La santa verginità |
Una parola anche a voi che ancora non avete fatto questo voto.
Se potete capire, capite. ( Mt 19,12 )
Correte con perseveranza, affinché possiate raggiungere la meta. ( 1 Cor 9,24 )
Prendete ognuno le vostre offerte ed entrate negli atri del Signore. ( Sal 96,8 )
Non per necessità, ma come chi può disporre liberamente della propria volontà.
Infatti non si può dire allo stesso modo: Non fornicare o: Non uccidere ( Es 20,13.15 ) e: Non sposarti.
I primi sono precetti, l'ultimo è un'offerta.
Se si compie questa, si è lodati; se invece non si rispettassero i primi, si sarebbe condannati.
In quelli il Signore vi impone degli obblighi; in questo, se avrete sborsato qualcosa di più, egli ve lo restituirà al ritorno. ( Lc 10,35 )
Pensate a quel luogo insigne, qualunque cosa esso sia, entro le sue mura, molto più eccelso di quello dei figli e delle figlie. ( Is 56,5 )
Meditate su quel nome eterno.
Chi potrà spiegare di che nome si tratti? Qualunque esso sia, sarà una realtà eterna.
Credendo, sperando, amando queste realtà, voi avete rinunciato al matrimonio, non perché fosse proibito, ma, benché vi fosse consentito, voi l'avete rifiutato per procedere oltre.
Vi abbiamo esortato con tutta l'energia a tendere verso l'ideale della verginità.
Il quale, quanto più è eccellente e divinamente grande, tanto più costituisce un richiamo alla nostra sollecitudine affinché diciamo, sì, qualcosa sulla pregevolissima virtù della castità, ma ancor più ci soffermiamo su quella munitissima dell'umiltà.
Difatti, se a coloro che professano la continenza viene fatto di paragonarsi con gli sposati, subito si accorgeranno che, secondo la Scrittura, questi sono inferiori a loro per l'opera, per la ricompensa, per la promessa e per il premio.
In tal caso si dovranno ricordare di ciò che è scritto: Quanto più sei grande, tanto più umiliati in tutto, e troverai grazia presso Dio. ( Sir 3,18 )
L'umiltà di ciascuno, infatti, deve essere rapportata alla sua grandezza e al conseguente pericolo d'insuperbirsi: poiché la superbia insidia maggiormente colui che si trova più in alto.
L'invidia poi segue la superbia come figlia pedissequa: la superbia la genera molto precocemente, anzi, mai si trova senza tale prole e compagna.
E così, attraverso questi due mali, la superbia e l'invidia, si rende presente il diavolo.
Non per niente infatti proprio contro la superbia, madre dell'invidia, principalmente lotta tutta l'ascesi cristiana.
Questa insegna l'umiltà, con la quale si consegue e si custodisce la carità, di cui sta scritto: La carità non è invidiosa.
E, come se gli andassimo a chiedere il motivo per cui non è invidiosa, subito aggiunge: La carità non si gonfia. ( 1 Cor 13,4 )
È come se dicesse: Non è invidiosa perché non è superba.
Il Maestro dell'umiltà, Cristo, cominciò con l'annientare se stesso prendendo la forma di schiavo, diventando simile agli uomini e, quanto all'aspetto esterno, riscontrato effettivamente come un uomo.
Umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte, e morte di croce. ( Fil 2,7-8 )
Quanto poi alla sua dottrina, chi potrà spiegare con linguaggio semplice con quanta solerzia ci inculchi l'umiltà e come insista fortemente nel comandarla?
E chi riuscirà a raccogliere tutte le testimonianze che illustrano questo argomento?
Per portare a termine una tale impresa o solo per provarci, occorrerebbe scrivere un libro a parte proprio sull'umiltà.
Mentre l'argomento di quest'opera è un altro: e dell'umiltà ci si occupa solo perché da un bene così grande deve, con ogni cura, essere tenuta lontana la superbia.
Dell'insegnamento di Cristo sull'umiltà riporterò poche testimonianze: quelle che il Signore si degnerà farmi ricordare e che, probabilmente, saranno sufficienti a chiarire l'argomento che mi sono proposto.
Il discorso che egli tenne ai discepoli all'inizio della sua missione, e che è il più lungo, comincia così: Beati i poveri di spirito, perché di essi è il Regno dei cieli. ( Mt 5,3 )
Senza alcun dubbio, questi poveri sono gli umili.
Se poi lodò calorosamente la fede di quel centurione e disse di non averne trovata altrettanta in Israele, fu perché egli aveva creduto con umiltà così profonda da asserire: Non sono degno che tu entri sotto il mio tetto. ( Mt 8,5-10 )
È questo il motivo per cui Matteo può dire che il centurione andò lui stesso da Gesù, mentre Luca dichiara apertamente che non fu lui ad andarci ma vi inviò alcuni amici. ( Lc 7,6-7 )
Con la sua umiltà piena di fede, egli personalmente si avvicinò al Cristo più di coloro che aveva mandati.
Da qui il detto del Profeta: Il Signore è altissimo: egli guarda con amore le cose umili, mentre osserva da lontano le cose elevate. ( Sal 138,6 )
Certamente come non avvicinabili.
Non diverso il caso della donna cananea, a cui dice: O donna, grande è la tua fede! ti sia fatto come desideri. ( Mt 15,28 )
Prima l'aveva chiamata cane, e le aveva risposto che non poteva darle il pane dei figli. ( Mt 15,26 )
Ma lei, accettando con umiltà il rifiuto, aveva replicato: Sì, Signore! anche i cani mangiano le briciole che cadono dalla mensa dei padroni. ( Mt 15,27 )
Con una professione di umiltà merita quello che non aveva ottenuto con l'insistenza del suo gridare. ( Mt 15,22-28 )
Ci viene, ancora, proposto l'esempio di quei due uomini che pregano nel tempio, uno fariseo, l'altro pubblicano: ( Lc 18,10 ) parabola detta per coloro che si credono giusti e disprezzano gli altri, e nella quale alla enumerazione dei meriti viene chiaramente preferita la confessione dei peccati.
Il fariseo ringraziava il Signore per delle cose che lo riempivano di soddisfazione.
Ti ringrazio - diceva - perché non sono come gli altri uomini, ingiusti, rapaci, adulteri, e nemmeno come questo pubblicano.
Digiuno due volte la settimana; pago le decime di tutto ciò che possiedo.
Il pubblicano, invece, se ne stava in lontananza e non ardiva neppure alzare gli occhi al cielo, ma si percuoteva il petto dicendo: O Dio, sii propizio a me peccatore.
Segue la sentenza divina: In verità vi dico: Il pubblicano uscì dal tempio giustificato, molto più che non il fariseo.
E si allega anche il motivo della giusta sentenza: Chi si esalta sarà umiliato; chi si umilia sarà esaltato. ( Lc 18,11-14 )
Può capitare che qualcuno eviti effettivamente il male e trovi in se stesso dei beni veramente positivi, per i quali si sente obbligato a ringraziare il Padre dei lumi, da cui trae origine ogni grazia segnalata, ogni dono perfetto. ( Gc 1,17 )
Ciò non di meno, costui non può incontrare l'approvazione divina, e proprio per il vizio della superbia: se, cioè, orgogliosamente insulta, anche con il solo pensiero - che certamente Dio conosce -, gli altri peccatori, specialmente quelli che confessano i loro peccati nella preghiera.
A costoro infatti non si deve il rimprovero superbo, ma la comprensione che non fa disperare.
C'è poi l'episodio dei discepoli che discutevano fra loro chi fosse il più grande.
Perché mai il Signore mise avanti ai loro occhi un fanciullo piccolo piccolo e disse: Se non sarete come questo bambino, non entrerete nel Regno dei cieli? ( Mt 18,1-3 )
Non fu forse per inculcare efficacemente l'umiltà, ponendo in essa il merito della grandezza?
E quando i figli di Zebedeo gli esposero il desiderio di sedere al suo fianco nei seggi celesti, non rispose che pensassero piuttosto a bere il calice della passione ( Mt 20,21-22 ) - come lui, che umiliò se stesso fino alla morte e morte di croce ( Fil 2,8 ) - anziché presentare la superba richiesta d'essere preferiti agli altri?
E cosa insegnava, con questo, se non che avrebbe dato la gloria soltanto a coloro che prima l'avessero seguito come maestro di umiltà?
Stando per affrontare la passione, lavò i piedi ai discepoli e raccomandò apertamente di fare ai condiscepoli e conservi ciò che lui, Maestro e Signore, aveva fatto a loro. ( Gv 13,1-17 )
Che lezione di umiltà!
Per lasciarla più impressa nel loro animo, scelse proprio il momento in cui, stando egli per morire, i discepoli lo osservavano con più ansiosità.
E, certamente, avrebbero ricordato in modo tutto particolare quello che il Maestro per ultimo aveva offerto alla loro imitazione.
Egli, in un momento come quello, fece un gesto che avrebbe potuto compiere in qualsiasi altro dei giorni che aveva trascorsi con loro.
Se l'avesse compiuto prima, però, avrebbe dato, sì, lo stesso insegnamento, ma questo non sarebbe rimasto impresso con pari efficacia.
Tutti i cristiani, dunque, debbono praticare l'umiltà.
Essi infatti si chiamano " cristiani " da Cristo; e il Vangelo di Cristo nessuno lo scruta con diligenza senza trovarvi Gesù che si presenta come maestro di umiltà.
Tuttavia, questa virtù debbono ricercarla e coltivarla con un impegno tutto speciale coloro che eccellono sugli altri per qualche dono fuori dell'ordinario.
Questi debbono riflettere molto su quanto dicevo sopra: Quanto più sei grande, tanto più umiliati in tutto, e troverai grazia presso Dio. ( Sir 3,18 )
E poiché la continenza perpetua, e soprattutto la verginità, è negli eletti di Dio un grande favore della sua munificenza, si deve vigilare con la massima cura perché non sia rovinato dalla superbia.
L'apostolo Paolo parla della malizia di certe donne non sposate, che egli presenta come curiose e ciarliere, osservando che questo vizio deriva dall'ozio.
Inoltre - dice -, essendo oziose, si abituano a girare per le case; e non sono solamente oziose, ma anche indiscrete, chiacchierone, e parlano di ciò che non debbono. ( 1 Tm 5,13 )
Di queste persone aveva detto prima: Rifiuta le vedove giovani, perché, dopo essere vissute tra i piaceri, vogliono rimaritarsi in Cristo, incorrendo così nella dannazione, poiché violano l'impegno che avevano prima, ( 1 Tm 5,11-12 ) non mantenendo cioè il voto fatto antecedentemente.
Non dice: Si sposano, ma: Vogliono sposarsi.
Molte di loro infatti, se rifiutano di sposarsi, lo fanno non per amore di un ideale più elevato, ma per timore di una vergogna palese che deriva dalla superbia.
Poiché è proprio la superbia che porta l'uomo a temere più la disistima degli altri uomini che non il giudizio di Dio.
Queste vedove pertanto, che vogliono sposarsi ma non ce la fanno per dei motivi banali, farebbero certamente meglio a sposarsi piuttosto che bruciare dal desiderio, cioè piuttosto che essere agitate nella loro coscienza dalla fiamma nascosta della concupiscenza.
Esse si rammaricano del loro stato, e si vergognano di professarlo; ma, se non si ravvedono né raddrizzano il loro cuore, e se non vincono ancora una volta la libidine mediante il timore di Dio, debbono considerarsi come morte: sia che vivano tra i piaceri ( come dice l'Apostolo: Colei che vive nei piaceri, benché viva, è morta ( 1 Tm 5,6 ) ), sia che vivano nelle fatiche e nei digiuni, i quali, senza la correzione del cuore, sono inutili e servono più alla ostentazione che non a rendere migliore la vita.
Non sono, però, queste le persone a cui io raccomando di curare con diligenza l'umiltà.
In esse infatti la superbia trova più d'un motivo per confondersi e arrossire, e pertanto viene fatta fuori dalle trafitture della coscienza.
Una cura sollecita per la santa umiltà non sento il dovere d'inculcarla nemmeno alle ubriacone, alle avare o a quante sono affette da qualche altra malaugurata specie di malattia spirituale.
Avendo fatto professione di continenza, se poi vivono sregolatamente, sono in stridente contrasto col nome che portano.
D'umiltà si potrebbe loro parlare solo se osassero vantarsi di questi mali, non convinte che la loro punizione sia solamente differita.
Non parlo nemmeno di quelle donne che nutrono in cuore il desiderio di rendersi interessanti, ad esempio, per il vestito più elegante di quanto non consentano le convenienze della loro sublime professione.
E nemmeno di quelle che si acconciano la testa in maniera ricercata ed eccentrica, o sistemandosi i capelli a guisa di elevati torrioni, o coprendoli con veli così trasparenti da lasciar vedere le retine [ preziose ] che vi sono sotto.
A persone di questa levatura non è il caso di tener discorsi sull'umiltà; occorrerà piuttosto richiamarle agli obblighi della castità e della modestia.
Dammi invece una persona che professi la continenza perpetua e che sia esente da questi e da tutti gli altri vizi e macchie morali.
In questa temo la superbia.
Temo che a un dono così grande rechi danno il gonfiore della vanagloria.
Sì, quanto più forti sono i motivi di compiacersi in se stessi, tanto più vivo è il timore che nutro sul pericolo che chi si compiace di sé non abbia a piacere a colui che resiste ai superbi, mentre dà la sua grazia agli umili. ( Gc 4,6 )
Il documento base e il modello più perfetto della integrità verginale si deve ammirare in Cristo stesso. Senza dubbio.
Ma, allora, quale altro precetto sull'umiltà dovrei io imporre a coloro che fanno professione di continenza, se non quello che Cristo diede a tutti gli uomini: Imparate da me che sono mite ed umile di cuore? ( Mt 11,29 )
Egli aveva parlato della sua grandezza, e, volendo mostrare quanto si fosse fatto piccolo per noi, lui che era così grande, disse: Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli.
Sì, Padre, perché così è piaciuto a te.
Tutto è stato dato a me dal Padre mio: e nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio avrà voluto rivelarlo.
Venite a me, voi tutti che siete affaticati e stanchi, e io vi ristorerò.
Prendete su di voi il mio giogo, e imparate da me, perché sono mite ed umile di cuore. ( Mt 11,25-29 )
Lui, sì, lui al quale il Padre ha dato tutto, e che nessuno conosce se non il Padre, e che solo conosce il Padre - insieme con coloro ai quali egli avrà voluto rivelarlo -, non dice: Imparate da me a creare il mondo, o, a risuscitare i morti; ma: che sono mite ed umile di cuore.
O dottrina salutare! O Maestro e Signore dei mortali!, ai quali la morte fu propinata e tuttora si comunica nella coppa della superbia …
Non volle insegnare ciò che egli non fosse.
Non volle comandare ciò che egli non avesse eseguito personalmente.
Con gli occhi della fede, che tu mi hai aperto, contemplo te, o buon Gesù, che esclami e dici, come in un'adunata dell'intero genere umano: Venite a me, e imparate da me.
O Figlio di Dio, per mezzo del quale tutte le cose furono fatte, e insieme Figlio dell'uomo, che sei stato fatto come una delle altre cose, noi verremo da te.
Ma per imparare che cosa? Che sono mite ed umile di cuore, ( Mt 11,28 ) rispondi.
Ma è davvero a questo che si sono ridotti tutti i tesori della sapienza e della scienza nascosti in te? ( Col 2,3 )
È proprio possibile che noi non abbiamo da imparare da te altra lezione più grande che l'essere tu mite e umile di cuore?
O dovremo proprio ritenere che l'essere piccoli sia una cosa talmente grande che, se non si fosse realizzata in te, non avremmo avuto altra maniera d'impararla? Proprio così.
Non c'è altra via per giungere alla pace dell'anima se non quella d'eliminare il gonfiore turbolento che la faceva apparire grande ai suoi occhi, mentre avanti a te era malata.
Ti ascoltino quanti cercano la tua misericordia e la tua verità.
Vengano da te e imparino da te ad essere miti ed umili di cuore.
Vivano per te: per te, non per sé.
Ascolti ciò quel peccatore affaticato e affranto, così oppresso dal peso delle sue colpe da non osare di alzare gli occhi al cielo: colui che si percuote il petto e, da lontano, diviene vicino. ( Lc 18,13 )
Ascolti il centurione, che non si stimava degno d'accoglierti in casa. ( Mt 8,8 )
Ascolti Zaccheo, uomo ragguardevole fra i pubblicani, che restituisce il quadruplo di quanto aveva incamerato con i suoi detestabili peccati. ( Lc 19,2.8 )
Ascolti la donna nota in città come la peccatrice: lei che tanto più versava lacrime ai tuoi piedi, quanto più era stata lontana dalle tue vie. ( Lc 7,37-38 )
Ascoltino le meretrici e i pubblicani, che precedono nel Regno dei cieli gli scribi e i farisei. ( Mt 21,31 )
Ascoltino i malati di ogni specie: coloro dei quali tu partecipasti al banchetto, con un gesto che ti fu rinfacciato come colpa da coloro che si ritenevano sani e non cercavano il medico: mentre tu sei venuto a chiamare alla penitenza non i giusti ma i peccatori. ( Mt 9,11-13 )
Tutti costoro, quando si volgono a te, facilmente diventano miti e umili davanti a te, memori della loro vita trascorsa nel vizio e della tua inesauribile misericordia.
In essi, infatti, dove era stato abbondante il peccato, la grazia fu ancora più abbondante. ( Rm 5,20 )
Volgi lo sguardo alla moltitudine dei vergini: santi fanciulli e sante fanciulle.
Questa categoria di persone è sorta nella tua Chiesa: lì, come da un seno materno, ha cominciato a crescere, a gloria tua; lì sciolse la lingua per pronunziare il tuo nome; lì ha inteso il tuo nome e l'ha succhiato come il latte della propria infanzia.
Nessuno di questa schiera ha da dire: Un tempo io ero un bestemmiatore, un persecutore, un violento; ma ottenni misericordia, perché agivo nell'ignoranza, essendo un incredulo. ( 1 Tm 1,13 )
Anzi, essi hanno scelto, obbligandosi anche con voto, ciò che tu non avevi comandato ma solo proposto ai più generosi, quando dicevi: Chi può intendere intenda.
E si sono resi eunuchi per il Regno dei cieli, ( Mt 19,12 ) non perché tu lo abbia imposto, ma per un tuo semplice invito.
A costoro grida; costoro da te ascoltino che tu sei mite ed umile di cuore.
Fa' che costoro, quanto più sono grandi, tanto più si umilino in tutto, per trovare grazia presso di te.
Essi sono giusti: ma forse quanto te, che giustifichi l'empio?
Sono casti: ma erano nel peccato quando le loro madri li nutrivano in seno. ( Sal 51,7 )
Sono santi: ma tu sei il Santo dei santi.
Sono vergini: ma non sono nati da vergini.
Sono integri nello spirito e nella carne: ma non sono il Verbo fatto carne.
E allora, imparino, non da coloro ai quali tu rimetti i peccati, ma da te che sei lo stesso Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo: ( Gv 1,14.29 ) imparino che tu sei mite ed umile di cuore.
Quanto a te, o anima pia e casta, che non hai ceduto all'appetito carnale e ti sei privata del matrimonio ( che pure ti era lecito ); che al corpo corruttibile non hai accordato nemmeno la speranza di sopravvivere attraverso la generazione d'una posterità; che hai elevato delle membra caduche e terrene ad abitudini di vita celeste: io non voglio mandarti a imparare l'umiltà dal pubblicano e dai peccatori, anche se costoro nel Regno dei cieli precedono i superbi.
Non ti mando da costoro.
Non è infatti conveniente mandare la verginità illibata ad imitare coloro che sono stati liberati dall'abisso dell'impurità.
Ti mando dal Re del cielo, da colui per opera del quale sono stati creati gli uomini, e che è stato creato tra gli uomini per il bene degli uomini.
Ti mando dal più bello dei figli degli uomini, ( Sal 45,3 ) che si lasciò disprezzare dagli uomini per amore degli uomini: da colui che, pur dominando gli angeli immortali, si è degnato servire i mortali.
E non fu, certamente, il peccato a renderlo umile, ma la carità: quella carità che non è invidiosa, non si vanta, non cerca il proprio interesse. ( 1 Cor 13,4-5 )
Cristo - infatti - non cercò di piacere a se stesso, ma, come era stato scritto di lui, gli oltraggi di coloro che ti ingiuriavano sono caduti su di me. ( Rm 15,3 )
Muoviti! Vieni da lui, e impara come egli sia mite ed umile di cuore.
Non andare da colui che non osava alzare gli occhi al cielo per il peso della colpa, ma da colui che discese dal cielo per l'immensa sua carità. ( Gv 6,38 )
Non andrai nemmeno da colei che con le lacrime bagnò i piedi del suo Signore, chiedendo perdono dei suoi gravi peccati; ma da colui che, appressandosi il momento in cui avrebbe perdonato tutti i peccati, si mise a lavare i piedi dei suoi discepoli. ( Gv 13,5 )
Riconosco l'eccellenza della tua verginità.
Non ti propongo d'imitare il pubblicano che accusa umilmente i suoi peccati; temo, tuttavia, nei tuoi riguardi, l'atteggiamento del fariseo che ostenta superbamente i suoi meriti. ( Lc 18,10-14 )
Non ti dico di essere come colei di cui sta scritto: Le sono rimessi i suoi molti peccati, perché ha amato molto; ma ho paura che, lusingandoti che ti sia stato perdonato poco, tu non abbia ad amare abbastanza. ( Lc 7,38.47 )
Temo assai per te, ripeto, che, gloriandoti di seguire l'Agnello dovunque vada, tu non possa seguirlo per la via stretta a causa della superbia che gonfia.
È bene per te, o anima vergine, che, come sei vergine e conservi gelosamente nel cuore l'innocenza della tua rigenerazione e nella carne l'integrità con cui nascesti, così tu possa concepire mediante il timore del Signore e generare lo spirito della salvezza. ( Is 26,18 )
È vero, infatti, che nella carità non c'è timore e che l'amore perfetto scaccia il timore, come dice la Scrittura. ( 1 Gv 4,18 )
Tuttavia lì si tratta del timore degli uomini, non di Dio; del timore dei mali temporali, non dell'ultimo giudizio divino.
Non ti abbandonare all'orgoglio, ma temi. ( Rm 11,20 )
Ama la bontà di Dio, temi la sua severità: tutt'e due ti impediranno d'essere superba.
Amando, temerai di offendere gravemente colui che ami e da cui ti sai riamata.
E ci potrebbe essere offesa più grave che, per superbia, recare dispiacere a colui che per amor tuo ricusò di piacere ai superbi?
E dove mai dovrà ricercarsi quel timore casto che resta per l'eternità, ( Sal 19,10 ) se non in te, che non pensi alle cose del mondo e come piacere al coniuge, ma alle cose di Dio e come piacere a lui? ( 1 Cor 7,32-33 )
Quell'altro timore non è conciliabile con la carità; questo timore casto, invece, non può separarsi dalla carità.
Se non ami, temerai di andare all'inferno; se ami, temerai di non essere gradita abbastanza.
L'amore caccia via quel primo timore; se, invece, si ha in cuore quest'altro timore, l'amore mette le ali.
C'è un passo di san Paolo in cui si dice: Non abbiamo ricevuto uno spirito di schiavitù, per cadere di nuovo nel timore, ma lo spirito di adozione a figli, mediante il quale gridiamo: Abba, Padre. ( Rm 8,15 )
Credo che si riferisca a quel timore dato nell'Antico Testamento al fine di impedire che si perdessero i beni temporali promessi da Dio a coloro che non erano ancora figli sotto la grazia, ma servi sotto la legge.
E poi, esiste anche il timore del fuoco eterno: e servire Dio per evitare questa pena non è certamente amore perfetto.
Una cosa infatti è il desiderio del premio, e un'altra il timore del supplizio.
Una cosa è dire: Dove andrò per sottrarmi al tuo spirito, e dove fuggirò [ per celarmi ] dalla tua presenza? ( Sal 139,7 ) un'altra invece: Solo una grazia ho domandato al Signore, e questa gli chiederò ancora: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per ammirare la dolcezza del Signore, al riparo del suo santuario.
E ancora: Non mi nascondere il tuo volto, ( Sal 27,4.9 ) e: L'anima mia anela e si strugge per gli atri del Signore. ( Sal 84,3 )
Potrà pronunciare quelle prime parole colui che non osava alzare gli occhi al cielo o colei che bagnava con lacrime i piedi del Signore per impetrare il perdono dei suoi gravi peccati.
Le altre parole invece devi dirle tu, che sei occupata nelle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito.
Quelle parole sono accompagnate dal timore: timore che include angoscia ed è cacciato via dall'amore perfetto.
Le altre parole, invece, sono accompagnate dal timore casto del Signore: timore che durerà in eterno.
Agli uni e agli altri, tuttavia, si deve dire: Non abbandonarti all'orgoglio, ma temi. ( Rm 11,20 )
Affinché l'uomo non insuperbisca e voglia difendere i suoi peccati, ovvero presuma della sua giustizia.
È vero, infatti, che Paolo dice: Non avete ricevuto uno spirito di schiavitù, per ricadere nel timore; ma, come ripensando al timore che deve accompagnare l'amore, aggiunge: Fui in mezzo a voi in uno stato di timore e di trepidazione. ( 1 Cor 2,3 )
E perché l'olivastro innestato non insuperbisse nei confronti dei rami dell'olivo che s'erano spezzati, egli uscì in quella sentenza che ho citato: Non essere orgoglioso, ma temi.
E altrove, in un ammonimento che rivolge a tutte le membra di Cristo, dice: Lavorate per la vostra salvezza con timore e tremore: infatti è Dio che opera in voi il volere e l'agire, conforme alla [ vostra ] buona volontà. ( Fil 2,12-13 )
Questo, perché non si pensi che si riferisca solo all'Antico Testamento la massima: Servite il Signore nel timore, e inneggiate a lui con tremore. ( Sal 2,11 )
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