Questioni sull'Ettateuco

Indice

Questioni sulla Genesi

50. ( Gen 21,8 ) Abramo non festeggiò la nascita di Isacco

A buon diritto possiamo chiederci perché Abramo non fece un banchetto, né il giorno in cui gli nacque il figlio né il giorno in cui fu circonciso, ma il giorno in cui fu svezzato.

Se questo fatto non viene giudicato secondo un significato simbolico, la questione non può essere risolta.

Poiché è evidente che dev'esserci una grande gioia per l'età spirituale solo quando uno sarà diventato un uomo nuovo, spirituale, diverso da coloro ai quali l'Apostolo dice: Io vi ho nutriti di latte, non di cibo solido, poiché non avreste potuto sopportarlo.

Ma non potete sopportarlo neppure adesso, poiché siete ancora carnali. ( 1 Cor 3,2 )

51. ( Gen 21,10 ) Abramo si rattristò per la richiesta di Sara contro Ismaele

Si discute perché Abramo si rattristasse quando sentì dire da Sara: Manda via la schiava e suo figlio, poiché non dovrà spartire l'eredità con mio figlio Isacco, dal momento che questa era una profezia, ( Gal 4,21 ) che certamente doveva conoscere piuttosto lui che Sara.

Ma bisogna credere o che Sara lo disse per rivelazione, poiché le era stato rivelato prima, mentre Abramo, che ne fu informato dopo dal Signore, rimase turbato per l'affetto paterno verso il figlio, oppure che entrambi prima non sapevano che cosa mai volesse dire quell'ordine e che ciò fu detto profeticamente da Sara senza saperlo, essendo mossa dal suo orgoglio di donna a causa della superbia della schiava.

52. ( Gen 21,13 ) Ismaele fu chiamato da Dio discendente di Abramo

Si deve notare che anche Ismaele fu chiamato da Dio discendente di Abramo, poiché l'Apostolo insegna che così deve intendersi l'espressione pronunciata da Dio: Da Isacco prenderà nome la tua discendenza; ( Gen 21,12 ) cioè: non tutti i figli nati dalla carne sono figli di Dio, ma come discendenti sono considerati solo i nati in virtù della promessa; ( Rm 9,7-8 ) questa categoria di persone ha perciò relazione con Isacco, che non era stato generato naturalmente ma in virtù della promessa, e nella sua persona è fatta la promessa che riguarda tutti i popoli.

53. ( Gen 21,14 ) Se Agar si mise sulle spalle Ismaele ormai grande

Allora Abramo si alzò di buon mattino, prese dei pani e un otre d'acqua e li diede ad Agar e le mise sulle spalle anche il ragazzo.

Di solito si discute su come mai egli pose sulle spalle [ della madre ] un ragazzo tanto grande.

In realtà Ismaele aveva tredici anni quando fu circonciso e Isacco non era ancora nato.

Abramo aveva allora novantanove anni ( Gen 17,17 ) e Isacco nacque quando il padre aveva cent'anni.

Ora, quando Ismaele giocava con Isacco, Sara rimase turbata.

Evidentemente Isacco doveva essere già grandicello essendo stato già svezzato.

Ismaele doveva avere senza dubbio più di sedici anni ( Gen 21,9-10 ) quando fu cacciato con sua madre dalla casa paterna.

Ma ammesso che il fatto di giocare con il bambino sia qui riferito sotto forma di " ricapitolazione " e che fosse avvenuto prima che Isacco fosse svezzato, anche in questa ipotesi non sarebbe comunque meno assurdo credere che un ragazzo di più di tredici anni fosse stato caricato sulle spalle della madre con l'otre e con i pani.

La questione si risolve facilmente se si sottintende non già mise sulle spalle ma " diede ".

In effetti come sta scritto Abramo diede alla madre d'Ismaele dei pani e un otre che essa pose sulle proprie spalle.

Quando poi il testo aggiunge: e il ragazzo, noi sottintendiamo " le diede ", come le aveva dato i pani e l'otre, e non " le mise sulle spalle".

54. ( Gen 21,15-18 ) Come mai Agar abbandonò sotto un albero il ragazzo quindicenne

Ora, l'acqua dell'otre si era esaurita ed essa gettò via il ragazzo sotto un abete e andò a sedersi lontano, di fronte a lui, alla distanza di un tiro d'arco, poiché diceva tra sé: " Non vedrò la morte di mio figlio ", e si era messa a sedere di fronte a lui; ma il ragazzo gridava e piangeva.

Dio intese la voce del ragazzo proveniente dal posto dov'era.

E l'angelo di Dio chiamò Agar dal cielo e le disse: " Che c'è Agar? Non temere perché Dio ha inteso la voce di tuo figlio proveniente dal luogo dove egli sta.

Àlzati, prendi il ragazzo e tienilo per mano. Poiché io farò di lui una grande nazione ".

Di solito ci si chiede come mai la madre gettò via sotto un albero il ragazzo che aveva più di quindici anni e si allontanò alla distanza di un tiro d'arco per non vederlo morire.

In effetti così sembra suonare ciò che viene detto come se avesse gettato via colui che portava [ in collo ] soprattutto perché subito dopo si dice: Il ragazzo pianse.

Ma si deve intendere che non fu gettato via da chi lo portava ma, come succede, dall'animo sembrando che fosse per morire.

Infatti non poiché sta scritto: Sono stato gettato via dal cospetto dei tuoi occhi, ( Sal 31,23 ) colui che disse così era uno che veniva portato in collo.

Ciò si trova anche nel linguaggio comune d'ogni giorno, quando si dice che uno è gettato lontano da un altro con cui stava, perché non venga veduto da quello o resti con lui.

D'altra parte si deve capire cosa che la Scrittura non dice che la madre s'era allontanata dal figlio perché il ragazzo ignorasse dove ella se ne fosse andata e che lei si fosse nascosta in mezzo ai cespugli della selva per non vedere il figlio che moriva dalla sete.

Che c'è poi di strano che il ragazzo, anche a quell'età, scoppiò a piangere se non vide a lungo la madre e la credette morta in quel luogo ove era rimasto solo?

Ciò dunque che viene detto in seguito: Prendi il ragazzo non fu detto affinché lei lo rialzasse come se fosse giacente a terra, ma perché si unisse con lui e poi lo tenesse per mano come compagno, qual era, come fanno generalmente persone di qualunque età che camminano insieme.

55. ( Gen 21,22 ) Come mai Agar si aggira nei pressi di un pozzo ancora inesistente

Ora avvenne in quel tempo e Abimelec disse, ecc.

Si può discutere come corrisponda alla verità che, quando Abramo concluse un patto con questo Abimelec, ( Gen 21,22-32 ) il pozzo che fece scavare fu chiamato " pozzo del giuramento ". ( Gen 21,31 )

Poiché Agar, dopo essere stata cacciata dalla casa di Abramo, andava errando nei pressi del pozzo come s'è detto del giuramento, che l'agiografo dice essere stato costruito da Abramo molto tempo dopo: lì infatti fecero il giuramento Abimelec e Abramo, cosa che certamente non era ancora avvenuta quando Agar con il figlio era stata cacciata dalla casa di Abramo.

In che modo quindi andava errando nei pressi del pozzo del giuramento? ( Gen 21,14.19 )

O si deve intendere che era stato già costruito, e sotto forma di ricapitolazione fu poi ricordato ciò che fece Abramo con Abimelec?

Salvo che l'agiografo, il quale scrisse il libro molto tempo dopo, chiamò con il nome di pozzo del giuramento il paese in cui andava errando la madre con il figlio, come se dicesse: " Andava errando nel paese ove fu scavato il pozzo del giuramento ", sebbene il pozzo fosse costruito dopo, ma assai prima del tempo dello scrittore.

Quando il libro veniva scritto così veniva chiamato il pozzo che conservava il nome antico impostogli da Abramo.

Se però è lo stesso pozzo visto da Agar ad occhi aperti, non resta altro che risolvere la questione per mezzo della ricapitolazione.

Non deve neppure creare imbarazzo come Agar non conoscesse il pozzo che aveva fatto scavare Abramo se era stato scavato prima ch'essa fosse cacciata.

Poteva darsi infatti benissimo che, assai lontano dalla casa, ove abitava con i suoi, Abramo avesse per il suo bestiame fatto scavare il pozzo ch'essa non conosceva.

56. ( Gen 21,33 ) Se Abramo possedeva un appezzamento di terreno presso il pozzo

Ci si può chiedere come mai Abramo avesse piantato un appezzamento di terreno presso il pozzo del giuramento, se in quel paese come dice Stefano ( At 7,5 ) non aveva ricevuto in eredità neppure un appezzamento di terreno largo un piede.

Ma per " eredità " è da intendersi quella che gli avrebbe dato Dio per suo dono, non comprata con denaro.

S'intende infatti che l'appezzamento di terreno attorno al pozzo faceva parte del patto di compravendita per il quale erano state date sette agnelle quando Abimelec e Abramo si scambiarono anche il giuramento. ( Gen 21,27-30 )

57. ( Gen 22,1 ) Come Dio tentò Abramo

E Dio tentò Abramo. Di solito si discute in qual modo ciò sia vero dal momento che Giacomo, nella sua Lettera, afferma che Dio non tenta nessuno, ( Gc 1,13 ) ma non è forse perché nel linguaggio della Scrittura il termine " tentare " ha lo stesso senso di " mettere alla prova "?

Al contrario, per la tentazione di cui parla Giacomo, non s'intende se non quella per la quale uno cade nel peccato.

Ecco perché l'Apostolo dice: [ Avevo paura ] che il tentatore vi avesse tentati. ( 1 Ts 3,5 )

Infatti in un altro passo sta scritto: Il Signore, vostro Dio, vi mette alla prova per sapere se lo amate. ( Dt 13,3 )

Anche ciò è detto con una specie di locuzione, come se fosse detto: " per farvi sapere ", perché l'uomo ignora le forze del suo amore se non gli fossero fatte conoscere con la prova in cui è messo da Dio.

58. ( Gen 22, 12.14 ) L'effetto per la causa

Le parole dell'angelo rivolte dal cielo ad Abramo: Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male. Ora so che tu temi Dio.

Anche questa questione si risolve in base alla locuzione simile alla precedente, poiché la frase: Ora so che tu temi Dio significa: " Ora ti ho fatto conoscere ".

Questa specie di locuzione appare poi evidente nel seguito della frase ove si dice: e Abramo chiamò quel luogo: Il Signore ha visto, di modo che [ ancora ] oggi si dice: sul monte il Signore s'è fatto vedere.

Ha visto sta per: " è apparso ", cioè ha visto sta per: " ha fatto sì che si vedesse " indicando l'effetto per chi è la causa, come " il freddo pigro " per il fatto che rende pigri.

59. ( Gen 22,12 ) A causa di Dio Abramo non ha risparmiato il suo figlio

E non hai risparmiato il tuo diletto figlio a causa di me.

Forse che Abramo non risparmiò suo figlio a causa dell'angelo e non a causa di Dio?

O dunque sotto il nome di " angelo " è indicato Cristo nostro Signore, che senza dubbio è Dio e dal Profeta è chiamato chiaramente: Angelo del gran consiglio, ( Is 9,6 ) oppure poiché Dio era nell'angelo, anche l'angelo parlava in persona di Dio, come di solito parla anche per bocca dei Profeti.

In effetti sembra che ciò appaia più chiaramente nel seguito del passo ove si legge: E l'angelo del Signore chiamò di nuovo dal cielo Abramo e disse: Giuro per me stesso, così parla il Signore. ( Gen 22,15-16 )

Difficilmente infatti si trova che Cristo nostro Signore chiami Signore il Padre, come suo proprio Signore, specialmente prima dell'Incarnazione.

Sembra in realtà che ciò si dica in modo non conveniente riguardo al fatto ch'egli assunse la natura di servo.

Infatti secondo la profezia di questo evento futuro, nel Salmo si legge: Il Signore mi ha detto: " Figlio mio sei tu ". ( Sal 2,7 )

Neppure nel Vangelo troviamo facilmente che il Padre sia stato chiamato " Signore " per il fatto che fosse il proprio Signore, sebbene troviamo [ che lo chiama ] " Padre " nel passo ove dice: Vado al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro. ( Gv 20,17 )

Invece la frase della Scrittura: Disse il Signore al mio Signore si riferisce a colui che parlava, cioè: Disse il Signore al mio Signore, ( Sal 110,1 ) vale a dire il Padre al Figlio, e l'agiografo dice: Il Signore fece piovere … dal Signore, ( Gen 19,24; Lc 17,29 ) perché s'intendesse che il suo Signore fece piovere dal suo Signore, cioè nostro Signore da nostro Signore, il Figlio dal Padre.

60. ( Gen 22,21 ) Camuel padre dei Siri

Quanto al fatto che, tra coloro che riferirono ad Abramo ch'erano nati dei figli a suo fratello, è nominato Camuel, padre dei Siri, ma quei tali non poterono certamente riferire ch'era nato il capostipite dei Siri, poiché la stirpe dei Siri si propagò molto tempo dopo dalla sua origine.

Ma così è detto in nome proprio dall'agiografo che, scrivendo, narra tutti questi fatti dopo tutti quei tempi, allo stesso modo che abbiamo detto più sopra a proposito del pozzo del giuramento.9

61. ( Gen 23,7 ) L'adorazione è dovuta solo a Dio

Abramo si alzò e adorò il popolo di quel paese.

Ci si chiede come mai sta scritto: Adorerai il Signore, tuo Dio, e servirai lui solo, ( Dt 6,13; Dt 10,20 ) dal momento che Abramo onorò un popolo di pagani fino al punto di adorarlo.

Si deve però considerare che nel medesimo comandamento non è detto: " Adorerai solo il Signore tuo Dio ", come è detto: e renderai culto a lui solo, che in greco si dice λατρεύσεις.

Un tale culto è dovuto unicamente a Dio; per conseguenza sono biasimati gli idolatri, cioè coloro che rendono agli idoli il culto dovuto solo a Dio.

E non ci deve neppure stupire che in un altro passo d'un libro della Scrittura l'angelo proibisce all'uomo di adorarlo e lo esorta ad adorare piuttosto il Signore, ( Ap 19,10 ) poiché l'angelo era apparso come persona così eminente da poter essere adorato come Dio.

Per questo l'adoratore doveva essere corretto.

62. ( Gen 24,3 ) In che modo Abramo comanda al suo servo di giurare

Il fatto che Abramo comandi al suo servo di mettere la sua mano sotto il suo fianco e così lo fa giurare in nome del Dio Signore del cielo e della terra, di solito mette in imbarazzo gli ignoranti, i quali non riflettono che questa era una grande profezia riguardante Cristo, che cioè egli, Signore del cielo e della terra, sarebbe venuto nella carne propagata da quel fianco.

63. ( Gen 24,12-14 ) La differenza tra le azioni illecite di prendere gli auspici e il chiedere un segno

Si deve cercare quale sia la differenza tra le azioni illecite di prendere gli auspici e il chiedere un segno, come fece il servo di Abramo che chiese a Dio di mostrargli che la donna destinata ad essere la moglie del suo signore Isacco era quella alla quale, dopo aver chiesto da bere, gli avesse detto: Bevi anche tu e darò da bere anche ai tuoi cammelli finché non saranno dissetati.

Poiché una cosa è chiedere qualcosa di straordinario, che sia un segno per effetto dello stesso miracolo, un'altra cosa è osservare ciò che accade in modo che non è straordinario, ma dagli indovini viene interpretato con superstiziosa vanità.

Non è dunque una questione di poca importanza se si possa anche avere l'audacia di pretendere un evento straordinario, che facesse vedere ciò che si vuole sapere.

Poiché in relazione a ciò è quel che si dice che tentano Dio coloro che così fanno in modo non retto.

Infatti lo stesso Signore, quando fu tentato dal demonio, ricorse a un testo della Scrittura: Non tenterai il Signore Dio tuo. ( Dt 6,16; Mt 4,7 )

Poiché gli veniva consigliato, come uomo, di provare quanto egli fosse potente, cioè quanto fosse potente presso Dio; questa è un'azione colpevole quando la si compie.

Una cosa differente è quella compiuta da Gedeone quando incombeva il pericolo della guerra; ( Gdc 6,17-18 ) quella infatti fu piuttosto una consultazione che una tentazione di Dio.

Per questo anche Acaz presso Isaia ha paura di chiedere un segno per non sembrare di tentare Dio, ( Is 7,11-12 ) sebbene il Signore lo esortasse per mezzo del Profeta a chiederlo, pensando io credo che fosse messo alla prova dal Profeta se si ricordasse del comandamento che ci proibisce di tentare Dio.

64. ( Gen 24,37-38 ) Sulla concordanza delle Scritture

Il servo di Abramo, raccontando gli ordini datigli dal suo padrone, afferma che gli disse: Non prenderai per mio figlio una moglie tra le figlie dei Cananei, in mezzo ai quali abito nel loro paese, ma andrai nella casa di mio padre, nella mia tribù e prenderai di lì una moglie per mio figlio, ecc.

Qualora si leggesse in qual tenore gli furono impartiti gli ordini, si troverebbe il medesimo senso; al contrario, le parole non sono state riferite tutte o le stesse o in questo modo.

Ho creduto opportuno ricordare ciò, a causa di molte persone ignoranti che muovono critiche sconvenienti e ingiuste agli Evangelisti per il fatto che, riguardo ad alcune parole, non vanno completamente d'accordo tra di loro, sebbene quanto alla realtà e al pensiero non discordino affatto.

Di certo, infatti, un solo scrittore è autore di questo libro; costui infatti, le cose che Abramo gli aveva detto prima, nell'impartirgli gli ordini, le poté esprimere in quel modo anche solo ricordandole se le avesse giudicate opportune, poiché la veracità del racconto che si esige altro non è se non quella dell'obiettività e del senso [ espresso dalle parole ] con cui si manifesta chiaramente l'intenzione che le parole rendono intelligibile.

65. ( Gen 24,41 ) Etimologia della parola giuramento

Riferendo il racconto del servo di Abramo circa gli ordini datigli dal suo padrone, i manoscritti latini hanno: Allora sarai innocente del mio giuramento [ a iuramento meo, oppure a iuratione mea ] mentre quelli greci hanno: dalla mia maledizione, poiché il giuramento in greco si dice όρκος, la maledizione invece άρά, e perciò [ maledetto ] si dice κατάρατος, oppure έπικατάρατος.

Per conseguenza sorge la questione in qual senso si possa intendere come maledizione il giuramento, se non che è maledetto chi agisce contro il giuramento.

66. ( Gen 24,49 ) Misericordia e giustizia

Se dunque userete misericordia e giustizia verso il mio signore, fatemelo sapere.

I due termini misericordia e giustizia che ricorrono frequentemente in altri passi delle sacre Scritture e soprattutto nei Salmi poiché lo stesso significato hanno misericordia e verità ( Sal 25,10 ) cominciano ad apparire già a partire da questa frase.

67. ( Gen 24,51 ) La profezia sia tale da non ingenerare dubbi che si avveri

Ecco, Rebecca è qui davanti a te. Prendila e torna indietro.

Diventi la moglie del figlio del tuo padrone, come ha detto il Signore.

Noi ci domandiamo: Quando ha parlato il Signore?

Salvo che sapevano che Abramo era un profeta e riconoscevano come detto dal Signore profeticamente ciò che era stato detto per mezzo di lui; ( Gen 24,43.44 ) oppure chiamarono parola del Signore il segno che il servo aveva raccontato loro essergli stato dato: ( Gen 24,3.4 ) questo segno era stato rappresentato piuttosto riguardo a Rebecca.

Quello infatti che aveva detto Abramo non riguardava Rebecca ma una donna qualunque della sua tribù o della sua parentela; riguardava perciò tutt'e due i casi, in modo che fosse libero dal giuramento se non avesse raggiunto lo scopo.

Certamente non si dice così quando si profetizza qualcosa.

È infatti doveroso che la profezia sia tale da non ingenerare dubbi che si avveri.

68. ( Gen 24,60 ) Ciò che i suoi fratelli dissero a Rebecca nell'atto di partire

Quanto a ciò che i suoi fratelli dissero a Rebecca nell'atto di partire: Tu sei nostra sorella; diventa migliaia di miriadi e i tuoi discendenti conquistino in eredità le città dei loro nemici, non furono dei profeti o lo desiderarono animati da una sì grande vanità, ma non era potuto rimanere loro nascosto ciò che Dio aveva promesso ad Abramo.

69. ( Gen 24,63 ) Vari significati della parola exerceri

Riguardo a quanto sta scritto: E Isacco uscì a esercitarsi nella campagna a mezzogiorno, coloro che non conoscono il verbo greco che denota questa azione credono che si tratti di un esercizio fisico.

Ora in greco sta scritto άδολεσχήσαι, ma άδολεσχεϊν si riferisce all'esercizio spirituale, e spesso si attribuisce ad un difetto.

Tuttavia, secondo l'abitudine delle Scritture, si usa di solito in senso buono.

Invece di questa parola alcuni nostri scrittori hanno tradotto: esercizio, alcuni altri: garrulità, si direbbe quasi loquacità che, per quanto riguarda il linguaggio latino, a stento o mai si trova in senso buono.

Ma, come ho detto, nelle Scritture è sempre usato in senso buono.

A me pare che significhi una disposizione dell'animo che medita con straordinario interesse qualcosa, con il godimento proveniente dalla meditazione; salvo che siano di parere diverso coloro che intendono meglio queste parole greche.

70. ( Gen 25,1 ) Abramo sposa Cettura dopo la morte di Sara

Abramo poi prese di nuovo un'altra moglie, che si chiamava Cettura.

Questo passo potrebbe costituire un problema, se fosse un peccato soprattutto rispetto agli antichi che si curavano di propagare la prole.

In questo caso può sospettarsi qualsiasi cosa meno che l'incontinenza di un personaggio così eminente, tenuto conto soprattutto della sua età assai avanzata.

Perché inoltre procreò figli con questa donna lui, che grazie a un miracolo aveva avuto il figlio da Sara, è stato detto più sopra.10

Sebbene alcuni asseriscano che durasse a lungo il dono di una specie di rinvigorimento fisico ricevuto da Abramo in modo da poter procreare altri figli.

Ma è assai più certo che, anziano com'era, potesse procreare con una giovinetta come non avrebbe potuto farlo, lui anziano, con un'anziana, se in quel caso Dio non gli avesse accordato un miracolo soprattutto a causa dell'età, ma anche della sterilità di Sara.

Certamente uno di età avanzata e come dice la Scrittura pieno di giorni possa chiamarsi anziano, cioè πρεσβύτην, può capirsi dal fatto che Abramo fu chiamato così quando morì. ( Gen 25,8 )

Ogni vecchio dunque è anche πρεσβύτης, ma non ogni πρεσβύτης è anche vecchio, poiché per lo più questo è il nome dell'età che, al di sotto della vecchiaia, è vicina alla vecchiaia e perciò anch'essa prese il nome nella lingua latina sicché un vecchio è chiamato πρεσβύτης.

Presso i Greci però specialmente come parla la Scrittura sono chiamati πρεσβύτεροι e νεώτεροι anche se viene paragonata l'età di persone giovani, come noi diciamo " più anziano " e " più giovane ".

Tuttavia il fatto che Abramo dopo la morte di Sara procreò figli da Cetura, non deve intendersi come se avvenisse in base alla consuetudine umana e solo con l'idea di procurarsi una figliolanza più numerosa.

In questo senso infatti gli uomini potrebbero intendere anche ciò che avvenne nel caso di Agar, se l'Apostolo non ci ricordasse che quei fatti avevano in sé un significato profetico ( Gal 4,22-24 ) e così nella persona di ambedue le donne e dei loro figli il significato allegorico prefigurasse i due Testamenti per la predizione della realtà futura.

Quindi anche nell'azione di Abramo si deve cercare qualcosa di simile.

Benché non facilmente venga in mente un'idea in proposito, nel frattempo dirò ciò che mi viene in mente.

Mi sembra che i doni che ricevettero i figli delle concubine siano simbolo di alcuni doni di Dio nei riti sacri in qualsiasi specie di prefigurazioni simboliche dati anche al popolo carnale dei Giudei e agli eretici come figli delle concubine, mentre il dono dell'eredità, che consiste nella carità e nella vita eterna, ( Rm 9,7-8 ) appartiene solo ad Isacco, cioè ai figli della promessa.

71. ( Gen 25,13 ) Le parole: I nomi dei figli di Ismaele secondo i nomi delle loro generazioni

Che cosa vuol dire ciò che sta scritto: Questi sono i nomi dei figli di Ismaele secondo i nomi delle loro generazioni?

Poiché non è molto chiaro per qual motivo sia stato aggiunto: secondo i nomi delle loro generazioni, dal momento che sono nominati coloro che egli aveva generato, non coloro che furono generati da essi.

Salvo che per caso, poiché le popolazioni generate da essi sono chiamate con i loro nomi, questa circostanza è stata indicata con l'espressione: secondo i nomi delle loro generazioni.

Ma nondimeno in questo modo quelle popolazioni sono piuttosto chiamate così a causa del nome di quelli, non i nomi derivano dalle popolazioni, poiché esse sono sorte in seguito.

È quindi un'espressione da notare, poiché anche in seguito di esse viene detto: I dodici capi secondo i loro popoli. ( Gen 25,16 )

72. ( Gen 25,22 ) Rebecca andò a consultare il Signore e ne ebbe risposta

Riguardo a quanto sta scritto che Rebecca andò a consultare il Signore poiché i bambini si urtavano l'un l'altro entro il suo seno, si discute ove si recasse.

Poiché non c'erano allora profeti e sacerdoti ordinati al servizio della tenda o del tempio del Signore.

Giustamente dunque si riflette ove andasse se non forse al posto ove Abramo aveva eretto un altare. ( Gen 22,9 )

La Scrittura però non dice affatto in che modo fossero comunicati i responsi, se mediante un sacerdote se c'era non si può credere che in quel passo non fosse nominato e non venisse fatta assolutamente alcuna menzione di qualcuno dei sacerdoti o forse ivi dopo aver esposto i loro desideri, restavano in quel luogo a dormire affinché i responsi fossero loro ispirati durante il sonno?

O forse era ancora vivo Melchisedec, ch'era un personaggio tanto eminente che alcuni si chiedono se era un uomo o un angelo?

O c'erano forse uomini di Dio tali che, per mezzo di essi potesse consultarsi Dio?

Qualunque cosa sia di questa ipotesi, o di altra che mi sia dimenticato di rammentare, di certo non può mentire la Scrittura nell'affermare che Rebecca andò a consultare il Signore e il Signore le rispose.

73. ( Gen 25,23 ) Le parole della risposta che Dio diede a Rebecca

Le parole della risposta che Dio diede a Rebecca: Due nazioni sono nel tuo ventre e due popoli si separeranno fuori del tuo ventre, e un popolo prevarrà sull'altro popolo e il maggiore sarà servo del minore, contengono un senso tipologico-profetico in quanto nel figlio maggiore sono simboleggiate le persone carnali del popolo di Dio, mentre nel figlio minore quelle spirituali.

Poiché secondo ciò che dice l'Apostolo, non fu prima il corpo spirituale, ma quello animale [ = naturale ] e poi lo spirituale. ( 1 Cor 15,46 )

Di solito ciò che fu detto [ nella risposta a Rebecca ] s'intende anche in questo: in Esaù è simboleggiato il popolo maggiore di Dio, cioè l'Israelitico secondo la carne, in Giacobbe invece è simboleggiato lo stesso Giacobbe secondo la discendenza spirituale.

Tuttavia si trova scritto che questa risposta si adempì anche storicamente alla lettera quando il popolo d'Israele, cioè il figlio minore Giacobbe, riportò vittoria sugli Idumei, cioè il popolo discendente di Esaù, rendendoli tributari per mezzo di Davide. ( 2 Sam 8,13-14; 1 Re 11,15 )

Così rimasero fino al re sotto il quale gli Idumei si ribellarono e scossero dal loro collo il giogo degli Israeliti secondo la profezia fatta dallo stesso Isacco, quando benedisse il minore invece del maggiore. ( Gen 27,26.39-40 )

Così disse al medesimo figlio minore quando poi benedisse anche lui.

74. ( Gen 25,27 ) In che modo ricevette, mediante l'inganno, la benedizione colui che era senza inganno

Giacobbe invece era un uomo semplice che dimorava in una casa.

Gli scrittori latini hanno tradotto con l'aggettivo semplice quello greco άπλαστος " non finto, non falso ".

Per questo motivo alcuni traduttori latini hanno tradotto: senza inganno, dicendo: Giacobbe era una persona senza inganno che abitava in una casa.

Sorge in tal modo un difficile problema: in che modo ricevette, mediante l'inganno, la benedizione colui che era senza inganno?

La Scrittura però premette questa qualifica per simboleggiare qualcosa d'importante.

Soprattutto da questa infatti siamo costretti a intendere in quel passo realtà di natura simbolica, poiché era senza inganno colui che agì con inganno.

Che cosa noi pensassimo di questo fatto lo abbiamo esposto assai esaurientemente in un discorso tenuto al popolo.11

75. ( Gen 26,1 ) Isacco costretto dalla carestia andò da Abimelec

A proposito di quanto sta scritto: Ora ci fu nel paese una carestia, oltre la carestia ch'era avvenuta al tempo di Abramo; Isacco andò quindi da Abimelec re dei Filistei a Gerara, si discute quando avvenne questo evento; se dopo che Esaù vendette la sua primogenitura per un piatto di lenticchie poiché questo fatto comincia ad essere narrato dopo quel racconto oppure, come di solito avviene, il narratore, dopo essere andato avanti parlando dei figli di lui, essendo arrivato al passo più su ricordato che tratta del piatto di lenticchie, torna indietro a quei fatti con l'espediente della ricapitolazione.

Si resta perplessi però, poiché si trova lo stesso Abimelec che aveva anche desiderato ardentemente Sara e qui sono ricordati il suo paraninfo ed il generale del suo esercito, ( Gen 21,22.32; Gen 26,26 ) i quali, già menzionati in quel passo non potevano nemmeno essere vivi entrambi.

In effetti, allorché divenne amico di Abramo, Isacco ancora non era nato ma già era stato promesso.

Supponiamo che quel fatto fosse avvenuto un anno prima che nascesse Isacco in seguito Isacco ebbe dei figli all'età di sessant'anni; quelli poi erano giovani quando Esaù vendette la sua primogenitura supponiamo anche che essi avessero circa venti anni, allora fino a quell'azione dei suoi due figli gli anni di Isacco erano arrivati a ottanta; supponiamo che Abimelec, allorché s'innamorò della madre di Isacco e divenne amico di Abramo, fosse un giovanotto; poteva quindi essere già quasi centenario se, dopo quell'azione intervenuta tra i suoi figli, Isacco andò in quel paese costretto dalla carestia.

Da ciò dunque nessuna necessità ci costringe a credere che il viaggio di Isacco a Gerara sia stato narrato sotto forma di ricapitolazione.

Ma poiché la Scrittura dice che Isacco si fermò colà per un lungo tempo e vi scavò dei pozzi e litigò a proposito di essi e si arricchì di molti beni, ( Gen 26,14ss ) sarebbe strano se non fossero stati riepilogati tutti questi fatti ch'erano stati omessi, affinché arrivasse prima il racconto relativo ai suoi figli fino al passo dov'è narrato il fatto delle lenticchie.

76. ( Gen 26,12-13 ) Anche i beni temporali sono doni di Dio

Riguardo a ciò che sta scritto di Isacco: Il Signore l'aveva benedetto e così quest'uomo diventò potente e continuò a crescere in potenza finché divenne grande assai, il seguito del passo dimostra che è detto riguardo alla felicità terrena.

Il narratore infatti riferisce distintamente quei medesimi suoi beni grazie ai quali divenne grande e Abimelec, turbato per questa potenza, ebbe paura che egli vivesse lì temendo che la potenza di lui gli fosse pericolosa. ( Gen 26,14-16 )

Sebbene dunque questi fatti siano simbolo di qualcosa di spirituale, tuttavia per il fatto che si avverarono fu premesso: Il Signore lo benedisse, perché mediante la retta fede comprendessimo che anche questi beni temporali non possono essere concessi né devono essere sperati quando sono desiderati dalle persone di ceto sociale più basso se non dal solo Dio, sicché chi è fedele nelle minime cose è fedele anche nelle grandi.

Chi è stato trovato fedele nell'amministrare la ricchezza iniqua, costui meriterà anche di ricevere la vera ricchezza, come dice il Signore nel Vangelo. ( Lc 16,10-11 )

Così ugualmente è detto a proposito di Abramo, che tutto ciò che gli riuscì bene fu un dono di Dio.

Per conseguenza non poco questo racconto serve a istruire riguardo alla retta fede coloro che lo intendono con spirito religioso, anche se non si potesse estrarre da questi fatti un senso allegorico.

77. ( Gen 26,28 ) Maledizioni su chi è spergiuro

Si faccia un'imprecazione tra noi e te, cioè un giuramento che vincola mediante maledizioni che dovrebbero cadere su chi fosse spergiuro.

Come questo, deve considerarsi quanto ricordò anche il servo di Abramo raccontandolo alle persone da cui prese la moglie per il proprio padrone Isacco.

78. ( Gen 26,32.33 ) Il nome giuramento dato al pozzo

Che cosa vuol dire ciò che sta scritto, che cioè i servi di Isacco, dopo essere tornati e aver detto: Abbiamo scavato il pozzo ma non abbiamo trovato l'acqua, Isacco chiamò " Giuramento" il medesimo pozzo?

Forse che, sebbene si tratti di un fatto accaduto, dev'essere ritenuto senza dubbio come un simbolo di una realtà spirituale, poiché, preso alla lettera, non ha alcuna corrispondenza logica col nome di " Giuramento " dato al pozzo per il fatto che non vi era stata trovata l'acqua?

Altri traduttori dicono tuttavia che i servi di Isacco riferirono, al contrario, che l'acqua era stata trovata; ma anche così perché mai il pozzo fu chiamato " Giuramento " quando non era stato fatto alcun giuramento?

79. ( Gen 27,1-17 ) Perché Isacco chiede ad Esaù della selvaggina in cibo

Noi non crediamo affatto sia privo di un simbolismo profetico che un così gran patriarca, com'era Isacco, prima di morire chieda al figlio di andare a caccia per procurargli il cibo da lui preferito come un gran favore e gli promette la benedizione; soprattutto perché sua moglie si affretta a far sì che quella benedizione la riceva il figlio minore, ch'essa prediligeva, e poiché tutti gli altri particolari del medesimo racconto ci spingono assai a capire o indagare significati più importanti.

80. ( Gen 27,33 ) Lo smarrimento di Isacco dopo la benedizione

Ciò che esprimono i manoscritti latini dicendo: Isacco allora si spaventò di uno spavento grande assai, quelli greci lo esprimono con le parole: rimase stordito d'uno stordimento assai grande ( έξέστη έκστασιν μεγάλην σφόδρα ).

Con una tale espressione s'intende un turbamento tanto forte che ne seguì un'alienazione mentale propriamente chiamata estasi.

E poiché questa di solito avviene riguardo a rivelazioni di realtà importanti, si deve intendere che in questa avvenne un ammonimento riguardante realtà spirituali, affinché confermasse la sua benedizione per il figlio minore, contro il quale si sarebbe dovuto adirare poiché aveva ingannato il padre.

Allo stesso modo anche a proposito di Adamo viene prefigurato profeticamente il grande mistero che l'Apostolo afferma essere il rapporto tra Cristo e la Chiesa; i due formeranno una sola carne, ( Ef 5,31-32 ) è detto poiché era preceduta l'estasi. ( Gen 2,21 )

81. ( Gen 27,42 ) In che modo Rebecca seppe delle parole di Esaù

In che modo furono riferite o fatte sapere a Rebecca le parole di Esaù con le quali aveva minacciato di uccidere suo fratello, dal momento che la Scrittura afferma che aveva detto così nel suo pensiero? ( Gen 27,41 )

Non per alcun altro motivo se non perché con ciò ci viene dato d'intendere che veniva loro rivelata ogni cosa da Dio.

Per conseguenza si riferisce a un grande piano divino il fatto che Isacco volle fosse benedetto il proprio figlio minore invece del maggiore.

82. ( Gen 28,2 ) Differenza fra codici latini e greci

Quanto alla frase riferita dai manoscritti latini detta da Isacco a suo figlio: Va' in Mesopotamia, alla casa di Batuel, padre di tua madre, e prenditi di lì la moglie, i manoscritti greci non hanno Va', ma Fuggi, cioè άπόδραβι.

Da ciò si capisce che anche Isacco sapeva che cosa suo figlio Esaù aveva detto in cuor suo a proposito di suo fratello.

83. ( Gen 28,16-17 ) Le parole di Giacobbe riguardano una profezia

Allora Giacobbe si svegliò dal suo sonno e disse: " Il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo ".

Poi ebbe paura e disse: " Com'è terribile questo luogo! Ciò non è nient'altro che la casa di Dio e la porta del cielo! "

Queste parole riguardano una profezia poiché lì sarebbe stata la tenda stabilita da Dio tra gli uomini in mezzo al suo primo popolo.

La porta del cielo poi dobbiamo intenderla nel senso che per essa i credenti possono entrare per raggiungere il Regno dei cieli.

84. ( Gen 28,18 ) La pietra eretta da Giacobbe come monumento

Quanto al fatto che Giacobbe rizzò la pietra che s'era posta [ come guanciale ] sotto il capo e la eresse come un monumento e versò su di essa dell'olio, non compì alcun atto somigliante all'idolatria.

Né allora infatti né in seguito la visitò abitualmente adorandola ed offrendole sacrifici; ma fu una figura di un chiarissimo significato simbolico che ha relazione al termine " unzione ", in conseguenza della qual cosa il nome di Cristo deriva da " crisma ".

85. ( Gen 28,19 ) Il nome dato da Giacobbe a quel luogo

E Giacobbe diede a quel luogo il nome di " casa di Dio "; ma prima il nome della città era Ulammaus.

Se questa precisazione si prende nel senso che Giacobbe dormì nei pressi della città, non c'è alcun problema, se invece dormì nella città pare strano che vi potesse erigere quel monumento.

Il fatto poi che pronunziò un voto se [ Dio ] gli fosse stato propizio, nel suo andare e tornare, e promise di dare la decima [ dei beni ] alla futura casa di Dio in quel luogo, ( Gen 28,20-22 ) è una profezia riguardante la casa di Dio, ove egli al suo ritorno gli sacrificò non quella pietra chiamandola Dio, bensì la casa [ di Dio ], poiché in quel luogo sarebbe sorta la casa di Dio.

86. ( Gen 29,10 ) Giacobbe incontra Rachele

Quanto al fatto che Rachele arrivi con le pecore di suo padre e la Scrittura dice: Quando Giacobbe vide Rachele, figlia di Labano, fratello di sua madre, s'avvicinò e rotolò via la pietra dalla bocca del pozzo, si deve notare che la Scrittura tralascia per lo più ciò che noi dobbiamo immaginare piuttosto di sollevare una questione.

S'immagina infatti che i pastori, con i quali prima parlava Giacobbe, dopo essere stati interrogati su chi fosse la donna che stava arrivando con le pecore, furono essi a dirgli che era la figlia di Labano.

Giacobbe naturalmente non la conosceva, ma la Scrittura, pur senza menzionarla, ha voluto che s'immaginasse la domanda posta da lui e la risposta data da loro.

87. ( Gen 29,11-12 ) Rachele accetta il bacio da Giacobbe

Quanto a ciò che sta scritto: Giacobbe baciò Rachele, alzò la voce e pianse e le fece sapere ch'egli era fratello di lei e ch'era figlio di Rebecca.

Era in verità un fatto abituale proprio della semplicità degli antichi che i parenti baciassero le parenti, come avviene ancora oggi in molti luoghi.

Ma ci si può domandare come mai Rachele accettò il bacio da uno sconosciuto se, solo in seguito, Giacobbe indicò la propria parentela.

Si deve quindi intendere che egli, avendo già sentito chi ella fosse, si precipitò sicuro di sé a baciarla.

La Scrittura narrò dopo, sotto forma di ricapitolazione, ciò che era avvenuto prima, cioè che Giacobbe le aveva fatto sapere chi fosse lui.

Allo stesso modo si dice del paradiso, in che modo Dio lo piantò, ( Gen 2,8 ) sebbene già fosse stato detto che Dio aveva piantato il paradiso e vi collocò l'uomo che aveva modellato e si comprende che molte altre cose sono state dette per ricapitolazione.

88. ( Gen 29,20 ) Per gli amanti anche un breve tempo è piuttosto lungo

A proposito di ciò che sta scritto: Così Giacobbe servì per Rachele sette anni, ma gli sembrarono pochi giorni per il fatto che l'amava, dobbiamo chiederci come mai è detto questo dal momento che di solito per gli amanti anche un breve tempo è piuttosto lungo.

L'affermazione è dunque derivata dal disagio del servizio ch'era reso facile e lieve dall'amore.

89. ( Gen 29,27-30 ) Gli anni di servizio di Giacobbe per sposare Rachele

Se non si considera attentamente il racconto di questa vicenda, si crederà che, dopo che Giacobbe prese in moglie Lia, rimase a servire [ Labano ] per altri sette anni per [ avere in moglie ] Rachele, quindi la prese in moglie.

Tuttavia non è così, ma Labano gli disse: Finisci la settimana nuziale di costei, poi ti darò anche quest'altra per il servizio che presterai ancora presso di me per altri sette anni.

L'espressione: Finisci la settimana di costei, è riferita pertanto alla celebrazione delle nozze, che di solito si celebravano per sette giorni.

Ecco dunque che cosa gli disse: Compi i sette giorni delle nozze che riguardano costei che hai preso in moglie, poi ti darò anche quest'altra per il servizio che presterai ancora presso di me per altri sette anni.

Poi continua: Ora Giacobbe fece così: terminò la settimana nuziale cioè i sette delle nozze con Lia , e allora Labano gli diede in moglie sua figlia Rachele.

Labano inoltre diede a sua figlia Rachele come schiava la propria schiava Balla.

Egli si unì a Rachele e amò Rachele più di Lia e fu ancora a servizio di lui per altri sette anni.

È senz'altro chiaro che, dopo aver preso in moglie Rachele, fu a servizio di Labano per altri sette anni.

Sarebbe stata infatti una crudeltà ed una grande ingiustizia che Labano, dopo aver ingannato Giacobbe, lo avesse fatto aspettare ancora sette anni e solo allora gli avesse dato colei che gli avrebbe dovuto dare prima.

Che poi fosse usanza di celebrare le nozze per sette giorni lo mostra anche il Libro dei Giudici a proposito di Sansone, ( Gdc 14,10 ) quando fece il banchetto per sette giorni.

La Scrittura inoltre aggiunge che così usavano fare i giovani; Sansone lo fece per le proprie nozze.

90. ( Gen 30, 3.9 ) L'uso di concubina e moglie nel linguaggio della Scrittura

Non è facile distinguere quali donne la Scrittura chiama concubine e quali mogli, dal momento che non solo Agar è chiamata moglie, mentre in seguito è chiamata concubina, ma anche Cettura e le serve date da Rachele e da Lia al loro marito, ( Gen 16,3; Gen 25,1.6 ) salvo che secondo l'usanza di parlare delle Scritture ogni concubina venga chiamata moglie, ma non ogni moglie concubina, cosicché Sara, Rebecca, Lia e Rachele non possono chiamarsi concubine, mentre Agar, Cettura, Balla e Zelfa possono chiamarsi tanto mogli che concubine.

91. ( Gen 30,11 ) Il senso ambiguo della parola fortuna

Quanto a ciò che i manoscritti latini portano, che Lia, in seguito alla nascita di un figlio avuto da Zelfa, disse: [ Ora ] sono beata, oppure: sono felice, mentre quelli greci hanno: εύτύχη, che significa piuttosto " buona fortuna ".

A coloro che non intendono bene questa espressione sembra faccia pensare che tali persone adorassero la Fortuna, o come se l'autorità delle sacre Scritture avesse usato quel termine nel senso che ha ordinariamente.

Si deve però intendere per " fortuna " ciò che sembra accadere per caso, non perché sia una divinità, sebbene le stesse cose che sembrano casuali avvengano per disposizione di Dio da cause occulte.

Da "fortuna " sono derivate certe parole, come forte " forse; per caso ", fortasse " per avventura ", forsitan " forse ", fortuito " fortuitamente; accidentalmente; a caso " che nessuno può eliminare dal linguaggio usuale; da fortuna sembra che anche nella lingua greca suoni ciò che [ i Greci ] dicono τάχα, in quanto deriva da τύχη, oppure di certo Lia parlò in quel modo perché conservava ancora la mentalità pagana.

Giacobbe infatti non disse così per evitare che il suo esempio potesse far credere legittimo l'uso di quella parola.

92. ( Gen 30,30 ) Significato della benedizione di Giacobbe

Quanto a ciò che disse Giacobbe: Il Signore ti ha benedetto per il mio piede, si deve considerare attentamente e porre in rilievo il senso delle Scritture, per evitare di considerare come una specie d'indovino uno che avesse parlato così.

È infatti una cosa molto diversa ciò che soggiunge Giacobbe: Il Signore ti ha benedetto grazie al mio piede, poiché volle fare intendere: " grazie alla mia venuta ".

93. ( Gen 30, 37.42 ) Giacobbe e le verghe variegate

A proposito di ciò che fece Giacobbe quando tagliò a strisce la corteccia di certe verghe, levandone il verde per metterne in evidenza il bianco variegato e così, nel concepimento, la prole delle pecore e delle capre diventasse variegata.

Allorché le madri si abbeveravano nei trogoli, vedendo le verghe variegate concepivano la prole variegata.

Si dice che accadano molti fatti simili riguardo alla figliolanza degli animali.

Si racconta perciò e si trova scritto nei libri dell'antichissimo ed espertissimo medico Ippocrate che [ una cosa simile ] successe anche ad una donna: essendo stata sospettata di adulterio per aver partorito un bambino bellissimo ma che non somigliava a nessuno dei genitori e consanguinei, avrebbe dovuto essere punita se il suddetto medico non avesse risolto la questione: egli esortò quei tali a cercare se per caso nella loro camera da letto ci fosse la pittura di un bambino che gli somigliasse; la pittura fu trovata e la donna si trovò liberata dal sospetto.

Non è però affatto chiaro quale utilità apportò l'espediente praticato da Giacobbe di unire tre verghe prese da alberi diversi al fine di moltiplicare le pecore variamente colorate.

Per lo scopo voluto non importa neppure se le verghe vengono rese variegate se prese da una sola specie di albero, o se le specie degli alberi fossero più d'una, dal momento che si cerca di rendere variegate delle verghe.

Questo fatto costringe perciò a cercare un significato profetico ed un senso allegorico.

Poiché senza dubbio Giacobbe lo compì come profeta, e perciò non deve essere neppure accusato di frode; poiché non si deve pensare ch'egli facesse una simile azione senza una rivelazione spirituale.

Inoltre, per ciò che riguardava la giustizia e l'equità come narrano più chiaramente alcuni traduttori non metteva [ nei trogoli ] le verghe quando le pecore concepivano la seconda volta.

Ciò è detto tanto più oscuramente quanto più brevemente dai Settanta così: Quando le pecore avevano partorito non metteva [ le verghe ]. ( Gen 30,42 )

Questa espressione deve intendersi nel senso che, dopo che le pecore avevano partorito la prima volta, tralasciava di mettere le verghe, per non portarsi via tutti i piccoli, cosa che sarebbe stata ingiusta.

94. ( Gen 31,30 ) Parole misteriose di Labano

Quanto alle parole dette da Labano: Perché hai rubato i miei dèi? derivano forse dal fatto che [ prima ] aveva detto anche di aver avuto il presagio [ della sua prosperità ] per divinazione e dal fatto che sua figlia aveva parlato della " buona fortuna ". ( Gen 31,29 )

Si deve anche notare che dall'inizio di questo libro incontriamo adesso, per la prima volta, gli dèi dei pagani, poiché nei libri precedenti della Scrittura si parlava solo di Dio.

95. ( Gen 31,41 ) Significato della risposta di Giacobbe a Labano

Che cosa vuol dire ciò che Giacobbe dice al proprio suocero: Tu quanto al mio salario mi hai ingannato di dieci agnelle?

La Scrittura infatti non racconta quando e in che modo ciò sia accaduto, ma è certamente accaduto ciò che egli ricorda, poiché lo aveva detto anche alle sue mogli, quando le chiamò nella campagna.

Lamentandosi infatti del loro padre, dice tra l'altro: E quanto al mio salario mi ha ingannato di dieci agnelli. ( Gen 31,7 )

S'intende dunque che Labano, vedendo che ad ogni parto degli ovini, erano nati agnelli e capretti quali aveva deciso che appartenessero a Giacobbe, ( Gen 30,37-42 ) aveva combinato il patto con la frode e aveva stabilito che nel parto successivo Giacobbe avesse per salario i nati d'un colore diverso.

Allora Giacobbe non metteva negli abbeveratoi le verghe striate e gli animali non nascevano pezzati, ma d'un colore unito, così Giacobbe se li portava via in virtù del nuovo patto.

Vedendo ciò Labano cambiava di nuovo, con frode, il patto affinché a Giacobbe appartenessero gli animali pezzati; allora, poiché erano state poste [ nei trogoli ] le verghe [ striate ], nascevano pezzati.

Questo dunque disse Giacobbe alle sue mogli: Ha cambiato il mio salario di dieci agnelli, e poi allo stesso Labano: Nel salario mi hai ingannato di dieci agnelle.

Non lo disse come se la frode fosse tornata a vantaggio di suo suocero, disse che Dio lo aveva aiutato contro di lui, affinché non tornasse a vantaggio di quello.

Giacobbe però usa l'espressione dieci agnelli o dieci agnelle invece dei dieci periodi di tempo in cui partorirono le pecore che egli pascolava durante un sessennio, poiché partorivano due volte all'anno.

Ma era successo che il primo anno in cui fecero il patto tra loro e Giacobbe prese a pascolarle per quel salario concordato, le pecore partorirono una sola volta alla fine dell'anno, poiché, quando assunse quell'incarico di pascolare le pecore, quelle avevano già partorito una volta, come avvenne poi di nuovo nel sesto ed ultimo anno in cui avevano partorito già una volta; venne allora per Giacobbe la necessità di partire e dovette andarsene prima che le pecore partorissero una seconda volta.

Di conseguenza, poiché le pecore, sotto la guida di Giacobbe, nel primo e nell'ultimo anno avevano partorito una sola volta e in ciascuno degli altri quattro anni intermedi avevano partorito due volte, tutti i loro parti sommano a dieci.

Non c'è poi nulla di strano nel fatto che chiamasse questi dieci periodi di tempo con il termine agnelli, che nascevano nei medesimi periodi di tempo, come se uno dicesse: " per tante vendemmie " o " per tante messi ", per fare intendere con queste espressioni il numero degli anni.

Per questo un celebre poeta dice: Dopo alcune spighe12 indicando con spighe le messi e con messi gli anni.

Inoltre si dice che la fecondità delle pecore di quella regione, come quelle dell'Italia, è tanto grande da partorire due volte all'anno.

96. ( Gen 31,45 ) La stele sacra eretta da Giacobbe

Ora Giacobbe prese una pietra e la eresse come una stele sacra.

Si deve considerare che si erigevano queste stele sacre a testimonianza di qualsiasi fatto, non già per adorarle come dèi, ma come indicative di un qualche evento.

97. ( Gen 31,47-48 ) Il mucchio di pietre eretto da Giacobbe e Labano

Coloro che conoscono, oltre alla lingua ebraica, anche quella siriaca, insegnano che il cumulo di pietre, che eressero insieme Labano e Giacobbe, fu denominato da essi con nomi un po' diversi " mucchio della testimonianza " da Labano, " mucchio testimone " da Giacobbe , conforme al linguaggio proprio di ciascuno di loro.

Poiché suole accadere che una lingua non esprima con una sola parola ciò che in questo modo si esprime in un'altra, e così una cosa viene denotata con un nome di significato analogo.

Infatti, subito dopo, è detto: Perciò fu chiamato: " Il mucchio è testimone ". ( Gen 31,48 )

Questa espressione fu usata in senso ambivalente in modo che si confacesse all'uno e all'altro, tanto a chi aveva detto: " mucchio della testimonianza ", quanto a chi aveva detto: " mucchio testimone ".

98. ( Gen 31,48-49 ) Significato delle parole rivolte da Labano a Giacobbe

Che significa ciò che Labano dice parlando a Giacobbe: Questo mucchio è un testimone e questa stele è un testimone; ecco perché si chiama: " Il mucchio è testimone ", e la visione che egli aveva chiamato: Possa Dio posare il suo sguardo tra me e te?

Forse la costruzione della frase potrebbe essere: e la visione, che Dio disse, guardi tra me e te; poiché Dio gli aveva detto in visione di non offendere Giacobbe.

99. ( Gen 31,50 ) Continua il discorso di Labano

Che cosa significa ciò che dice Labano subito dopo: Vedi, nessuno è con noi?

Forse si riferisce al fatto che nessun estraneo era con loro oppure perché dovevano, per la testimonianza di Dio, considerarlo [ l'unico testimone ] come se non ci fosse alcun altro la cui testimonianza potessero aggiungerla a quella di lui.

Indice

9 q. 1,55
10 q. 1,35
11 Serm. 4, 16
12 Virgilio, Ecl. 1, 70