Lettere |
Scritta verso il 418.
Agostino a Mercatore, difensore della grazia contro i Pelagiani ( De octo Dulcit. quaest., 3 ) scusandosi del ritardo nel rispondere, si congratula dei suoi progressi nel difendere la fede ( n. 1-2 ) e mostra che i Pelagiani riguardo al battesimo dei bambini sono stati confutati dal fatto per cui ammettono che i bambini credono per così dire mediante quanti li presentano al battesimo ( n. 3-4 ); gli eretici invano pretendono dimostrare che la morte non è pena del peccato da quanto narra la S. Scrittura riguardo ad Enoch ed Elia, portati via dalla terra prima della morte e lo saranno di nuovo alla seconda venuta del Cristo ( n. 5-12 ); termina dicendo ch'egli preferisce imparare che insegnare ( n. 13 ).
Agostino invia cristiani saluti a Mercatore, signore carissimo e figlio degno di lode e di sincero affetto fra i membri di Cristo
La tua precedente lettera recapitatami a Cartagine mi riempì di tanta gioia che ho gradito assai di sapere dalla tua successiva lettera ch'eri sdegnato con me perché non ti avevo risposto.
Il tuo sdegno infatti non era inizio di rancore ma indizio d'amore.
Che io non ti rispondessi da Cartagine non dipese dalla mancanza di latori ma da occupazioni molto più urgenti che ci tenevano completamente occupati e assorbiti fino a quando non partimmo di lì.
Partiti poi di lì, ci mettemmo in viaggio alla volta della Mauritania Cesariense ove eravamo stati obbligati a recarci per urgenti affari ecclesiastici.
Nell'attraversare tutti quei paesi la nostra attenzione veniva continuamente distratta ora qua ora là da ciò che si presentava ai nostri sensi e non avevo vicino uno che mi esortasse con insistenza a risponderti né mi si presentò alcuna occasione favorevole di un latore.
Quando poi sono tornato, ho trovato presso i nostri un'altra tua lettera piena di risentimento e di rimproveri e un altro tuo trattato contro i nuovi eretici pieno di citazioni della Sacra Scrittura.
Dopo averlo letto un po' in fretta, mi sono fatto un dovere di rispondere anche alla lettera da te inviata la prima volta, dato che si presentava molto opportuna l'occasione del carissimo nostro fratello Albino, accolito della Chiesa di Roma.
Non sia perciò mai detto, carissimo figlio, che io riceva di mala voglia o disprezzi con orgoglio da stolto le tue lettere o gli scritti che m'invii da esaminare, specialmente perché la gioia ch'io provo a tuo riguardo è tanto più grande quanto più inaspettata e improvvisa m'arriva.
Debbo confessarlo: ignoravo che tu avessi fatto sì notevoli progressi.
E che cosa dovremmo desiderare più vivamente che trovare persone sempre più numerose le quali dappertutto confutino gli errori che corrompono la fede cattolica e che insidiano i fratelli deboli e ignoranti, persone che difendano con acume e in modo conforme alla fede la Chiesa di Cristo contro le profane novità dei ciarlatani, ( 1 Tm 6,20 ) poiché, come sta scritto: La moltitudine dei sapienti è la salvezza del mondo? ( Sap 6,24 )
Per quanto m'è stato possibile, ho dunque guardato la tua anima attraverso i tuoi scritti e mi sei apparso degno d'essere amato ed esortato a progredire con assoluta perseveranza e diligenza verso mete sempre più alte con l'aiuto di Dio, che ti ha dato le forze per accrescertele.
Gli erranti, che ci sforziamo di richiamare sulla retta via, si sono avvicinati non poco alla verità nella questione del battesimo dei bambini dal momento che ammettono che un bambino, anche se da poco dato alla luce dalla madre, crede tuttavia per mezzo di coloro dai quali viene presentato per essere battezzato.
A quanto mi scrivi costoro affermano che i bambini non credono nella remissione dei peccati, come se venissero rimessi anche a loro ch'essi reputano immuni da qualsiasi peccato, ma - dal momento che anche i bambini ricevono il medesimo lavacro che produce, in chiunque viene amministrato, la remissione dei peccati - i bambini credono che si avveri in altri la remissione dei peccati che non si effettua in loro stessi.
Dal momento dunque che affermano: " Non credono in questo senso ma credono in quest'altro senso ", certamente non mettono in discussione il fatto che i bambini credono.
Ascoltino pertanto il Signore: Chi crede nel Figlio ha la vita eterna, chi invece non presta fede al Figlio, non vedrà la vita, ma l'ira di Dio pesa su di lui. ( Gv 3,36 )
Per conseguenza, poiché i bambini diventano credenti per mezzo di altre persone dalle quali vengono presentati per essere battezzati, sono certamente increduli per colpa di quelle persone presso le quali si vengono a trovare e che non credono loro dovere presentarli al battesimo, dal momento che credono che non giovi loro a nulla.
In tal modo se credono e hanno la vita eterna per il tramite dei credenti, per il tramite di increduli diventano senza alcun dubbio increduli e non vedranno la vita, ma l'ira di Dio rimane su di loro. In realtà non è stato detto: " viene su di loro ", ma: Rimane su di loro, poiché fin dall'origine era già su di loro e non viene allontanata in alcun modo da loro se non in virtù della grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore. ( Rm 7,25 )
Di tale ira si legge anche nel libro di Giobbe: L'uomo, nato da donna, ha vita breve ed è pieno di collera. ( Gb 14,1 sec. LXX )
Perché dunque l'ira di Dio rimane sopra un bambino innocente se non a causa della condizione e contaminazione del peccato originale, a proposito della quale nel medesimo libro sta scritto che non ne è immune neppure un bambino, la cui vita sulla terra è d'un sol giorno 6? ( Gb 14,5 sec. LXX )
Qualche risultato ha dunque sortito non solo il fatto che si discute con molto vigore contro costoro, ma anche il fatto che alle loro orecchie rintronano da tutte le parti i discorsi dei cattolici, dal momento che gli eretici, pur volendo arzigogolare contro i Sacramenti della Chiesa, hanno tuttavia ammesso che i bambini credono.
Non stiano quindi a promettere la vita ai bambini anche se non sono stati battezzati; di quale altra vita infatti è detto: Chi non presta fede al Figlio, non vedrà la vita? ( Gv 3,36 )
Perciò, che i bambini siano esclusi dal regno dei cieli, non lo ammettano in modo tuttavia da difenderli come immeritevoli della dannazione.
Che altro infatti si viene ad indicare col termine " collera " che, a quanto il Signore proclama, rimane su chi non crede?
Gli eretici sono arrivati proprio molto vicini alla verità e senza un dibattito la questione è stata decisa.
Poiché, se ammettono che i bambini credono, senza dubbio, allo stesso modo che si applica loro quella frase: Chi non rinascerà per mezzo dell'acqua e dello Spirito Santo, non entrerà nel regno dei Cieli, ( Gv 3,5 ) si applica loro anche quest'altra frase dello stesso Signore: Chi crederà e verrà battezzato, sarà salvo; chi, al contrario, non crederà, sarà condannato. ( Mc 16,16 )
Poiché dunque costoro ammettono che i bambini quando vengono battezzati credono, non mettano in dubbio che vengono condannati se non credono; e osino poi affermare, se lo possono, che vengono condannati dal giusto Dio senza aver contratto alcun peccato all'atto di essere concepiti e senza avere il contagio del peccato.
Quanto poi all'obiezione che ci fanno gli avversari e da te rammentata nella tua lettera, che cioè Enoch ed Elia non sono morti, ma sono stati portati via da questa vita col loro corpo, non capisco quale vantaggio possono trarne in merito al problema che discutiamo.
Orbene, tralasciamo pure il fatto che si dice che in seguito dovranno morire anch'essi, come la maggior parte degli esegeti spiega l'Apocalisse di Giovanni a proposito di quei due Profeti di cui parla senza nominarli, ( Ap 11,3-7 ) dicendo che questi due fedeli servi di Dio appariranno un giorno col corpo in cui ora vivono e morranno per la verità cristiana come tutti gli altri martiri.
Anche tralasciando ciò e rimandando a un altro momento il problema suddetto, comunque stia realmente la cosa, io ti domando: qual vantaggio ne ricavano costoro?
Non possono certo con ciò dimostrare che non è a causa del peccato che gli uomini muoiono fisicamente.
Poiché, se Dio che perdona i peccati a tanti suoi fedeli, ha voluto risparmiare a qualcuno anche questa pena del peccato, ( Rm 9,20 ) chi mai siamo noi da contestare Dio ( e domandargli ) perché tratti alcuni in un modo e altri in un altro modo? ( 1 Cor 7,7 )
Noi affermiamo la stessa verità che l'Apostolo proclama con somma chiarezza: Il corpo è morto bensì a causa del peccato, lo spirito invece è vita a causa della giustizia.
Pertanto, se lo Spirito di colui che risuscitò Cristo dai morti abita in voi, colui che risuscitò Cristo dai morti vivificherà anche i vostri corpi mortali mediante il suo Spirito che abita in voi. ( Rm 8,10-11 )
Con ciò non vogliamo tuttavia dire che Dio, per coloro a beneficio dei quali vorrà farlo, senza la morte non abbia il potere di fare fin d'ora ciò che fermamente crediamo farà per moltissimi dopo la morte; ma non per questo sarà falsa l'asserzione che il peccato entrò nel mondo per colpa d'un solo uomo e col peccato entrò la morte e in tal modo si trasmise in tutti gli uomini. ( Rm 5,12 )
Ciò infatti è stato affermato perché la morte non esisterebbe affatto, se non fosse entrata a causa del peccato.
Così anche quando affermiamo che tutti vengono gettati nella geenna a causa dei peccati, diciamo forse una falsità per il fatto che non tutti vengono gettati nella geenna?
L'affermazione in realtà è vera non perché ognuno venga gettato nella geenna, ma perché nessuno vi è gettato se non a causa dei propri peccati.
Uguale a questa, ma espressa per antitesi, è l'altra affermazione dell'Apostolo: Mediante, l'azione giusta di uno solo ( si è arrivati ) alla giustificazione di vita per tutti gli uomini. ( Rm 5,18 )
In realtà non tutti gli uomini partecipano alla giustificazione del Cristo, ma è stato detto così perché nessuno viene giustificato se non per mezzo di Cristo.
Maggiore difficoltà dunque e non a torto genera il problema perché mai sussiste il castigo del peccato quando il peccato è stato cancellato; vale a dire: se la morte anche fisica è castigo del peccato, ecco qui un problema, perché mai cioè un bambino viene a morire dopo essere stato battezzato, problema più importante di quest'altro, perché mai cioè non è morto Elia dopo essere stato giustificato.
Ci può infatti stupire che, una volta ch'è stato cancellato il peccato del bambino, sia seguita la pena del peccato, mentre non ci deve stupire che non segua la pena del peccato dopo che è stato cancellato il peccato di Elia.
Con l'aiuto del Signore e per quanto sono stato capace, nei libri intitolati Il battesimo dei bambini,1 che so esserti ben noti, ho risolto il problema concernente la morte dei battezzati: perché mai cioè, una volta cancellato il peccato, continua a sussistere una certa pena del peccato; tanto meno dunque ci deve stupire l'obiezione: " Perché mai il giusto Elia non è morto, se la morte è la pena del peccato? ", come se fosse formulata nei seguenti termini: " Perché mai Elia, sebbene peccatore, è stato preservato dalla morte, se questa è la pena del peccato? ".
Ma poiché un'obiezione ne tira un'altra, i nostri avversari potrebbero chiederci: " Se Enoch ed Elia erano talmente scevri di peccato da non dover subire neppure la morte che è la pena del peccato, come mai nessuno quaggiù vive senza peccato? ".
Noi tuttavia potremmo rispondere loro con maggior ragione: " A coloro che il Signore volle continuassero a vivere dopo ch'erano stati cancellati i loro peccati, non fu permesso di vivere quaggiù, poiché nessuno può viverci senza peccato ".
Questa o un'altra simile risposta potrebbe darsi ai nostri avversari caso mai provassero con altri argomenti come cosa certa che i due Profeti non morranno mai.
Ma poiché ciò non potrebbero provarlo ed è più logico credere che arriveranno un giorno alla morte, non v'è alcun motivo perché vogliano obiettarci il caso dei due Profeti che non può giovare in alcun modo alla loro causa.
L'Apostolo, parlando della risurrezione dei morti, dice: Noi poi, i viventi, noi che siamo superstiti, saremo portati via assieme a loro sulle nubi incontro al Signore nell'aria e così saremo sempre col Signore; ( 1 Ts 4,16 ) ora, coloro ai quali accenna qui l'Apostolo sollevano delle perplessità per se stessi, non a causa di questi nostri avversari.
Anche se coloro di cui parla l'Apostolo, fossero anch'essi destinati a non morire, non vedo affatto quale argomento loro favorevole potrebbero trarne i nostri avversari, poiché potremmo rispondere loro ciò che abbiamo detto dei due Profeti.
Ma per quanto concerne l'espressione paolina sembra davvero voglia significare che alla fine del mondo, quando apparirà il Signore e i morti risorgeranno, alcuni individui passeranno senza morire all'immortalità, largita a tutti gli altri fedeli servi di Dio, per essere portati via con essi - come dice l'Apostolo - sulle nubi: e non ho potuto trovare un senso diverso tutte le volte che ho voluto esaminare queste parole.
Ma su questo punto vorrei consultare piuttosto quelli che sono più dotti di me per vedere se le parole dell'Apostolo: Stolto, non vedi che ciò che semini non germina in vita nuova se prima non muore? ( 1 Cor 15,36 ) non siano rivolte per caso anche a coloro che credono che alcuni passeranno vivificati alla vita eterna senza dover morire.
In qual modo infatti può avverarsi ciò che si legge in parecchi esemplari, cioè tutti risorgeremo, ( 1 Cor 15,51 ) se tutti non morremo?
Poiché non può esservi la risurrezione, se prima non ci sarà la morte.
A dar questo senso alla frase ci costringe l'espressione molto più facile e chiara riportata da alcuni altri esemplari e cioè: noi morremo tutti.
Anche altri passi come questo della Sacra Scrittura paiono indurci a credere che nessun uomo potrà giungere all'immortalità se prima non ci sarà stata la morte.
Ecco il passo dell'Apostolo: Noi poi, i viventi, noi che ci saremo ancora al tempo della venuta del Signore, non andremo ( incontro a lui ) prima di quelli che già si addormentarono ( = morirono ), poiché il Signore stesso ad un cenno di comando, ( ossia ) con la voce di un angelo, allo squillo della tromba di Dio, discenderà dal cielo; e prima risorgeranno quelli che sono morti in Cristo; quindi noi, i vivi superstiti, saremo portati via insieme con essi sulle nubi ( per andare ) incontro a Cristo nell'aria, e così saremo sempre col Signore. ( 1 Ts 4,14-16 )
Vorrei, come ho già detto, consultare su tale passo quelli che sono più dotti di me e, purché siano capaci di spiegarlo nel senso che tutti gli uomini viventi adesso o dopo di noi sono destinati a morire, vorrei rettificare la mia opinione diversa espressa da me una volta su questo argomento.
Poiché se insegniamo, dobbiamo essere anche pronti ad imparare e per certo è meglio che uno sia raddrizzato da piccolo che spezzato quando non è più flessibile, dal momento che con i nostri scritti viene esercitata o istruita la nostra o l'altrui infermità senza però che su di essi voglia fondarsi alcuna canonica autorità.
Se nelle citate parole dell'Apostolo non potrà riscontrarsi alcun altro senso e apparirà chiaro ch'egli ha voluto intendere ciò che pare dire chiaramente il testo preso alla lettera, che cioè alla fine del mondo, alla venuta del Signore, ci saranno degl'individui che si rivestiranno dell'immortalità senza spogliarsi del corpo, in modo che la parte mortale sia assorbita dalla vita; ( 2 Cor 5,4 ) se tale è il senso del passo, esso concorderà con la regola della fede in base alla quale professiamo che il Signore verrà a giudicare i vivi ed i morti, ( 2 Tm 4,1 ) senza dare a " vivi " il senso di giusti, né a " morti " quello d'ingiusti, anche se i giusti e gl'ingiusti dovranno essere giudicati, ma intendendo per " vivi " coloro che il Signore alla sua ultima venuta troverà ancora in vita e per " morti " coloro che già ne sono usciti.
Se ciò sarà assodato, bisognerà vedere qual senso dare a quest'altra espressione dell'Apostolo: Ciò che tu semini, non germina in vita nuova, se prima non muore, ( 1 Cor 15,36.51 ) e a queste altre parole: risusciteremo tutti oppure: morremo tutti, in modo che non contrastino con l'opinione secondo la quale si crede che alcuni individui entreranno nella vita eterna anche col corpo senza provare l'amarezza della morte.
Ma qualunque sia dei due il senso più genuino e più chiaro che si possa scoprire, che cosa può giovare alla causa di costoro, sia che a tutti venga inflitta la dovuta pena di morte, sia che ad alcuni soli venga risparmiata siffatta condizione?
Poiché è evidente che se non fosse preceduto il peccato, non ne sarebbe conseguita non soltanto la morte dell'anima, ma neppure quella del corpo, e che la potenza della grazia è più mirabile nel risuscitare i giusti dalla morte per l'eterna felicità che nel non farli giungere a provare le sofferenze della morte.
Bastino queste osservazioni per rispondere a coloro di cui mi hai scritto, sebbene io pensi che ormai essi non osano più dire che Adamo sarebbe morto pure col corpo anche se non avesse peccato.
Del resto sarebbe necessario sottoporre a un esame più approfondito la questione della risurrezione per quanto concerne coloro che si crede non morranno ma, dalla condizione della presente vita mortale, giungeranno all'immortalità senza passare attraverso la morte.
Se tu hai inteso, se hai letto o pensato da te stesso, oppure ti capiterà anche in seguito di sentire, di leggere o pensare qualche soluzione di tale problema chiara e precisa, scaturita da argomentazioni razionali e complete, ti chiedo per cortesia di mettermene al corrente.
Io infatti - debbo confessarlo alla tua Carità - preferisco imparare anziché insegnare.
A questo siamo esortati anche dall'apostolo Giacomo che dice: Ognuno sia pronto ad ascoltare ma tardo a parlare; ( Gc 1,19 ) ad imparare dobbiamo quindi sentirci attratti dalla soavità della verità, ma ad insegnare dobbiamo sentirci obbligati solo dalla necessità della carità.
Dobbiamo ad ogni modo augurarci piuttosto che non ci sia più la necessità che uno insegni qualcosa a un altro, in modo da avere tutti per unico maestro Iddio. ( Gv 6,45; Is 54,13 )
Del resto è Dio stesso a istruirci quando impariamo le massime della vera pietà, anche quando in apparenza ce lo insegna un uomo.
Infatti non è nulla né chi pianta né chi innaffia, ma ( è ) Dio, che fa crescere. ( 1 Cor 3,7 )
Se quindi Dio non facesse crescere, non varrebbe nulla che gli Apostoli piantassero o innaffiassero; quanto meno valgo io o tu, o chiunque altro di questo tempo, quando abbiamo l'aria di insegnare agli altri!
Indice |
1 | Aug., De pecc. mer. et rem. 2, 30, 49-34, 56 |