Lettere |
Scritta tra il 413 e il 414.
Agostino risponde ai quesiti di Macedonio sull'intercessione dei vescovi per i colpevoli ( n. 1 ), affermando ch'essi s'ispirano alla, dottrina evangelica d'amore per i peccatori e all'esempio di Cristo, che perdonò la peccatrice condannando però il peccato ( n 2-15 ); riafferma la necessità della giustizia umana ma anche della misericordia cristiana, che tempera la. severità dei giudici perché sia amata la predicazione della verità rivelata ( n. 16-19 ).
Alcune considerazioni sulla restituzione delle cose rubate al prossimo o malamente guadagnate, sulle mance, sulle usure ecc. ( n. 20-26 ).
Agostino, Vescovo e servo di Cristo e della sua famiglia saluta nel Signore il diletto figlio Macedonio
Non dobbiamo né lasciare senza risposta né tenere occupata con un preambolo una persona, tanto occupata negli affari di Stato e tutta preoccupata non ai propri, ma agli altrui interessi, quale mi rallegro ( non solo per te anche per gli stessi affari umani ) che tu sei.
Stà dunque a sentire ciò che hai voluto sapere da me o provare se io lo sapessi.
Orbene, se tu avessi considerato poco importante o superflua la questione, non avresti creduto doveroso occupartene fra tante e tanto necessarie tue preoccupazioni.
Mi chiedi perché mai affermiamo ch'è dovere della nostra cura pastorale d'intervenire in favore dei colpevoli e ci offendiamo quando non otteniamo lo scopo, come se: avessimo fatto fiasco in pratiche pertinenti al nostro ufficio.
Tu affermi che hai forti dubbi che questo dovere derivi dalla religione e aggiungi il motivo col dire: " Se i peccati sono proibiti dal Signore tanto severamente che non si dà la possibilità d'una seconda penitenza dopo la prima, come si può sostenere che la religione permette di condonare qualsiasi specie di colpa?".
Insisti poi con un argomento ancora più grave dicendo che "se si vuole che una colpa rimanga impunita, vuol dire che la si approva; se è ammesso da tutti ch'è complice, d'una colpa tanto chi la commette quanto chi l'approva, è Certo pure che si è accomunati nella stessa colpa ogniqualvolta si, vuole resti impunito chi s'è macchiato, d'una colpa ".
Chi non si spaventerebbe a sentire queste tue parole, se non conoscesse la tua mitezza ed amabilità?
Ma io che ti conosco e non dubito affatto che le hai scritte non per pronunciare un giudizio decisivo, ma solo per avanzare un quesito, mi affretto a risponderti con altre tue affermazioni.
In effetti, come se tu avessi voluto eliminare ogni mio dubbio su questo punto o prevedessi la mia risposta oppure me l'avessi voluta suggerire, hai soggiunto: " A questa s'aggiunge una considerazione più grave.
" Poiché - ogni peccato parrà più degno di perdono quando il colpevole promette di emendarsi ".
Prima dunque di discutere questa considerazione più grave che tu hai soggiunta nella tua lettera, l'ammetto anch'io e me ne servirò per eliminare la difficoltà con cui ti pareva di poterti opporre ai nostri interventi.
In realtà noi intercediamo per tutte le colpe secondo le nostre possibilità proprio perché tutte le colpe sembrano più degne di perdono, quando il colpevole promette d'emendarsi.
Questa è la tua opinione e questa è pure la mia.
Noi dunque non approviamo affatto le colpe che vogliamo siano emendate né le azioni compiute contro la legge morale o civile vogliamo che restino impunite perché ce ne compiacciamo ma, pur avendo compassione del peccatore, ne detestiamo le colpe o le turpitudini; inoltre quanto più ci dispiace il peccato, tanto più desideriamo che il peccatore non muoia senza essersi emendato.
È facile ed è anche inclinazione naturale odiare i malvagi perché sono tali, ma è raro e consono al sentimento religioso amarli perché sono persone umane, in modo da biasimare la colpa e nello stesso tempo riconoscere la bontà della natura; allora l'odio per la colpa sarà più ragionevole poiché è proprio essa a macchiare la natura che si ama.
Non ha quindi alcun legame con l'iniquità ma piuttosto con l'umanità chi è persecutore del peccato, per essere salvatore dell'uomo.
Solo in questa vita c'è la possibilità di correggere la propria condotta, poiché nell'altra ognuno riceverà ciò che avrà meritato per se stesso.
Noi quindi nell'intercedere per i colpevoli siamo spinti dall'amore per il genere umano affinché la loro vita terrena non finisca con un supplizio, che dopo la fine della vita non avrà mai fine.
Non aver dunque nessun dubbio che questo nostro dovere non derivi dalla religione stessa dal momento che Dio, in cui non v'è ombra d'iniquità, la cui potenza è sovrana, il quale non solo vede come ciascuno è presentemente ma prevede pure come sarà nel futuro, il quale è il solo che sia infallibile nel giudicare, per, ché nel conoscere non può ingannarsi, tuttavia come dice il Vangelo fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi e fa piovere sui giusti e sui peccatori. ( Mt 5,44-45 )
Gesù Cristo, esortandoci a imitare questa mirabile bontà, Amate - dice - i vostri nemici, fate del bene a quanti vi odiano e pregate per i vostri persecutori, affinché siate figli del Padre vostro celeste che fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi e fa piovere sui giusti e sui peccatori. ( Mt 5,44-45 )
Chi ignora che molti abusano di questa indulgenza e bontà divina per la propria perdizione?
Ma San Paolo li deplora e li biasima severamente dicendo: Ma pensi tu, forse, o uomo, il quale condanni chi fa tali azioni e poi le fai tu stesso, di sfuggire alla condanna di Dio?
Ti burli forse dell'immensa bontà, pazienza e tolleranza di Lui?
Ignori forse che la pazienza di Dio t'invita al pentimento?
Tu invece con la tua durezza di cuore impenitente ti ammassi sul capo un cumulo di punizioni per il giorno della collera e del giudizio finale, in cui Dio, rendendo pubblico il Suo verdetto, darò a ciascuno secondo quel che avrà fatto in vita. ( Rm 2,3-6 )
Forse che Dio non continua ad esser paziente perché i malvagi persistono nella loro iniquità?
Egli invece punisce in questa vita solo ben pochi peccati, perché nessuno ignori ch'esiste la sua Provvidenza, ma riserva la maggior parte dei peccati all'ultimo giudizio, per dare a questo un risalto maggiore.
Non penso che il divino Maestro ci ordini d'amare la malvagità ordinandoci d'amare i nostri nemici, di far del bene a chi ci odia, di pregare per chi ci perseguita.
Se noi prestiamo a Dio un culto di pietà filiale, potranno essere nostri nemici e persecutori unicamente gli empi aizzati contro di noi con odio accanito.
Dobbiamo quindi forse amare gli empi? Dobbiamo forse far loro del bene e pregare per loro?
Sicuro, senza dubbio: è Dio stesso a comandarcelo; ma con tutto ciò non ci associa agli empi, ai quali egli stesso non si associa affatto, pur perdonando loro e donando loro la vita e la salute.
L'Apostolo espone questa volontà di Dio, per quanto può conoscerla un santo, dicendo: Non sai forse che la pazienza di Dio, t'invita al pentimento? ( Rm 2,4 )
Non ad altro che al pentimento vogliamo noi stessi che siano indotti, coloro per i quali intercediamo, senza con ciò indulgere o essere favorevoli ai loro peccati.
A riprova di quanto ho detto, noi allontaniamo dalla comunione dell'altare coloro i cui peccati sono manifesti, anche se li abbiamo sottratti alla severità delle vostre leggi, e lo facciamo affinché, mediante il pentimento e la punizione di se stessi, possano placare Colui ch'essi offesero coi loro peccati.
In realtà, chi si pente sul serio, non ha altra intenzione che di non lasciare impunito il male da lui commesso: in tal modo chi punisce se stesso è perdonato da Colui, all'insondabile e giusto giudizio del quale non può sfuggire nessuno che lo disprezzi.
Se poi Dio, perdonando i malvagi e gli scellerati e dando loro vita e salute, mostra pazienza anche verso parecchi di loro ch'egli sa che non faranno penitenza, quanto più dobbiamo usar misericordia noi, verso quanti promettono di emendarsi, anche se non siamo certi che manterranno la promessa, affinché mitighiamo il vostro rigore intercedendo per coloro per i quali preghiamo anche Dio, al quale nulla è nascosto della loro condotta anche futura e tuttavia non temiamo di pregare Dio per loro poiché è lui stesso a comandarcelo?
Vi sono alcuni, la cui malvagità arriva al punto che, anche dopo aver fatto penitenza e dopo essersi riconciliati con la Chiesa all'altare, tornano a commettere gli stessi o peggiori peccati; eppure anche su di essi Dio fa sorgere il suo sole, ed elargisce non meno di prima il dono della vita e della salute.
E quantunque non si conceda loro la possibilità di penitenza, Dio non si dimentica della sua pazienza verso di essi.
Qualcuno di costoro potrebbe venire a dirci: " O datemi la possibilità di far penitenza un'altra volta oppure, disperato come sono di salvarmi, lasciatemi fare tutto ciò che mi piacerà, per quanto me lo permetteranno le mie risorse finanziarie e le leggi umane, frequentando i bordelli e abbandonandomi a ogni specie di sensualità condannevole agli occhi di Dio ma agli occhi della maggior parte della gente perfino lodevole.
Oppure se mi tenete lontano dalla vita disonesta, ditemi se mi gioverà alcunché alla vita futura disprezzare le lusinghe del piacere che ci attira con tanta forza, porre un freno agli incentivi delle passioni, negarmi molti piaceri anche leciti e permessi al fine di castigare il mio corpo, macerarmi con penitenze più rigorose delle precedenti, emettere gemiti più amari, versare lacrime più abbondanti, menare una vita migliore, soccorrere i poveri con maggior generosità, sentire un fuoco più ardente di carità, che copre la moltitudine dei peccati ". ( 1 Pt 4,8 )
Chi di noi sarebbe tanto stolto da rispondere a costui: " A nulla ti gioverà tutto ciò per la vita futura: va e godi almeno la dolcezza della vita presente "?
Dio ci salvi da una pazzia si mostruosa e sacrilega!
È vero che la disciplina della Chiesa, per motivi di prudenza e per fini riguardanti la salvezza dell'anima, concede un'unica possibilità di umiliarsi e di far ( pubblica ) penitenza, per evitare che tale rimedio ( per i peccati ) finisce per essere meno apprezzato e quindi meno utile ai malati ( spirituali ); dato che è tanto più salutare, quanto meno è disprezzata.
Ciononostante, chi oserebbe dire a Dio: " Perché mai perdoni ancora una volta a costui, che dopo la sua prima penitenza torna a irretirsi nei lacci del peccato? ".
Chi oserebbe dire che verso costoro non si agisce come dice l'Apostolo: Non sai che la pazienza di Dio ti invita a penitenza? ( Rm 2,4 ) oppure che costoro sono esclusi dal numero di coloro di cui è affermato: Beati tutti coloro che confidano in lui? ( Sal 2,12 )
O che non si riferisce a loro ciò che sta scritto: Agite coraggiosamente e il vostro cuore sia forte, voi tutti che sperate nel Signore? ( Sal 31,25 )
Poiché dunque tanta è la pazienza e la compassione di Dio verso i peccatori, che non vengono condannati nella vita eterna se nella presente emendano la loro condotta, sebbene egli non aspetti la compassione di nessuno, dal momento che nessuno è più felice, più potente, più giusto di Lui, come dobbiamo essere noi verso i nostri simili, dal momento che la nostra vita terrena, per lodevole che possa essere, non va esente da peccati?
Se - infatti - noi diremo una simile cosa, inganneremo noi stessi - come dice la Sacra Scrittura - e in noi non è la verità. ( 1 Gv 1,8 )
Pertanto, sebbene siano diversi i doveri dell'accusatore, del difensore, dell'intercessore, del giudice, dei quali sarebbe troppo lungo e null'affatto necessario parlare in questa lettera, tuttavia il severo giudizio di Dio pesa perfino sui giudici dei delitti.
Questi nell'adempiere il loro ufficio non devono essere mossi da risentimenti personali, ma unicamente esecutori delle leggi; devono punire non già le ingiustizie perpetrate ai propri danni ma a quelli altrui, come, devono essere i veri giudici: devono considerare d'avere essi stessi bisogno della misericordia di Dio a causa dei loro peccati personali e non devono pensare di mancare al loro dovere se usano indulgenza verso le persone sulle quali hanno potere di vita e di morte.
Un giorno i Giudei presentarono a Cristo Signore una donna sorpresa in adulterio e, lo misero alla prova dicendo che nella Legge era prescritto che fosse lapidata e gli chiesero che cosa egli ordinava di fare nei confronti di quella.
Egli rispose loro: Chi di voi è senza peccato, scagli contro di lei la prima pietra. ( Gv 8,7 )
In tal modo egli non, disapprovò la Legge che prescriveva la pena di morte per le donne colpevoli d'adulterio, ma nello stesso tempo, con lo spavento, richiamò a compassione coloro a giudizio dei quali poteva essere condannata a morte.
Penso che, se era presente anche il marito che esigeva la punizione della moglie colpevole di aver violato la fedeltà coniugale, dopo aver udito la massima del Signore, ne sarà rimasto spaventato anche lui e avrà distolto l'animo dal desiderio di vendicarsi piegandolo alla volontà di perdonare.
Come mai infatti non avrebbe ascoltato l'ammonimento di Cristo di non vendicarsi delle offese ricevute, dal momento che furono trattenuti in quel modo dal punire l'adultera gli stessi giudici, i quali vi erano spinti non per soddisfare un risentimento personale, ma per ubbidire alla Legge?
Per lo stesso motivo Giuseppe, al quale era fidanzata la Vergine Madre di Dio, avendo scoperto ch'era incinta, non volle che fosse punita, benché sapesse che egli non aveva avuto con essa relazioni coniugali e perciò non poteva pensare se non che fosse adultera; ma con tutto ciò neppure lui approvava il peccato che supponeva.
Orbene, questa sua buona disposizione d'animo gli fu ascritta a virtù poiché la S. Scrittura dice di lui: Poiché era virtuoso e non voleva diffamarla, decise di abbandonarla di nascosto.
Mentre però era immerso in questi pensieri, gli apparve un Angelo ( Mt 1,18-20 ) a rivelargli ch'era opera di Dio ciò ch'egli credeva azione peccaminosa.
Se dunque il pensiero della debolezza comune a tutti gli uomini è capace di reprimere il sentimento dell'accusatore e il rigore del giudice, quale dovrà essere, a tuo giudizio, il dovere del difensore e dell'intercessore a pro' dei colpevoli?
Anche voi, infatti, egregi signori, che adesso siete giudici, mentre una volta trattavate le cause in tribunale, sapete bene come eravate soliti preferire difendere anziché accusare.
Eppure c'è una gran differenza tra il difensore e l'accusatore: il primo infatti mette tutto il suo impegno a trovare le attenuanti o le giustificazioni delle colpe, l'intercessore invece, anche quando la colpa è manifesta, si preoccupa d'allontanare o di temperare la pena.
Questo fanno presso di Dio i giusti per i peccatori; questo sono esortati a fare gli uni per gli altri i peccatori poiché sta scritto: Confessate gli uni agli altri i vostri peccati e pregate per voi. ( Gc 5,16 )
Questo è il dovere d'umanità reclamato da ciascuno a proprio favore presso un suo simile ogni qualvolta lo può.
Poiché ciascuno desidera che resti impunita in casa altrui una colpa ch'egli punirebbe se fosse commessa in propria casa.
Sia che ci si rivolga a un amico, sia che alla nostra presenza uno esca in escandescenze contro uno qualunque soggetto al suo potere punitivo, sia che sopraggiungiamo per caso mentre quello va in collera, saremmo giudicati non già assai giusti, ma assai inumani se non intervenissimo.
Sono a conoscenza che tu stesso coi tuoi amici sei intervenuto nella Chiesa di Cartagine a favore d'un chierico verso il quale il vescovo aveva giusti motivi di risentimento; e dire che in quel caso non c'era da temere nessun pericolo di condanna a morte, trattandosi d'una correzione incruenta.
E poiché voi volevate che restasse impunita una colpa che pure vi dispiaceva, noi non vi abbiamo giudicati come persone che approvassero la colpa, ma vi abbiamo ascoltati come umanissimi intercessori.
Se dunque a voi è lecito mitigare una correzione ecclesiastica mediante la vostra intercessione, in qual modo, un vescovo non dovrebbe intervenire per arrestare la vostra spada dal momento che la sua correzione si esercita perché viva bene colui contro il quale si applica, mentre la spada viene sguainata perché perda la vita.
Infine il Signore in persona intercedette presso gli uomini per impedire la lapidazione dell'adultera, raccomandandoci in tal modo il dovere dell'intercessione; con la sola differenza ch'egli intervenne con l'incutere paura, noi col rivolgere preghiere, poiché egli è il Signore e noi suoi servi; ma egli volle incutere terrore perché tutti sentissimo il dovere di temere.
Chi di noi infatti è senza peccato? Dopo che Cristo a quelli, che gli avevano presentato la peccatrice da punire, ebbe detto che scagliasse contro di lei la prima pietra chi avesse la coscienza d'essere senza peccato, lo spavento penetrato nella loro coscienza fece cadere tutta la loro collera.
Allora, dileguandosi, tutti i componenti di quell'assembramento lasciarono la misera sola col Signore misericordioso.
S'arrenda a questa massima ( pronunciata da Cristo ) la pietà dei Cristiani, dal momento che vi si arrese l'empietà dei Giudei; vi s'arrenda l'umiltà dei fedeli come s'arrese la superbia dei persecutori; si arrendano coloro che sinceramente si professano Cristiani, come si arresero gl'ipocriti tentatori di Cristo.
Perdona ai cattivi, tu che sei buono; quanto più sei buono, tanto più sii mite; quanto più sei elevato in potestà, tanto più sii umile per la bontà.
Io ti ho chiamato buono in considerazione del tu o carattere, ma tu, tenendo presenti le parole di Cristo, di' a te stesso: Nessuno è buono, tranne il solo Dio. ( Mc 10,18 )
Ciò è vero, poiché l'afferma la Verità in persona, ma non devi credere ch'io ti abbia rivolto un elogio adulatorio e falso oppure ch'io sia in contraddizione col Signore per averti chiamato buono, poiché lo stesso Signore non si è contraddetto quando ha affermato: L'uomo buono trae fuori il bene dal buon tesoro del suo cuore. ( Lc 6,45 )
Dio dunque è buono in un modo che è solo suo e non può perdere questa prerogativa, poiché non è buono per il fatto che partecipi d'un bene altrui, in quanto il bene per cui egli è buono è egli stesso.
L'uomo invece è buono in quanto la sua bontà deriva da Dio, non potendo essere buono per se stesso.
È per virtù dello Spirito di Dio che i buoni diventano tali, poiché la nostra natura creata è capace di esser partecipe di Lui mediante la propria volontà.
Dipende quindi da noi, se vogliamo essere buoni, ricevere e conservare il dono di Colui ch'è buono per propria natura; chi invece lo trascura, è cattivo per sua propria colpa.
Si è quindi buoni nella misura in cui si agisce bene, cioè si fa il bene secondo la verità, la carità e la pietà; si è invece cattivi nella, misura in cui si pecca, cioè ci s'allontana dalla verità, dalla carità e dalla pietà.
Ma chi è senza peccato in questa vita?
Eppure chiamiamo buono colui nel quale prevale il bene, e ottimo colui che commette meno peccati.
Perciò lo stesso nostro Signore, quelli ch'egli chiama buoni perché partecipi della grazia divina, li chiama pure cattivi a causa dei vizi inerenti all'umana debolezza, fino a quando tutto il composto umano, guarito da ogni difetto non passi nella vita eterna ove non sarà commesso più alcun peccato.
In realtà non ai cattivi, ma ai buoni insegnava a pregare quando ordinò di dire: Padre nostro, che sei nei cieli. ( Mt 6,9 )
Per questo infatti sono buoni in quanto sono diventati tali non già per la, natura in cui sono generati, ma per la grazia in quanto, a coloro che lo accolsero diede il potere di diventare figli di Dio. ( Gv 1,12 )
Nel linguaggio biblico questa generazione spirituale è chiamata pure adozione, per distinguerla dalla generazione di Dio da Dio, del coeterno dall'eterno, di cui sta scritto: Chi mai potrà spiegare la sua generazione? ( Is 53,8 )
Gesù dopo aver dimostrato che erano buoni coloro ai quali aveva ordinato di dire: Padre nostro, che sei nei cieli, ordinò tuttavia che nella medesima preghiera, tra le altre, rivolgessero questa domanda: Rimettici i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori. ( Mt 6,12 )
Quantunque sia evidente che tali debiti siano peccati, lo dichiarò tuttavia meglio poco dopo dicendo: Se infatti voi rimetterete i peccati agli uomini, anche il Padre celeste rimetterà a voi i vostri. ( Mt 6,14 )
Questa è la preghiera recitata dai battezzati, eppure non v'è assolutamente alcun peccato passato che nella santa Chiesa non sia rimesso a quelli che vengono battezzati.
Ma se poi, nel corso di questa vita mortale e fragile, non commettessero peccati per i quali è necessario il perdono, non direbbero secondo verità: Rimettici i nostri debiti.
Buoni dunque in quanto figli di Dio, ma in quanto peccano ( come attestano essi stessi nella loro veridica confessione ) sono certo cattivi.
Qualcuno però potrebbe forse dire che ben diversi sono i peccati dei buoni da quelli dei cattivi, e ciò non è detto in modo che non si possa approvare sotto ogni rapporto.
Tuttavia nostro Signore Gesù Cristo chiamò cattivi, senza equivoci, quelli medesimi dei quali disse che Dio era padre.
Infatti in un altro passo dello stesso discorso, in cui insegna la suddetta preghiera, esortandoli a pregare Dio, dice: Chiedete e vi sarà dato, bussate e vi sarà aperto, poiché chi chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa verrà aperto e poco più oltre: Se dunque, sebbene cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli; quanto più il Padre vostro celeste darà cose buone a chi gliele chiede. ( Mt 7,7.8.11 )
Forse che, per questo, Dio è padre dei cattivi? Tutt'altro!
Come mai dunque Cristo chiama Dio Padre vostro celeste di coloro ai quali dice: Quantunque voi siate cattivi, se non perché la Verità mostra all'evidenza entrambe le condizioni del nostro essere, cioè che cosa siamo per grazia di Dio e che cosa per l'imperfezione della natura umana, volendo emendare questa e mettere in risalto quella?
Ben a ragione Seneca, il quale visse al tempo degli Apostoli e di cui si leggono delle lettere all'apostolo Paolo, afferma: Ha in odio tutti chi ha in odio i cattivi.1
Eppure i cattivi devono essere amati perché cessino d'essere tali, allo stesso modo che s'amano i malati non perché restino tali, ma perché guariscano.
Tutti i peccati commessi durante il resto della nostra vita dopo quelli cancellati dal battesimo, anche se non portano la scomunica, si espiano non con un dolore sterile, ma con sacrifici di misericordia.
Sappiate dunque che noi offriamo a Dio per voi ciò che noi otteniamo da parte vostra mediante la nostra opera di intercessione.
Poiché anche voi avete bisogno dell'indulgenza che concedete agli altri.
Considerate inoltre chi è Colui che disse: Perdonate e vi sarà perdonato, date e vi sarà dato. ( Lc 6,37-38 )
Anche se vivessimo in modo da non aver motivo di dire: Rimettici i nostri debiti, quanto più l'animo fosse scevro di peccati, tanto più dovrebbe essere pieno di clemenza; e se non c'inducesse al rimorso la massima del Signore che dice: Chi di voi è senza peccato, scagli contro di essa la prima pietra, ( Gv 8,7 ) dovremmo seguire almeno l'esempio di Colui che la pronunciò: egli, pur essendo senza peccato, rivolto alla donna lasciata sola da quei vecchioni spaventati, Nemmeno io ti condannerò - disse -; va e non peccare mai più. ( Gv 8,11 )
La peccatrice avrebbe potuto temere che, dileguatisi i suoi accusatori, i quali erano stati indulgenti verso il peccato altrui pensando ai loro peccati personali, venisse condannata con tutta ragione da chi era senza peccato.
Al contrario Colui che non aveva nulla da temere nella sua coscienza, ma era pieno di clemenza, allorché la peccatrice gli ebbe risposto che nessuno l'aveva condannata, Neppure io - le disse - ti condannerò, come se le dicesse: " Se ti ha perdonato la malizia, perché temi l'innocenza?" e per non dar l'impressione che approvasse, ma che solo perdonava il peccato: Va - soggiunse - e non peccare mai più, per mostrare che aveva perdonato all'uomo e non già che approvasse la colpa dell'uomo.
Comprendi ormai ch'è una conseguenza della religione e che non ci rende conniventi dei delitti il fatto che spesso noi, senz'essere delinquenti, intercediamo per dei delinquenti e, sebbene peccatori, presso altri peccatori, cosa quest'ultima che vorrei tu prendessi detta da me perché rispondente a verità, e non già per offenderti.
D'altra parte non sono stati istituiti senza uno scopo il potere del sovrano, il diritto di vita e di morte proprio del giudice, gli uncini di tortura del carnefice, le armi dei soldati, il potere di punire proprio del sovrano, e perfino la severità del buon padre di famiglia.
Tutti questi ordinamenti hanno le loro norme, le loro cause, la loro ragione, la loro utilità.
Quando essi vengono temuti, non solo sono tenuti a freno i malvagi, ma gli stessi buoni vivono più tranquilli tra i malvagi.
Non bisogna tuttavia proclamare buoni quanti si astengono dal peccare per paura di tali ordinamenti, poiché non si è buoni per paura del castigo, ma per amore della giustizia; non è comunque inutile reprimere l'arroganza e la prepotenza degli uomini anche mediante la paura che incutono le leggi umane, affinché non solo gli innocenti si sentano sicuri in mezzo ai malfattori ma, mentre con la paura del castigo è messo un freno alla loro possibilità di far del male, la loro volontà venga guarita ricorrendo all'aiuto di Dio.
Tuttavia con l'accennato ordinamento delle cose umane non contrasta l'intercessione dei vescovi, anzi, non ci sarebbe né motivo né occasione d'intercedere, se quello non esistesse.
I benefici di chi intercede e di chi perdona sono tanto più graditi, quanto più giusti sono i castighi per coloro che peccano.
Per nessun altro motivo, inoltre - a mio parere - nell'Antica Alleanza, al tempo degli antichi Profeti, la Legge era più severa nel comminare i castighi se non per mostrare la giustizia dei castighi stabiliti per i colpevoli.
In tal modo, se la Nuova Alleanza ci raccomanda di perdonarli, questa indulgenza deve servire di medicina per la salvezza dell'anima e per ottenere il perdono anche dei nostri peccati oppure una manifestazione di mansuetudine, che spinga le persone non solo a tenere, ma anche ad amare la verità predicata da coloro che sono disposti a perdonare.
Ha poi grandissima importanza vedere con quale animo si perdona.
Poiché in certi casi si può essere indulgenti castigando, come si può essere crudeli perdonando.
Infatti, per spiegarmi con un esempio, chi non chiamerebbe piuttosto crudele colui che fosse remissivo con un ragazzo che s'ostinasse a giocare coi serpenti?
Chi invece non chiamerebbe misericordioso colui che, proibendoglielo, castigasse pure con busse questo ragazzo che si infischiasse dei rimproveri?
Ma non bisogna per questo estendere la severità fino alla morte del colpevole, perché possa giovargli.
Del resto anche quando uno viene ucciso da un altro, c'è una gran differenza se si agisce per desiderio di far del male o di appropriarsi ingiustamente di qualche bene, come il nemico o l'assassino, oppure se si agisce per disposizione della giustizia o dell'autorità, come nel caso del giudice o del carnefice, oppure ancora per la necessità di sfuggire la morte, come può capitare ad un viandante costretto ad uccidere l'assassino, o per soccorrere qualcun altro, come è il caso dell'uccisione del nemico fatta da un soldato.
Talvolta poi chi è causa della morte, è più colpevole dell'uccisore, come quando uno inganna chi si è fatto garante per lui e questi subisca il legittimo supplizio invece di quello.
Ma tuttavia non sempre è colpevole chi è causa della morte altrui.
Lo sarebbe forse una donna, se uno si uccidesse perché essa ha rifiutato le sue proposte disoneste?
Ha forse colpa un padre, se il figlio si getta in un precipizio per evitare percosse salutari?
Di chi sarebbe la colpa, se uno si desse la morte da sé stesso perché uno è stato messo in libertà o per impedire la liberazione di un altro?
Forse che, per evitare agli altri simili cause di morte, dobbiamo essere conniventi col delitto, abolire la punizione del peccato perfino da parte del padre, quando tale punizione ha per scopo di correggere e non di nuocere, oppure sono da proibire tutte le opere di misericordia?
Quando accadono fatti come quelli accennati prima, dobbiamo provarne dolore come d'una disgrazia capitata a una persona ma non dobbiamo rinunciare alla volontà di far del bene per evitare che accadano.
Così, quando intercediamo per un peccatore ch'è sul punto d'essere condannato, si possono verificare conseguenze contrarie a quelle da noi volute.
Alle volte l'individuo messo in libertà per il nostro intervento, proprio per essere rimasto impunito, incrudelisce maggiormente nella sua arroganza, schiavo della passione, ingrato alla clemenza, dando a parecchi altri la morte da cui l'abbiamo strappato proprio noi.
Altre volte invece se il nostro beneficio ottiene che il reo muti in meglio e corregga la propria condotta, può darsi che un altro, immaginando di avere la medesima impunità di costui, si dia a una vita disonesta e commetta delitti simili o anche più gravi e vada incontro a una brutta fine.
Ciononostante non bisogna imputare alle nostre intercessioni presso di voi tali aberrazioni, ma piuttosto il bene che abbiamo di mira e desideriamo quando agiamo così, cioè l'esempio di mansuetudine, che noi diamo per far amare la parola di verità, e la speranza che quanti vengono liberati dalla morte temporale vivano in modo da non incorrere in quella eterna, dalla quale non potrebbero mai essere liberati.
È utile dunque anche la vostra severità con cui è assicurata anche la nostra tranquillità; è utile però anche la nostra intercessione con cui viene mitigata la vostra severità.
Non vi dispiaccia d'essere pregati da noi, poiché nemmeno a noi dispiace che siate temuti dai malvagi.
Anche l'apostolo Paolo spaventò i malvagi non solo con il giudizio futuro, ma pure col vostro potere giudiziario asserendo che anch'esso rientra nell'ordine voluto dalla divina provvidenza: Ognuno - dice - stia soggetto alle autorità superiori, poiché ogni autorità deriva solo da Dio, sicché quelle attualmente costituite sono volute da Dio.
Per conseguenza chi si ribella all'autorità, si ribella all'ordinamento di Dio, e quelli che si ribellano, si preparano da se stessi la dannazione.
I governanti esistono per impedire non le azioni buone ma le cattive.
Vuoi tu quindi non aver paura dell'autorità? Fa' il bene e sarai lodato da essa, poiché è a servizio di Dio per il bene comune che giova a te pure.
Se invece fai il male, abbi paura, poiché non senza ragione porta la spada; essa infatti è strumento per infliggere punizioni ai malfattori in nome di Dio.
Dovete dunque esser sottomessi non solo per paura del castigo, ma anche per la vostra coscienza; ecco perché siete anche obbligati a pagare le tasse.
Ci sono infatti dei pubblici ufficiali che attendono al servizio di Dio, continuamente in questa loro mansione.
Rendete a tutti quanto è loro dovuto: il tributo a chi spetta, l'imposta a chi ne ha il diritto, il rispetto a chi è dovuto, l'onore a chi ne ha diritto, non vi restino debiti con alcuno, tranne quello dell'amore scambievole. ( Rm 13,1-8 )
Queste parole dell'Apostolo dimostrano l'utilità della vostra severità.
Pertanto, come a quelli che temono è ordinato di amare coloro che ispirano timore, così a questi è ordinato di amare quelli che li temono.
Non si faccia nulla per brama di nuocere, ma per amore di giovare, e non si farà nulla di crudele, nulla d'inumano.
Così si avrà paura della punizione data dal pubblico accusatore, in modo che non sia disprezzata la religione di chi intercede, poiché la punizione e il perdono devono servire solo alla correzione della vita degli uomini.
Se poi tanta è la perversione e l'empietà, che a correggerli non giova né il castigo né il perdono, i buoni non fanno che adempiere il precetto d'amare con la retta intenzione e con la coscienza che Dio conosce, sia quando castigano sia quando perdonano.
Quando poi nella tua lettera soggiungi: " Ma ora, nello stato attuale delle nostre abitudini, la gente desidera non solo che le sia condonata la pena, ma anche di continuare a possedere ciò per cui hanno commesso la colpa ", ricordi la peggiore specie di persone, a cui non giova affatto la medicina del pentimento.
Se infatti la roba altrui per cui si è peccato, non viene restituita quando si può, non si fa, ma si finge solo di far penitenza.
Se invece la penitenza si fa sul serio, il peccato non sarà condannato se non verrà restituita la refurtiva almeno quando è possibile restituirla, come ho già detto. In realtà per lo più uno perde ciò che ruba sia per la causa di altri malviventi, sia a causa delle proprie cattive abitudini e non possiede più nulla da restituire.
A un tale individuo non possiamo certo dire: " Restituisci il maltolto ", se non quando crediamo che ancora ne sia in possesso e rifiuti di restituirlo.
Se il ladro è sottoposto a torture dal derubato che reclama il suo e io crede in grado di poter restituire, non v'è alcuna ingiustizia, poiché, sebbene non possa più restituire la refurtiva, espia con sofferenze fisiche il peccato commesso contro giustizia, mentre si tenta d'obbligarlo a restituire il denaro rubato.
Non è però cosa inumana intercedere anche per siffatti individui come si fa per dei criminali, poiché l'intercessione non ha affatto lo scopo d'ostacolare la restituzione del maltolto, ma d'evitare che uno usi violenze crudeli e inutili a un suo simile, soprattutto se ha già perdonato la colpa, ma cerca solo di rientrare in possesso del suo denaro e, se pur teme d'essere frodato, non desidera affatto vendicarsi.
Se finalmente in tali casi riusciamo a convincere che gli individui per i quali intercediamo non posseggono quanto si esige da loro, veniamo subito liberati dalle loro molestie.
Talvolta poi persone misericordiose, proprio perché sono in dubbio, rinunciano a infliggere a un individuo dei supplizi sicuri per farsi restituire una somma così poco sicura di denaro.
A una tale opera di misericordia sarebbe conveniente che noi fossimo spinti ed esortati perfino da voi stessi.
Anche se il ladro è in possesso del denaro, è meglio perderlo che sottoporlo a torture o ucciderlo nell'eventualità che non lo possegga.
In tali casi però è preferibile intercedere per siffatti individui presso i creditori anziché presso i giudici, per evitare che colui il quale, avendone il potere, non costringe con la forza a restituire la refurtiva, dia l'impressione che sia egli stesso a rubare qualcosa; il giudice, comunque, nei mezzi coercitivi che usa a tale scopo, pur mantenendo la sua integrità, non deve perdere la sua umanità.
Ma io potrei affermare con tutta sicurezza che, se uno intercede per un individuo perché non restituisca il maltolto e, per quanto esige l'onestà, non costringe alla restituzione il ladro che ricorre al suo aiuto, è connivente in quella frode e in quella colpa.
In effetti è più conforme alla misericordia rifiutare il nostro aiuto a cotali individui che accordarlo, poiché colui che favorisce il peccato invece di soffocarlo e stroncarlo non arreca alcun aiuto al delinquente.
Ma per questo possiamo forse noi o dobbiamo usare la forza contro tali individui o consegnarli alla giustizia?
Noi agiamo solo nei limiti della nostra potestà episcopale minacciandoli spesso della giustizia umana, ma soprattutto e sempre della giustizia di Dio.
Quelli che a noi risulta aver rubato e che, pur avendo di che restituire, non lo vogliono fare, noi li accusiamo, li rimproveriamo, li detestiamo: alcuni in privato, altri in pubblico secondo che la differenza delle persone ci pare esigere un rimedio differente, per timore di spingerle a una pazzia più grave, che potrebbe tornare a rovina di altri.
Talora arriviamo perfino a scomunicarli, se non ce lo impedisce la considerazione d'un bene maggiore.
È vero bensì che spesso tali individui c'ingannano affermando di non aver rubato o di non essere in grado di restituire; ma anche voi spesso v'ingannate pensando che noi non ci diamo da fare perché restituiscano o pensando che essi siano in grado di restituire.
Tutti o quasi tutti siamo soliti chiamare o considerare come conoscenze sicure i nostri sospetti, quando reputiamo più credibile una cosa per qualche semplice indizio, sebbene alcune cose, che paiono credibili, siano false come al contrario alcune, che paiono incredibili, sono vere.
Ecco perché tu, dopo aver ricordato quelli che " non solo desiderano avere condonata la pena della colpa, ma restare pure in possesso del maltolto ", soggiungi: " Anche per questi messeri voi vescovi credete vostro dovere intervenire ".
Orbene, potrebbe darsi che tu sappia ciò che non so io e per conseguenza io creda mio dovere intercedere per uno che ha potuto ingannare me non avendo potuto ingannare te; può darsi inoltre che io creda che il ladro non abbia la possibilità di restituire, mentre a te risulta il contrario.
Succede così che noi abbiamo opinioni contrarie sul conto del colpevole, ma nessuno di noi approva che non si restituisca la refurtiva.
Come uomini abbiamo opinioni diverse sul conto di una persona, ma andiamo d'accordo per quanto riguarda la giustizia.
Allo stesso modo può darsi ch'io sappia che il colpevole non ha la possibilità di restituire, mentre tu hai qualche indizio, sia pure poco sicuro, per credere che ne abbia la possibilità; per questo ti pare che io interceda per uno che desidera avere il condono della pena e nello stesso tempo non restituire il maltolto.
Per concludere, né a te né ad altri che siano - con nostra gran gioia - simili a te, né a coloro che aspirano a possedere con ogni mezzo la roba altrui - roba che non solo non potrà essere loro d'alcuna utilità, ma anzi essere di molto pericolo e danno2 - e neppure alla mia coscienza, di cui è testimone Iddio, oserei dire o pensare o sostenere che si debba intercedere per un colpevole, il quale con l'impunità della colpa voglia possedere ciò che ha ottenuto con essa, ma affermo ch'è lecito intercedere per un colpevole affinché gli sia condonata la punizione del torto commesso e restituisca il maltolto, purché sia ancora in possesso della refurtiva o possa compensarlo in altro modo.
Non è affatto vero che tutto ciò che si prende ad uno che non vuol darlo venga sottratto con ingiustizia.
Molti infatti si rifiutano di pagare l'onorario al medico o il salario all'operaio, e tuttavia non commettono alcuna ingiustizia coloro che lo prendono con la forza a chi si rifiuta, perché l'ingiustizia consisterebbe piuttosto nel rifiutare la mercede.
Ma non per questo se un avvocato si fa pagare il suo giusto patrocinio e il giureconsulto il suo consiglio veridico, deve un giudice vendere il suo giusto verdetto e il testimone la sua testimonianza veridica.
Poiché i primi sono adibiti al dibattito giudiziale tra una parte e l'altra mentre i secondi sostengono una sola delle due parti.
Ma se invece di sentenze giudiziarie conformi alla giustizia e di testimonianze veridiche, che non devono mai essere vendute, ne sono vendute d'ingiuste e di false, è azione molto più perversa ricevere denaro in compenso, dal momento che è azione infame darlo anche spontaneamente.
Con tutto ciò chi ottiene con danaro una sentenza pronunciata in base alla giustizia, suole reclamare il suo danaro come se gli fosse stato sottratto ingiustamente, poiché la giustizia non dovrebbe essere venale; chi invece ottiene un verdetto contrario alla giustizia sborsando danaro, vorrebbe certo reclamarlo, se non avesse paura o vergogna d'averlo comprato.
Vi sono altre persone di grado inferiore che senza scrupolo ricevono denaro da tutte due le parti, come un ufficiale giudiziario, cioè non solo da colui dal quale è preso a servizio ma anche da colui per il quale fa un servigio.
Si ha l'abitudine di richiedere a costoro il denaro quando viene da essi estorto con smoderata disonestà, ma non quando si è sborsato per un'abitudine tollerabile; anzi biasimiamo più quelli che lo richiedono contro l'usanza invalsa che non coloro che l'accettano secondo tale usanza, poiché sono allettate o sono trattenute nel loro servizio da siffatti vantaggi le numerose persone necessarie al disbrigo di quelle faccende terrene.
Qualora tali impiegati siano riusciti a mutare vita o a salire a un grado più elevato di santità, distribuiscono più facilmente ai poveri, come se fosse loro proprietà, il gruzzolo messo insieme con questo sistema anziché restituirlo, come se fosse proprietà altrui, a coloro dai quali lo hanno ricevuto.
Chi invece s'è appropriato di beni mediante furti, rapine, calunnie, assalti o aggressioni deve - a nostro parere - restituire anziché dare ai poveri il maltolto, secondo l'esempio propostoci dal Vangelo nella persona dell'appaltatore Zaccheo: egli dopo aver ricevuto come ospite in casa sua il Signore, convertitosi d'improvviso a una vita santa, esclamò: Io dò ai poveri la metà dei miei beni e, se ho frodato qualcuno, gli restituisco il quadruplo di quanto gli ho rubato. ( Lc 19,8 )
Tuttavia, se si considera più strettamente quel ch'esige la giustizia, si dirà con maggior ragione all'avvocato: " Restituisci l'onorario che hai percepito, dal momento che ti sei schierato contro la verità, hai difeso l'iniquità, hai ingannato il giudice, hai schiacciato l'innocente, hai vinto con la menzogna ".
Tu stesso ben sai quanti fior di galantuomini dotati di singolare facondia agiscono così non solo con l'impunità, ma sembra loro pure di compiere un'azione da menarne vanto; é molto più ragionevole - ripeto - rivolgere quel reclamo a un avvocato che dire a un impiegato qualunque di tribunale: " Restituisci le propine, dal momento che hai fermato per ordine del giudice la tal persona, la cui presenza era necessaria allo svolgimento del processo, l'hai incatenata affinché non opponesse resistenza, l'hai incarcerata perché non fuggisse o infine perché l'hai presentata ai giudici durante lo svolgimento del processo e l'hai lasciata andare al termine di esso ".
È chiaro d'altronde che a un avvocato non si parla così poiché, naturalmente, uno non vuol reclamare la somma data al difensore legale perché vincesse la causa con la frode allo stesso modo che non è disposto a restituire la somma ricevuta da parte dell'avversario dopo aver riportato la vittoria con la frode.
Qual avvocato, infine, o qual ex-avvocato si trova facilmente così specchiato da dire al proprio cliente: " Riprendi il denaro che m'hai dato per averti difeso malamente e rendi al tuo avversario ciò che gli hai sottratto ingiustamente in virtù della causa da me trattata come procuratore ".
Eppure chi vuol pentirsi sul serio della precedente vita scorretta, deve avere anche il coraggio d'agire così se il cliente che ha intentato un processo ingiusto, nonostante gli ammonimenti ricevuti, non vuol emendare la propria iniquità, l'avvocato non deve esigere il compenso di quella iniquità, salvo che per caso si debba restituire il denaro altrui sottratto di nascosto e non si debba restituire quello guadagnato proprio nel tribunale - ove si puniscono i misfatti - con l'ingannare i giudici e con l'eludere le leggi.
Che dire poi degli interessi guadagnati con l'usura, che le stesse leggi e i giudici comandano di restituire?
È forse più crudele chi sottrae o ruba qualcosa a un ricco di chi manda in rovina un povero con l'usura?
Questi ed altri proventi di tal genere sono posseduti senza dubbio ingiustamente e io ne esigerei la restituzione; ma non v'è giudice per mezzo del quale possano reclamarsi.
Se inoltre consideriamo attentamente quello che sta scritto: Tutto il mondo con tutte le sue ricchezze appartiene all'uomo fedele, mentre all'infedele non è dovuto neppure un soldo, ( Pr 17,6 sec. LXX)3 non convinceremo forse che posseggono beni altrui tutti coloro che credono di godere beni guadagnati in modo lecito mentre non li sanno usare?
Non appartiene certo ad altri ciò che si possiede di diritto; si possiede poi di diritto ciò che s'è acquistato con giustizia, e ciò ch'è giusto è anche buono.
Appartiene quindi ad altri ciò che si possiede contro giustizia, come quando se ne fa un uso cattivo.
Comprendi perciò quanti dovrebbero restituire la roba d'altri, se si trovassero almeno alcuni ai quali si potesse restituire.
Le persone di questa specie però, dovunque si trovino, tanto più disprezzano questi beni quanto più giustamente avrebbero potuto possederli.
La giustizia infatti è un bene che non solo nessuno possiede male, ma nessuno può possederla se non l'ama.
Il denaro invece non solo è posseduto male dai malvagi, ma i buoni lo possiedono tanto meglio quanto meno da essi è amato.
Ma intanto si tollera l'ingiustizia dei cattivi possessori, anzi tra di loro si stabiliscono certi diritti che si chiamano civili non perché in virtù di essi avviene ch'essi facciano buon uso del denaro, ma perché quanti ne fanno cattivo uso siano meno nocivi agli altri.
Così andranno le cose fino a tanto che i fedeli e i buoni - ai quali appartiene tutto per diritto - che sono divenuti tali dopo aver fatto parte della classe dei cattivi possessori o che, pur vivendo in mezzo a loro, non si lasciano incatenare dai loro vizi ma ne soffrono, non giungano alla città ove l'eternità sarà la loro eredità; ove non vi sarà posto se non per il giusto, non vi sarà principato se non per il sapiente; ove tutti coloro che ne saranno cittadini possederanno beni veramente di loro proprietà.
Ciononostante anche quaggiù non intercediamo perché non sia restituito il bene altrui secondo i costumi e le leggi terrene, quantunque noi desideriamo che siate misericordiosi verso i malvagi, non perché questi siano amati in quanto tali o affinché rimangano tali, ma perché vengono dalle loro file tutti quelli che diventano buoni e col sacrificio della misericordia viene placato Dio, senza la misericordia del quale verso i malvagi nessuno sarebbe buono.
Mi accorgo che da un pezzo ti sto importunando con questa mia lettera mentre sei tanto occupato, quando sarebbe stato possibile, acuto e dotto come sei, rispondere in poche parole ai quesiti propostimi da te.
Già da tempo avrei dovuto terminare la mia risposta sollecitata da te, se avessi saputo che l'avresti letta tu solo.
Vivi felice, unito a Cristo, o figlio carissimo.
Indice |
1 | Sen., De ira 2, 6-10; 3, 26; 28, 1; De benef. 4, 26, 2 s.; 5, 17, 3; 7, 27 |
2 | Sallust., Iugurt. 1, 5 |
3 | Hieron., Ep. 103 (ad Paulinum); in Ezech. 45 |