Teologia dei Padri

Indice

Apologia della creazione

1. - Benefiche conseguenze dei limiti umani

Celso si domanda: « Si affermerà che queste cose - cioè le piante, gli alberi, le erbe, le spine - crescono per gli uomini?

Perché pretendere ch'esse crescano per gli uomini anziché per gli animali più bruti e selvaggi? »

Celso lo affermi chiaramente: la grande diversità di ciò che cresce sulla terra non è opera della Provvidenza, ma è stato piuttosto un incontro fortuito di atomi a produrre qualità così disparate.

Da quest'incontro casuale risulta, appunto, che tante specie di piante, di alberi e di erbe siano fra loro somiglianti: nessuna ragione ordinatrice le ha introdotte nell'esistenza, non avendo esse origine da uno spirito superiore ad ogni ammirazione.

Noi cristiani, invece, consacrati a quell'unico Dio che ha creato tutte queste cose, anche attraverso di esse rendiamo grazie al loro Creatore per aver allestito una dimora così immensa, per noi e per gli animali al nostro servizio: Colui che fa germogliare l'erba per il bestiame e le piante al servizio degli uomini, perché essi traggano il pane dalla terra e perché il vino rallegri il cuore dell'uomo, perché l'olio ravvivi il suo volto e il pane fortifichi il cuore dell'uomo ( Sal 104,14-15 ).

Che cosa c'è di straordinario se Dio ha predisposto alimenti anche a beneficio degli animali più selvaggi?

Altri filosofi, infatti, hanno affermato, altresì, che queste bestie feroci sarebbero state create appunto per stimolare le risorse dell'animale razionale.

Uno dei nostri agiografi dice da qualche parte: Non dire: « Che cos'è questo qui? Perché quello là? »

Poiché tutte le cose sono state create per la nostra utilità.

Non dire: « Che cos'è questo qui? Perché quello là? ».

Poiché tutto si saprà a suo tempo ( Sir 39,21.17 ).

Celso, poi, viene a negare che la Provvidenza abbia creato i prodotti del suolo per noi piuttosto che per i selvaggi fra gli animali, affermando: « Noi altri, a prezzo di fatiche e di continue sofferenze, ci procuriamo a stento il nostro nutrimento; per essi, invece, tutto viene su senza bisogno di seminare né di faticare ».

Celso non si accorge che Dio, volendo che l'intelligenza umana si esercitasse sotto tutti i rapporti per non restare oziosa e inesperta delle arti, ha creato l'uomo così indigente; in questo modo, infatti, il suo stesso bisogno l'avrebbe costretto a inventare arti e mestieri, allo scopo di nutrirsi o di proteggersi.

Per coloro che non erano destinati a studiare i misteri divini né la filosofia, era più auspicabile che si trovassero nel bisogno per indurli a impiegare la loro intelligenza nell'escogitare le attività da assolvere: l'abbondanza, infatti, avrebbe fatto trascurare interamente l'intelligenza.

Il bisogno di ciò che è necessario alla vita ha, dunque, prodotto la coltura dei campi, quella delle vigne, il giardinaggio, la tecnica del legno e quella del ferro onde fabbricare gli utensili per le attività necessarie all'acquisizione del nutrimento.

Il bisogno di proteggersi ha introdotto la tessitura, la cardatura e la filatura, l'arte di costruire, mentre l'intelligenza si è così elevata fino all'architettura.

Il bisogno di possedere le cose necessarie ha fatto viaggiare, per mezzo della navigazione e degli altri mezzi di trasporto, i prodotti di determinate regioni alla volta di quelle che ne erano prive.

Questi, e tanti altri, sono i motivi per i quali si deve ammirare la Provvidenza per aver creato l'essere razionale, a suo vantaggio, più inerme e povero degli animali bruti.

Questi, infatti, non avendo attitudine alle arti, hanno il loro cibo pronto e, provvisti come sono di peli o piume o squame o conchiglie, si valgono anche di una protezione naturale.

Origene, Contro Celso, 4,75-76

2. - Utilità di ciò che sembra nocivo

Insieme con le piante commestibili, crescono anche quelle velenose: insieme con il frumento cresce la cicuta, con gli altri frutti mangerecci l'elleboro, l'aconito, la mandragora, il succo di papavero.

E allora? Non rendendo grazie al Creatore per le cose utili, lo accuseremo forse per via di quelle esiziali per la nostra vita?

Non sarebbe più giusto, invece, ritenere che non tutto è stato creato per il nostro ventre?

A noi, d'altronde, sono stati destinati alimenti a portata di mano e ben noti a tutti.

Ciascuna delle cose create fa parte della creazione per una sua particolare ragione.

Il sangue del toro, ad esempio, pur essendo per te un tossico, forse per questo motivo quell'animale, della cui forza tante volte abbiamo bisogno nella nostra vita, non avrebbe dovuto essere creato o avrebbe dovuto essere creato senza sangue?

Ma per te non è certo un'ardua impresa vigilare sui prodotti pericolosi.

Infatti, se persino le pecore e le capre conoscono ciò che nuoce alla loro vita, sfuggendone il danno alla sola luce dell'istinto; per te, che hai la ragione e la scienza medica, che disponi di utili accorgimenti e dell'esperienza di chi ha indagato prima di te, donde sei ammaestrato a fuggire siffatti pericoli, è difficile, dimmi un po', guardarti dai veleni?

Nessuno di questi, tuttavia, è stato creato inutilmente, nessuno senza motivo; infatti, si somministrano come cibo a certi animali o, anche per noi uomini, la medicina li ha trovati utili per curare talune malattie.

Con la cicuta, ad esempio, si nutrono gli storni, sfuggendo agli effetti del veleno grazie alla particolare costituzione del loro organismo: avendo, infatti, degli stretti canali sopra il loro cuore, essi digeriscono la cicuta ingerita prima che il raffreddamento da essa prodotto investa gli organi vitali.

L'elleboro è il cibo delle quaglie, sottratte anch'esse alle sue conseguenze negative grazie alla temperatura del loro organismo.

Persino a noi questi stessi veleni, a seconda delle circostanze, sono talvolta utili.

Con la mandragora, per dirne una, i medici preparano un sonnifero; con l'oppio calmano l'intensità di certi dolori fisici; con la cicuta taluni hanno guarito la rabbia e non poche malattie croniche hanno stroncato con l'elleboro.

Per cui, quell'accusa che ritenevi di dover scagliare contro il Creatore, si è così mutata in rendimento di grazie.

Basilio il Grande, Esamerone, 5,4

3. - L'esempio del letame

Colui che non osserva con cura il mutamento e la nascita delle cose, potrebbe dirmi: « Quelle foglie sono marcite; sono nate foglie nuove ».

Ma se osserva meglio, può vedere che anche ciò che marcisce si tramuta in forza della terra.

Con che cosa infatti la terra diventa grassa, se non con tutto ciò che marcisce?

Lo notano bene quelli che coltivano la terra.

E quelli che non la coltivano, perché vivono sempre in città, possono osservare negli orti vicini con quanta cura vengono acquistati e conservati i rifiuti, per sé spregevoli, della città, da coloro che ivi li usano.

Gli inesperti potrebbero considerare ciò come qualcosa di riprovevole o del tutto inutile.

Chi si degna di guardare il letame?

E ciò che l'uomo sdegna di guardare, cerca di gettarlo via.

Quello però che sembra ormai inutile e viene gettato via, si tramuta in grasso della terra; questo in umore, l'umore in radice.

E ciò che dalla terra fluisce nelle radici si tramuta, con flusso segreto, in energia, si distribuisce nei rami, e dai rami nei germogli, e dai germogli nei frutti e nelle foglie.

Vedi dunque: ciò che tu aborri nel putridume del letame, tu lo ammiri nell'ondeggiare e nel verdeggiare degli alberi.

Agostino, Discorsi, 361,11

4. - La limitazione delle realtà terrene è in armonia con l'universo

É ridicolo pensare che siano condannabili i difetti degli animali, delle piante e delle altre realtà mutabili e mortali, prive di intelletto, o di senso o anche di vita; difetti per cui la loro natura dissolubile si corrompe.

Queste creature hanno ricevuto la loro limitatezza particolare dal cenno del Creatore, perché, venendo meno e succedendo l'una alle altre, mantengano in vita la bellezza infima delle realtà temporali armonizzantesi, nel suo ordine, con le altre parti dell'universo.

Non era giusto infatti che gli esseri celesti fossero equiparati a quelli terrestri, né che questi ultimi dovessero mancare dall'universo, perché quelli sono migliori.

Quando, dunque, nei luoghi che a tali esseri competono, alcuni vengono meno e altri nascono al loro posto, i minori soccombono ai maggiori e gli esseri superati si tramutano nelle qualità degli esseri superanti, allora si ha l'ordine delle realtà transitorie.

Ma noi non possiamo rallegrarci della bellezza di quest'ordine, perché inseriti, data la condizione nostra mortale, in una sua parte, non possiamo avere il senso dell'universo, le cui particelle, anche quando ci offendono, arrecano il loro apporto, invece, alla bellezza e alla funzionalità di tutto.

A noi perciò, che siamo meno idonei a contemplare queste realtà, è stato imposto l'obbligo di credere nella provvidenza del Creatore, in modo da non osare, con temeraria vanità umana, a criticare l'opera di un così grande artefice.

Tuttavia, i difetti stessi di queste realtà terrene ( difetti non volontari né colpevoli, se attentamente li ponderiamo ) ci attestano la bontà di queste creature - delle quali non ve n'è una di cui non sia l'autore Dio - e per una particolare ragione: a noi dispiace che venga ad esse tolto, per vizio, ciò che ci piace trovare in loro per natura.

Solo che all'uomo per lo più dispiacciono le nature stesse quando gli sono nocive, perché non le considera in sé, ma nell'utilità che gli arrecano, come per esempio quegli animali la cui sterminata quantità colpì la superbia degli egiziani [ in Esodo 8, il Signore colpì il popolo egiziano con varie piaghe ].

Ma in questo modo si può anche rimproverare il sole, perché alcuni, come i creditori insolventi, vengono condannati dai giudici ad essere esposti al sole [ nelle religioni arcaiche e primitive il sole, oltre ad essere a volte considerato l'essere onniveggente e onnisciente del comportamento umano, è pure visto come il dio della giustizia, capace di punire le trasgressioni.

In questo caso si tratta di punire il venir meno all'obbligazione di un debito contratto, altre volte si tratterà di punire lo spergiuro ( per es. Shamash in Babilonia ) ].

Dunque, se è considerata non sul parametro del nostro vantaggio o svantaggio, ma in se stessa, la natura dà gloria al suo artefice.

Così perfino la natura del fuoco eterno è senz'altro da lodare quantunque sia la pena degli empi dannati.

Che vi è infatti di più bello del fuoco fiammeggiante, rutilante e lucente?

Che vi è di più utile del fuoco che ci riscalda, che ci cura, che cuoce i cibi?

Ma nulla è più molesto di quando ci brucia.

Lo stesso fuoco usato in un modo è dannoso, e usato convenientemente si rivela utilissimo.

Chi può spiegarne a parole infatti l'utilità per il mondo intero?

Né si devono ascoltare coloro che del fuoco lodano la luce e ne biasimano il calore: certo, non lo considerano nella sua natura, ma nel loro vantaggio o svantaggio: vogliono vedere, non vogliono bruciare.

Ma essi non si accorgono come la stessa luce, che certo a loro piace, può nuocere agli occhi ammalati; e in quello stesso ardore, che a loro dispiace, non pochi animali vivono e vivono in salute.

Tutte le nature, dunque, per il fatto che esistono, hanno la loro caratteristica, la loro specie e alcune la loro pace: per questo sono certamente buone.

Perciò quando si trovano ove è loro richiesto per ordine naturale, custodiscono l'essere, quanto ne hanno ricevuto.

E quelle che hanno ricevuto un essere non eterno, si mutano in meglio o in peggio, secondo la consuetudine e il modo delle cose cui sono soggette per legge di creazione e tendono sempre, per provvidenza, a quel fine, che ha in sé la ragione del governo dell'universo.

Di conseguenza, neppure l'ultimo grado di corruzione, che conduce le nature mutabili e mortali alla loro distruzione fa sì che non sia ciò che era, senza che di conseguenza non assuma l'essere ciò che deve essere.

Stando così le cose, Dio, che ha l'essere sommo e per questo ha fatto tutti gli esseri che non hanno l'essere sommo ( perché non gli possono essere uguali, essendo stati fatti dal nulla ) e che in nessun modo potrebbero esistere se non fossero stati da lui fatti; questo Dio, dunque, non deve essere disprezzato nella considerazione dei difetti, ma lodato nella contemplazione di ogni natura.

Agostino, La città di Dio, 12,4-5

5. - Il problema della generazione spontanea

Su alcuni piccoli animali vi è un problema particolare: furono creati insieme con le prime cose, o solo in seguito, nella corruzione, cioè, degli esseri mortali?

La maggior parte di loro, infatti, nasce dalle malattie dei corpi vivi, o dai loro escrementi ed esalazioni, o dal marciume dei cadaveri; alcuni poi nascono dal disfacimento del legno e delle erbe, alcuni infine dal marciume dei frutti: eppure non abbiamo il diritto di negare che di tutti essi non sia creatore Dio.

Tutti insieme costituiscono, nel loro genere, quasi un ornamento della natura, tanto che, considerandoli attentamente, maggiore è l'ammirazione e più ricca la lode all'artefice onnipotente.

Egli fece tutto con quella sapienza ( Sal 104,24 ) che si stende da una all'altra estremità e dispone tutto con soavità ( Sap 8,1 ), e non lasciò per sempre nella deformità l'ultimo stadio di quelle cose che, nel loro ordine, si corrompono e la cui dissoluzione ci fa orrore, per la pena della nostra mortalità; crea invece questi animali minimi nel corpo, acuti nel senso.

E così, se ci badiamo bene, ci stupiamo più dell'agilità di una mosca in volo, che della grandezza di un giumento in cammino, e ammiriamo più l'opera delle formichette, che il basto dei cammelli.

Ma, come ho detto, ci chiediamo se questi esseri minimi siano stati fatti con le prime realtà create nel sesto giorno, come si narra nell'ordine della creazione, o piuttosto in seguito, nella dissoluzione dei corpi corruttibili.

Riguardo agli esseri minutissimi che sono nell'acqua e nella terra si può dire che furono creati allora: infatti con « acqua e terra » non è assurdo intendere anche ciò che sorge germinando dalla terra; dato poi che furono creati prima non solo degli animali, ma anche dei lumi celesti, e dato che sono tutt'uno con la terra e strettamente ad essa connessi con le radici - e perciò sorsero in quel giorno in cui apparve il terreno asciutto - dobbiamo intendere che sono quasi un'integrazione della terra, e che non appartengono al numero dei suoi abitanti.

Tutti gli altri animaletti, invece, che si generano nei corpi animali, soprattutto morti, è certamente assurdo dire che furono creati allora, quando furono creati gli animali stessi.

A meno che non si intenda che già allora in tutti i corpi animali era insita una potenza naturale, vi era quasi già seminata e in qualche modo innestata la semenza di questi futuri animaletti che sarebbero sorti, ciascuno nel suo genere particolare, nella corruzione di quei corpi, per il governo ineffabile del Creatore che tutto muove.

Agostino, Sul Genesi, 3,22-23

EMP J-21. - Il riposo del Padre, è il Cristo

In giorno di sabato era comandato a tutti, senza eccezione, di non fare alcun lavoro e di riposarsi.

Come poté dunque il Signore non rispettare il sabato, dicendo: E non avete letto nella legge che, nei giorni di sabato, i sacerdoti nel tempio violano il sabato e sono senza colpa? ( Mt 12,5 ).

In verità, grandi sono le opere di Dio: egli tiene nelle mani il cielo, fornisce la luce al sole e a tutti gli astri, fa crescere le piante della terra, mantiene l'uomo in vita …

Sì, tutto esiste e ha un posto nel cielo e sulla terra per volontà di Dio Padre; tutto proviene da Dio e tutto esiste mediante il Figlio.

Realmente egli è capo e principio di ogni cosa.

Tutto in lui è stato fatto.

Ed è dalla sua intima pienezza che, per iniziativa della sua potenza eterna, egli ha creato ogni cosa.

Ora, se il Cristo opera in tutto, è necessariamente l'azione di Dio che agisce nel Cristo.

Perciò egli precisa: Il Padre mio non ha mai lasciato di operare fino al presente, e io pure opero ( Gv 5,17 ).

Poiché tutto ciò che fa il Cristo Figlio di Dio inabitato da Dio Padre, è l'opera del Padre.

Così ogni giorno tutto è creato dal Figlio, perché il Padre fa tutto nel Figlio.

Dunque, l'azione del Cristo è d'ogni giorno; e, secondo il mio pensiero, i princìpi della vita, le forme del corpo, lo sviluppo e l'incremento dei viventi manifestano quest'azione …

Lavora dunque Iddio in giorno di sabato?

Indubbiamente, poiché altrimenti il cielo svanirebbe, la luce solare si estinguerebbe, la terra perderebbe consistenza, tutti i frutti mancherebbero di succo e la vita degli uomini cadrebbe nel nulla se, in conseguenza del sabato, la forza costitutiva dell'universo cessasse di operare.

Non c'è quindi alcuna interruzione: tanto il sabato come durante gli altri sei giorni, gli elementi dell'universo adempiono integralmente la loro funzione.

Mediante essi il Padre opera dunque in ogni istante, ma agisce nel Figlio da lui generato e per mezzo del quale tutto è opera sua …

Per mezzo del Figlio, l'azione del Padre prosegue perciò nel giorno di sabato.

Non vi è di conseguenza riposo alcuno in Dio, poiché nessun giorno vede sospendersi l'opera di Dio.

Così avviene dell'azione di Dio.

Ma in che consiste il suo riposo?

L'opera di Dio, è l'opera del Cristo.

E il riposo di Dio è Dio, il Cristo, poiché tutto ciò che appartiene a Dio è realmente in Cristo in modo tale che il Padre può trovare riposo in lui.

Ilario di Poitiers, Commento al salmo 91, 3,4-5.7

6. - Meraviglie della polvere

Persino la polvere che è sotto i tuoi piedi è troppo alta per la tua ricerca.

E se ciò, dunque, che è sotto di te, è troppo alto per te, come vorrai tu raggiungere quello che ti sta sopra?

Se la polvere, cui sei pari di nascita, dalla quale sei stato tratto, ti è incomprensibile, come vorrai tu scrutare la divina maestà?

É troppo al di sopra della tua indagine.

A vederlo, il suolo è semplice e meschino, eppure si presenta tanto complicato all'indagine.

É unico, ma non è semplice: è ricco infatti di innumerevoli prodotti.

É un grembo, umile e insignificante, che produce innumerevoli beni; è un forziere di ben poco valore, che tuttavia porge preziosi, senza numero.

Il suolo partorisce e fa figli che sono da lui completamente diversi, e, a guardarli, non sono simili neppure tra di loro.

Dal suo interno, tanto insignificante, nascono per noi meraviglie; dal suo interno, tanto meschino, sprizzano per noi ricchi tesori.

Tutto proviene da uno, perché dalla terra tutto esce.

La polvere della terra è, per sé, nemica di ogni senso: è un danno nel condotto uditivo, è un disturbo negli occhi; intoppa le porte dell'udito, conturba la luce del volto.

Non è buona a nessun uso, eppure è la sorgente di ogni bene.

Quantunque non sia adatta ai nostri usi, da lei ci viene tutto quello che è utile.

É ostile a chi ha fame ( perché non è commestibile ) ed è la tavola degli affamati.

La polvere è dannosa nella bocca, è il nutrimento del serpente maledetto; eppure per castigo divenne cibo del serpente, ma per misericordia la tavola di tutti.

Non è utile a chi mangia, eppure dispensa ogni alimento.

Danneggia chi guarda, eppure ci dona tutte le erbe medicinali.

Disturba gli occhi, eppure apre gli occhi dei ciechi ( Gv 9,ss ); né da sé né come nutrimento ha qualche utilità.

Orsù, dunque: tu che osservi tutto ciò, ammira i tesori che la terra ci dona.

É magra, ed è la fonte di ogni grasso; è secca, e fa scaturire per noi le sorgenti.

Dal terreno, che per sua natura è debole, ci viene il ferro e il metallo.

A guardarlo, è ben povero, eppure sprigiona oro e argento.

É il tesoriere degli uccelli, la casa della selvaggina, la grande dispensa che nutre tutti: gli animali, i rettili, gli uomini.

Eppure vi è una cosa di più mirabile ancora, nel grembo della polvere, cosa che per la sua poca apparenza non la si osserva.

Nel terreno crescono in pace, vicine tra di loro, le varie radici: presso quella dolce, quella amara; presso quella salutifera, quella mortale.

Dalla terra viene l'amaro del veleno, e dalla terra viene la dolcezza del medicinale.

La radice amara raccoglie il suo veleno, senza che penetri in essa nulla di dolce; quella dolce raccoglie la propria soavità, senza comunicarla alle radici che la circondano.

Come può dunque questa polvere, tanto sprezzata, operare la crescita di ciascuna?

Ai frutti dona il loro sapore, e insieme il loro colore; ai fiori il profumo e lo splendore.

Ai frutti procura saporosità, alle radici aroma.

Alle infiorescenze dona beltà e riveste i fiori di magnificenza.

É l'artista dei semi: intreccia il frumento per farne spighe, ne rinforza lo stelo con nodi, quasi come travature di un edificio, perché possa sostenere il frutto e resistere al vento.

Quante mammelle ha la terra, e ciascuna ricca di umore!

É stupendo che ne abbia tante, quante sono le radici, e che nutra quelle amare e quelle dolci, ciascuna a suo modo!

É stupendo che sia unico il seno da cui tutti i frutti provengono: da esso succhiano le radici e i frutti, quelle amare e questi dolci.

Negli uni aumenta così la dolcezza, negli altri invece l'amarezza.

Se ciò è notevole nelle cose tra di loro separate, lo è molto di più in quelle che sono tra di loro strettamente connesse.

Lo stesso umore nella stessa pianta assume proprietà diverse.

Così per esempio i frutti sono dolci, le foglie amare; anzi, il frutto, prima di maturare, è ancora molto amaro.

É un esempio questo per i penitenti, i quali, alla fine, saranno dolci e accetti.

Se dunque la polvere, che tu pesti con i piedi, ti confonde, se ben la consideri, come potrai tu indagare la maestà di colui che ti sconcerta perfino con le sue opere più umili?

Nulla ti appare più spregevole della polvere, nulla più povero di un tuo capello.

La polvere disprezzata è sotto di te, eppure tu non ne comprendi la grande ricchezza.

Così i capelli sul tuo capo ti sconfiggono, perché tu non ne afferri né la natura, né il numero.

Del mare e degli abissi, del cielo e degli astri non voglio neppure parlare.

Il Creatore ti ha posto in mezzo a due creature tanto spregevoli: quella che ti sta sopra il capo ( cioè i capelli ) ti flagella, affinché tu non osi scrutare troppo l'Altissimo; quella che ti sta sotto i piedi ( cioè la polvere ) ti ammonisce di non voler misurare l'altezza eccelsa: con queste due povere creature ti ammaestra il Signore del creato.

Frena dunque la tua temerarietà e non osare di affrontare il mistero!

Efrem Siro, La fede, 1,7-10

7. - Gli animali nocivi

Circa le specie di animali velenosi e nocivi, ci si chiede di solito se furono creati dopo il peccato dell'uomo per punizione, o se invece, creati innocui, solo in seguito cominciarono ad essere nocivi per l'uomo peccatore.

Questa seconda idea non è strana, tanto più che nel tempo di questa vita dolorosa e laboriosa nessuno, neppure tra gli uomini, osa dire di essere perfetto e giusto, come attesta schiettamente l'Apostolo dicendo: Non che io abbia già ricevuto la perfezione, o sia perfetto … ( Fil 3,12 ); e tanto più, ancora, che all'esercizio e al profitto nella virtù sono necessarie le tentazioni e le molestie del corpo, come ci rivela ancora l'Apostolo, asserendo che gli era stato dato uno stimolo nella carne, affinché non si insuperbisse per la grandezza delle rivelazioni avute, un angelo di Satana che lo schiaffeggiasse; e che avendo supplicato tre volte il Signore che quello da lui si allontanasse, egli gli rispose: Ti basta la mia grazia, perché la virtù si perfeziona nella debolezza ( 2 Cor 12,7-9 ).

Notiamo che il santo Daniele, pur tra i leoni continuò a vivere salvo e intrepido, egli che non mentiva nella preghiera a Dio, ricordando non solo i peccati del popolo, ma anche i suoi ( Dn 6,22 ); e che alla mano dello stesso Apostolo si attaccò la vipera mortale, ma non gli nocque ( At 28,3.5 ).

Questi animali, dunque, avrebbero potuto già esistere e non essere nocivi, se non ve ne fosse stato il motivo; il motivo, cioè, o di atterrire con la punizione del vizio, o di mettere alla prova e perfezionare la virtù.

Servono a mostrarci esempi di sopportazione, a profitto di tutti; nella tentazione l'uomo conosce meglio se stesso; ed è giusto poi che la salvezza eterna, turpemente perduta per la voluttà, fortemente si riacquisti con il dolore.

Agostino, Sul Genesi, 3,24

8. - Rovi e spine

Riguardo ai rovi e alle spine, come ad altri alberi infruttuosi, può sorgere questo problema: perché e quando furono creati, dato che Dio disse: La terra produca erba commestibile che generi seme, e alberi fruttiferi che facciano frutto ( Gen 1,11 )?

Ma coloro che tanto si lasciano muovere da questa questione non comprendono il significato dell'usufrutto, comune nella terminologia giuridica: con la parola « frutto » infatti si intende l'utilità di chi ne usa.

Quanta utilità poi vi sia, o manifesta oppure occulta, in tutto ciò che la terra produce e nutre dalle radici, in parte lo vedono essi stessi, e per il resto lo chiedono agli esperti.

Riguardo alle spine e ai rovi la risposta può essere più completa perché dopo il peccato fu detto all'uomo, parlando della terra: Ti produrrà spine e rovi ( Gen 3,18 ).

Non è tuttavia facile dire che solo allora le spine cominciarono a sorgere dalla terra.

Dato che anche tra di loro ve ne sono piene di semi utili, forse potevano già esistere al loro posto, senza costituire un castigo per l'uomo.

Ma quando questi cominciò a faticare nei campi, nascendo in essi gli accrebbero la pena - lo si può ben pensare - mentre avrebbero potuto nascere altrove, o in cibo agli uccelli e al bestiame, o per qualche altro uso dello stesso uomo.

Una interpretazione di questo genere non contraddice alle parole della minaccia: « Ti produrrà spine e rovi »; infatti quando la terra le produceva prima, non le produceva a pena e fatica dell'uomo, ma come cibo adatto ad alcuni animali - tra le loro specie ce ne sono di tenere o fragili di cui questi animali si cibano facilmente e con ingordigia -.

Il suolo poi cominciò a produrle per aumentare la fatica dolorosa dell'uomo, quando egli dopo il peccato cominciò a lavorare la terra.

E non è che prima nascessero in altri posti, e solo dopo il peccato nei campi che l'uomo coltivava per ottenerne biade; ma prima e poi negli stessi luoghi: prima tuttavia non per l'uomo, poi per l'uomo: e questo significa la paroletta « Ti » aggiunta alla frase; non fu detto infatti: « Produrrà spine e rovi », ma « Ti produrrà », cioè: esse cominceranno a nascere per tua fatica, mentre prima nascevano solo come cibo per gli altri animali.

Agostino, Sul Genesi, 3,27-28

9. - Le bestie feroci

Qualcuno chiede: « Perché le bestie si danneggiano a vicenda?

Non hanno peccati, tanto che si possa parlare di castigo, né acquistano virtù con tale attività ».

Il motivo è chiaro: alcune sono cibo delle altre.

Noi non abbiamo affatto il diritto di dire che non dovrebbero esistere quelle di cui altre si nutrono: tutte le cose, mentre esistono, hanno la loro misura, il loro ordine, il loro numero ed è ben giusto lodarle, se considerate a modo; ma non è senza un'occulta direzione che si manifesta la loro bellezza temporale, quando, mutando nel loro genere, passano dall'una nell'altra.

Se ciò è nascosto per gli stolti, si rivela ai proficienti ed è chiaro ai perfetti.

E, certo, da tutti i mutamenti di queste creature inferiori ne vengono all'uomo ammaestramenti salutari: allora egli può ben capire quanto deve impegnarsi per la sua salute spirituale ed eterna, per la quale è al di sopra di tutti gli altri animali, quando vede che costoro, dai più grandi elefanti ai vermi più piccoli, fanno tutto ciò che possono per la loro salvezza corporea e temporanea - quanto concesso nell'ordine inferiore loro toccato - sia che resistano, sia che si premuniscano.

Ciò non sarebbe così chiaro se alcuni animali non dovessero difendersi o spiegando le loro forze, o dandosi alla fuga, o celandosi nei nascondigli, quando altri animali cercano il loro corpo in cibo.

Lo stesso dolore del corpo è, in ogni essere animato, una forza grande e mirabile dell'anima che raccoglie vitalmente in sé, in fusione ineffabile, la compagine corporea e ne fa un'unità, per quanto è concesso; e l'anima non è indifferente al corpo, anzi, per così dire, si sdegna e patisce quando esso si corrompe e si dissolve.

Agostino, Sul Genesi, 3,25

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