Le nozze e la concupiscenza |
È a causa di questa concupiscenza che neppure dal matrimonio regolare e legittimo dei figli di Dio vengono generati figli di Dio, ma figli del secolo.
Il motivo sta nel fatto che anche quelli che generano dopo che sono stati rigenerati non generano in quanto figli di Dio, bensì come figli del secolo.
È del Signore infatti la dichiarazione: Sono i figli del secolo che generano e sono generati. ( Lc 20,34 )
Per il fatto dunque, che siamo ancora figli di questo secolo, il nostro uomo esteriore si corrompe; ( 2 Cor 4,16 ) per questo motivo ancora sono generati figli di questo secolo e non divengono figli di Dio, se non sono rigenerati.
Ma per il fatto che siamo figli di Dio, l'uomo interiore si rinnova di giorno in giorno, ( 2 Cor 4,16 ) sebbene anche l'uomo esteriore sia santificato con il lavacro della rigenerazione e riceva la speranza della futura incorruttibilità, sì da essere meritatamente chiamato tempio di Dio.
I vostri corpi, dice l'Apostolo, sono il tempio dello Spirito Santo che è in voi, che avete ricevuto da Dio.
Voi non appartenete più a voi stessi, perché siete stati comprati a caro prezzo.
Glorificate dunque [ e portate ] Dio nel vostro corpo. ( 1 Cor 6,19-20 )
Tutto questo è stato detto non solo a motivo della presente santificazione, ma soprattutto per quella speranza, di cui lo stesso Apostolo in un altro passo dice: Noi pure che abbiamo le primizie dello Spirito, noi pure che gemiamo dentro di noi, aspettando l'adozione, la redenzione del nostro corpo. ( Rm 8,23 )
Se quindi secondo l'Apostolo aspettiamo la redenzione del nostro corpo, evidentemente ciò che si aspetta ancora si spera, ancora non si possiede.
Perciò aggiunge: Nella speranza infatti siamo stati salvati.
Ma la speranza che si vede non è più speranza; come si potrebbe sperare quello che si vede?
Ma se speriamo quello che non vediamo, noi lo aspettiamo nella pazienza. ( Rm 8,24-25 )
Non è dunque per quello che aspettiamo di essere che i figli vengono procreati carnali, ma per quello che sopportiamo.
Pertanto, quando un fedele sente dire dall'Apostolo: Amate le vostre mogli, ( Col 3,19 ) si deve guardare dall'amare nella moglie quella concupiscenza che non deve amare neppure in se stesso, poiché da un altro apostolo si sente dire: Non amate il mondo né le cose che sono nel mondo.
Se uno ama il mondo, l'amore del Padre non è in lui, perché tutto quello che è nel mondo è concupiscenza della carne, concupiscenza degli occhi e ambizione del secolo, che non viene dal Padre ma dal mondo.
Il mondo passerà con la sua concupiscenza, ma chi fa la volontà di Dio dura in eterno, come anche Dio dura in eterno. ( 1 Gv 2,15-17 )
Chi nasce dunque da questa concupiscenza della carne nasce certo per il mondo, non per Dio; nasce per Dio quando rinasce dall'acqua e dallo Spirito.
Soltanto la rigenerazione rimette il reato di questa concupiscenza, che la generazione si trae dietro.
Ciò che è stato generato sia dunque rigenerato, perché non è possibile rimettere altrimenti ciò che è stato contratto.
Che una cosa rimessa nei genitori sia contratta dai figli è un fatto certamente straordinario, tuttavia è reale.
Per disposizione della divina Provvidenza questi fatti invisibili, incredibili per coloro che non credono, e nondimeno reali, trovano un visibile esempio in certi alberi.
Perché non dovremmo credere che a questo scopo è stato disposto che dall'olivo nasca l'oleastro?
Non dovremmo credere che in una cosa, creata ad uso dell'uomo, il Creatore abbia potuto disporre e stabilire qualcosa che avesse valore di esempio per il genere umano?
È un fatto straordinario che persone, liberate dal vincolo del peccato mediante la grazia, generino tuttavia dei figli irretiti dallo stesso vincolo, dal quale devono essere liberati allo stesso modo.
Lo confesso, è straordinario.
Ma come si poteva credere, se non lo avesse provato l'esperienza, che i germi degli oleastri siano latenti anche nei semi dell'olivo?
Come dunque dal seme dell'oleastro e dal seme dell'olivo non nasce se non l'oleastro, sebbene ci sia grande differenza tra l'oleastro e l'olivo, così sia dalla carne del peccatore che dalla carne del giusto non nascono che figli peccatori, nonostante la grande differenza che passa tra il peccatore e il giusto.
Nasce un peccatore, tale non ancora per una propria azione e nuovo quanto all'origine, ma vecchio quanto alla colpa: fatto uomo dal Creatore e reso prigioniero dall'ingannatore, egli ha bisogno del Redentore.
Ma ci si domanda come un figlio possa ereditare la condizione di schiavo anche da genitori già riscattati.
E poiché non è facilmente comprensibile alla ragione né spiegabile a parole, gli infedeli non lo credono; come se fosse facile trovare una soluzione razionale e una spiegazione verbale a quanto ho detto a proposito dell'oleastro e dell'olivo, che pur essendo di genere diverso danno origine a virgulti simili.
Eppure questo fatto può essere constatato da chiunque voglia prendersi la briga di farne esperienza.
Serviamoci dunque di un esempio che rende credibile anche quello che non si può vedere.
La fede cristiana invero, che i nuovi eretici hanno incominciato a combattere, non mette in dubbio che coloro, i quali vengono purificati nel lavacro della rigenerazione, siano riscattati dal potere del diavolo, mentre coloro, i quali non sono stati ancora riscattati con una tale rigenerazione, compresi i bambini nati da genitori riscattati, restino prigionieri sotto il potere diabolico fino a quando non vengono riscattati anch'essi dalla stessa grazia di Dio.
Non abbiamo dubbi infatti che a tutte le età si estenda quel beneficio di Dio, di cui parla l'Apostolo: Egli ci ha strappati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore. ( Col 1,13 )
Chi nega che i bambini al momento del battesimo vengono strappati da questo potere delle tenebre, di cui è principe il diavolo, cioè dal potere del diavolo e dei suoi angeli, viene messo a tacere dalla verità degli stessi sacramenti della Chiesa, che nessuna novità eretica può distruggere o mutare nella Chiesa di Cristo, perché il capo regge e aiuta l'intero suo corpo, piccoli e grandi.
Realmente, dunque, e non falsamente viene esorcizzato il potere diabolico nei bambini, che vi rinunciano con il cuore e con la bocca di chi li porta, non potendolo fare personalmente, affinché liberati dal potere delle tenebre siano trasferiti nel regno del loro Signore.
Cosa c'è dunque in essi che li tiene sotto il potere del diavolo, finché non ne vengono liberati per mezzo del sacramento del battesimo di Cristo?
Cosa c'è se non il peccato? Nient'altro infatti ha trovato il diavolo che gli permettesse di sottomettere al suo potere la natura umana, che un Creatore buono aveva creato buona.
Ma i bambini nella loro vita non hanno commesso nessun peccato personale; non rimane quindi che il peccato originale, a causa del quale sono prigionieri sotto il potere del diavolo, a meno che non vengono liberati dal lavacro della rigenerazione e dal sangue di Cristo e non passano nel regno del loro Redentore, dopo che è stato reso vano il potere di colui che li teneva asserviti e dopo che è stato loro dato il potere di diventare da figli di questo secolo figli di Dio.
Se a questo punto potessimo domandare in qualche modo a quei tre beni del matrimonio la causa per la quale da essi abbia potuto propagarsi il peccato nei bambini, l'atto della procreazione ci risponderebbe: Io nel paradiso avrei goduto maggiore felicità, se non fosse stato commesso il peccato.
A me infatti fu rivolta la benedizione di Dio: Crescete e moltiplicatevi. ( Gen 1,28 )
In vista di quest'opera buona furono creati nei due differenti sessi organi diversi, che già esistevano prima del peccato, ma non erano vergognosi.
La fedeltà nella castità risponderebbe: Se non ci fosse stato il peccato, cosa poteva esserci di più sicuro di me nel paradiso, dove non mi avrebbe istigato la mia passione né mi avrebbe tentato quella di un altro?
Anche il sacramento del matrimonio risponderebbe: Di me prima del peccato così fu detto nel paradiso: L'uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e saranno due in una sola carne, ( Gen 2,24 ) la qual cosa dall'Apostolo fu definita grande sacramento in Cristo e nella Chiesa. ( Ef 5,32 )
Ciò che dunque è grande in Cristo e nella Chiesa è assai piccolo nelle singole coppie di sposi, ma è pur sempre il sacramento di una unione inseparabile.
Quale di questi beni del matrimonio è la causa della trasmissione nei posteri del vincolo del peccato?
Sicuramente nessuno. Anzi con questi tre beni la bontà del matrimonio sarebbe stata perfettamente realizzata, perché grazie ad essi il matrimonio è un bene anche al presente.
Se invece interrogassimo la concupiscenza della carne, a causa della quale divennero vergognosi quegli organi che prima non lo erano, certamente essa dovrebbe rispondere di aver incominciato ad esistere nelle membra dell'uomo dopo il peccato e di essere chiamata, secondo l'espressione dell'Apostolo, legge del peccato, ( Rm 7,23 ) per il fatto di aver asservito a sé l'uomo, perché costui non volle assoggettarsi al proprio Dio.
Direbbe ancora di essere proprio lei quella di cui arrossirono i primi sposi, quando coprirono le parti vergognose, ( Gen 3,7 ) e di cui arrossiscono ancora oggi tutti gli sposi, quando cercano luoghi appartati per compiere l'atto sessuale e non osano avere a testimoni di tale azione neppure i figli, che hanno così generato.
A questo pudore naturale si oppose con singolare impudenza l'errore dei filosofi cinici.
Essi sostenevano che il rapporto sessuale con la propria moglie, poiché è lecito e onesto, dev'essere compiuto in pubblico.
È la ragione per cui questa sconcia impudenza ha preso giustamente il nome dai cani; per questo infatti sono stati chiamati cinici.
È insomma questa concupiscenza, è questa legge del peccato, che abita nelle membra e alla quale vieta di ubbidire la legge della giustizia, secondo le parole dell'Apostolo: Non regni dunque il peccato nel vostro corpo mortale, per farvi ubbidire ai suoi desideri e non prestate le vostre membra al peccato come strumenti di iniquità; ( Rm 6,12-13 ) è questa concupiscenza, ripeto, che si espia unicamente con il sacramento della rigenerazione, a trasmettere, senza dubbio per generazione, il vincolo del peccato ai posteri, a meno che anch'essi non ne vengano liberati con la rigenerazione.
Nei battezzati, invero, la concupiscenza non è di per sé peccato, quando non si consente ad essa per compiere azioni illecite e lo spirito, rimanendo sovrano, non le presta le membra per eseguirle, di modo che se non si adempie il precetto: Non desiderare, ( Es 20,17 ) si adempia almeno quello che leggiamo altrove: Non andare dietro le tue concupiscenze. ( Sir 18,30 )
Ma poiché, secondo un certo modo di parlare, è chiamata peccato, perché è frutto del peccato e, nel caso che prevalga, è causa di peccato, il suo reato sussiste in chi è generato: reato che la grazia di Cristo, attraverso la remissione di tutti i peccati, non lascia sussistere in colui che è stato rigenerato, se costui non le ubbidisce quando comanda in qualche modo azioni cattive.
Si chiama peccato, perché è stata prodotta dal peccato, benché nei rigenerati non sia più di per sé un peccato, allo stesso modo che si chiama lingua il linguaggio, che è un prodotto della lingua, e si chiama mano la scrittura, che è una realizzazione della mano.
Si chiama ancora peccato, perché se è vittoriosa commette il peccato, allo stesso modo che si dice pigro il freddo non perché sia prodotto dai pigri, ma perché rende pigri.
Questa ferita, inflitta dal diavolo al genere umano, sottomette alla schiavitù del diavolo chiunque nasce per suo tramite, come se cogliesse con pieno diritto un frutto dal proprio albero, non già perché venga da lui la natura umana, che ha origine solo da Dio, ma perché viene da lui il vizio, che non ha origine da Dio.
La natura umana, infatti, non è condannata per se stessa - essa è degna di lode, perché è opera di Dio - ma a causa del condannabile vizio che l'ha viziata.
E la causa della sua condanna è anche la causa della sua sottomissione al condannato diavolo, perché anch'egli è uno spirito impuro, certamente buono in quanto spirito, ma cattivo in quanto impuro, giacché è spirito per natura e impuro per vizio: due cose, di cui una viene da Dio e l'altra da lui stesso.
Per conseguenza, domina gli uomini, adulti o bambini, non a motivo della loro umanità, bensì della loro impurità.
Chi dunque si stupisce del fatto che una creatura di Dio viene sottomessa al diavolo, non si stupisca più: una creatura di Dio è sottomessa a un'altra creatura di Dio, quella più piccola a quella più grande, cioè l'uomo all'angelo, ma non a causa della natura, bensì a causa del vizio, perché un impuro è sottomesso a un altro impuro.
Questo è il frutto che egli raccoglie dall'antico ceppo d'impurità, da lui piantato nell'uomo.
Certo, all'ultimo giudizio, egli dovrà subire pene più gravi, in proporzione della sua maggiore impurità.
Tuttavia anche quelli che saranno condannati a pene più tollerabili, sono soggetti a lui come al principe e al fautore del peccato, perché non ci sarà altra causa di condanna, se non il peccato.
Per la qual cosa, i bambini sono tenuti come rei dal diavolo, non in quanto nati dal bene, che costituisce la bontà del matrimonio, bensì perché nati dal male della concupiscenza, di cui indubbiamente il matrimonio fa buon uso, ma di cui deve arrossire anche il matrimonio.
Pur essendo questo degno di onore in tutti i beni che gli sono propri, pur conservando gli sposi intemerato il talamo non solo dalle fornicazioni e dagli adulteri, che sono turpitudini meritevoli di condanna, ma anche da quegli eccessi sessuali, che non si compiono sotto il dominio della volontà in vista della prole, ma per la ricerca del piacere sotto la spinta vittoriosa della passione e che negli sposi costituiscono peccati veniali, tuttavia quando si arriva all'atto della procreazione, quella stessa unione, lecita e onesta, non può essere compiuta senza l'ardore della passione, sì che si possa compiere ciò che è proprio della ragione e non della passione.
Sia che segua sia che prevenga, è certamente solo questo ardore che muove, quasi di sua autorità, le membra che la volontà non riesce a muovere.
In questo modo esso si rivela non come il servo agli ordini della volontà, ma come pena di una volontà ribelle, che deve essere eccitato non dal libero arbitrio, ma da qualche stimolo allettante.
È questa la ragione della sua vergogna.
Chiunque nasce da questa concupiscenza della carne, che, sebbene nei rigenerati non sia più imputata a peccato, si trova tuttavia nella natura solo a causa del peccato, chiunque nasce, dicevo, da questa concupiscenza della carne in quanto figlia del peccato e, quando le si acconsente per cose disoneste, anche madre di molti peccati, è in debito del peccato originale, a meno che non rinasca in Colui che una Vergine concepì senza questa concupiscenza e che per questo motivo fu il solo a nascere senza peccato, quando si degnò di nascere nella carne.
Se poi ci si chiede come questa concupiscenza carnale possa rimanere nel rigenerato, nel quale è avvenuta la remissione di tutti i peccati, dal momento che per mezzo di essa è concepito e con essa nasce anche il figlio di un genitore battezzato, oppure se ci si chiede per quale ragione la concupiscenza carnale sia peccato nella prole, quando nel genitore battezzato può sussistere senza essere peccato; a queste domande si risponde che nel battesimo la concupiscenza della carne è rimessa non in modo che cessi di esistere, ma in modo che non sia più imputata a peccato.
Anche se la sua colpevolezza è stata ormai cancellata, essa tuttavia rimane fino a quando non sarà guarita tutta la nostra infermità, quando cioè con il quotidiano progresso del rinnovamento dell'uomo interiore, l'uomo esteriore si sarà rivestito di incorruttibilità. ( 2 Cor 4,16; 1 Cor 15,53 )
Non rimane alla maniera di una sostanza, come un corpo o uno spirito, ma è uno stato affettivo di cattiva qualità, come un languore.
Non rimane dunque niente che non sia rimesso, quando si adempie quello che è scritto: Il Signore è misericordioso per tutte le nostre iniquità. ( Sal 103,3 )
Ma fino a quando si avvera anche ciò che segue: Egli guarisce tutti i tuoi languori, egli riscatta la tua vita dalla corruzione, ( Sal 103,3-4 ) la concupiscenza della carne resta in questo corpo mortale e noi abbiamo l'ordine di non ubbidire ai suoi viziosi desideri di compiere cose illecite, affinché il peccato non regni nel nostro corpo mortale.
Questa concupiscenza, nondimeno, diminuisce di giorno in giorno nelle persone impegnate nella virtù e nella continenza, soprattutto al sopraggiungere della vecchiaia.
In coloro, invece, che vergognosamente se ne rendono schiavi, diventa tanto potente che di solito non cessa di infuriare in maniera sempre più turpe e impudente, neppure quando a causa dell'età il vigore fisico viene ormai meno e le stesse parti del corpo sono meno valide ad essere adoperate per la loro funzione.
Quando dunque coloro che vengono rigenerati in Cristo ricevono la remissione di tutti i peccati, necessariamente, è evidente, deve essere rimessa anche la colpevolezza di questa concupiscenza, la quale, benché rimanga in loro, come ho detto, non viene più imputata a peccato.
In effetti, come rimane e, se non viene rimessa, rimarrà per sempre la colpevolezza di quei peccati che non possono restare per il semplice fatto che passano mentre si compiono, così, quando viene rimessa, la colpevolezza della concupiscenza viene cancellata.
Non aver peccati, infatti, significa proprio questo: non essere colpevole di peccato.
Se uno, per esempio, ha commesso adulterio, anche se non lo commette più in seguito, è colpevole di adulterio finché la sua colpa non viene rimessa con il perdono.
Egli dunque è in peccato, anche se non esiste più l'azione alla quale acconsentì, perché è passata insieme al tempo nel quale fu compiuta.
Se non aver peccati consistesse nel non peccare più, sarebbe sufficiente che la Scrittura ci ammonisse così: Figlio, hai peccato? Non farne altri.
Invece non è sufficiente, perché aggiunge: E prega che ti siano perdonati quelli passati. ( Sir 21,1 )
Se non vengono rimessi, quindi, i peccati rimangono.
Ma come rimangono, se sono passati, se non perché sono passati come atto, ma rimangono come colpa?
Così dunque può accadere, al contrario, che anche la concupiscenza rimanga come atto e passi come colpa.
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