Il libero arbitrio |
A. - Che cosa facciamo dunque quando ci impegniamo ad esser sapienti?
Non altro che con la maggiore alacrità possibile congiungere tutta la nostra anima all'oggetto che raggiungiamo con l'intelligenza e stabilirvela e fissarvela durevolmente.
Così non potrà più godere della propria individualità che ha condizionato alle cose caduche, ma spogliata da ogni soggezione al tempo e allo spazio consegue l'oggetto che è sempre uno e medesimo.
E come tutta la vita del corpo è l'anima, così la vita felice dell'anima è Dio.
E fintantoché compiamo quest'opera, fino a che non la completiamo, siamo in viaggio.
E ci è dato di godere di questi beni ideali e stabili, sebbene essi splendano in questo cammino di tenebre.
E perciò considera se è questo appunto che è stato scritto della sapienza riguardo al comportamento con i suoi amatori, quando vengono da lei e la cercano.
È stato scritto: Si mostrerà loro affabilmente sul cammino e andrà loro incontro con ogni provvidenza. ( Sap 6,17 )
Infatti in qualsiasi direzione ti volgerai, ti parla con le orme che ha impresso nelle sue opere.
Se ti ributti verso le cose esteriori, ti richiama dentro con le forme stesse delle cose esteriori.
Dovrai così riflettere che quanto ti diletta nel corpo e ti avvince con i sensi è soggetto al numero, ricercar da dove proviene, ritornare in te stesso e comprendere che non puoi giudicare né bello né deforme l'oggetto sensibile senza avere determinati criteri estetici, a cui rapportare le immagini belle che percepisci al di fuori.
Osserva il cielo, la terra, il mare e tutte le cose che in essi splendono nella sfera superiore o nella inferiore si muovono camminando, volano oppure nuotano.
Hanno una forma perché partecipano ai numeri.
Toglieli loro, non saranno più.
Da chi hanno l'essere dunque se non da chi lo ha il numero poiché in tanto hanno l'essere in quanto sono partecipanti del numero?
Anche gli uomini artefici di opere corporee nella loro arte adoperano il numero per rapportarvi le proprie opere e nel costruire muovono mani e strumenti fino a quando l'opera, che riceve la forma dal di fuori, rapportata all'interiore luce dei numeri, riceve, per, quanto è possibile, la compiutezza e piace, mediante il senso, al critico che intuisce i numeri ideali.
Cerca inoltre chi muove le membra dello stesso artefice.
Sarà il numero perché anche esse si muovono secondo una misura numerica.
E se sottrai dalle mani l'opera da produrre e dalla coscienza l'intenzione di produrla e il movimento delle membra è rapportato all'estetica, si chiamerà danza.
Chiedi dunque che cosa è estetico nella danza, il numero ti risponderà: " Eccomi, sono io ".
Ed osserva ormai la bellezza di un sensibile dato dall'arte, i numeri sono inclusi nello spazio; osserva la bellezza del movimento nel sensibile, i numeri si svolgono nel tempo.
Avvicinati all'arte da cui procedono, cerca in essa lo spazio e il tempo.
Non è in nessun tempo, in nessuno spazio, eppure in essa ha vita il numero, ma la sua non è una dimora fatta di spazio, non è una esistenza fatta di giorni.
Tuttavia coloro che scelgono di divenire artisti, quando si dispongono ad apprendere l'arte, muovono il proprio corpo secondo spazio e tempo, lo spirito invece soltanto secondo tempo perché col succedere del tempo divengono più esperti.
Trascendi dunque anche la coscienza dell'artista per vedere il numero supertemporale.
Allora la sapienza splenderà per te dalla sede interiore e dallo stesso santuario della verità.
E se abbaglia il tuo sguardo ancor debole, torna a volgere l'occhio su quella via, dove si mostrava affabilmente.
Ricordati però che hai rimandato la visione.
Quando sarai più forte e sano, devi ritentare.
Guai a coloro che abbandonano te come guida e si pervertono nelle tue orme, che amano i tuoi cenni invece di te e dimenticano l'oggetto, cui accenni, o sapienza, soavissima luce di una intelligenza purificata.
Non desisti infatti di accennarci che cosa sei e quanto sei grande, e i tuoi cenni sono in genere la bellezza delle creature.
Anche l'artista accenna in qualche modo a chi osserva la sua opera alla stessa bellezza dell'opera affinché non si arresti ad essa, ma in tale maniera osservi l'immagine da riportarsi col sentimento a chi l'ha costruita.
Coloro che invece di te amano le cose che fai sono simili alle persone che, nell'udire un oratore colto, sono troppo presi dalla dolcezza del timbro della voce e dalle strutture della prosa numerosa.
Così trascurano la rilevanza del pensiero, di cui le parole proferite sono segni.
Guai a coloro che si distolgono dalla tua luce e si abbandonano dolcemente alle proprie tenebre.
È come se voltandoti il dorso si volgano alla terrenità nell'ombra che proiettano ma hanno pur sempre dall'irrompere intorno della tua luce quella soddisfazione che li diletta anche in quello stato.
Ma l'ombra, finché si ama, rende l'occhio spirituale più debole e più disadatto a sostenere lo sguardo.
E per questo l'uomo si adatta gradualmente alle tenebre fintanto che sceglie quella condizione che gli rende più tollerabile l'esser più debole.
Ne consegue che non è più capace di vedere il mondo ideale e ritenere un male ciò che gli sfugge perché imprevidente o lo attrae perché bisognoso o lo tormenta perché reso schiavo.
Al contrario egli deve sopportare queste cose meritatamente in cambio del suo essersi distolto.
Ed è impossibile che ciò che è giusto sia un male.
Puoi dunque rappresentarti tanto con la sensazione quanto col pensiero qualsiasi oggetto diveniente che conoscerai, solamente se rientra in una qualche forma numerica.
E se essa viene eliminata, l'essere finisce nel nulla.
Non dubitare quindi che esiste una forma eterna e non diveniente affinché gli esseri divenienti non si interrompano, ma pongano nella successione con movimenti misurati e con distinta varietà di forme quasi delle ritmiche cadenze di tempi.
Ed essa non è contenuta e quasi estesa nello spazio, non si moltiplica per successione nel tempo affinché mediante essa possano avere la forma tutti gli esseri divenienti e nel proprio ordine colmino nel movimento i numeri dello spazio-tempo.
È universalmente necessario che l'essere diveniente sia formabile.
Come appunto si dice diveniente l'essere che può divenire, così direi formabile l'essere che può avere la forma.
Ma nessun essere può darsi la forma perché nessun essere può darsi quel che non ha.
E appunto perché abbia la forma, un essere è formato.
Pertanto qualsiasi essere che ha una sua forma non ha bisogno di ricevere quel che ha, e se non ha la forma non può ricevere da sé ciò che non ha.
Dunque è impossibile, come abbiamo detto, che un essere si dia la forma.
Che cosa dunque dovremmo dire ancora del divenire del corpo e dello spirito?
Dianzi ne è stato detto abbastanza.
Ne segue dunque che corpo e spirito abbiano la forma da forma non diveniente e sempre permanente.
Ad essa è stato detto: Li porrai nel divenire e saranno nel divenire; tu invece sei sempre il medesimo e i tuoi anni non si esauriranno. ( Sal 102,27-28 )
La parola del Profeta ha detto anni senza esaurimento per dire eternità.
E di questa forma è stato detto che rimanendo in se stessa rinnova tutto. ( Sap 7,27 )
Ne consegue anche che tutto è ordinato dalla Provvidenza.
Tutti gli esseri non sarebbero, se la forma fosse sottratta loro del tutto.
E la forma non diveniente, per cui sussistono tutti gli esseri divenienti perché raggiungano pienezza svolgendosi secondo i numeri delle rispettive forme, essa ne è la provvidenza.
Gli esseri non esisterebbero se essa non esistesse.
Chi dunque compie il cammino verso la sapienza, considerando e riflettendo sull'universo, avverte che la sapienza durante il cammino gli si mostra affabilmente e che gli viene incontro in ogni manifestazione della provvidenza.
Aspira dunque a continuare tanto più alacremente questo cammino, quanto esso è più bello per lei, cui brama arrivare.
E se tu troverai che oltre l'essere che è e non vive e l'essere che è e vive e non pensa e l'essere che è, vive e pensa, esiste un altro genere di creature, potrai allora osare di dire che v'è un bene che non è da Dio.
Le tre categorie possono anche essere espresse con due termini se sono chiamati corpo e vita perché giustamente si considera vita tanto quella che vive e non pensa, come nei bruti, e quella che pensa, come negli uomini.
I due principi, cioè corpo e vita, sono attinenti alla creatura poiché anche del creatore stesso si dice la vita ed è la somma vita.
Questi due principi dunque, poiché sono formabili, come i temi testé espressi hanno provato, e poiché perduta del tutto la forma tornano nel nulla, mostrano sufficientemente che sussistono da quella forma che è sempre la medesima.
Pertanto tutti i beni, siano essi grandi o piccoli, possono essere soltanto da Dio.
Che cosa di più alto nelle creature della vita pensante e che cosa di più basso del corpo.
Eppure sebbene deperiscano e tendano al non essere, tuttavia in essi rimane qualche cosa della forma affinché siano comunque.
E il qualche cosa che rimane della forma a un essere, che deperisce, è da quella forma, la quale non può deperire e non permette che le mutazioni degli esseri che hanno deperimento o crescita oltrepassino le leggi dei loro numeri.
Dunque quanto di lodevole si avverte nel mondo, sia esso giudicato degno di piccola ovvero di grande lode, si deve riferire all'altissima e ineffabile lode del creatore.
Hai qualche cosa da dire in contrario?
Indice |