beati i mansueti, poiché possederanno in eredità la terra. ( Mt 5,4 )
All'espressione: Separali ad eccezione dei pochi dalla terra fu aggiunto: nella loro vita, perché si capisse chiaramente che ciò sarebbe dovuto accadere durante la loro vita terrena.
Difatti molti vengono separati dalla Chiesa, ma solo quando muoiono; mentre invece vivono, sembrano uniti alla Chiesa per mezzo della comunione dei sacramenti e dell'unità cattolica.
Costoro dunque sono separati dal piccolo numero di coloro che credettero, dalla terra coltivata come un campo proprio dall'agricoltore che è il Padre; ( Gv 15,1 ) rimangono poi separati durante la loro vita, cioè quaggiù, come vediamo chiaramente.
Il versetto seguente del salmo dice: E dei tuoi segreti s'è riempito il loro ventre, cioè, oltre al fatto di rimanere separati notoriamente, il loro ventre s'è riempito anche delle tue segrete sentenze che tu pronunci alla occulta coscienza dei malvagi.
Per " ventre " il salmista volle indicare i segreti dei pensieri più interni e reconditi.
Ho già detto che cosa mi sembra voglia dire il versetto che segue: Si saziarono di carne porcina.
Ma la lezione degli altri manoscritti greci, ai quali si attribuisce una fedeltà più, aderente al testo originale, poiché gli esemplari più accurati, mediante il segno dell'accento proprio della scrittura greca, dissipano l'ambiguità d'una stessa parola greca, tale lezione - dico - è bensì piuttosto oscura, ma sembra meglio accordarsi con un senso preferibile.
Il Salmista aveva detto: Il loro ventre si è riempito dei tuoi segreti.
Con queste parole volle significare gli occulti disegni di Dio, poiché occultamente infelici, anche se godono nei mali, sono tutti coloro che Dio abbandona ai malvagi desideri del loro cuore. ( Rm 1,24 )
Come se si fosse chiesto al Salmista in qual modo si possano conoscere coloro, che occultamente sono pieni dell'ira di Dio, e avesse risposto con le parole scritte nel Vangelo: Li conoscerete dai loro frutti. ( Mt 7,16 )
Continuando poi: Si saziarono dei figli, cioè dei frutti o, per dirla più esplicitamente, delle loro opere.
Ecco perché in un altro passo si legge: Ecco, ha partorito l'ingiustizia, ha concepito il dolore e ha partorito l'iniquità, ( Sal 7,15 ) e in un altro passo: La concupiscenza poi, quando ha concepito, partorisce il peccato. ( Gc 1,15 )
I figli malvagi sono, dunque, le opere cattive, da cui si riconoscono anche coloro che, nell'intimo dei loro pensieri, come in un ventre, sono ripieni delle occulte sentenze di condanna pronunciate da Dio.
Le opere buone invece sono i figli buoni.
Parlando alla Chiesa, sua sposa, ( Cristo ) così dice: I tuoi denti sono come un gregge di pecore tosate che escono dal lavacro; tutte figliano i gemelli e fra esse non ce n'è neppure una sterile. ( Ct 4,2 )
Nei loro gemelli si deve riconoscere la duplice azione della carità, cioè, verso Dio Signore e verso il prossimo.
Questi due precetti compendiano tutta la Legge e i Profeti. ( Mt 22,40 )
Questo significato, che attribuisco ora alla frase: Si saziarono di figli, non mi era venuto alla mente nella prima risposta; ma riesaminai attentamente una brevissima esposizione del medesimo salmo, che avevo già dettata prima e mi accorsi di avere toccato questo punto appena di sfuggita.
Consultai anche le edizioni greche, per vedere se in esse la parola filiis fosse un dativo o un genitivo, usato in quella lingua invece dell'ablativo, e trovai che era genitivo; traducendo il termine alla lettera, si sarebbe scritto: Saturati sunt filiorum; ma il traduttore latino ne espresse bene il senso, e seguendo le regole della sua lingua, scrisse: Saturati sunt filiis.
Quanto alla frase che viene dopo: e lasciarono i resti ai loro piccoli, penso che per " piccoli " debbano intendersi evidentemente i figli della carne.
Perciò anche preferendo il termine filiis all'altro porcina, resta il medesimo senso dell'altra frase: Il sangue di costui sopra noi e sopra i nostri figli. ( Mt 27,25 )
In questo senso appunto gli empi lasciarono ai propri figli gli avanzi delle loro azioni inique.
Nella frase del salmo decimo quinto: Rese ( oppure: renda ) mirabili tutte le disposizioni della sua volontà in mezzo ad essi ( Sal 16,3 ), nulla impedisce di leggere in illis ( " in essi " ) invece che inter illos ( " in mezzo ad essi " ), anzi quest'ultima lezione sembra la più giusta.
Così appunto si legge nei manoscritti greci.
Ma spesso, quando in quella lingua ricorre in illis, i nostri traducono inter illos ogniqualvolta ciò sembra adattarsi al senso.
Possiamo dunque accogliere la lezione confermata da parecchi codici: A pro' dei santi che sono nella terra di Lui rese mirabili in essi tutte le disposizioni della sua volontà, e possiamo intendere volontà nel senso dei suoi doni di grazia, largiti gratuitamente, ossia non dovuti ma concessi di propria volontà.
Ecco perché sta scritto: Ci hai circondati quasi con lo scudo della tua benevolenza ( Sal 5,13 ) e: Mi hai guidato con la tua volontà; ( Sal 73,24 ) e: Ci generò volontariamente mediante la parola della verità; ( Gc 1,18 ) e: Tu, o Dio, riservi una pioggia volontaria per i tuoi eredi ( Sal 68,10 ); e: Dividendo a ciascuno i propri doni, come vuole. ( 1 Cor 12,11 )
E così innumerevoli altri simili passi.
In quali persone inoltre egli mostrò tutte le mirabili disposizioni della sua volontà, se non nei santi, che sono sulla sua terra?
Ora, se il termine " terra ", come ho mostrato più sopra, può essere preso in un senso non peggiorativo, anche quando non c'è l'aggiunta di eius, cioè " sua ", quanto più avrà questo senso quando è detto terra eius, cioè " la sua terra ".
Dio dunque mostrò mirabili tutte le disposizioni della sua volontà a loro riguardo, perché li liberò in modo miracoloso dalla disperazione.
Compreso di questa ammirazione l'Apostolo esclama: O profonda ricchezza della sapienza e della scienza di Dio! ( Rm 11,33 )
Egli poco prima aveva detto: Dio lasciò tutti nell'infedeltà, per usare misericordia con tutti. ( Rm 11,32 )
Lo stesso concetto esprime il salmo, dicendo: Si moltiplicarono le loro debolezze ( morali ); poi si affrettarono. ( Sal 16,4 )
Il Salmista usò il termine " debolezze " nel senso di " peccati ", come l'Apostolo chiama infermi gli empi, quando parla ai Romani: Se infatti è vero che Cristo è morto per gli empi, al momento fissato, mentre eravamo infermi. ( Rm 5,6 )
Poco dopo, ripetendo lo stesso pensiero, dice: Dio ci dà la prova più efficace del suo grande amore per noi, poiché, quando eravamo ancor peccatori, Cristo mori per noi; ( Rm 5,8 ) chiama qui peccatori quelli che prima aveva chiamato infermi.
Così pure, svolgendo il medesimo concetto con altre parole, soggiunge: Se noi, ch'eravamo nemici, ci siamo riconciliati con Dio, mediante la morte del Figlio suo. ( Rm 5,10 )
Perciò la frase: Si moltiplicarono le loro infermità va intesa come quest'altra: " Si moltiplicarono i loro peccati " Subentrò infatti la Legge, perché abbondasse il peccato; ma siccome dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia, ( Rm 5,20 ) perciò in seguito si affrettarono.
Cristo infatti non venne a chiamare i giusti, ma i peccatori: perché del medico hanno bisogno non i sani, ma i malati. ( Mt 9,12s; Lc 5,31 )
Ora le infermità di costoro s'erano moltiplicate al punto che, per risanarli, c'era bisogno della medicina di una grazia sovrabbondante e che amasse molto colui al quale si rimettono molti peccati. ( Lc 7,47 )
Ciò era simbolizzato ma non effettuato dalla cenere della vacca sacrificata, dall'aspersione del sangue e dal moltiplicarsi di vittime cruente.
Ecco perché il Salmista soggiunge: Non riunirò le loro assemblee ove si versa il sangue; ( Sal 16,4 ) cioè degli animali offerti in sacrificio che s'immolavano a prefigurare il sangue di Cristo.
Né ricorderò i loro nomi con le mie labbra, poiché i loro nomi erano sinonimi delle numerose infermità e cioè: fornicatori, idolatri, adulteri, effeminati, sodomiti, ladri, avari, rapaci, ubriaconi, detrattori, e tutti gli altri viziosi che non possederanno il regno di Dio. ( 1 Cor 6,9-10 )
Ma allorché, abbandonando il peccato, sovrabbondò la grazia, ( Rm 5,21 ) in seguito si affrettarono.
E tali erano certamente, ma vennero lavati, santificati e giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio. ( 1 Cor 6,11 )
Egli perciò non ricorderà i loro nomi con le sue labbra. ( Sal 16,4 )
I manoscritti più corretti e più autorevoli non recano la lezione voluntates suas ( "le sue disposizioni" ) bensì voluntates meas ( "le mie disposizioni" ) ch'è altrettanto valida, perché si parla in persona del Figlio.
È Lui in persona a parlare e Lui denotano evidentemente le parole che usano gli Apostoli: Non lascerai l'anima mia nell'inferno e non permetterai che il tuo Santo veda la corruzione. ( At 2,31; At 13,35 )
Perfettamente identici sono infatti i doni di grazia del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, e perciò il Figlio può dire giustissimamente: le disposizioni della propria volontà.
Quanto poi alla frase riguardante i Giudei che si trova nel Salmo 59: Non ucciderli, affinché non si dimentichino della tua Legge, ( Sal 59,12 ) mi pare che sia giusto intenderla come una profezia relativa a quel popolo, che cioè, sebbene vinto in guerra e distrutto, non avrebbe abbracciato le superstizioni del popolo vincitore, ma sarebbe rimasto fedele alla Legge antica, affinché in esso ci fosse la testimonianza delle Scritture Sacre in tutto il mondo, dovendo poi da esso nascere la Chiesa.
Con nessun documento più evidente di questo si mostra ai pagani un fatto che riesce sommamente più salutare mettere in risalto, che cioè non si tratta di un progetto inaspettato e improvviso dello spirito della presunzione umana, che il nome di Cristo goda di si grande autorità riguardo alla speranza dell'eterna salvezza, ma di un fatto preannunciato dalla S. Scrittura tanti secoli prima di Lui.
Infatti che cos'altro sarebbe giudicata la profezia medesima se non un'invenzione nostra, qualora non fosse comprovata dai libri dei nostri avversari?
Perciò sta scritto: Non ucciderli; vale a dire, non cancellare il nome di questo popolo, perché un giorno non dimentichino la tua Legge.
Ciò sarebbe accaduto senz'altro, se i Giudei, costretti a osservare in pieno i riti e i sacrifici dei pagani, non avessero potuto conservare neppure il nome della loro religione.
Quale prefigurazione di quel popolo è quel che afferma la Sacra Scrittura di Caino, che il Signore impresse su di lui un segno di riconoscimento, perché nessuno lo uccidesse. ( Gen 4,15 )
Infine, dopo aver detto: Non ucciderli, perché non dimentichino la tua Legge, come se chiedesse che cosa dovesse farsi di quella gente, perché non venisse uccisa, cioè venisse estinta e dimenticasse la Legge di Dio, affinché testimoniasse in qualche modo la verità, soggiunse: Disperdili con la tua potenza. ( Sal 59,12 )
Se, infatti, i Giudei fossero rimasti in un solo luogo della terra, non avrebbero giovato con la loro testimonianza alla predicazione del Vangelo, che porta i suoi frutti in tutto il mondo.
Ecco perché sta scritto: Disperdili con la tua potenza, acciocché siano testimoni di Colui del quale furono negatori, persecutori, uccisori, e lo siano per mezzo della Legge stessa, che non dimenticano, e nella quale è preannunziato Colui che essi non seguono.
Ma ad essi nulla giova il fatto di non dimenticare la Legge, poiché altro è avere nella memoria la Legge di Dio, altro è comprenderla e praticarla.
Mi chiedi poi il significato della frase che ricorre nel Sal 68: Ma Dio schiaccerà la testa dei suoi nemici, la cima dei capelli di coloro che camminano nei loro peccati. ( Sal 68,22 )
Mi sembra voglia dire semplicemente che Dio schiaccerà la testa dei suoi nemici, che troppo insuperbiscono e troppo si esaltano nei loro peccati.
Con un'iperbole volle indicare la superbia, che innalza la cresta, incede con tanta protervia da dare l'impressione di calpestare, camminando, la cima dei capelli.
Mi chiedi poi spiegazione delle parole scritte nel medesimo salmo: La lingua dei cani i quali per opera di Lui diventano tuoi da nemici che erano. ( Sal 68,24 )
Non sempre i cani vanno intesi in senso cattivo, altrimenti non verrebbero biasimati dal profeta Isaia i cani muti, che non sanno abbaiare e hanno voglia di sonnecchiare; ( Is 56,10 ) sarebbero certo cani degni di lode, se sapessero abbaiare e avessero voglia di far la guardia.
E certo quei trecento, numero di profondo senso mistico per la lettera della croce, che bevvero l'acqua lambendola come cani, ( Gdc 7,7 ) non sarebbero stati scelti per conseguire la vittoria, se non fossero stati il simbolo di qualcosa di grande.
I buoni cani vegliano e abbaiano a difesa della casa e del padrone, del gregge e del pastore.
Infine anche nel nostro salmo, fra le lodi della Chiesa, espresse in forma profetica, è ricordata la lingua dei cani, ma non si parla di denti.
Il salmista, dunque, dice: Dei cani tuoi da nemici, cioè che da nemici diventano cani tuoi e abbaiano per te, mentre prima incrudelivano contro di te.
Aggiunse poi: per opera di Lui, affinché essi intendessero che questo non era accaduto per merito loro, ma per opera di Lui, cioè per sua misericordia e grazia.
Riguardo ai profeti di cui parla l'Apostolo ove dice: Dio ha costituito alcuni come apostoli, altri come profeti nella Chiesa; ( Ef 4,11 ) intendo, come tu stesso hai scritto, che sono stati chiamati profeti in questo passo quelli, nel numero dei quali era Agabo, ( At 11,27s ) non quelli che predissero la venuta del Signore in carne.
Troviamo poi tra gli evangelisti alcuni come Luca e Marco che non si legge fossero Apostoli.
Quanto inoltre, ai pastori e dottori, che hai voluto che distinguessi in particolar modo io penso che siano le medesime persone, come è parso anche a te, sicché non c'è bisogno d'intendere alcuni come pastori e altri come dottori.
L'Apostolo, dopo aver parlato di " pastori ", aggiunse " dottori ", per far capire ai pastori che era loro dovere l'insegnare.
Non disse perciò: Alcuni costituì quali pastori, altri quali dottori, come aveva distinto le precedenti categorie di persone, con lo stesso modo di esprimersi: Alcuni apostoli, altri invece profeti, altri poi evangelisti, ma con due termini abbracciò un unico e medesimo ufficio: altri poi pastori e dottori.
Assai difficile a distinguersi è il senso dei termini, usati dall'Apostolo, nella Lettera a Timoteo: Ti scongiuro dunque innanzitutto che si facciano suppliche, preghiere, istanze e ringraziamenti. ( 1 Tm 2,1 )
La distinzione dev'essere fatta tenendo presente la lingua greca, poiché non si trova quasi alcuno dei nostri traduttori che si sia preoccupato di tradurli in latino con diligenza e perizia.
Ecco infatti come li hai resi tu stesso: Obsecro fieri obsecrationes, mentre l'Apostolo, che scrisse l'epistola in greco, non usò per i due concetti lo stesso verbo.
Al posto del verbo latino obsecro ( "scongiuro" ), egli disse in greco: παρααλώ ( "raccomando" ).
Al posto di obsecrationes, come ha il vostro traduttore latino, l'Apostolo usò δεήσεις ( "suppliche" ).
Per di più, altri manoscritti, fra i quali i nostri, hanno deprecationes e non obsecrationes.
Le tre parole che seguono: orationes, interpellationes, gratiarum actiones, si trovano nella maggior parte dei manoscritti latini.
Se quindi volessimo distinguere questi termini secondo la proprietà della lingua latina parlata, forse manterremmo un senso nostro o qualsiasi altro: ma sarebbe un miracolo, se riuscissimo a mantenere il senso espresso dalla lingua greca o dall'uso corrente di quella lingua.
Molti dei nostri credono che precatio e deprecatio significhino la medesima cosa e una tale opinione è ormai prevalsa, senz'altro, nell'uso quotidiano.
Ma coloro, che parlavano con maggiore precisione il latino, usavano la parola precatio per desiderare dei beni, deprecatio invece per evitare dei mali.
Dicevano che precari voleva dire " desiderare pregando ( precando ) dei beni ", mentre imprecari ( ossia " desiderare " ) il male equivaleva a ciò che si dice volgarmente " maledire, deprecari invece voleva dire " allontanare i mali pregando ".
Ma continuiamo ormai a seguire l'uso del parlare abituale e, sia che troviamo precationes, sia deprecationes, che i Greci dicono δεήσεις, non preoccupiamoci di correggere.
Quanto al termine orationes con cui vien tradotto il greco προσευχάς assolutamente difficile distinguerlo dai termini latini preces e precationes.
Alcuni manoscritti, invece di orationes hanno adorationes, perché in greco non è detto εύχάς ma προσευχάς.
Non credo che tale traduzione sia esatta, poiché è risaputo che per dire orationes i Greci usano il termine προσευχάς.
In effetti altro è pregare, altro adorare.
Non è questo il verbo che si usa in greco, ma un altro, nella frase: Adorerai il Signore Dio tuo ( Mt 4,10 ) e: mi prostrerò in adorazione presso il tuo santo tempio, ( Sal 5,8 ) e in altre frasi somiglianti.
In luogo di interpellationes, che hanno i nostri esemplari, tu hai scritto postulationes, conforme - suppongo - ai vostri manoscritti.
Con due diversi termini tradussero i nostri l'unico termine greco έντεύξεις alcuni cioè tradussero postulationes, altri interpellationes.
Naturalmente tu sai bene che una cosa è interpellare, un'altra postulare.
Noi infatti non siamo soliti dire: Postulant interpellaturi, ( " fanno un'istanza per interpellare " ), ma interpellant postulaturi, cioè " interpellano per fare un'istanza ".
Tuttavia un termine usato nel senso di un altro affine, il cui senso è reso chiaro per così dire da quello affine, non è da bollare come un errore.
Dello stesso nostro Signore Gesù Cristo è detto che intercede per noi: ( Rm 8,34; Eb 7,25 ) forse che intercede senza anche domandare?
Anzi, proprio perché domanda, è detto che intercede.
In un altro passo è detto di Lui chiaramente: Se qualcuno ha peccato, abbiamo come difensore, presso il Padre, Gesù Cristo, il Giusto, ed Egli è l'intercessore per i nostri peccati. ( 1 Gv 2,1s )
Può darsi che anche in questo passo, che riguarda il Signore Gesù Cristo, i vostri manoscritti non abbiano interpellat (" intercede " ), ma postulat pro nobis ( " domanda per noi " ).
Nel testo greco infatti il termine corrispondente a interpellationes (" istanze ") e che tu hai tradotto con postulationes ( " domande " ) è il medesimo usato nel passo della Scrittura che dice: intercede per noi.
Siccome quindi chi supplica, prega e chi prega, supplica e chi interpella Dio, lo fa per pregarlo e supplicarlo, che cosa significa questa distinzione fatta dall'Apostolo e che noi non dobbiamo trascurare?
Lasciando da parte il significato generico e l'uso ordinario di parlare, secondo il quale sia che si dica precatio, sia oratio, sia interpellatio, sia postulatio, s'intende sempre la stessa e unica cosa, cioè la preghiera, bisogna tuttavia ricercare il significato proprio e particolare di ciascuno di questi termini ma è difficile trovarne uno chiaro e preciso, poiché in questo campo si possono fare molte affermazioni criticabili.
Orbene, io preferisco dare a questi vocaboli il significato che è solita dare tutta o quasi tutta la Chiesa, intendendo per precationes le preghiere, che recitiamo nella celebrazione dei sacri misteri, prima d'iniziare a benedire le oblate poste sulla mensa del Signore; per orationes le preghiere che recitiamo, quando si benedicono e si consacrano, e si spezzano per distribuirle ai fedeli: questa preghiera è conclusa da quasi tutta la Chiesa con l'orazione del Signore.
A intendere così, ci aiuta anche l'etimologia della parola greca.
Difatti raramente la Sacra Scrittura usa la parola εύχήν per indicare orationem, ma per lo più, anzi, più frequentemente chiama εύχήν il votum ( voto, supplica, preghiera ) e chiama sempre orationem ( orazione ), la parola greca προσευχήν di cui ci stiamo, occupando.
Alcuni, come ho già detto poco prima, comprendendo meno bene l'etimologia della parola, vollero tradurre il termine προσευχήν con adorationem, anziché con orationem: ma adoratio corrisponde piuttosto al termine greco προσχύνησις.
Siccome però oratio si dice talvolta εύχή, hanno pensato che προσευχήν fosse adoratio.
Inoltre se, come ho detto, nelle Sacre Scritture εύχή si traduce più frequentemente con votum, lasciando da parte il termine generico di preghiera, per orazione dobbiamo intendere in senso proprio quella che formuliamo per un voto, cioè πρόσ εύχήν.
Orbene, si fa voto a Dio di tutto ciò che gli si offre, soprattutto l'offerta del santo altare, col quale mistero si designa il nostro massimo voto, per cui ci consacriamo a rimanere in Cristo, cioè nell'unità del corpo di Cristo.
Il significato segreto e profondo di questa realtà divina è che essendo il pane uno solo, noi, benché siamo molti, formiamo un unico corpo. ( 1 Cor 10,17 )
Penso quindi che nella preparazione di questo rito sacro l'Apostolo esortasse, precisamente a fare delle προσευχάς cioè delle orazioni o adorazioni, come traducono alcuni meno bene poiché quel termine vuol dire preparazione al voto, il quale nella Scrittura si chiama più frequentemente εύχή.
Le interpellationes o, come recano i vostri manoscritti, postulationes, hanno luogo quando si benedice il popolo: allora infatti i vescovi, come avvocati difensori, presentano alla onnipotente misericordia di Dio i loro protetti con l'imposizione della mano.
Terminato questo, rito con la partecipazione dei fedeli all'Eucaristia, il rito sacro della Messa si conclude col rendimento di grazie, messo in risalto come ultimo atto dall'Apostolo anche in questi termini.
Il motivo principale, per cui l'Apostolo disse queste cose fu quello che, dopo aver indicato assai brevemente queste specie di preghiera, non, si pensasse che fosse da trascurare quanto dice subito dopo: di pregare cioè per tutti gli uomini, per i re e per le autorità costituite, affinché trascorriamo una vita pacifica e tranquilla, con tutta pietà e carità. ( 1 Tm 2,1 )
Volle che nessuno pensasse, data la debolezza del pensiero umano, che non si dovesse pregare per coloro dai quali la Chiesa soffriva persecuzione, dato che le membra di Cristo si dovevano raccogliere tra gente d'ogni razza.
Ecco perché subito dopo afferma: La pratica ( di pregare così ) è buona e gradita a Dio, Salvatore nostro, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla piena conoscenza della verità. ( 1 Tm 2,3 )
E perché nessuno dicesse che per salvarsi bastasse una condotta buona e prestare il culto all'unico e onnipotente Dio senza la partecipazione al corpo e al sangue di Cristo: C'è un sol Dio, aggiunse, e un solo mediatore fra Dio e gli uomini, cioè l'uomo Gesù Cristo.
L'Apostolo parla così per far capire che l'altra sua affermazione: Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi non si attua in nessun altro modo se non per mezzo del Mediatore Gesù Cristo, non in quanto Dio e nello stesso tempo Verbo eterno, ma in quanto uomo, poiché il Verbo si fece carne e abitò in mezzo a noi. ( Gv 1,14 )
Non t'impressioni ciò che lo stesso Apostolo dice dei Giudei: Riguardo al Vangelo, sono bensì nemici per motivo di voi ma, per quanto concerne l'elezione ( alla grazia ), sono amati per motivo dei loro antenati. ( Rm 11,28 )
Poiché la profondità dei tesori della sapienza e scienza di Dio, i suoi imperscrutabili disegni e il suo incomprensibile modo d'agire, ( Rm 11,33 ) generano grande stupore nei cuori dei fedeli che non dubitano della sapienza di Dio, la quale si estende da un estremo all'altro, con fortezza, e dispone con soavità tutte le cose, ( Sap 8,1 ) ma non sanno spiegarsi perché a Lui piaccia di far nascere, crescere, moltiplicarsi coloro che Egli, pur non avendoli creati cattivi, sapeva che sarebbero diventati cattivi.
Troppo profonde e nascoste sono le sue disposizioni con cui fa servire al bene anche i malvagi a vantaggio dei buoni, facendo risplendere anche in ciò l'onnipotenza della sua bontà.
Come è proprio della malvagità dei cattivi fare cattivo uso delle buone opere di Dio, così è proprio della sapienza di Dio fare buon uso delle cattive opere dei malvagi.
Ecco in qual modo l'Apostolo mette in rilievo la profondità di questo piano misterioso : Non voglio, o fratelli, che ignoriate questa disposizione misteriosa di Dio affinché non siate sapienti ai vostri occhi, poiché in Israele solo parzialmente si è prodotto un accecamento che durerà finché non sarà entrata nel Vangelo la totalità dei pagani e così tutto Israele sarà salvato. ( Rm 11,25 )
Dice: parzialmente, perché non tutti rimasero ciechi alla verità: c'erano fra di loro alcuni che credettero in Cristo.
Entra poi ( nel Vangelo ) la totalità dei pagani, formata da quanti furono chiamati secondo l'arcana disposizione di Dio e così sarà salvo tutto Israele, perché dei Giudei e dei pagani, che furono chiamati secondo l'arcano disegno divino, ( Rm 8,28 ) si forma il vero Israele, di cui lo stesso Apostolo dice: La pace sarà anche sopra l'Israele di Dio. ( Gal 6,16 )
Gli altri Israeliti li chiama Israele secondo la carne: Guardate - dice - l'Israele secondo la carne. ( 1 Cor 10,18 )
Paolo inserisce poi la testimonianza del Profeta: Verrà da Sion chi rimuoverà e stornerà da Giacobbe l'empietà: e questo è il patto che farò con loro, quando cancellerò i loro peccati. ( Rm 11,26s; Is 59,20 )
Non di tutti i Giudei - s'intende - ma degli eletti.
Paolo prosegue poi con le parole, che hai sottoposte al mio giudizio: Riguardo poi al Vangelo essi sono motivo di voi.
Il prezzo della nostra redenzione è il sangue di Cristo, che certo non poté essere ucciso se non dai suoi nemici.
Ecco qui l'uso che Dio fa dei malvagi a vantaggio dei buoni.
Con l'aggiungere: Ma riguardo all'elezione sono amati a causa dei loro padri, Paolo fa vedere che sono amati non come nemici, ma come eletti.
Le Sacre Scritture hanno l'abitudine di parlare della parte come se si trattasse del tutto.
Così, al principio della sua lettera ai Corinti, li loda come se degni di lode fossero tutti, mentre lo erano solo alcuni.
Più avanti, in alcuni passi della medesima lettera, li rimprovera come se fossero tutti colpevoli, a causa di alcuni che erano tali.
Chiunque considera attentamente quest'abitudine delle Sacre Scritture, che ricorre assai spesso nella raccolta delle lettere di S. Paolo, n'esce a spiegare molte apparenti contraddizioni.
Paolo, dunque, chiama alcuni nemici, altri amici: ma siccome formavano un solo popolo, si ha l'impressione, che li chiami tutti con lo stesso appellativo.
D'altronde molti degli stessi nemici, che, crocifissero il Signore, si convertirono e apparvero eletti.
Riguardo all'inizio della salvezza, essi furono eletti, quando si convertirono, ma riguardo alla prescienza di Dio, non furono eletti allora, bensì prima ancora della creazione del mondo, ( Ef 1,4 ) come dice lo stesso Apostolo.
Così per due motivi diversi sono nemici ed amici di Dio: sia perché gli uni e gli altri appartenevano allo stesso popolo, sia perché dei nemici che incrudelirono sino a macchiarsi del sangue di Cristo, alcuni erano diventati amici, secondo l'elezione, che era nascosta nella prescienza di Dio, L'Apostolo aggiunse: a causa dei loro padri, perché bisognava che si adempisse la promessa fatta ai Patriarchi, come dice espressamente alla fine della lettera ai Romani: Io affermo che, Cristo si è fatto ministro dei, circoncisi per dimostrare la veracità di Dio, per confermare le promesse fatte ai Patriarchi, mentre i Pagani devono dar gloria a Dio per la sua misericordia usata verso di loro. ( Rm 15,8-9 )
Secondo questa misericordia, disse: Nemici per motivo di voi, come aveva detto anche sopra: Dal loro peccato è derivata la salvezza per i pagani.
Dopo aver detto: Secondo l'elezione alla fede, sono amati per amore dei loro padri, Paolo aggiunse: Poiché i doni e la vocazione di Dio non vanno soggetti a pentimento.
Da queste parole tu comprendi che sono indicati coloro che appartengono al numero dei predestinati.
Di essi l'Apostolo in, un altro passo dice: Sappiamo che per quelli che amano Dio ogni cosa cospira a buon esito, per quelli cioè che sono stati chiamati alla salvezza secondo il suo disegno. ( Rm 8,28 )
Poiché molti sono chiamati, ma pochi eletti. ( Mt 22,14 )
Gli eletti però sono quelli chiamati secondo il disegno divino, e nei riguardi di essi non può affatto ingannarsi la prescienza di Dio: Coloro infatti che Dio ha preconosciuti e predestinati, li ha voluti pure conformi all'immagine del Figlio suo, affinché Egli sia come il primogenito tra molti fratelli.
Quelli poi che li ha predestinati, li ha pure chiamati. ( Rm 8,28s )
Ecco la vocazione secondo il disegno divino che quindi non ammette pentimento.
Quelli che ha chiamati, li ha pure giustificati: e quelli che ha giustificati, li ha pure glorificati.
Se Dio è per noi, chi mai sarà contro di noi? ( Rm 8,30s )
Non sono compresi in questa vocazione coloro che, pur vivendo un po' di tempo nella fede, la quale opera per mezzo della carità, ( Gal 5,6 ) non vi perseverano sino alla fine.
Certo potrebbero essere strappati da questa vita, perché la malizia non guastasse il loro modo di pensare, ( Sap 4,11 ) se facessero parte di quella predestinazione e vocazione ad essi offerta conforme al disegno divino e non soggetta a pentimento.
Ma nessuno giudichi con tanta presunzione i segreti pensieri degli altri da affermare: Non furono tolti da questa vita prima di diventare apostati dalla fede ' perché in questa vita non si comportarono secondo i precetti della fede e Dio ben lo leggeva nei loro cuori, benché agli uomini sembrasse diversamente.
Che cosa un tal presuntuoso dovrebbe infatti dire dei bambini appena nati che, per la maggior parte, se partissero subito da questa vita dopo aver ricevuto in quella tenera età il sacramento della grazia, senza dubbio apparterrebbero alla vita eterna e al regno dei cieli, mentre Dio li lascia crescere e alcuni diventano perfino apostati?
Perché avviene ciò, se non perché non appartengono alla predestinazione e alla vocazione, conforme alla libera decisione di Dio, giammai soggetta a pentimento da parte sua?
Il motivo poi per cui alcuni vi appartengano, altri no, può essere occulto, ma non può essere ingiusto.
Ci può essere forse ingiustizia in Dio? No, assolutamente! ( Rm 9,14 )
Anche ciò fa parte di quella profondità di decisioni, a considerar la quale l'Apostolo rimase stupito e quasi spaventato.
Egli chiama giudizi le decisioni di Dio, perché non si creda che siano effetto dell'iniquità o della temerità del loro autore o perché qualche cosa accada per caso e senza un disegno prestabilito nel corso dei secoli che Dio ha disposti con somma sapienza.
Ancora non comprendo neppure io del tutto chiaramente il significato dell'espressione che è nell'epistola ai Colossesi: Nessuno vi tragga in inganno con falsa umiltà ( Col 2,18 ) con tutto il resto che, a quanto dici, ti risulta oscuro.
Oh se me lo avessi domandato a viva voce!
Poiché, per esprimere il giusto senso, che mi pare di scorgere in queste parole, bisognerebbe dare un'espressione particolare al volto e un tono speciale alla voce, che non può esprimersi per iscritto, perché risulti chiaro almeno in parte.
Il senso diventa ancor più oscuro, poiché, a mio giudizio, non è pronunziato esattamente.
In realtà quando si legge scritto: Non prendete, non mangiate, non toccate, ( Col 2,21 ) si considera come un precetto dell'Apostolo, che proibirebbe di prendere, mangiare, toccare non so che cosa.
Invece è il contrario, se pure, in tanta oscurità, non m'inganno.
Paolo usò ironicamente queste espressioni di coloro, dai quali non voleva che fossero ingannati e sedotti coloro i quali, distinguendo i cibi secondo un superstizioso culto degli angeli e giudicando di questo mondo, anche in base a tali superstizioni, dicono: Non prendete, non mangiate, non toccate, mentre al contrario ogni cosa è pura per i puri di cuore, ( Tt 1,15 ) e ogni cosa creata da Dio è buona; ( 1 Tm 4,4 ) come spiega chiaramente lo stesso Apostolo in un altro passo. ( Rm 14,20 )
Esaminiamo dunque tutto il contesto della frase: così, dopo avere capito a fondo l'intenzione dell'Apostolo, riusciremo forse a coglierne, per quanto ci è possibile, il senso.
Orbene, Paolo temeva che i destinatari della sua lettera fossero ingannati dalle ombre delle cose sotto l'allettante pretesto della scienza e allontanati dalla luce della verità, che risiede in Gesù Cristo nostro Signore.
Capiva bene che i fedeli dovevano guardarsi, sotto il nome capzioso di saggezza o di scienza, dalla preoccupazione di vane e superflue osservanze, dalle superstizioni dei pagani, soprattutto da quelli chiamati filosofi e dal Giudaismo, dove c'erano da rimuovere le cose ch'erano figure simboliche delle cose future, poiché era già venuta la luce che le spiegava, cioè Cristo.
Dopo aver ricordato e messo in rilievo tutte le lotte che doveva soffrire per essi, per i Cristiani di Laodicea e per quanti non lo avevano conosciuto di persona, affinché si consolassero nel cuore, uniti nell'amore e in tutti i tesori della completa intelligenza per conoscere il mistero di Dio, che è Cristo, in cui sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza, ( Col 2,1-3 ) li esortò a questo modo: Questo poi io lo dico, perché nessuno v'inganni con discorsi, che hanno l'apparenza di verità. ( Col 2,4 )
Poiché essi erano mossi dall'amore della verità, Paolo aveva paura che si lasciassero ingannare dall'apparenza della verità.
Raccomandò quindi il tesoro dolcissimo che avevano in Cristo, quello cioè della sapienza e della scienza, dal nome e dalla promessa del quale potevano essere indotti in errore.
Poiché anche se io sono assente col corpo - dice l'Apostolo - con lo spirito sono in mezzo a voi rallegrandomi nel costatare la vostra disciplina e ciò che manca alla vostra fede in Dio. ( Col 2,5 )
Era in apprensione per essi, perché vedeva ciò che ad essi ancora mancava.
Come dunque, continua a dire, avete ricevuto Gesù Cristo nostro Signore, camminate uniti a Lui, ben radicati in Lui ed edificati su di Lui, consolidati nella fede, che v'è stata insegnata, abbondando in ringraziamenti. ( Col 2,6 )
Vuole che si nutrano di fede, per essere capaci di partecipare ai tesori di sapienza e di scienza che sono nascosti in Cristo, per timore che, prima di acquistare tale capacità, siano abbindolati da discorsi che hanno l'apparenza della verità e possano cosi sviarsi dal sentiero della verità.
Manifestando quindi più chiaramente quali pericoli tema per loro, prosegue: Badate che nessuno vi accalappi con la sua filosofia vana e ingannatrice, fondata sulla dottrina degli uomini e sui principi elementari del mondo e non sulla dottrina di Cristo: poiché in Lui abita corporalmente tutta la divinità. ( Col 2,8-9 )
Disse corporalmente, perché i seduttori ingannavano mediante vane apparenze; usò un termine traslato, come anche il termine ombra riguardo a questi concetti non è certo appropriato, ma usato metaforicamente per un rapporto di somiglianza.
E siete stati riempiti in Lui, continua Paolo, che è il Capo di ogni Principato e di ogni Potestà. ( Col 2,10 )
La superstizione dei Pagani o i filosofi seducevano mediante i " principati e le Potestà ", predicando quella ch'essi chiamano teologia, basata sui principi elementari del mondo.
Paolo volle che si capisse che Cristo è il Capo e il principio di tutte le cose.
Cristo stesso, quando gli fu chiesto: Chi sei tu? rispose: Sono il principio, che parlo anche a voi. ( Gv 8,25 )
Poiché ogni cosa è stata fatta per mezzo di Lui e senza di Lui nulla è stato fatto. ( Gv 1,3 )
In modo sorprendente l'Apostolo vuole far disprezzare ai Colossesi tutte quelle pretese meraviglie, mostrando che essi formano il corpo del Capo, che è Cristo, col dire: E siete ripieni ( di sapienza ) per mezzo di Lui, che è il Capo di tutti i Principati e di tutte le Potestà.
Affinché poi non siano ingannati dalle prefigurazioni simboliche del Giudaismo, Paolo soggiunge: In Lui siete stati anche circoncisi, non con la circoncisione fatta da mano di uomo, con l'asportazione di ( una parte del ) corpo fisico, o come dicono altri manoscritti con l'asportazione dal corpo dei peccati carnali, ma con la circoncisione di Cristo: siete stati sepolti con Lui nel battesimo, in virtù del quale siete anche risuscitati per mezzo della fede nella potenza di Dio, che ha risuscitato Lui dai morti. ( Col 2,12 )
Vedi come anche qui l'Apostolo mostra che essi sono il corpo di Cristo, affinché disprezzino le erronee pratiche del mondo, unendosi al loro Capo tanto potente, Gesù Cristo, mediatore fra Dio e gli uomini, senza cercare nessun falso e impotente intermediario, per unirsi a Dio.
Voi poi, - soggiunge Paolo - che eravate morti nei peccati e nel prepuzio della vostra carne ( chiama prepuzio ciò di cui esso è simbolo, cioè i peccati carnali, di cui ci dobbiamo spogliare ).
Egli - dice - vi ha richiamati in vita con lui, perdonandovi tutti i peccati, annullando il decreto di condanna firmato contro di noi; ( Col 2,14 ) giacché a rendere colpevoli era la Legge, subentrata, perché abbondasse il peccato.
Egli, dice Paolo, ha cancellato questo decreto e lo ha inchiodato sulla croce: spogliandosi della sua carne, ha mostrato col suo esempio come si vincono i Principati e le Potestà, trionfando di essi in sé medesimo, con piena libertà. ( Col 2,15 )
Non diede certo l'esempio per vincere i principati buoni, ma i cattivi, e così pure le cattive potestà, cioè quelle diaboliche e demoniache; insomma Cristo diede ai suoi seguaci l'esempio che, come egli si spogliò della carne, così dovevano anch'essi spogliarsi dei vizi carnali, per cui i demoni avevano potere su di loro.
Considera adesso attentamente quale conclusione tragga Paolo dal suo ragionamento per cui abbiamo ricordato tutto il relativo contesto.
Nessuno, dice, vi condanni dunque quanto al cibo; ( Col 2,16 ) come se avesse fatto tutto quel discorso poiché, con tali pratiche superstiziose essi erano sviati dalla verità, dalla quale venivano resi liberi della quale nel Vangelo è detto: La verità vi libererà; ( Gv 8,32 ) cioè " vi renderà liberi ".
Nessuno, dunque, vi condanni riguardo al mangiare e al bere o a motivo di feste, di noviluni o di sabati, poiché queste cose non sono che l'ombra di quelle future. ( Col 2,16-17 )
Queste parole furono dette per causa del Giudaismo.
Per causa delle superstizioni dei Pagani soggiunge poi: Nessuno v'inganni, poiché siete il corpo di Cristo; è vergognoso - afferma in altre parole - assolutamente assurdo e contrario alla nobiltà della vostra libera condizione che, essendo corpo di Cristo, siate sedotti da ombre, e diate l'impressione di lasciarvi condannare come peccatori, qualora trascuriate di osservare simili pratiche.
Essendo dunque corpo di Cristo, nessuno vi condanni facendo finta d'essere umile di cuore. ( Col 2,17-18 )
Se si esprimesse questo concetto con parola greca, sonerebbe anche più familiare alla lingua latina parlata dal popolo.
Così per esempio se uno vuol darsi l'aria d'essere ricco, si chiama volgarmente thelodives; chi si dà l'aria d'essere sapiente, thelosapiens, e via di seguito: così anche nel caso nostro thelohumilis, che nella forma più corretta suona thelon humilis, cioè " che vuole, affetta d'essere umile", si spiega così che vuole apparire umile, che finge umiltà.
Con siffatte pratiche si pretende rendere umile il cuore dell'uomo, come se rappresentassero la vera religione.
Aggiunse poi anche: il culto degli Angeli, o, come recano i vostri manoscritti la religione degli Angeli, che in greco si dice θρησχεία.
Con la parola "Angeli" vuole indicare i Principati, venerati come dominatori degli elementi del mondo, che essi credono doveroso onorare con tali pratiche superstiziose.
Nessuno dunque, facendo finta d'essere umile di cuore, dice l'Apostolo, poiché siete il corpo di Cristo, v'inganni col culto degli Angeli, cercando d'inculcare ciò che non vide, o come dicono alcuni manoscritti, ciò che vide.
Può darsi anche che Paolo volle dire inculcando ciò che non vide, perché gli uomini compiono queste pratiche mossi da congetture e da supposizioni, non perché abbiano la convinzione che si debbano osservare in quel dato modo; oppure disse senz'altro inculcando le cose che vide, cioè tenendole in grande stima, perché le vide praticate in alcuni luoghi da persone alla cui autorità prestava fede anche senza motivi ragionevoli e perciò si crede importante perché ebbe occasione d'assistere ai riti arcani di certi culti.
Ma il senso più completo è il seguente: inculcando ciò che non vide, vanamente tronfio della sua mentalità carnale.
È sorprendente come chiami: tronfio dei suoi pensieri carnali colui che poco prima aveva chiamato " theloumile ( che affetta d'essere umile ) "; ma riguardo all'animo umano succede in modo strano che si gonfi più per falsa umiltà che per superbia, la quale si manifesta apertamente.
Non attenendosi al Capo, - soggiunge Paolo - cioè al Cristo, dal quale tutto il corpo, compatto e connesso ( con le membra ), ricevendo sostentamento e coesione, cresce fino allo sviluppo voluto da Dio.
Se siete dunque morti con Cristo agli elementi di questo mondo, perché mai giudicate come se ancora viveste secondo lo spirito del mondo? ( Col 2,19-20 )
Detto ciò, Paolo introduce le espressioni di coloro che, giudicano di questo mondo in base a queste futili pratiche, che paiono ragionevoli, gonfi d'affettata e falsa umiltà: Non prendete, non mangiate, non toccate. ( Col 2,21 )
Per intendere questi precetti dobbiamo ricordare quanto esposto più sopra. Paolo non vuole che i Cristiani siano giudicati riguardo a queste vane prescrizioni formulate con le parole: Non prendete, non mangiate, non toccate; poiché tutte queste cose, egli soggiunge, sono destinate a corrompersi con l'uso che se ne fa. ( Col 2,22 )
Egli intende dire che tutte queste cose servono più alla corruzione, quando uno se ne astiene per superstizione, di modo che ne fa un cattivo uso, cioè non ne usa secondo i precetti e le dottrine degli uomini.
Ciò è chiaro, ma tu insisti, perché ti spieghi il seguito del passo: Queste pratiche sembrano bensì apparenza di saggezza nella osservanza, nella umiltà di cuore e nella mortificazione del corpo o, secondo la tradizione di altri, nel non indulgere nel corpo, nel non dargli alcun onore, nel saziare gli appetiti carnali.
Tu mi chiedi: " Perché mai Paolo dice che queste pratiche hanno un'apparenza di sapienza, se poi le biasima tanto? ".
Ti risponderò con una osservazione che potresti costatare da te stesso nelle Scritture: spesso la sapienza è riposta nelle cattedre di questo mondo e la Scrittura la chiama più esplicitamente " sapienza di questo mondo ".
Non deve impressionarti il fatto che l'Apostolo, parlando della sapienza, non ha aggiunto la specificazione " di questo mondo ", poiché non l'ha aggiunta neppure in un altro passo ove esclama: Dov'è il sapiente? Dov'è lo scriba? ( 1 Cor 1,20 ) ma si capisce facilmente.
Lo stesso dicasi di codesta "apparenza di Saggezza".
Da costoro difatti, a proposito di queste pratiche superstiziose, non si dice nulla che non abbia una certa apparenza di dimostrazione razionale e sapiente dei principi costitutivi di questo mondo.
Infatti quando Paolo dice: Badate che nessuno vi abbindoli per mezzo della filosofia, non aggiunge " di questo mondo ".
Che cos'è la filosofia, in lingua latina, se non studium sapientiae ( " amore della sapienza " )?
Queste prescrizioni, conclude Paolo, hanno una certa relazione con la sapienza, vale a dire che se ne può dare una spiegazione secondo i principi costitutivi di questo mondo, secondo i principati e le potestà.
Con le pratiche superstiziose e con affettata umiltà; l'effetto di queste pratiche è quello di umiliare il cuore col vizio della superstizione.
Con l'usare severità verso il corpo, in quanto lo si priva di quei cibi, da cui è costretto ad astenersi.
Non sono affatto, d'onore nel saziare, l'appetito carnale: perché il corpo non si sazia più onoratamente con questo o con quel cibo, dato che alla sua necessità basta che sia rifocillato e sostenuto con qualsiasi cibo adatto alla salute.
Suole creare difficoltà a molte persone un passo oscuro del Vangelo su cui mi consulti e cioè: come mai il Signore, dopo la risurrezione, essendo risuscitato col medesimo corpo, delle persone di ambo i sessi che lo avevano conosciuto, alcune lo riconobbero ed altre no?
Il primo quesito che suole discutersi a tal proposito è se si verificò nel corpo del Signore o meglio negli occhi di quelle persone un cambiamento che impedisse di riconoscerlo.
Quando, infatti Il Vangelo dice: I loro occhi erano impediti dal riconoscerlo, ( Lc 24,16 ) sembra indicare che - negli occhi di coloro che lo guardavano si fosse prodotto qualcosa che impedisse di ravvisarlo.
Ma poiché in un altro passo si dice chiaramente: Apparve loro in un altro aspetto, ( Mt 16,12 ) ciò sembra indicare che nel corpo medesimo, il cui aspetto era diverso, si fosse verificato per coloro che lo guardavano un tale impedimento che i loro occhi stentarono per un certo tempo a riconoscerlo.
Due sono le caratteristiche, per cui si riconosce l'aspetto di ognuno: i lineamenti e il colorito.
Stando così le cose, mi meraviglio perché mai quando, prima della risurrezione, Cristo si trasfigurò sul monte Tabor in modo che il suo volto divenne splendente come il sole, ( Mt 17,2 ) a nessuno fa difficoltà il fatto che poté cambiare il colorito del suo corpo fino ad assumere il più alto grado di luminosità e di splendore mentre poi si trova difficoltà a spiegare come, dopo la risurrezione, i suoi lineamenti si mutassero tanto che non fu più riconosciuto, e con la stessa facoltà e potenza con cui sul Tabor fece scomparire il primitivo colorito, così dopo la risurrezione cambiò un'altra volta le fattezze naturali.
I tre discepoli, davanti ai quali si trasfigurò sul monte Tabor, non lo avrebbero riconosciuto, se in tale aspetto si fosse presentato loro proveniente da un altro luogo: ma siccome stavano con Lui, erano sicurissimi che si trattasse di Lui.
Ma con tutto ciò era lo stesso corpo, col quale risuscitò.
Orbene, che c'entra questo col nostro argomento?
C'entra poiché quello era precisamente il corpo col quale s'era trasfigurato sul monte Tabor, era il corpo che aveva da giovane e col quale era nato; eppure se uno, che lo aveva conosciuto da bambino, lo avesse visto all'improvviso da giovane, non lo avrebbe certo riconosciuto.
Forse Dio nella sua potenza non può cambiare rapidamente i lineamenti, come lo può l'età dell'uomo attraverso il lento scorrere degli anni?
Quanto alle parole rivolte da Cristo a Maria ( Maddalena ): Cessa di toccarmi, poiché non sono ancora asceso presso il Padre; ( Gv 20,17 ) sappi che le ho intese in un senso diverso dal tuo.
Cristo volle indicare in questo modo un contatto spirituale, che cioè egli esige l'accostarsi a lui con la fede, in base alla quale si crede che egli è altissimo come il Padre.
Quanto poi al fatto che Cristo fu riconosciuto dai due discepoli nell'atto di spezzare il pane ( Lc 24,30-31 ) nessuno deve dubitare che significa il sacramento che ci unisce, perché possiamo riconoscerlo.
In un'altra lettera, di cui t'ho inviato copia poco tempo addietro, ho espresso la mia opinione collimante con una di quelle accennate tra le altre da te riguardo alle parole rivolte da Simeone alla Vergine, madre del Signore: Una spada trafiggerà la tua stessa anima. ( Lc 2,35 )
Quanto a quello che soggiunge: Affinché i pensieri di molti cuori siano rivelati, credo si debba intenderlo nel senso che nella passione del Signore si manifestarono non solo le trame dei Giudei ma anche la debolezza dei discepoli.
È pertanto credibile che nel termine " spada " si sia voluto indicare il tormento da cui l'anima della madre fu trapassata come da un'intimo spasimo.
Questa medesima spada era nella bocca dei persecutori, dei quali si dice in un salmo: Una spada era nella loro bocca. ( Sal 59,8 )
Erano essi i figli degli uomini, i cui denti sono armi e saette, la cui lingua una spada affilata. ( Sal 57,5 )
Così anche la spada, che trapassò l'anima di Giuseppe ( Gen 39,20 ), è - a mio parere - espressione metaforica di dura tribolazione, poiché è detto chiaramente: Una spada trapassò la sua anima, finché non si adempisse la sua parola; ( Sal 105,18 ) cioè rimase acerbamente afflitto finché non si avverò la sua predizione.
Per questo fu tenuto in grande stima e venne liberato dalla tribolazione.
Ma perché non si attribuisse all'umana sapienza il compimento della sua parola, cioè di quanto aveva predetto, la Sacra Scrittura, come al solito, ne dà gloria a Dio soggiungendo: La parola di Dio lo provò come oro nel fuoco. ( Sal 105,19 )
Per quanto ho potuto, ho cercato di rispondere ai tuoi quesiti con l'aiuto delle tue preghiere e delle argomentazioni stesse da te inviatemi.
In realtà allorché tu discuti nell'esporre i tuoi quesiti, non solo interroghi acutamente ma insegni umilmente.
È utile d'altronde che a proposito di passi oscuri delle Sacre Scritture, permessi da Dio affinché fossimo indotti alla riflessione e alla ricerca, s'incontrino molte opinioni, purché la divergenza delle interpretazioni non sia in contrasto con la fede e la dottrina che ci salvano.
Vorrai certamente scusarmi d'averti scritto in fretta e furia, per poter raggiungere di persona il corriere che s'era già imbarcato.
Colgo l'occasione di questa lettera per salutare di nuovo con particolare premura Paolino, nostro dolcissimo figlio nell'amore di Cristo, e brevemente, data la mia fretta, lo esorto a ringrazia, re quanto più gli è possibile la misericordia del Signore, il quale, poiché sa dare aiuto nella tribolazione, dopo una violentissima tempesta lo fece approdare nel porto dove con un mare abbastanza più tranquillo giungesti tu che non avevi alcuna fiducia nella calma del mare di questa vita; fu Dio a metterlo sotto la tua direzione spirituale per accoglierlo nel suo noviziato e corroborarlo; esclami quindi con tutta l'anima: O Signore, chi è simile a te? ( Sal 35,10 )
In realtà, nel leggere o nell'ascoltare i miei insegnamenti o le mie discussioni o nel ricevere le mie infervorate esortazioni d'ogni specie, non ritrarrà maggior frutto di quello che ritrae dal vedere gli esempi della tua vita.
I fratelli che servono Dio con me ricambiano i saluti alla tua santa e sincerissima Benignità.
Non è ancora tornato a Ippona il nostro collega di diaconato Pellegrino da quando partì da me col santo nostro fratello Urbano, allorché andò ad assumere la carica.
So tuttavia da una sua lettera e da voci a noi giunte che per grazia di Cristo stanno bene.
Saluto con affetto fraterno il mio collega di sacerdozio Paolino e tutti quelli che godono nel Signore della tua presenza
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