Teologia dei Padri |
Contempla la primavera e ogni genere di fiori, tutti così eguali eppure così diversi: il rosso della rosa, il bianco candido del giglio.
Chi mai li crea così distinti, dalla stessa pioggia e dalla stessa terra?
Osserva quanta precisione: uno stesso legno d'albero, ora si dischiude in una chioma ombrosa, ora produce molteplici frutti; e uno solo ne è l'artefice.
Di una sola vite, una parte si brucia, un'altra fiorisce, una terza si ricopre di foglie, un'altra ancora di viticci, una quarta, infine, si trasforma in uva.
Ammira anche il grosso anello di nodi della canna, come l'ha fatto il Creatore.
Da una sola terra provengono i serpenti, le fiere, i giumenti, la legna, i cibi commestibili, l'oro, l'argento, il rame, il ferro, la pietra.
Unica è la sostanza dell'acqua; eppure da essa provengono le razze dei pesci e degli uccelli: gli uni fatti per nuotare nelle acque, gli altri per volare nel cielo.
Questo è il mare grande e spazioso ove risiedono rettili senza numero ( Sal 104,25 ).
Chi potrebbe descrivere la bellezza dei pesci che vi vivono?
Chi, la grandezza dei cetacei e le caratteristiche degli anfibi che abitano sulla terra asciutta come nelle acque?
Chi potrebbe parlare della profondità e dell'estensione del mare o della poderosa violenza delle sue onde, quando si levano in alto?
Esso, tuttavia, è rimasto fermo nei suoi limiti, secondo il comando di colui che disse: Fin qui giungerai e non oltre; in te stesso le tue onde si deporranno con furia ( Gb 38,11 ).
E il mare, dal canto suo, rende chiara testimonianza di quest'ordine ricevuto: ritirandosi con le sue onde, descrive una visibile linea sulla spiaggia, come per dimostrare a chi guarda di non aver oltrepassato i limiti impostigli.
Chi può sapere come sono fatti gli uccelli dell'aria?
Alcuni di essi muovono la lingua esperta nel cantare, altri hanno le penne multicolori, altri ancora, come lo sparviero, sono capaci, mentre volano, di restare immobili nel vuoto: infatti, per volontà di Dio, lo sparviero sta immobile con le ali distese, guardando verso le regioni del sud ( Gb 39,26 ).
Chi fra gli uomini può guardare l'aquila quando si leva in alto ( Gb 39,27 )?
Se dunque il più sciocco degli uccelli si sottrae alla tua vista, una volta levatosi in alto, come vuoi comprendere il Creatore di tutte le cose?
Quale persona conosce i nomi di tutte le fiere?
Oppure, chi potrebbe esaminare la fisiologia di ciascuna di esse?
E allora, se non conosciamo neppure i nomi delle fiere, come possiamo comprendere il loro Creatore?
Uno solo fu il comando di Dio, quando disse: La terra produca le bestie selvagge e i giumenti e i rettili, secondo la loro specie ( Gen 1,24 ).
Fu così che le diverse razze di animali, con un solo ordine, da una sola origine, vennero alla luce: la mitissima pecora, il leone carnivoro e molti altri animali che sembrano imitare, in diversi modi, i diversi caratteri umani: la volpe, ad esempio, esprime l'astuzia maliziosa degli uomini; il serpente, ricorda gli amici che feriscono con veleni; il cavallo che nitrisce rammenta la sensualità degli adolescenti ( Ger 5,8 ); la laboriosissima formica stimola il neghittoso e il pigro: infatti, quando un giovane vive oziosamente, la Scrittura, rimproverandolo, lo esorta a prendere esempio dagli animali: O pigro, va' dalla formica e imitala e, osservando le sue vie, diventa ancor più sapiente di quella ( Pr 6,6 ).
Vedendola, infatti, mettere da parte i cibi al momento opportuno, imitala, facendo tesoro dei frutti delle opere buone per i secoli che verranno.
E ancora: Avvicinati all'ape e impara quanto sia operosa ( Pr 6,8 ).
Come quella, infatti, volando intorno a fiori d'ogni genere, raccoglie il miele che serve a te; allo stesso modo anche tu, percorrendo le divine Scritture, afferra la tua salvezza.
Quando ti sarai saziato di esse, esclamerai: Com'è soave al mio gusto la tua parola!
É più dolce del miele e del favo alla mia bocca ( Sal 119,103 ).
Allora il Creatore non è ancora più degno di essere glorificato?
Infatti, anche se tu non conosci come siano fatti tutti gli esseri, ciò vuol forse dire che le creature siano inutili?
Puoi conoscere le qualità di tutte le piante?
O puoi forse discernere tutti i benefici che derivano da ogni animale?
Dal veleno di vipera si preparano antidoti per la salute degli uomini.
Mi dirai che il serpente è orrendo.
Temi il Signore, ed esso non potrà nuocerti.
Lo scorpione può pungerti; temi il Signore e non ti pungerà.
Il leone è affamato di sangue.
Temi il Signore e, come un tempo accadde a Daniele ( Dn 6,18 ), si accovaccerà accanto a te.
D'altronde, c'è da meravigliarsi per la potenza di questi animali.
Osserva lo scorpione, ad esempio, che possiede le sue armi nei pungiglioni, altri hanno la forza riposta nei denti; altri ancora combattono con le unghie; per il basilisco, invece, la potenza è nello sguardo.
Dalla varietà della creazione, dunque, puoi renderti in qualche modo conto della grandezza del Creatore.
Ma, forse, tu non conosci queste cose; forse non t'importa nulla della natura che ti circonda.
Cirillo di Gerusalemme, Catechesi battesimale, 9,10-15
Mirabili sono le tue testimonianze, perciò la mia anima le ha scrutate ( Sal 119,129 ).
Chi può enumerare, anche solo in generale, le testimonianze di Dio?
Il cielo e la terra, le sue opere visibili e quelle invisibili recano in qualche modo testimonianza della sua bontà e della sua grandezza; lo stesso corso comune e usuale della natura, in cui si snoda la voracità del tempo; tutte le realtà d'ogni genere, per quanto siano temporanee, mortali e rese vili ai nostri occhi per la consuetudine, se vengono considerate con senso di religiosità, recano testimonianza del Creatore.
Che vi è mai tra esse tutte che non sia mirabile, se le misuriamo ciascuna non in base alla loro utilità, ma al lume della ragione?
Se poi osiamo contemplare tutte le cose con un solo sguardo panoramico, non avviene in noi quel che dice il profeta: Considerai le tue opere, e mi spaventai ( Ab 3,1 )?
Agostino, Esposizioni sui Salmi, 119,129 (27,1)
Con l'opera creatrice dell'onnipotente Iddio, del Signore Gesù Cristo e dello Spirito Santo, fu fondato il cielo, fu plasmata la terra, le fu infusa attorno la massa delle acque e dell'aria, fu realizzata la divisione fra la luce e le tenebre.
Ora, chi non si meraviglierà che il mondo, tanto vario perché composto di parti differenti, abbia potuto formare un organismo unitario e che tanti esseri differenti abbiano potuto, per una indissolubile legge di concordia e di amore, formare una salda unità e una stretta compagine, tanto che cose di natura completamente diversa sono annodate da un vincolo di concordia e di pace come se fossero inseparabili tra di loro?
O chi, considerato ciò con la sua debole conoscenza razionale, avrebbe potuto ritenerlo anche solo possibile?
Eppure la potenza divina, incomprensibile allo spirito umano e inesprimibile con le nostre parole, con il suo volere ha ordinato tutto ciò nella più stretta unità.
Ambrogio, Esamerone, 2,1
Nessuno, pur applicandosi, può comprendere come sia grande la potenza del Creatore, e neppure può misurare ciò che egli ha creato e ciò che è in grado di creare.
Queste creature, che egli ha fatto, e queste opere, che ha attuato, non manifestano affatto tutta la sua potenza.
E non perché gli mancasse il potere egli non ha creato più di così: la sua volontà non ha confini: se egli lo volesse, potrebbe creare ancora tutti i giorni, solo che ne sorgerebbe un guazzabuglio.
Se le creature crescessero giorno per giorno, non potrebbero più, per il loro numero immenso, conoscersi a vicenda.
Se dunque egli concedesse loro di accrescersi in questo modo, esse non si accrescerebbero; a che utilità le avrebbe create allora, se dovessero restare straniere le une alle altre?
Ciò poi che il Creatore fece, non lo fece per rendere più grande se stesso: egli non era più piccolo prima di creare, né divenne più grande dopo che ebbe creato.
Le sue opere egli volle che avessero una data grandezza, perciò le creò in misura.
Certo, avrebbe potuto rendere grande all'infinito questo creato, ma avrebbe così gettato nello scompiglio i suoi abitatori, e alla confusione segue il danno.
Egli non creò dunque quanto poté.
Egli non opera quanto può, ma quanto si conviene.
Se avesse continuato a creare e non avesse limitato il suo agire, ne avremmo avuto un parto smisurato, privo certo di saggezza.
Lo si sarebbe potuto paragonare a una fonte che scorre continuamente senza interruzione.
Il Creatore sarebbe una sorgente che è legata alla propria natura e non può perciò arrestare il proprio corso: egli non avrebbe potere sulla propria volontà.
Ora, come egli ci rivela la sua volontà solo lasciando libero corso alla sua opera creatrice, così egli può rivelarcene la potenza solo interrompendo tale opera.
Egli comincia a creare per attuare le creature; egli cessa di creare, per realizzare l'ordine.
Se egli ogni giorno creasse cielo, terra e altre creature, la sua opera sarebbe un guazzabuglio senza ordine, ed egli non sarebbe grande nel suo agire, per essere in esso privo di saggezza.
Anche la bocca che parla deve parlare secondo un certo ordine.
Perché può parlare, infatti, non è tenuta forse anche a cessar di parlare?
E le parole non escono dalla bocca tanto facilmente come l'opera creatrice esce dal Creatore.
Le creature sono molto più facili al Creatore che le parole a chi parla; ma per questo, perché egli può creare, non crea continuamente nuove realtà.
Per il discorso dell'uomo c'è un certo ordine; tanto più dunque egli si controlla, quantunque possa creare ogni ora.
Perciò cessò di creare, per dare ordine a ciò che aveva creato.
Chi sarebbe in grado di riferire quanto egli potrebbe creare?
Molto è ciò che ha creato; molto è anche ciò che ha tralasciato di creare.
Quello che ha creato, è incommensurabile; quello che non ha creato, è imperscrutabile.
Tutto ciò che egli produce al suo cenno, viene dal nulla.
É perciò del tutto nascosto a chi lo indaga, sia esso visibile o invisibile.
Tu non puoi sapere quanto egli ha fatto, e neppure quanto egli può fare.
Solo l'Unigenito, che è nascosto nel suo seno, conosce il come e il quanto.
Efrem Siro, La fede, 2,4-5
E Dio disse: « Sia la luce » ( Gen 1,3 )!
La prima parola di Dio creò la luce, dissipò le tenebre, allontanò la tristezza, illuminò il cosmo, rivestì ogni cosa di un aspetto gradevole e giocondo.
Apparve, infatti anche il cielo, prima nascosto nelle tenebre; apparve la sua bellezza, tanto grande come anche adesso gli occhi possono testimoniare.
L'aria stessa brillava, o meglio tratteneva in sé tutta la luce, inviandone grandiose inondazioni per tutta la sua estensione.
Attraverso l'aria, infatti, la luce giunse, in alto, sino all'etere e al cielo; in latitudine, illuminò tutte le regioni del mondo: da quella boreale a quella australe, dall'oriente all'occidente; tutto nel breve spazio di un momento.
L'atmosfera, infatti, è così sottile e trasparente che la luce, per attraversarla non ha bisogno di alcun intervallo di tempo.
Come il nostro sguardo percepisce immediatamente gli oggetti sui quali si posa, con altrettanta rapidità, in un tempo che nessuno potrebbe immaginarsi più breve, l'atmosfera accoglie dappertutto i raggi della luce.
Dopo l'apparizione della luce, anche il cielo divenne più giocondo e le acque più limpide, non soltanto accogliendo la luce, ma anche riflettendola in ogni punto con innumerevoli scintillii.
La parola divina donò ad ogni cosa un aspetto bellissimo e piacevolissimo.
Come coloro che, immergendosi, versano dell'olio in fondo all'acqua, per rischiarare quel punto; allo stesso modo il Creatore, non appena ebbe parlato, subito recò al mondo la grazia della luce.
« Sia la luce ».
E il comando era subito attuato, così fu creato qualcosa di cui la mente umana non può immaginare nulla di più giocondo e di più bello.
Quando poi parliamo della voce o della parola o del comando di Dio, non intendiamo affermare che la parola divina costituisca un suono emesso attraverso le corde vocali né una quantità d'aria regolata dalla lingua; riteniamo, invece, che, in modo più comprensibile per coloro che vengono istruiti, essa rappresenti l'impulso della volontà divina, significato sotto la forma del comando.
E Dio vide che la luce era bella ( Gen 1,4 ).
Quali lodi potremmo noi mai pronunciare, che siano degne della luce, dal momento che il Creatore stesso l'ha riconosciuta bella fin dal principio?
Basilio il Grande, Esamerone, 2,7
« Ti benedicano, o Signore, tutte le tue opere … ».
Ma come? La terra non è un'opera sua? Gli alberi non sono opera sua?
Le pecore, le bestie, i pesci, gli uccelli, non sono opera sua?
Certo, sono tutte opere sue.
Ma come possono lodarlo?
Quando si tratta di angeli, vedo bene che le sue opere lo lodano: infatti anche gli angeli sono opera sua; e anche gli uomini sono opera sua, perciò quando gli uomini lo lodano, le sue opere lo lodano.
Ma le piante e le pietre, hanno forse voce di lode?
Eppure tutte le sue opere lo lodano.
Ma che dici? Anche la terra e gli alberi? Sono tutte opera sua …
Questo mirabile intreccio di creature, questa bellezza ordinatissima che ascende dal profondo al sommo, e discende dal sommo all'imo, mai interrotta ma variegata per esseri tanto dissimili, tutta loda Iddio.
Ma perché tutto loda Dio? Perché quando tu la consideri e la vedi bella, tu in essa lodi Dio.
Anche la muta terra ha una voce: è la sua bellezza.
Tu osservi e vedi la sua bellezza, vedi la sua fecondità, vedi la sua forza: come concepisce il seme, come produce anche ciò che non hai seminato, vedi ciò, e con la tua stessa contemplazione quasi la interroghi: la ricerca è interrogazione.
Ma quando tu avrai ricercato con curiosità, avrai contemplato a fondo e avrai scoperto la sua grande forza, la sua grande bellezza e la sua magnifica virtù, non potendo essa avere da se stessa questa virtù, subito ti verrà in mente che essa non poteva esistere affatto se non per opera del Creatore.
E quello che scopri in essa, è la sua voce di lode che ti fa lodare il Creatore.
Agostino, Esposizioni sui Salmi, 145,13
Come dice il Salmista ( Sal 147,16ss ), Dio manda la neve come lana, sparge la brina come cenere, getta giù il suo ghiaccio come briciole.
Chi può resistere al suo gelo? Egli manda la sua parola e lo scioglie; emette il suo alito, e le acque scorrono.
Allora la terra si impregna di grati odori, si riveste, al comando di Dio, della sua bellezza e ricrea chi la guarda come fosse un vestito adorno di pietre preziose, intessuto d'oro.
Gli uccelli volano qua e là e intonano i loro dolci canti, ricreandosi al sereno splendore dell'aria.
I quadrupedi corrono qua e là nella campagna, i pascoli nel deserto rinverdiscono, i pastori si allietano, giubilando pei doni del Signore.
L'acqua non scorre più selvaggia e impetuosa, ma i fiumi se ne vanno tranquilli e allietano i prati, mentre i pesci guizzano ai raggi del sole.
Gli alberi, prima nudati delle loro foglie, si rivestono di splendidi fiori, si ammantano di foglie e frutti.
I monti, i colli, le valli, tutta la terra piena di fiori, annunciano la magnificenza del Signore, perché il Signore li ha adornati come una sposa.
Anche noi uomini deponiamo gli oscuri affanni dell'inverno, gustando l'aria mite e la ricchezza di frutti.
Ma perciò, anche noi dobbiamo portare per il Signore ricchi frutti di giustizia, per poter dire con fiducia al Creatore: Il Signore si allieterà delle sue opere ( Sal 104,31 ).
Efrem Siro, La risurrezione dei morti, 2
Con grande splendore il sole procede nel giorno, inonda la terra di luce e la riscalda.
Guardati, uomo, dal fissare lo sguardo nella sua grandezza, perché l'immenso splendore della sua luce non abbacini l'occhio del tuo spirito, come a colui che ha il sole allo zenit e vi fissa lo sguardo: offeso dalla sua luce, subito perde la vista.
Se non rivolge altrove il viso e l'occhio, crede di non poter più affatto vedere e di essersi giocato la vista; ma se, invece, distoglie lo sguardo, può ancora godere della sua potenza visiva.
Guardati dunque che il suo raggio sorgente non confonda anche il tuo sguardo!
… Non fidarti ciecamente del suo magnifico splendore!
Il sole è l'occhio del mondo, la gioia del giorno, la bellezza del cielo, la leggiadria della natura, il gioiello della creazione.
Pensa sempre, quando lo guardi, al suo Fattore!
Loda sempre, quando lo ammiri, il suo autore.
Se già questo sole che ha essere e sorte comune con tutte le creature, splende tanto benefico, come deve essere buono il « sole della giustizia »!
Se questo sole è così veloce, che nel suo impetuoso corso tra giorno e notte, tutto illumina, come deve essere grande quello che è sempre ovunque, e tutto riempie con la sua maestà!
Se è meraviglioso questo che sorse al suo comando, come è meraviglioso al di fuori di ogni misura colui che comanda al sole di arrestarsi, ed esso non avanza più ( Gb 9,7 ), come si legge.
Se è grande questo che, ogni giorno nel corso delle ore, se ne viene e se ne va su ogni regione, come deve essere quello che anche quando si umiliò, perché noi potessimo vederlo visibilmente, era la luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo ( Gv 1,9 ).
Se è incomparabilmente eccellente questo, che pur spesso impallidisce quando la terra si interpone, come deve essere grande la maestà di colui che dice: Ancora una volta farò scuotere la terra! ( Ag 2,6 ).
La terra nasconde questo sole, mentre non potrebbe reggere quando l'altro sole la scuote, se non fosse sostenuta dalla sua volontà.
E se è un danno per il cieco non vedere la dolce luce di questo sole, quale danno sarà per il peccatore, privato delle opere della « luce vera », patire le tenebre di una notte eterna! …
Con la voce dei suoi doni, così sembra che gridi la natura: buono è il sole, ma è solo mio servo, non mio padrone.
É buono, perché è il promotore, ma non il creatore della mia fecondità.
É buono perché nutre, ma non causa i miei frutti.
A volte addirittura esso brucia i miei prodotti; spesso addirittura mi è dannoso, e mi lascia a mani vuote.
Non per ciò io sono ingrata a questo mio collaboratore: mi è stato dato a vantaggio e utilità, con me è sottoposto alla fatica, con me è soggetto alla caducità, con me è sottomesso alla schiavitù della corruzione; con me sospira, con me si duole aspettando che venga l'adozione in figli e la redenzione del genere umano, che renda possibile anche a noi la liberazione dalla schiavitù.
Al mio fianco esso loda il Creatore, al mio fianco inneggia al Signore Dio nostro.
E quando più ricchi sono i suoi benefici, io ne partecipo insieme con lui.
Se il sole è benedizione, è benedizione pure la terra, sono benedizione anche i miei alberi da frutto, benedizione le bestie, benedizione gli uccelli. Il navigante sul mare si lagna del sole, e aspira a me.
Il pastore sul monte si protegge da lui sotto le mie fronde, si affretta ai miei alberi, le cui ombre lo proteggono nella calura; alle mie sorgenti accorre assetato e stanco.
Ambrogio, Esamerone, 4,1.2.4
Non c'è forse da stupirsi nel considerare la natura del sole?
Infatti, pur sembrando di modeste proporzioni, esso racchiude un'energia straordinaria: appare a oriente, e fa giungere la propria luce fino ad occidente.
Il salmista, descrivendolo mentre sorge al mattino, diceva: Come uno sposo che si leva dal suo talamo ( Sal 19,6 ), sottolineando quel suo tenue chiarore quando comincia appena a far luce agli uomini.
Quando perviene a mezzodì, lo fuggiamo a causa dell'eccessivo calore; al suo sorgere, invece, è piacevole a tutti perché appare come uno « sposo ».
Considera, altresì, il suo ordinamento ( anzi non il suo, ma di colui che, con la propria determinazione, ha stabilito il suo corso ).
Durante l'estate, innalzandosi di più, produce giorni più lunghi, offrendo agli uomini un tempo sufficiente per i loro lavori; d'inverno, invece, abbrevia il proprio corso affinché il freddo della temperatura non si risenta troppo a lungo e le notti, protraendosi maggiormente, favoriscano il riposo degli uomini e la produzione dei frutti da parte della terra.
Osserva come i giorni si susseguano ordinatamente gli uni agli altri: d'estate si allungano, d'inverno si accorciano, in primavera e in autunno hanno uguale durata.
Per le notti, a loro volta, vale il medesimo discorso.
Giustamente, dunque, il salmista disse di loro: Il giorno all'altro giorno ne affida il messaggio, e la notte alla notte ridice la notizia ( Sal 19,3 ).
Cirillo di Gerusalemme, Catechesi battesimale, 9,6
Che bell'aspetto presenta un « campo pieno »!
Quale profumo, quale gioia per l'agricoltore! come potremmo esporlo convenientemente, se dovessimo far affidamento solo sulle nostre parole?
Ma noi abbiamo la testimonianza della Scrittura, ove troviamo che la bellezza del campo è equiparata alla bellezza di grazia e benedizione dei santi.
Dice il santo Isacco: il profumo di mio figlio è come il profumo di un campo pieno ( Gen 27,27 ).
A che dunque ricordare le viole purpuree, i gigli candidi, le rose rutilanti, i prati rilucenti di fiori, ora variopinti, ora d'oro splendente, ora azzurrini, dei quali tu non sai se più ti rallegra la magnificenza del colore o la fragranza dell'olezzo.
Si pascono gli occhi del dolce spettacolo, e il profumo si diffonde in lungo e in largo e ci riempie di soavità.
Perciò è divina la parola del Signore: E la bellezza del campo è con me ( Sal 50,11 ).
É con lui, perché egli l'ha creata.
E quale artista sarebbe stato capace di produrre una bellezza tanto eccelsa in una semplice cosa?
Osservate i gigli del campo ( Mt 6,28 ): quale candore splende nei loro petali, e come i petali stessi, stretti l'un l'altro, tendono in su, da assumere la forma di un calice, nel cui interno splende l'oro, sicuro da ogni oltraggio, perché la corolla lo circonda come un vallo?
E se si volesse sfogliare un fiore, e privarlo dei suoi petali, quale mano d'artista mai saprebbe ridonare al giglio la sua leggiadria?
Quale maestro saprebbe imitare la natura tanto fedelmente da poter osare la ricostruzione di questo fiore, di cui il Signore stesso ci ha dato splendida testimonianza assicurando che neppure Salomone, in tutta la sua magnificenza, non era vestito come uno di essi ( Mt 6,29 )?
Il re più saggio e più ricco, dunque, è giudicato inferiore alla bellezza di questo fiore.
Ambrogio, Esamerone, 3,36
Quando il seme cade su una terra sufficientemente calda e umida, esso diviene flaccido e assai poroso e, dilatandosi attraverso la terra che lo circonda, attira a sé sostanze appropriate e affini.
I granelli di terra, entrando attraverso i pori nel seme, ne dilatano e ingrandiscono la mole fino a fargli spingere le radici verso il basso, mentre tanti steli quante sono le radici si protendono verso l'alto.
Mentre il germoglio continua a riscaldarsi, l'umidità contratta attraverso le radici, grazie all'attrazione esercitata dal calore, reca una giusta dose di alimenti dalla terra.
Questi si distribuiscono, poi, allo stelo, alla corteccia e alle guaine del grano, quindi al grano stesso e alle spighe.
Qualunque sia il vegetale che nasce ( frumento o fagiolo o qualche ortaggio o un semplice cespuglio ), esso perviene alle sue giuste dimensioni dopo una crescita così graduale.
Un solo filo di fieno, una sola pianticella d'erba potrebbe occupare tutta la tua mente, se ti metti a considerare l'arte che l'ha prodotta.
Osserva, altresì, come uno stelo di frumento sia circondato di nodi, per sostenere più agevolmente il peso delle spighe, quando si piegano fino a terra cariche di frutti.
Per questo l'avena è assolutamente priva di sostegni: il suo capo non è gravato da nessun peso; la natura, invece, ha munito il grano di quei vincoli.
Inoltre, essa ha nascosto il grano nella guaina, affinché non venga facilmente rubato da quegli uccelli che beccano le biade.
Le reste delle spighe, poi, come cuspidi, tengono lontano il danno provocato dagli insetti.
Basilio il Grande, Esamerone, 5,3
Dio disse: Germogli la terra il verde dell'erba secondo la sua specie! ( Gen 1,11 ), e subito la terra aprì il suo seno e si effuse una nuova produzione: vestì un manto di verde frescura, si adornò con la grazia di una rigogliosa fertilità e si cinse l'ornamento assai vario delle piante germoglianti.
Ci meravigliamo che essa abbia prodotto tanto in fretta tutte queste creature, ma quanto incomparabilmente maggiore è la meraviglia se le consideri nei particolari!
Come per esempio il seme, che viene posto in terra, se non muore, non porta frutto; ma se invece muore e cade in preda alla corruzione, risorge in frutto rigoglioso.
La zolla umida accoglie la semente, l'erpice ricopre i chicchi di grano e la terra li accoglie e li stringe come in un seno materno.
Poi quando il seme si è dissolto, la pianticella che germoglia produce il tenero verde che è già di per sé un bello spettacolo agli occhi, e subito tradisce la sua specie per la sua somiglianza al seme.
Già dal primo germogliare, dunque, della pianticella si riconosce la specie dell'erbetta, e nel verde tenero si intravede il seme futuro.
A poco a poco cresce in pianta, si rizza sullo stelo, si rinforza e sale in alto.
Presto sporge la spiga, in piccole protuberanze nodose, e vi si formano delle celle per i frutti futuri.
Ivi dunque si forma il grano, nell'interno, perché il freddo non danneggi i suoi teneri inizi, perché il calore del sole non lo faccia rinsecchire o i venti impetuosi e gli scrosci violenti di pioggia non lo facciano cadere.
Sulle spighe si formano a poco a poco delle file di grani, formati con arte meravigliosa, tanto da costituire uno spettacolo grato e insieme godere di sicura protezione, perché con stretta compagine, dovuta alla provvidenza di Dio, sono intimamente legati uno all'altro.
E affinché per il peso del ricco frutto non venga meno la funzione sostenitrice dello stelo, esso si trova dentro una specie di guaina così che, raddoppiata la sua forza, è in grado di sostenere frutti svariati senza che, cresciuto il peso, sia costretto a curvarsi in terra.
E così sopra la spiga sta schierata la difesa delle ariste: come dentro un campo fortificato essa impedisce che, sotto il picchiettare del becco degli uccelletti, la spiga patisca o venga spogliata del suo frutto, oppure che essa venga stropicciata in terra dai loro piccoli artigli.
Che bisogno ho di ricordare come la benignità di Dio si prende cura dell'utile per l'uomo?
La terra rende con molteplice interesse, con frutto accresciuto, ciò che riceve.
Gli uomini spesso ingannano, a loro interesse, coloro che in essi si fidano; la terra invece resta fedele.
E se per una volta non ripaga, perché forse il freddo intenso o la siccità smodata oppure le piogge incessanti l'hanno impedita, l'anno prossimo essa reca anche il compenso per l'anno precedente.
Non è dunque colpa della terra se in qualche caso il raccolto ha deluso le speranze dell'agricoltore; negli altri casi, quando la speranza a quegli ha arriso, la fertilità della madre feconda trabocca di frutti copiosi.
Mai dunque essa permette che in qualche modo chi in lei si fida ne abbia danno.
Ambrogio, Esamerone, 3,34-35
« E Dio vide che era bello ».
La Scrittura non intende affermare che il mare abbia offerto agli occhi di Dio uno spettacolo affascinante.
Il Creatore, infatti, non contempla con gli occhi la bellezza della creazione, ma osserva i fenomeni con la sua ineffabile sapienza.
É davvero uno spettacolo magnifico quello offerto dalla distesa del mare biancheggiante di spuma, mentre vi regna una calma sovrana; ovvero quando la superficie delle acque, increspata da un venticello leggero, mostra a chi guarda un colore purpureo o azzurro.
Gradevole è anche contemplare il mare, non quando flagella con violenza la terra vicina, ma quando l'abbraccia con pacifici amplessi.
Ciò nondimeno, non è da ritenersi, secondo quanto afferma la Scrittura, che la vista del mare fu per Dio bella e gradevole: lì, invece, il mare è giudicato bello in rapporto all'insieme della creazione.
Anzitutto perché l'acqua del mare costituisce la fonte e l'origine di tutta l'umidità della terra …
Essa, infatti, riscaldata dai raggi del sole, si trasforma in vapore acqueo che, levandosi sempre più in alto e raffreddandosi quando manchi la rifrazione dei raggi dal suolo, producendo nello stesso tempo la fresca ombra delle nubi, genera la pioggia e rende più fertile la terra.
Di ciò, nessuno che abbia visto riscaldare dei recipienti, può dubitare.
Questi infatti, in origine pieni di liquido, spesso rimangono vuoti quando tutto ciò che veniva riscaldato si sia dissolto sotto forma di vapore.
Anzi, si può anche vedere come l'acqua del mare venga bollita dai marinai che, raccogliendone il vapore a mezzo di spugne, provvedono in qualche modo, ove fosse necessario, alla carenza d'acqua.
Il mare è anche bello ( ma in modo diverso secondo il punto di vista di Dio ) perché circonda le isole, offrendo loro ornamento e sicurezza; e perché congiunge terre assai distanti fornendo ai naviganti spostamenti veloci.
Dalla loro bocca ci fa conoscere storie di avvenimenti, prima ignorati, procura ricchezze ai mercanti, facilmente rimedia alle necessità della vita: infatti, a coloro che posseggono in sovrabbondanza una quantità di cose, offre la possibilità di esportare quelle superflue in un altro luogo; per coloro che, invece, ne scarseggiano, fa sì che possano procurarsi ciò che manca loro.
Donde proviene a me la possibilità di ammirare attentamente tutta la bellezza del mare, quale si manifestò in origine all'occhio del Creatore?
D'altronde, se al cospetto di Dio il mare è bello e gradevole quanto gli apparirà più bella questa assemblea in cui la voce confusa di uomini, di donne e di fanciulli, simile a quella dell'onda che s'infrange sulla riva, si rivolge a Dio nelle nostre preghiere?
Una tranquillità profonda la conserva nella pace non potendo gli spiriti della malizia turbarlo con le loro dottrine eretiche.
Diventate dunque, degni della approvazione del Signore, osservando rigorosamente questa disciplina, nel nostro Signore Gesù Cristo.
Basilio il Grande, Esamerone, 4,6-7
Dio vide che il mare era « buono ».
Certo, è bello lo spettacolo che ci offre questo elemento, sia quando biancheggia, perché si accavallano in lui montagne di acque e creste di onde, e quando ricopre le scogliere di spuma nivea, sia quando sulla sua superficie, che si increspa leggermente al dolce spirare dei venti e tremula benigna, fa rilucere lo splendore purpureo della sua calma serena, che spesso da lontano lusinga l'occhio di chi lo guarda, sia quando non percuote le sponde con flutti potenti, ma le saluta quasi e le cinge con un abbraccio di pace.
Com'è dolce il suo rumore, com'è caro lo scroscio dei suoi flutti, com'è lieve e melodioso il sussurro delle sue onde!
Tuttavia, io credo che la bellezza del creato non vada giudicata secondo la stima dei nostri occhi, ma debba risultare dal fatto che, nello scopo della creazione, essa collima ed è in piena armonia con il giudizio del Creatore.
Buono è dunque il mare, anzitutto perché procura alla terra l'umidità necessaria, fornendole invisibilmente, quasi con una rete di vene, l'umore vitale non certo inutile.
Buono è il mare: è il seno ospitale che accoglie i fiumi, è la sorgente delle piogge, il deposito dei terreni alluvionali, la strada del commercio, il ponte tra i popoli lontani, la muraglia contro i pericoli della guerra, lo sbarramento contro il furore dei barbari, l'aiuto nella necessità, il rifugio nei pericoli, il sollazzo dei viaggi di diporto, la fonte salvifica di salute, la strada che unisce i separati, la via breve per chi viaggia, il sentiero di salvezza per i transfughi, la fonte delle entrate doganali, la possibilità di approvvigionamento in caso di carestia.
Dal mare si forma la pioggia che poi cade sulla terra perché da esso i raggi del sole succhiano l'acqua che, trovandosi ad essere più leggera, viene portata via.
E più in alto viene portata, più si raddensa nella fresca ombra delle nubi e diventa pioggia, la quale non solo mitiga la siccità della terra, ma rende fruttuosi perfino i campi sterili.
E che dovrei dire delle isole, poste innanzi al mare come un monile nell'orlo di un vestito, dove coloro che rinunciano alla smoderatezza delle lusinghe mondane scelgono una vita nascosta al mondo nella fedele osservanza del loro proposito di rinuncia e si allontanano dal corso pericoloso di questa vita?
Perciò il mare è anche la patria segreta dell'astinenza, la scuola della continenza, l'asilo della serietà di vita, il porto della sicurezza, il luogo della pace su questa terra, la rinuncia a questo mondo; e inoltre lo sprone alla pietà per uomini fedeli e religiosi.
Così, con il sussurro delle onde, che percuotono dolci le rive, gareggia il canto dei salmi; e isole plaudono liete col tranquillo coro dei flutti benedetti, ed echeggiano ai cantici dei santi.
Come mi sarebbe possibile scandagliare tutta la bellezza del mare, come il Creatore lo vide?
Perché dunque parlarne ancora?
Ambrogio, Esamerone, 3,21-23
Quale prato leggiadro o quale vago giardino può competere con lo splendore di colori del mare ceruleo?
Sul prato risplendono fiori d'oro: ma anche sul mare le onde riflettono uno scintillio d'oro; quelli presto appassiscono, questi durano molto tempo.
Nel giardino i gigli e sul mare le vele delle navi mostrano da lontano il loro candore.
Ivi spirano profumi, qui il soffio dei venti.
Quanto sono utili le foglie! Ma quale approvvigionamento giace ammassato nelle navi!
I gigli porgono profumo all'olfatto, le vele porgono la salvezza all'uomo.
Inoltre i pesci che saltano e i delfini che giocano; inoltre le onde che rumoreggiano con cupi tonfi; le navi che si affrettano al lido o dal lido partono.
Quando le quadrighe partono dai cancelli, con quale tifo e passione gli spettatori seguono la gara; eppure il cavallo corre inutilmente, non inutilmente le navi: quelli inutilmente, perché privi di carico, queste utilmente, perché ricolme di frumento.
Cosa mai è più splendido delle navi? Non sono le fruste che le incitano, ma lo spirare dei venti.
Non hanno competitori, ma solo ammiratori; tra di esse non vi è un unico vincitore, ma tutte le poppe che felicemente concludono il viaggio vengono inghirlandate: il ramo di palma indica la gloria di un viaggio felice, la vittoria è il merito del ritorno.
E quale distinzione tra la rotta giusta e quella errata!
La prima viene sempre tenuta, l'altra abbandonata.
Aggiungi poi la riva densa di remi!
Lo spirare dei venti dal cielo dà il segnale della partenza.
E mentre i corridori mietono un inutile applauso, i naviganti, dopo un viaggio felice, sciolgono i loro voti.
Ambrogio, Esamerone, 5,34
Considera la terra e la varietà del suo aspetto.
Non tutti i paesaggi, infatti, sono pianeggianti né tutti scoscesi, ma tutta la terra, invece, è divisa in monti, valli boscose e pianure.
Osserva come, talora, nel mezzo di grandi pianure sorgano dei colli, ovvero, fra le montagne, si aprano luoghi bassi e piani, simili a certi golfi marini.
Il Creatore creò anche i monti perché fossero utili all'uomo; egli li separò con profonde valli aprendo così alle acque nevose un cammino da percorrere.
Aprì agli uomini dei sentieri su cui attraversare facilmente i luoghi impervi.
I monti offrono legname da costruzione; le pianure, invece, producono quantità di frumento per coloro che dimorano sui monti.
La varietà della creazione non è soltanto utile all'uomo per il suo sostentamento, ma serve anche egregiamente ad allietare lo sguardo dell'uomo.
Infatti ciò che offre sempre un unico e medesimo aspetto, viene di solito a noia assai presto.
Teodoreto di Ciro, La provvidenza divina, 2
Se Dio manifesta una cura così sollecita anche nei confronti di cose di modesto valore ( l'erba e i fiori, ad esempio ), come potrà dimenticare te, che sei la più eccellente delle sue creature?
Perché dunque ha creato cose tanto belle?
Per manifestare la sua sapienza e la grandezza della sua potenza, affinché conoscessimo in tutto la sua gloria.
Non soltanto i cieli narrano la gloria di Dio ( Sal 19,2 ), ma anche la terra, come rileva Davide, quando cantava: Lodate il Signore, alberi da frutto e tutti i cedri ( Sal 148,9 ).
Alcune creature, infatti, rendono lode al Creatore con i loro frutti, altre con la loro grandezza, altre ancora con la loro bellezza.
Un'altra dimostrazione della grande sapienza e potestà di Dio, risiede nel fatto che gli orni di tanta bellezza anche gli oggetti più vili ( che cosa c'è, infatti, di più vile di ciò che oggi esiste, ma domani non sarà più? ).
Se dunque Dio ha donato anche al fieno ciò che non gli era affatto necessario ( a che cosa serve, infatti, la sua bellezza? ad alimentare il fuoco? ), com'è possibile ch'egli non conceda a te ciò di cui hai bisogno?
Se il Signore ha decorato generosamente la cosa più vile fra tutte, e non per una qualche utilità, ma unicamente per bellezza; molto più onorerà te, la più preziosa delle sue creature, in quelle cose che ti sono necessarie.
Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di san Matteo, 22,1
Come coloro che conducono per mano attraverso la città coloro che non la conoscono; non diversamente, anch'io guiderò voi, come forestieri, attraverso le segrete meraviglie di questa grandiosa città …
Sappi, anzi, che anche tu, fatto di terra come il resto della natura, sei nondimeno opera delle mani di Dio; e che, se sei di gran lunga superato quanto a forza fisica dalle creature prive di ragione, sei tuttavia il re eletto degli esseri senza anima, né ragione, e che, sebbene inferiore nel fisico, puoi sollevarti fino al cielo con la superiorità della tua ragione.
Se imparassimo queste cose, conosceremmo noi stessi, conosceremmo Dio, adoreremmo il Creatore, serviremmo il Signore, glorificheremmo il Padre, ameremmo colui che ci nutre, onoreremmo il nostro benefattore, adoreremmo senza posa colui che ci dona la vita presente e futura.
Egli, attraverso le ricchezze già elargite, si rende garante anche dei beni promessi, e attraverso i beni che ci ha già elargito, ci conferma quelli futuri.
Se tali, infatti, sono le cose temporali, quali mai saranno quelle eterne?
Se la realtà visibile è così bella, come si dovrà ritenere che sia quella invisibile?
Se la grandezza del cielo supera le capacità dell'umana intelligenza, quale intelligenza potrebbe mai scrutare la natura delle cose eterne?
Se il sole, che è anch'esso una creatura corruttibile, è così bello, così grande, così veloce nel suo movimento, così preciso nel suo movimento di rotazione, così proporzionato nelle sue dimensioni in rapporto all'universo tutto, mentre, come fosse l'occhio luminoso della natura, adorna del suo splendore le cose create; se non siamo mai sazi di guardare questo sole, di quale bellezza sarà mai il sole della giustizia?
Se il non poter guardare questo sole costituisce un danno per il cieco, quale sarà il danno del peccatore nel sentirsi privato della vera luce?
Basilio il Grande, Esamerone, 6,1
Il bello sussistente ( cioè Dio ) si chiama bellezza, a causa di quella bellezza ch'esso comunica a tutte le cose, ciascuna secondo la sua misura.
Esso è, infatti, la fonte di ogni grazia e di ogni leggiadria poiché a ogni cosa bella elargisce il proprio originario splendore sotto forma di luce e, chiamando ( « kaloún » ) a sé tutte le cose ( donde si dice « kállos », cioè bellezza ), le riunisce tutte quante in se stesso.
É chiamato bello poiché è tale sotto ogni aspetto e oltre ogni misura; esiste sempre, nella sua immutabile e uguale bellezza; increato e indistruttibile, mai aumenta né decresce; non bello da una parte e brutto dall'altra, bello in alcune cose e in altre no, bello qui e lì deforme; non qui in un modo e altrove altrimenti, armonioso per alcuni e per altri sgraziato: ma bello da sempre, contenendo fin da principio in se stesso, in modo eminente, quella bellezza che è fonte di ogni cosa bella.
Nella sua sostanza semplice e soprannaturale, infatti, preesiste tutta la bellezza d'ogni cosa bella.
Grazie ad essa tutte le cose sono belle, ciascuna secondo la propria natura; a causa del bello esistono tutte le armonie e le amicizie e gli accordi; in nome del bello tutte quante le cose si uniscono.
Il bello è principio di tutte le cose, causa efficiente che muove e contiene tutte le cose per amore della propria bellezza; scopo ultimo di tutto, causa finale ( tutte le cose, infatti, avvengono grazie al bello ) ed esemplare, essendo ogni cosa definita conformemente ad esso.
Il bello e il buono sono, dunque, la medesima cosa: tutto tende, infatti, in ogni modo, al bello e al buono; nulla c'è nella natura che non partecipi, in qualche misura, del bello e del buono.
Oso dire che anche ciò che non esiste, partecipa del bello e del buono: è bello e buono, infatti, che Dio sia glorificato, in modo sovrannaturale, attraverso l'assenza d'ogni realtà.
Soltanto il buono e il bello, infine, sono l'autentica causa di tutte le molte cose buone e belle.
Da essi derivano, infatti, le sostanze di tutte le cose, le loro unioni, le loro distinzioni, le identità, le diversità, le unioni dei contrari, l'indivisibilità delle cose unitarie, le provvidenze delle cose superiori, le connessioni delle cose affini, le evoluzioni di quelle più piccole e la conservazione, insomma, di tutte queste cose.
Dal bello e dal buono derivano, altresì, le inconfuse comunioni e accordi e amicizie di tutte le cose, secondo le proprietà di ciascuna, insieme con le armonie del tutto e le mescolanze nel tutto, gli abbracci indissolubili e le successioni perpetue delle cose che avvengono, tutte le condizioni e i moti delle menti, degli animi e dei corpi: per tutte le cose, infatti, c'è uno stato e un moto che, al di sopra di ogni stato e di ogni moto, colloca ciascuna cosa nella propria condizione e la dirige verso il proprio movimento …
Tutto ciò che proviene dal bello e dal buono e in essi risiede, si volge verso il bello e il buono; tutte le cose che esistono e avvengono, esistono e avvengono mediante il bello e il buono: ogni cosa guarda ad essi e da loro è mossa e conservata; grazie a loro e per loro e in loro si attua ogni principio esemplare, finale, efficiente, formale, materiale, e insomma ogni principio, ogni proseguimento, ogni fine.
Per dirla in breve, tutte le cose che sono, esistono in virtù del bello e del buono; tutte quelle che non sono, esistono, in modo sovrannaturale, nel bello e nel buono.
Essi costituiscono il principio e il fine supremo di tutte le cose, stando al di sopra di tutto: infatti, come dice la Scrittura, da esso e per esso e in esso e a esso tutte le cose.
Per ogni cosa, dunque, il bello e il buono sono amabili e desiderabili; da ogni cosa sono prediletti.
Grazie ad essi anche le cose inferiori amano quelle superiori, convertendosi ad esse; quelle che appartengono al medesimo ordine amano le simili, comunicando reciprocamente; quelle superiori amano le inferiori, provvedendo ad esse; ciascuna cosa ama se stessa, conservandosi a tutte, tendendo al bello e al buono, compiono e aspirano a ciò che è loro proprio.
Anzi, osiamo affermare che l'autore di ogni essere tutto ama, grazie alla sua infinita bontà; tutto perfeziona, tutto contiene, tutto converte a sé.
Causa di tutto, insomma, è il gratuito amore divino del bene per il bene: infatti, lo stesso benefico amore di ciò che esiste, preesistendo ineffabilmente nel bene, non permise ch'esso rimanesse in se stesso infecondo, ma lo spinse piuttosto a operare secondo l'eccellenza della sua virtù generatrice di tutte le cose.
Pseudo-Dionigi Areopagita, I nomi divini, 4,7.10
Certo, lo sai: con il fiore tu dividi la caducità, e con la vite tu dividi la gioia; da essa infatti deriva il vino, che rallegra il cuore dell'uomo.
Oh, potessi tu riprodurre questo esempio, producendo in te stesso il frutto della gioia e della letizia!
In te stesso è la soavità di ogni tuo incanto: da te fiorisce, in te resta, nel tuo intimo la possiedi, in te tu devi cercare la letizia della tua coscienza.
Da qui l'ammonimento: Bevi l'acqua dal tuo vaso, dall'ampolla della tua fontana! ( Pr 5,15 ).
Ambrogio, Esamerone, 3,49
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