Teologia dei Padri |
Quando ignoriamo quale fosse il profumo contenuto in certi vasetti, una volta che si sia versato, nondimeno, odorando le esalazioni emanate da quel poco che vi resta, perveniamo a una qualche conoscenza del profumo versato.
Allo stesso modo, quantunque sappiamo che il profumo della divinità, qualunque esso sia, supera ogni concetto della nostra intelligenza, i miracoli che tuttavia si vedono nell'universo offrono la giustificazione di quegli attributi teologici con i quali chiamiamo Dio sapiente, potente, buono, santo, beato, eterno, giudice, protettore e simili.
Tutte queste qualità offrono, appunto, una pallida idea del profumo divino che tutta la creazione, come i vasetti di cui abbiamo parlato, porta impresso su di sé attraverso i miracoli che vi si vedono.
Gregorio di Nissa, Commento al Cantico dei cantici, 1
É certamente giusto che gli esseri che beneficiano dei più grandi doni di Dio siano anche migliori degli altri e si trovino in una condizione superiore.
Ma ciò è detto senz'altro giustamente quando si tratti di paragonare gli esseri intelligenti con gli oggetti inanimati.
Ciò nondimeno, si deve però ammettere che esistono spiriti divini al di sopra degli altri esseri, viventi in una sfera superiore e dotati di un raziocinio e di una conoscenza più perspicaci di qualsiasi ragione o intelligenza.
Costoro aspirano al bello e al buono e ne beneficiano più di tutti gli altri esseri, essendo più vicini al Bene supremo e partecipandone maggiormente, dopo aver ricevuto da lui doni più belli e in maggior numero.
Similmente, anche gli esseri razionali, superiori per l'eccellenza della ragione, sono al di sopra di quelli puramente sensibili.
Questi ultimi, a loro volta, grazie alla loro sensibilità, superano gli altri che unicamente hanno la vita.
Questa, credo, è la verità: gli esseri che maggiormente partecipano dell'unico e infinito Iddio sono più prossimi a lui e più divini degli altri lasciati indietro.
Pseudo-Dionigi Areopagita, I nomi divini, 5,3
Non vi è autore più eccellente di Dio, non vi è arte più efficace di quella del suo Verbo, né motivo migliore della creazione di qualche essere buono se non lo stesso Dio buono.
Anche Platone [ cf. Timeo, 28 ] dice che questa è la più retta causa della strutturazione del mondo, che cioè le opere buone vengano fatte dal Dio buono: sia che ciò egli abbia trovato scritto, sia che ciò abbia saputo da coloro che lo avevano letto; sia che col suo ingegno acutissimo abbia contemplato e compreso le realtà invisibili di Dio per il tramite delle realtà create, sia che lo abbia imparato da coloro che le avevano contemplate.
Ma questa causa, che cioè le realtà buone siano state create dalla bontà di Dio, questa causa, dirò, tanto giusta e idonea, che considerata diligentemente e piamente meditata risolve da sola ogni controversia sull'origine del mondo; questa causa dunque alcuni eretici non la ammettono.
E ciò perché la mortalità misera e fragile della nostra carne, in conseguenza di un giusto castigo, soffre l'offesa di molte cose che non le si addicono.
Così il fuoco, il freddo, le bestie feroci e cose simili.
Né gli eretici considerano quanto, nel loro luogo e nella loro natura, queste realtà siano eccellenti e in quale magnifico ordine siano organizzate; quanta bellezza, ciascuna nella propria misura, portino all'universo, quasi a una comune repubblica e quanta utilità arrecano a noi, se ne usiamo con scienza e comprensione.
Gli stessi veleni, infatti, che usati sconvenientemente sono pericolosi, usati con criterio si tramutano in medicamenti salutari; ma, al contrario, anche ciò di cui ci si diletta, come il cibo, la bevanda e questa luce, se usate inopportunamente o smoderatamente, si rivelano perniciose.
Con ciò la divina provvidenza ci ammonisce di non disprezzare scioccamente le cose, ma di cercarne diligentemente l'utilità; e se il nostro debole ingegno non ci riesce, dobbiamo credere che la loro utilità ci è nascosta, come ci erano nascoste le realtà che a gran fatica abbiamo poi scoperto; e la loro utilità può essere nascosta, o per nostro esercizio di umiltà, o a freno della nostra ambizione.
Nessuna essenza è male, perché questo non è che il nome della privazione del bene: dalle realtà terrene alle celesti, dalle visibili alle invisibili, ve n'è tutta una gradazione, in cui alcune sono migliori delle altre; e sono disuguali, perché tutte possano esistere.
E Dio è l'artefice, grande in quelle grandi, ma non piccolo in quelle piccole; e se sono piccole, poi, non sono da misurare in rapporto alla loro grandezza ( che è ben poca cosa ) ma in rapporto alla sapienza del loro artefice; è così nell'aspetto esterno dell'uomo: se gli si rade un solo sopracciglio, che è quasi nulla rispetto al corpo, gli si detrae molto di bellezza: questa infatti non consiste nella mole, ma nella simmetria e nella proporzione delle membra.
Agostino, La città di Dio, 11,21-22
Alla fine vedesti, o Dio, tutte le cose che avevi creato; ed eccole buone assai ( Gen 1,31 ).
Anche noi le vediamo, ed eccole tutte buone assai.
Nei singoli generi delle tue opere, dopo aver detto ad esse di esistere - ed esse esistettero - ne vedesti l'una e l'altra, ed erano buone.
Sette volte ho calcolato che fu scritto che tu vedesti come la tua opera fosse buona; l'ottava è quando vedesti tutte le tue opere, ed eccole, tutte insieme, non solo buone, ma buone assai.
Una per una erano soltanto buone; tutte insieme erano buone assai.
Lo si dice anche di ogni corpo bello: un corpo costituito di membra tutte belle, è di gran lunga più bello delle singole membra che con la loro armoniosissima riunione formano il complesso, sebbene anch'esse siano, singolarmente, belle.
Agostino, Le Confessioni, 13,28
San Paolo afferma questa verità: Se uno è in Cristo, è una nuova creazione ( 2 Cor 5,17 ).
E perché noi non pensiamo a una creazione materiale, precisa: « Se uno è in Cristo ».
La nuova creazione è dunque quella che ci si rivela attraverso colui che nella fede aderisce a Cristo.
Ditemi, è più grande il fatto che il cielo o un altro elemento creato si rinnovi, oppure che un uomo passi dal vizio alla virtù e abbandoni l'errore per mettersi al servizio della verità?
É proprio questo quel che san Paolo chiama « nuova creazione ».
Non solo, ma aggiunge immediatamente: Le cose vecchie sono passate, ecco che tutto è divenuto nuovo ( 2 Cor 5,17 ).
Il senso di queste parole è chiaro: attraverso la fede in Cristo, gli uomini abbandonano il carico dei loro peccati come spogliandosi di un vecchio vestito; liberati dall'errore, vengono illuminati dal Sole di giustizia, e così rivestono un abito tutto nuovo e splendente, una veste regale …
La grazia di Dio ha fatto irruzione: essa ha come creato nuovamente le anime, le ha rifatte dall'interno, trasformando non già la loro natura ma la loro volontà.
Non è più permesso ormai allo sguardo dello spirito il velo che copriva gli occhi, ed ecco che la vista percepisce chiaramente tutto l'orrore del vizio e la splendente bellezza della virtù.
Hai notato come, ogni giorno, è il Signore stesso che opera questa nuova creazione?
Chi, se non il Signore, potrebbe prendere l'uomo - l'uomo che spesso trascorre tutta la vita nei piaceri o adora la pietra e il legno - e indurlo definitivamente a una virtù così solida da disprezzare tutti questi idoli?
Ed ecco che ormai ride di essi e li vede nella loro realtà, mentre adora il Creatore dell'universo e mette la fede in lui al di sopra di tutte le cose di questa vita.
Come si vede, la fede in Cristo e la conversione che ne consegue sono appunto la « nuova creazione » che Paolo annuncia.
Tutti insieme dunque, voi che da molto tempo siete stati battezzati e voi che avete appena ricevuto dal Signore questo dono, ascoltiamo l'esortazione dell'Apostolo che ci dice: Le cose vecchie sono passate, ecco che tutto è divenuto nuovo.
Dimentichiamo tutto il nostro passato.
Poiché siamo ormai partecipi di una vita nuova, impegniamoci a trasformare tutto il nostro essere.
In tutto quello che diciamo e facciamo, teniamo presente la dignità di colui che abita in noi.
Giovanni Crisostomo, Catechesi, 4, 12,14-16
Come l'anima dell'uomo non è visibile, sottraendosi alla vista umana, ma viene percepita osservando i movimenti del corpo, così neppure Dio può essere visto con gli occhi umani, ma lo si scorge e lo si comprende attraverso la sua provvidenza e le sue opere.
Infatti, come colui il quale, vedendo in mare una nave equipaggiata procedere velocemente e approdare in porto, giudicherà senz'ombra di dubbio esservi un nocchiero a guidarla, similmente si comprende che Dio governa tutte le cose, sebbene non visto, incomprensibile com'è, dagli occhi della carne.
Se l'uomo non può fissare lo sguardo sul sole, che è una stella piccolissima, a causa della sua eccessiva luminosità; a maggior ragione, come potrà chi è mortale contemplare la gloria di Dio, che è indescrivibile?
Come la melagrana, avvolta dalla buccia, contiene dentro di sé molte cellette e alveoli separati da membrane e innumerevoli granelli, così l'intera creazione è circondata dallo spirito di Dio che, a sua volta, insieme con la creazione è circondato dalla mano di Dio.
E come il granello della melagrana, rinchiuso dentro, non può vedere ciò che si trova fuori della buccia, proprio perché sta dentro, così pure l'uomo, circondato con l'intera creazione dalla mano di Dio, non può vedere Dio.
Si crede all'esistenza di un re terreno, sebbene non tutti lo vedano, poiché lo si conosce attraverso le sue leggi, i suoi editti, la sua autorità, il suo esercito, i suoi ritratti.
Per quale motivo, allora, non vorresti riconoscere Dio dalle sue opere e dal suo impero?
Considera, o uomo, le opere di Dio: l'avvicendarsi periodico delle stagioni, i mutamenti dell'atmosfera, la precisione del corso delle stelle, l'armonico alternarsi dei giorni e delle notti, dei mesi e degli anni; la ridente varietà dei semi, delle piante e dei frutti; le differenti specie di animali: quadrupedi, volatili, rettili, gli animali acquatici, sia fluviali che marini e l'istinto dato loro di generare e allevare la prole, non già per proprio vantaggio ma per essere a disposizione dell'uomo.
Rifletti poi sulla provvidenza che Dio manifesta preparando ad ogni vivente il suo nutrimento e sull'ossequio che egli ha ordinato a tutti di presentare all'uomo, sullo scorrere di dolci sorgenti e di fiumi e sul dono opportuno delle rugiade, dei temporali, delle piogge.
Contempla i diversi movimenti dei corpi celesti: Lucifero che sorge a oriente per annunciare l'arrivo dell'astro perfetto; la congiunzione della Pleiade con Orione; la costellazione di Arturo e l'itinerario degli altri astri descritti nel cielo circolare ai quali tutti la molteplice sapienza di Dio ha dato un nome.
Questi è quell'unico Dio che ha creato la luce dalle tenebre, che ha creato i recessi del vento ( Sal 47; Gb 9,9 ), i serbatoi dell'abisso e i confini del mare, i ripostigli della neve e della grandine: che raduna le acque nei serbatoi dell'abisso e le tenebre nei loro nascondigli; che fa uscire dalle sue riserve la soave, amabile e giocondissima luce; che fa salire le nuvole dall'estremità della terra, moltiplica le folgori per far piovere ( Sal 135,7 ), suscita il terrore con il tuono, preannuncia con la folgore il fragore del tuono affinché l'anima, improvvisamente turbata, non venga meno.
Anzi, è Dio stesso a temperare la forza del fulmine che erompe dal cielo affinché non bruci la terra; infatti, se ad esso fosse lasciata intatta la sua violenza, la terra ne sarebbe arsa, e così pure il tuono sconvolgerebbe ciò che si trova su di essa.
Questo, mio Dio, Signore di tutte le cose, è colui che ha disteso il cielo e ha stabilito l'ampiezza della terra; che ha sconvolto le profondità del mare e suscitato il frastuono delle sue onde ( Sal 65,8 ); colui che domina con la sua autorità e mitiga la violenza dei flutti ( Sal 89,10 ); colui che ha fondato la terra sopra le acque ed elargisce lo spirito per mantenerla in vita; colui il cui soffio vivifica tutte le cose: se egli lo trattenesse presso di sé quest'universo si annienterebbe.
O uomo, tu fai risuonare lo spirito di Dio, lo respiri addirittura, ma Dio tu non lo conosci.
E questo ti accade per la cecità della tua mente e la durezza del tuo cuore.
Se però lo desideri, puoi essere guarito: affidati al medico; lui opererà gli occhi della tua mente e del tuo cuore.
E chi sarà mai questo medico?
É Dio, che, per mezzo del Verbo e della Sapienza, sana e vivifica.
Dio, che con il Verbo e la Sapienza ha fondato tutte le cose: infatti, con il Verbo furono creati i cieli e con il suo spirito tutto il loro ornamento ( Sal 33,6 ).
Grandissima è la sapienza di Dio, con la quale egli ha fondato la terra.
Con saggezza Iddio allestì i cieli; gli abissi furono squarciati e le nubi effusero rugiada.
Se comprendi queste cose, o uomo, e vivi in purezza e santità e giustizia, puoi vedere Dio.
Anzitutto, però, entrino nel tuo cuore la fede e il timore di Dio: allora comprenderai queste cose.
E quando avrai deposta la mortalità e ti sarai rivestito d'immortalità, a seconda dei tuoi meriti, vedrai finalmente Dio.
Egli, infatti, insieme all'anima, risveglia la tua carne immortale: divenuto immortale, vedrai l'Immortale, se avrai creduto in lui.
Allora ti accorgerai anche di aver parlato contro di lui a torto.
Teofilo d`Antiochia, Ad Autolico, 1,5-7
Ai fanciulli a scuola si danno per compito le lodi, e si specifica ciò che devono lodare - realtà tutte operate da Dio.
Si propongono la lode del sole, la lode del cielo, la lode della terra, e, per venire a oggetti minori, la lode della rosa e la lode dell'alloro: tutte sono opera di Dio.
Vengono proposte, vengono accettate, vengono lodate: si celebrano le creature, si tace del Creatore.
Ma io voglio che in tutte le sue opere si lodi il Creatore, non amo chi loda ed è ingrato.
Lodi ciò che fu fatto, e taci di colui che lo fece?
Se egli non fosse tanto grande, potresti trovare argomento di lode?
In tutte queste cose che vedi, cosa lodi?
La loro bellezza, l'utilità, una qualche loro virtù o una qualche potenza.
Se ti allieta la bellezza, cosa è più bello di colui che le ha fatte?
Se ne lodi l'utilità, chi è più utile di colui che tutto ha creato?
Se lodi una virtù, chi è più potente di colui dal quale tutto è stato operato, e da cui le realtà create non sono abbandonate a se stesse, ma vengono tutte rette e governate?
Agostino, Esposizioni sui Salmi, 145,7
Dio, che ha creato cose tanto grandi, vi conceda in tutto la comprensione della sua verità affinché, attraverso la realtà visibile, conosciate l'invisibile, nutrendo così, grazie alla grandezza e bellezza delle creature, un'adeguata concezione del nostro Creatore.
Infatti, le cose invisibili di lui, essendo riconoscibili nelle sue opere, possono essere contemplate dalle creature del mondo: sia la sua eterna potenza che la divinità ( Rm 1,20 ).
Accadrà così che, nell'osservare la terra, l'aria, il cielo, l'acqua, la notte, il giorno e ogni altra cosa visibile, distintamente ci rammenteremo di colui che ci ha beneficato.
Soltanto se Dio abiterà dentro di noi attraverso il nostro costante ricordo di lui, non daremo esca al peccato né faremo posto al nemico nei nostri cuori.
A lui ogni gloria e adorazione, ora e sempre, nei secoli dei secoli.
Basilio il Grande, Esamerone, 3,10
Presso di noi qualsiasi arte viene praticata per un unico particolare genere di materia: la metallurgia per il ferro, la falegnameria per il legno, e così via.
In queste, poi, uno è il materiale, un'altra la forma, un terzo, infine, ciò che della forma si riveste.
Ora, mentre la materia si ricava dall'esterno, dall'arte invece viene provvista di una forma in modo che il prodotto che ne risulta è costituito, evidentemente, sia di materia che di forma; allo stesso modo, si ritiene da parte di taluni che, mentre nella creazione divina la forma del mondo sarebbe stata concepita dalla sapienza del Creatore, la materia, al contrario, si sia originata al di fuori di lui e gli sia stata messa a disposizione senza il suo intervento.
In questo modo il mondo avrebbe tratto dall'esterno la sua sostanza costitutiva, per ricevere invece da Dio l'aspetto esteriore e la forma.
Di conseguenza queste stesse persone negano che il sommo Dio sia esistito prima degli altri esseri: secondo costoro egli avrebbe contribuito soltanto in minima parte alla generazione delle cose, alla stregua di un contribuente in una colletta.
Ma essi non sono in grado, a causa della meschinità dei loro ragionamenti, di contemplare la sublimità della verità: le arti, infatti, sono posteriori rispetto alla materia, introdotte nella vita per esigenze pratiche.
La lana esisteva già; l'arte tessile, invece, è sopraggiunta successivamente per colmare una lacuna della natura.
Così pure, il legno già esisteva: la sua lavorazione, intervenuta in un secondo tempo e applicata alla materia secondo le necessità dell'uso quotidiano, ci ha insegnato a utilizzare diversi legnami: il remo per i marinai, il ventilabro per gli agricoltori, la lancia per i soldati armati.
Iddio, invece, prima che esistesse una soltanto delle cose visibili, essendosi persuaso e avendo stabilito di chiamare alla luce ciò che non esisteva, produsse la materia conveniente alla sua forma, dopo aver riflettuto sulla sua opportuna modalità d'esistenza.
Al cielo assegnò così una sostanza ad esso conveniente; alla figura della terra, parimenti, ne offerse una altrettanto idonea e conforme.
Il fuoco, poi, l'acqua e l'aria li plasmò come volle, dotandoli di una sostanza, conforme alla struttura delle singole cose che nascevano.
Infine tutto il resto del mondo, composto di parti disuguali, fu da Dio organizzato in un insieme unitario e armonico, attraverso un indissolubile vincolo di solidarietà.
In questo modo, anche le cose separate l'una dall'altra da una distanza enorme, appaiono unite e concordi.
Desistano dunque dalle loro fantasiose elucubrazioni coloro i quali, per la povertà dei loro pensieri, pretendono di ridurre nei limiti dell'intelligenza umana quell'incomprensibile potestà che la voce dell'uomo non può in alcun modo esprimere.
« Dio fece il cielo e la terra », non a metà, ma tutto il cielo e tutta la terra: la sostanza stessa oltre alla forma.
Egli non è un inventore di figure, ma l'artefice della sostanza stessa delle cose.
Se così non fosse, ci rispondano gli oppositori in qual modo potrebbero andare d'accordo, in caso contrario, la potenza creatrice di Dio e la passività della materia; se la prima offre un contenuto privo di forma e il secondo possiede una perizia circa le forme esteriori, ma non la materia, in che modo ciò che sfugge all'uno può essere fornito dall'altro?
Come può il Creatore disporre di un materiale su cui esercitare la sua arte o la materia uscire dal suo stato informe e vago?
Basilio il Grande, Esamerone, 2,2-3
Soprattutto tieni fermo che ogni essere, ad eccezione della divina Trinità, è stato creato dal nulla dalla stessa santa Trinità, che è l'unico vero ed eterno Iddio.
Tutte le realtà, perciò, nei cieli e sulla terra, visibili e invisibili, sia i troni, sia le dominazioni, sia i principati e le potestà, sono opera e creatura della santa Trinità; questa è l'unico Dio, creatore e signore di tutte le cose, eterno, onnipotente e buono, che per sua natura sempre esiste e mai può mutare.
Questo Iddio, che è l'essere sommo senza inizio ed eterno, diede l'essere alle realtà create; ma non lo diede loro senza inizio, perché nessuna creatura potesse possedere quella stessa natura che è propria della Trinità, unico vero e buono Iddio, da cui tutte le cose sono state create.
Essendo poi somma bontà, diede a tutti gli esseri, da lui creati, di essere buoni, non così buoni tuttavia come lo è l'autore di ogni bene, che non solo è sommamente buono, ma è la somma e immutabile bontà: infatti, è la bontà eterna e in lui non vi è mancanza alcuna, perché non è stato creato dal nulla, e non vi è progresso alcuno, perché non ha avuto inizio.
E per questo motivo gli esseri creati da Dio possono progredire: cioè perché ebbero inizio; e possono anche venir meno, perché sono stati creati dal nulla.
Il carattere particolare della loro origine ne spiega la defettibilità, l'opera del Creatore invece ne spiega il progresso.
In tutto ciò, così, possiamo riconoscere anzitutto la natura eterna e senza inizio della Trinità, che è il Dio vero: creò infatti alcune realtà che cominciarono ad esistere, ma non cesseranno mai di esistere; ne comprendiamo invece l'onnipotenza, perché creò dal nulla tutte le creature visibili e invisibili, cioè corporee e spirituali, la cui varietà, inoltre, è una viva rappresentazione della bontà e dell'onnipotenza del Creatore.
Se infatti egli non fosse onnipotente, non avrebbe fatto con la stessa facilità le creature somme e le creature infime; e se non fosse sommamente buono, non impegnerebbe se stesso a governare tutte le creature, anche le minime.
Così in tutte le creature, sia nelle più grandi come nelle più piccole, si rivela la grande bontà e l'onnipotenza del Creatore.
Fece tutto con sapienza, egli che è la somma e vera sapienza, il cui essere naturale altro non è che essere sapiente, e il cui agire altro non è che agire con sapienza.
La stessa semplicità, dunque, della molteplice sapienza di Dio, celebra l'eccelsa grandezza della maestà divina non solo nella grandezza delle creature sublimi, ma anche nella piccolezza delle creature infime: tutte le essenze buone da lui create sono non solo inferiori assai e dissimili dal loro creatore - in quanto non procedenti direttamente da lui ma create dal nulla -, ma sono anche tutte diverse tra di loro, e ciascuna resta nell'essere come lo ha ricevuto da Dio, una così, l'altra diversa.
Infatti l'essere dato ai corpi non è certo uguale all'essere dato agli spiriti; e gli stessi esseri corporei sono diversi tra loro: non piccole sono le differenze tra i corpi terrestri e i corpi celesti.
Questi, infatti, non solo si differenziano da quelli per l'estensione materiale, ma splendono anche di luce diversa.
Infatti, come dice l'Apostolo, lo splendore dei corpi celesti è ben diverso da quello dei corpi terrestri ( 1 Cor 15,40 ).
Anche fra gli stessi corpi celesti altro è lo splendore del sole, altro lo splendore della luna e altro quello delle stelle … ( 1 Cor 15,41 ).
Così la diversità delle essenze corporee mostra che ciascuna di esse non possiede l'essere da sé e da sempre, ma lo ha ricevuto secondo la disposizione e per opera del Creatore sapientissimo, onnipotente e immutabile …
Tutto dunque ciò che egli ha fatto, cioè gli esseri spirituali e gli esseri corporei, gli esseri sommi e quelli infimi, gli esseri celesti e quelli terrestri, quelli viventi e quelli privi di facoltà vitali, in modo ineffabile e ovunque, il Signore Dio con tutto se stesso li riempie e li contiene; e in quelli che si dividono egli non resta diviso, e in quelli che mutano, egli non subisce mutazione alcuna.
Se egli infatti non fosse immutabile per natura sua, nelle creature mutabili non potrebbe sussistere l'immutabile ordine del suo piano e della sua disposizione.
Fulgenzio di Ruspe, Regola della vera fede, 3,25-27
La terra, composta di quattro elementi ( il secco, il freddo, il pesante e l'immobile ), fu tratta da Dio il primo giorno dal non essere all'essere.
In principio Dio creò il cielo e la terra ( Gen 1,1 ).
Su che cosa la terra detenga la propria sede e su quale fondamento si appoggi, nessun uomo ha potuto dirlo.
Taluni invece, secondo le parole di Davide: Ha disteso la terra sulle acque ( Sal 136,6 ), affermano ch'essa sia collocata e stabilita appunto sull'acqua.
Per altri si tratta dell'aria.
Un terzo dice invece così: Colui che tiene sospesa la terra sul nulla ( Gb 26,7 ).
E ancora il divino Davide, impersonando il Creatore, dice: Io ho plasmato le sue colonne ( Sal 75,4 ), significando, con il nome di colonne, la forza che sostiene la terra.
Ma quando egli stesso, in un altro punto, afferma: L'ho fondata sopra i mari ( Sal 24,2 ), null'altro vuole indicare se non che dappertutto intorno alla terra è diffusa l'acqua.
Perciò, concedendo pure che la terra si sostenga su se stessa o sull'aria o sull'acqua o infine sul nulla, non si deve tuttavia recedere dal pio pensiero che l'universo tutto sia sostenuto e conservato dalla potenza del Creatore.
In principio, come dice la divina Scrittura, la terra era ricoperta dalle acque e ancora senz'ordine ( Gen 1,2 ), non aveva, cioè, nessun ornamento.
Ma ben presto Dio impartì un ordine e immediatamente esistettero i contenitori delle acque; al comando divino cominciarono a formarsi le montagne e, al comando di Dio, la terra ricevette i suoi ornamenti, erbe e piante d'ogni genere alle quali il volere divino instillò la forza di crescere, di nutrirsi, di produrre semi e di riprodursi.
In seguito all'ordine del Creatore, la terra produsse animali, rettili, fiere, bestiame d'ogni genere perché servissero opportunamente all'uomo: alcuni per il cibo, come i cervi, le pecore, le gazzelle e simili; altri per il lavoro, come i cammelli, i buoi, i cavalli, gli asini e così via; altri, infine, unicamente per diletto, come le scimmie e, fra gli uccelli, le gazze e i pappagalli.
Analogamente per gli alberi e le piante: in parte fruttifere e commestibili, in parte soavi per l'olfatto e decorate di fiori, donate per la gioia dello spirito, come la rosa e altre simili; in parte, ancora, come medicina per le malattie.
Insomma, non esiste animale o pianta a cui non sia stata affidata, da parte del Creatore, una funzione di utilità per gli uomini.
Questi, infatti, conoscendo ogni cosa prima che accada e avendo previsto che l'uomo avrebbe prevaricato nella sua libera volontà e sarebbe stato condannato alla corruzione, proprio per questo creò tutto ciò che si trova nel cielo, sulla terra e nelle acque perché l'uomo se ne potesse servire.
Prima della trasgressione non v'era nulla che non fosse sottoposto all'arbitrio dell'uomo, costituito da Dio signore di tutto quanto esiste sulla terra e nelle acque.
Anzi, persino il serpente era confidente dell'uomo: gli si avvicinava più in fretta degli altri animali e conversava con lui con accenti carezzevoli.
Perciò l'autore del male, il diavolo, si servì di lui per dare un così perverso consiglio ai progenitori ( Gen 3,1 ).
Inoltre, la terra produceva spontaneamente i frutti dei quali si nutrivano gli animali sottomessi all'uomo.
Non c'erano né piogge né inverno.
Ma dopo la trasgressione, quando l'uomo fu abbassato al livello delle bestie senza ragione e divenne simile ad esse ( Sal 49,14 ), per aver violato il comando del Signore e per aver voluto porre la sua bruta cupidigia al di sopra della sua razionalità, la creazione di cui dal Creatore era stato fatto arbitro si ribellò contro di lui.
E fu condannato a coltivare con sudore la terra da cui era stato tratto.
Le belve non sono prive di utilità, neanche ai nostri giorni, giacché incutendo terrore, inducono l'uomo a riconoscere Dio come Creatore e a implorare il suo aiuto.
Dopo la trasgressione, poi, anche la spina che esce fuori dalla terra è stata congiunta, secondo la sentenza del Signore, con la bellezza della rosa affinché ci rinfreschi il ricordo del peccato per il quale la terra fu condannata a produrre per noi triboli e spine.
Stando così le cose, si deve credere che la parola del Signore: Crescete e moltiplicatevi e riempite la terra ( Gen 1,22.28 ), garantisca la continuità di questa condizione fino ai nostri giorni.
Ad alcuni, inoltre, piace credere che la terra sia rotonda; altri la vogliono simile a un cono.
Certo è che essa è molto più piccola di tutto il cielo, sospesa com'è nel suo centro, simile a un punto.
D'altronde, anch'essa passerà e sarà trasformata.
Beato invece colui che possiederà la terra promessa ai miti ( Mt 5,4 ).
Infatti quella terra, che accoglierà i santi, non perirà mai. Chi dunque potrebbe contemplare degnamente l`infinita e incomprensibile sapienza del Creatore? Chi sarebbe in grado di rendere un adeguato grazie al datore di tali beni?
Giovanni Damasceno, Esposizione della fede ortodossa, 2,10
Ci atteniamo al testo e all'ordine proposto dalla Scrittura, e, giudicando l'opera della creazione, teniamo l'occhio fisso nel Creatore.
Cosa è stato detto? Chi ha parlato? A chi lo ha detto?
Vi sia un firmamento fra le acque e sia divisione tra le acque ( Gen 1,6-7 ).
Odo che al suo comando fu fatto un firmamento per separare l'acqua e dividere le acque superiori da quelle inferiori.
Vi è forse qualcosa più chiaro di ciò?
Vedo colui che col suo comando divise le acque creando tra di loro un firmamento, perché esse perseverassero così, anche dopo la divisione e l'allontanamento reciproco.
La parola di Dio dà alla natura la sua forza e alla sostanza la sua durevolezza, che sussisterà fino a quando colui che le diede consistenza vorrà che essa duri.
Infatti sta scritto: E le fece durevoli nei secoli dei secoli, diede loro una legge e non sarà trasgredita ( Sal 148,6 ).
E perché tu ti persuada che queste parole furono dette proprio a proposito di quelle acque la cui presenza al di sopra del cielo a te sembra impossibile, ascolta le parole precedenti: Lodatelo, o cieli dei cieli!
E le acque che sono sopra i cieli, lodino il nome del Signore ( Sal 148,4 ).
E quasi per controbattere la tua idea, subito soggiunge: Infatti egli disse, ed esistettero; egli comandò e furono create.
Ivi le pose nei secoli dei secoli; diede loro una legge che non sarà trasgredita ( Sal 148,5-6 ).
Oppure il Creatore non ti sembra abbastanza potente per dare una legge al suo creato?
É Dio che parla, degno di lode per la sua natura, immensurabile per la sua grandezza, infinito nella ricompensa che egli dà, incomprensibile nelle sue opere.
Chi potrà scandagliare l'abisso della sua sapienza?
Ed egli dice ciò al Figlio, cioè al suo braccio; lo dice alla sua potenza, lo dice alla sua sapienza, lo dice alla sua giustizia.
E il Figlio lo fa, perché è potente, lo fa perché forza di Dio, perché sapienza di Dio, perché giustizia di Dio.
Ambrogio, Esamerone, 2,10
Vi è un seminatore che semina la parola di cui sta scritto: Chi semina, semina la parola ( Mt 4,14 ).
Costui ha seminato sulla terra la parola quando disse: « La terra germini l'erba ».
Subito pullularono da terra i germogli e molteplici furono le cose che allora apparvero.
Qui la terra presentò il verde leggiadro del prato, in pascolo abbondante; ivi il campo di spighe d'oro con la sua messe ondeggiante quasi a immagine del mare.
E spontaneamente la terra produsse tutti i frutti; non era infatti possibile - dato che non era stato creato ancora nessun agricoltore - che senza aratore fosse arata.
Pur senza esser coltivata si adornò di messi opime e, come non dubito, di una ricchezza di frutti maggiore della presente: infatti nessuna incuria di agricoltore poteva ancor pregiudicare alla sua fertilità.
Ora, ovunque si volga l'occhio sul terreno coltivato, la fertilità del campo corrisponde a merito del lavoro: per la trascuratezza, per l'incuria, per gli scrosci di pioggia, la persistente aridità del suolo, la grandine o qualsiasi altra causa, il terreno lo punisce con l'infertilità.
Ma allora la terra riempiva ogni contrada di frutti che essa produceva da se stessa, perché lo aveva comandato colui che è la pienezza di tutto.
La parola di Dio riempiva di frutti tutte le contrade e la terra non era ancora stata colpita dalla maledizione.
A prima dei nostri peccati, infatti, risale l'inizio del mondo; più giovane di lui è la colpa per cui siamo stati condannati a « mangiare il pane nel sudore della nostra fronte » oppure a non conoscere cibo, se non vogliamo sudare.
Tuttavia anche oggi, se pur limitatamente, la fertilità della terra spiega il rigoglio di allora, quando essa apre spontaneamente la pienezza del suo seno.
Quanti esseri, infatti, anche oggi crescono da loro stessi!
Ma anche in quelli che sono frutti del lavoro, noi li aspettiamo in gran parte solo come dono di Dio a noi: così certo per le messi che crescono mentre noi riposiamo.
Lo insegna anche la parabola, in cui il Signore dice: Perché il regno di Dio è come quando un uomo ha gettato il seme in terra.
Egli - continua il Signore - la notte dorme e il giorno veglia, mentre il seme germoglia e cresce, senza che egli sappia come.
Da se stessa la terra produce: prima erba, poi spiga, poi grano pieno nella spiga.
E quando il frutto è maturo, egli subito vi mette la falce, perché è arrivata l'ora della mietitura ( Mc 4,26-29 ).
Mentre tu dormi, o uomo, e non noti nulla, la terra produce da se stessa il suo frutto.
Tu dormi, ti alzi e ti meravigli, come il frumento sia cresciuto nella notte.
Ambrogio, Esamerone, 3,45-46
Vogliamo parlare ora degli alberi fruttiferi, che portano frutto secondo la loro specie, con dentro il proprio seme ( Gen 1,11 ).
Così disse, ed essi furono.
In un istante, la terra, che si era adornata di fiori e del fresco verde dell'erba, si ammantò di boschi.
Gli alberi si allinearono agli alberi, i boschi succedettero ai boschi, le vette dei monti si coprirono improvvisamente di fronde.
Qui un pino, là un cipresso, innalzarono le loro cime; cedri e conifere si fecero compagnia.
Spuntò anche l'abete che, non contento di immergere nel terreno le radici e di innalzare nell'aria la cima, avrebbe affrontato, mosso da remi sicuri, i pericoli del mare e combattuto, non solo contro i venti, ma anche contro le onde.
Crebbe anche l'alloro, che non avrebbe mai deposto la sua veste, e diffuse il suo profumo.
I lecci ombrosi alzarono nell'aria le loro cime; anch'essi avrebbero custodito le loro dense fronde anche in inverno.
Infatti ogni privilegio che la natura elargì alle singole creature al momento della creazione del mondo, essa lo conserva loro per sempre.
Così l'elce, così il cipresso conservano sempre il privilegio che nessun vento può privarli del loro manto di fronde.
Ambrogio, Esamerone, 3,47
Vi siano luminari nella volta del cielo per fare luce alla terra ( Gen 1,14 ).
Chi dice ciò? Lo dice Dio.
E a chi lo dice, se non al Figlio? É Dio Padre, dunque, che dice: « Sia fatto il sole! ».
E il Figlio creò il sole; ben conveniva infatti che il « sole di giustizia » creasse il sole del mondo.
Egli dunque lo introdusse nel regno della luce, gli diede lo splendore, gli elargì la potenza illuminante.
Semplice creatura è dunque il sole, perciò è servo, perché sta scritto: Tu hai fondato la terra, ed essa sussiste.
Il giorno sussiste per il tuo comando, perché tutto a te serve ( Sal 119,90-91 ).
E se il giorno è servo, come non dovrebbe esserlo il sole, che « fu sottomesso al dominio del giorno? »
E come non dovrebbero essere servi la luna e le stelle, che « furono sottomesse al dominio della notte? »
Quanto più grande è la bellezza che il Creatore loro elargì, così che l'aria risplende più chiara per lo splendore del sole e il giorno riluce più sereno, l'oscurità della notte viene illuminata dalla luna e dallo scintillare delle stelle, e nel cielo nuotano luminosi gli astri infuocati, come se fosse tappezzato di fiori variopinti, come se fosse fiorito lassù un giardino, come se si fosse acceso nello splendore di rose profumate, viventi monili … quanto dunque più grande appare la magnificenza di cui gli astri furono ricoperti, tanto più sono debitori: a chi più viene dato, più è debitore.
« Gemme del cielo » spesso si dicono, perché sono infatti il suo prezioso monile.
Perché noi sapessimo inoltre che la fertilità della terra non si deve ascrivere al calore del sole, ma se ne deve ringraziare la misericordia di Dio, dice il profeta: Tutti da te attendano che tu loro dia il cibo a suo tempo; quando lo dai loro, essi lo accolgono; apri la tua mano e li fai sazi dei tuoi beni ( Sal 104,27-28 ).
E in seguito: Manda il tuo spirito e saranno creati, e così tu rinnoverai il volto della terra ( Sal 104,30 ).
E nel Vangelo: Considerate gli uccelli del cielo: essi non seminano, essi non mietono, tuttavia il loro Padre celeste li nutre ( Mt 6,26 ).
Non il sole o la luna, dunque, sono la causa della fertilità, ma Dio Padre per mezzo del Signore Gesù dona fecondità a tutte le cose in larga misura.
Ambrogio, Esamerone, 4,5-6
Il quarto giorno Dio creò l'astro più grande, il sole, per presiedere al giorno.
Infatti, quando il sole si trova sopra la terra, è giorno.
La sua durata, poi, è definita dall'itinerario compiuto dal sole sopra la terra dall'alba al tramonto.
Nello stesso giorno Dio creò anche l'astro più piccolo, cioè la luna, e le altre stelle affinché presiedessero alla notte rischiarandola con la loro luce.
La notte, in particolare, subentra quando il sole si trova al di sotto della terra; la sua durata, ancora una volta, è la medesima di quella del cammino percorso dal sole, sotto la terra, dal tramonto all'alba.
Perciò la luna e le stelle sono state create per illuminare la notte, non perché durante il giorno si nascondano sotto la terra ( anche allora vi sono stelle nel cielo ).
Infatti, durante il giorno, è il sole, con la stragrande intensità della sua luce, a non permettere che la luna e le stelle risplendano.
A questi astri il Creatore assegnò una luce propria, non perché egli ne fosse privo, ma affinché la luce ch'egli possedeva non rimanesse inoperosa.
Un astro, infatti, non è la luce, ma contiene la luce.
Fra questi luminari, poi, si contano sette pianeti che pare si muovano in senso contrario a quello del cielo donde si definiscono pianeti.
Dicono, infatti, che il cielo si muova da levante verso ponente; i pianeti, invece, da ponente a levante.
Ma poi il cielo stesso, muovendosi più rapidamente, fa girare i pianeti insieme con sé.
I nomi dei pianeti sono: Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno.
Sembra, inoltre, che in ciascun cerchio del cielo vi sia uno di essi: nel primo cerchio, il più alto, si troverebbe Saturno; nel secondo, Giove; nel terzo, Marte; nel quarto, il Sole; nel quinto, Venere; nel sesto, Mercurio; nel settimo infine, il più basso, la Luna.
Essi, poi, conservano costantemente quell'orbita che il Creatore stabilì quando li creò, secondo quanto disse il divino Davide: La luna e le stelle che tu hai creato ( Sal 8,4 ), significando, col dire « hai creato », la precisione e la costanza della posizione e del corso ad essi assegnati da Dio, allo scopo d'indicare le stagioni, i punti cardinali, i giorni e gli anni.
Grazie al sole, infatti, si hanno quattro stagioni.
La prima di esse è quella primaverile; fu in essa certamente, che Dio creò tutte le cose, come dimostrano ancora adesso i fiori tanto numerosi.
Questa fase è detta equinoziale poiché dà luogo a un giorno di dodici ore e a una notte altrettanto lunga.
La primavera sopraggiunge quando il sole si trova a metà del suo corso; infatti essa è temperata e, collocata com'è fra l'inverno e l'estate, accresce il sangue a causa del calore e dell'umidità; d'altra parte, mentre essa supera l'inverno quanto a calore e siccità, è invece superiore all'estate per il fresco e l'umidità.
La primavera, infine, dura dal 21 marzo al 24 giugno.
Successivamente, sorgendo il sole più a nord, subentra la stagione estiva che, caratterizzata dal caldo primaverile e dalla siccità autunnale, occupa una posizione intermedia fra la primavera e l'autunno.
L'estate, in effetti, è calda e secca e incrementa la bile gialla.
Il giorno più lungo di questa stagione dura quindici ore; la notte più breve, nove ore.
L'estate comincia il 24 giugno, per terminare il 25 settembre.
Nuovamente poi, ridiscendendo il sole verso sud, all'estate succede l'autunno: via di mezzo, in qualche modo, fra il freddo e il caldo, fra la siccità e l'umidità, fra il clima estivo e quello invernale; l'autunno riceve, infatti, la siccità dal clima estivo e il freddo da quello invernale.
Perciò si tratta di una stagione fredda e secca che fa aumentare, di solito, la bile nera.
Anche questo periodo è detto equinoziale, con il giorno e la notte entrambi di dodici ore.
L'autunno dura dal 25 settembre al 25 dicembre.
Quando, poi, il sole comincia a sorgere a una latitudine ancora più meridionale, subentra allora la stagione invernale, fredda e umida, posta com'è fra l'autunno e la primavera.
L'inverno, infatti, è freddo come l'autunno e piovoso come la primavera.
L'inverno ha una giornata brevissima, di nove ore, e, per contro, una lunghissima notte: quindici ore.
In questa stagione aumenta il raffreddore [ per gli antichi « flemma » e « raffreddore » sono più o meno la stessa cosa ].
Il periodo invernale va dal 25 dicembre fino al 21 marzo.
Tutto ciò è stato sapientemente disposto dal Creatore per evitare che, passando da un intensissimo freddo o caldo ovvero da un altissimo grado di umidità o di siccità a un clima estremamente opposto, incorressimo in gravi malanni.
Sappiamo, infatti, che i mutamenti improvvisi sono pericolosi.
Il sole dà luogo così alle stagioni e, con queste, a un anno.
Allo stesso modo esso dà origine ai giorni e alle notti: ai giorni, cioè, quando sorge e si trova sopra la terra; alle notti, quando tramonta e, nascondendosi al di sotto della terra, cede il posto agli altri astri, la luna e le stelle.
Si dice anche che nel cielo vi siano dodici costellazioni zodiacali.
Esse si muovono in senso contrario al sole, alla luna e agli altri cinque pianeti.
Attraverso queste costellazioni, inoltre, passano i sette pianeti: in ciascuna di esse il sole compie un mese, attraversando così in un anno tutt'e dodici le costellazioni.
Ed ecco i loro nomi, con i mesi corrispondenti:
l'Ariete, corrispondente al mese di marzo, comincia il 21;
il Toro, corrispondente al mese di aprile, comincia il 23;
i Gemelli, mese di maggio, il 24;
il Cancro, mese di giugno, il 24;
il Leone, mese di luglio, il 25;
la Vergine, mese di agosto, anch'essa il 25;
la Bilancia, a settembre, sempre il 25;
lo Scorpione, ad ottobre, il 25;
il Sagittario, corrispondente al mese di novembre, comincia il 25;
il Capricorno, che corrisponde a dicembre, il 25;
l'Acquario, a gennaio, ancora il 25;
i Pesci, infine, corrispondenti al mese di febbraio, cominciano il 24.
La luna, dal canto suo, ricoprendo una posizione inferiore e percorrendo, quindi, più celermente il cerchio zodiacale, in ogni mese passa attraverso tutt'e dodici le costellazioni.
Infatti, se tu tracci all'interno di un cerchio un altro cerchio, quest'ultimo è più corto del primo; analogamente l'orbita lunare è più bassa e perciò più breve ed è percorsa in minor tempo.
I pagani sostengono che nel sorgere, nel tramonto e nella congiunzione di questi astri, cioè del sole e della luna, siano predestinate tutte le cose ( di ciò si occupa l'astrologia ).
Noi, al contrario, affermiamo che essi preannunciano piogge o il tempo sereno, il freddo o il caldo, l'umidità o la siccità, i venti o altri fenomeni del genere; non mai, assolutamente, le nostre azioni.
Infatti, essendo stati forniti dal Creatore di libero arbitrio, siamo padroni delle nostre azioni.
Altrimenti, se compiamo ogni cosa in dipendenza dal movimento degli astri, significa che tutto ciò che facciamo lo facciamo perché costretti.
Ciò che si compie per costrizione, però, non costituisce né un vizio né una virtù.
Non possedendo dunque né vizi né virtù, non siamo evidentemente degni né di lode né di condanna; Iddio allora apparirebbe ingiusto, dal momento che ad alcuni assegna felicità, dolore ad altri.
Anzi, se veramente tutto accadesse per necessità, Dio non avrebbe nessun governo e nessuna provvidenza sulle cose create.
Inoltre, superflua sarebbe in noi la razionalità: infatti, se nessuna azione dipendesse dal nostro arbitrio, invano eserciteremmo la nostra volontà giacché la forza della ragione ci è stata concessa per volere in ogni modo; ogni essere che si serva della ragione, pertanto, è fornito anche della libertà dell'arbitrio.
Riconosciamo allora che gli astri non sono la causa di quanto avviene: né della nascita di ciò che nasce, né della morte di ciò che muore.
Essi indicano, piuttosto, le piogge e il mutamento dell'atmosfera ( qualcuno potrebbe anche dire che essi annunciano le guerre, senza tuttavia costituirne la causa ): la qualità dell'atmosfera, infatti, alterata dal sole e dalla luna e dalle altre stelle, genera la diversità di temperamento, di disposizioni e di condizioni fisiche e morali.
Gli stati d'animo, però, opportunamente dominati e diretti dalla ragione come sono, non si sottraggono al nostro potere.
Spesso appaiono anche le comete, per annunciare la morte dei re.
Esse non appartengono a quelle stelle create fin da principio, ma nascono improvvisamente e tosto si dissolvono per volontà di Dio.
Neppure la stella che apparve ai magi, quando il Signore per la sua clemenza verso gli uomini e per la loro salvezza nacque nella carne, era una di quelle stelle create all'inizio del mondo.
Essa, come è noto, si dirigeva ora da est ad ovest, ora da nord a sud, ora si nascondeva, ora riappariva, il che discorda con il normale movimento delle stelle.
Si deve sapere che la luna riceve la propria luce dal sole, non perché Dio non potesse darle luce propria, ma affinché regnasse ordine e armonia fra le cose create: alcune superiori, altre subordinate.
Giovanni Damasceno, Esposizione della fede ortodossa, 2,7
Il Creatore, dopo aver fatto il cielo e la terra, volle diffondere in mezzo ad essi l'atmosfera, come una solida parete divisoria, affinché favorisse l'esistenza degli esseri che vivono in tale zona intermedia.
Respirandola, infatti, noi uomini viviamo e anche gli esseri bruti, volatili o rettili o anfibi che siano, se ne servono per la loro vita.
Quando l'aria si smuove, poi, ci offre il soffio dei venti; quando si copre di nuvole, bagna la terra con lo scroscio delle piogge; la luce, usandone come di un veicolo, investe gli occhi di chi guarda.
L'atmosfera, infatti, posta com'è nel mezzo fra il sole e la terra, tempera la veemenza dei raggi solari e, mitigando con la sua naturale umidità e frescura la siccità e il calore del sole, ci permette di fruire senza danno della sua luce.
Ciò nondimeno, affinché tu non ritenga che l'atmosfera rappresenti la causa prima di benefici tanto grandi, nota come, proprio grazie all'ardore del sole, risulti temperata l'eccessiva rigidità di quella.
Nessuno, infatti, potrebbe sopportare il freddo intensissimo dell'aria, se questa non venisse mitigata da alcuna fonte di calore: l'inverno, con il suo clima, sta a dimostrarlo abbondantemente.
In tale periodo, infatti, il sole, scendendo verso le zone australi e abbandonando quelle boreali e centrali, lascia, per così dire, all'aria una libertà illimitata, in modo ch'essa possa sfogare più liberamente la propria natura.
Per cui, non essendo più temperata dal calore del sole e diventando, per ciò stesso, più rigida, l'atmosfera comincia a far cadere abbondantissime piogge che, condensate in neve o in grandine, vengono sconvolte da violente raffiche di vento; anche la rugiada, allora, irrigidendosi per il freddo, si muta in brina.
Questa appare, di solito, quando il sole è lontano; se, invece, viene riscaldata dai suoi raggi, allora si scioglie.
In tutto ciò si manifesta chiaramente la provvidenza di Dio.
Infatti, essendo gli elementi naturali, oltreché utili, assai belli e armoniosi, I'Onnisciente creò anche ciò che nella natura si mostra apparentemente ostile non perché ritenessimo come divinità gli oggetti creati, ma affinché li considerassimo come opere di Dio, rette e governate dalla sua autorità.
L'atmosfera, dunque, favorisce la nostra vita; respirandola, tutti noi viviamo.
Patrimonio comune dei poveri e dei ricchi, dei servi e dei signori, dei semplici cittadini e dei re; coloro che sono ornati di porpora fruiscono del suo respiro non più di un povero qualsiasi.
Concessa a tutti, indiscriminatamente, il genere umano ne fruisce secondo il bisogno dei singoli: essa ci allieta con il respiro, con la brezza e con l'abbondanza delle piogge, ma ci affligge, altresì, con la calamità del freddo, insegnandoci come essa sola non sia sufficiente alla generazione della vita e alla salute degli esseri viventi.
Allo stesso modo, i raggi del sole non soltanto ci allietano, mostrando, fra l'altro, le molteplici forme e i diversi colori dei corpi visibili; ma, quando ci colpiscono con soverchia intensità, ci fanno soffrire.
Anzi, se il sommo governatore di tutte le cose non suscitasse per noi, smuovendo l'atmosfera, la frescura della brezza, quello stesso sole, che taluni stolti sono soliti adorare, distruggerebbe ogni cosa in un incendio, anche la vita dei suoi adoratori.
Nessuno degli elementi, perciò, può da solo essere garante della vita; anzi, neppure tutti gli elementi messi assieme, senza quella potenza suprema che tutto governa, possono provocare qualche beneficio.
Infatti, si può osservare che anche quando l'aria è temperatissima, quando fa solcare la terra dalle opportune piogge, quando il sole, parimenti, si serve con moderazione della forza dei suoi raggi, quando i soffi dei venti spirano convenientemente, quando i contadini coltivano con cura la terra e seminano scrupolosamente; neppure allora, tuttavia, la terra rende i suoi frutti con generosità e gratitudine né l'umano genere è libero dai malanni.
Il Signore universale ha creato queste cose per convincerci a non confidare nelle creature e a non attribuire ad esse i benefici ricevuti, ma solo al loro Creatore.
Teodoreto di Ciro, La provvidenza divina, 2
Chi fa scorrere i fiumi? Chi fa zampillare le sorgenti?
Osserva come alcune di esse scaturiscano sulle sommità dei monti e facciano scorrere le loro acque dall'alto verso il basso; altre, invece, non appaiono sulle falde dei monti, ma da profondissimi pozzi forniscono all'uomo la loro acqua.
Infatti, affinché tu non ritenga che l'acqua, per sua natura, si diriga spontaneamente verso l'alto, il Creatore t'insegna, con i fatti, ch'essa occupa la cima dei monti perché obbedisce alla parola di Dio e, se non vi è costretta dai tuoi accorgimenti, non irriga da sola la superficie dei campi.
Tu, invece, devi scavare e approfondire i pozzi e usufruisci dell'acqua attingendola dal basso.
Infatti, non sei il creatore degli elementi, ma il loro compagno di schiavitù.
Per il Creatore è assai facile far sì che, non soltanto l'acqua sgorghi sulle cime dei monti, ma anche portarla su nel mezzo dell'atmosfera, addolcire l'acqua amara, condensare quella liquida, sciogliere quella ghiacciata, dividere quella continua, fermare quella che scorre, introdurre una corrente ascensionale in quella che scende verso il basso, riscaldare senza il fuoco quella fredda.
Tutto ciò il Signore compie per te, nonostante la tua somma ingratitudine, perché tu possa bagnarti anche in quelle acque calde senza l'intervento dell'uomo per guarire le malattie fisiche.
Di queste il Creatore te ne produsse diverse, per gli usi più svariati e anche opposti.
Alcune di esse, infatti, rilassano i nervi rigidi; altre, invece, contraggono e rafforzano quelli rilassati.
Alcune, inoltre, calmano le infiammazioni; altre curano la bile nera, altre ancora essiccano le ulcere.
Tanto grande è il beneficio introdotto per te dal Creatore nelle acque termali …
Così il Creatore ti offre ogni giorno attraverso il creato innumerevoli ricchezze; tu, invece, ti mostri ingrato verso di lui.
Teodoreto di Ciro, La provvidenza divina, 2
Avvicinati al mare e osserva la sua profondità, la sua estensione, la sua ripartizione in mari più piccoli, le spiagge, i porti, le isole che vi sono in mezzo; considera i generi, le razze, le forme e la varietà dei pesci e l'istinto con cui tendono verso la terra.
Insieme all'irruenza dei flutti, osserva anche il freno che la provvidenza ha ad essi imposto, trattenuti dal quale, essi non possono inondare la terraferma: infatti, scagliandosi impetuosamente contro la riva, sono assai timorosi dei limiti ad essi stabiliti e, vedendovi inscritta la legge di Dio, storcono il collo e recalcitrano indietro come un cavallo imbizzarrito stretto dal morso del cavaliere, pentendosi di essersi troppo accostati alla sponda.
C'è poi da considerare che il mare collega tra loro terre separate e molto distanti l'una dall'altra.
Il Creatore, infatti, volendo unire fra loro gli uomini, li costrinse ad aver bisogno gli uni degli altri.
Sul mare compiamo lunghi viaggi e cerchiamo dagli altri le cose delle quali abbiamo bisogno, dando loro in contraccambio ciò di cui necessitano.
Infatti, il sommo rettore dell'universo ha disposto che non tutte quante le cose necessarie agli uomini si trovassero in ogni singolo punto della terra affinché la ricchezza autosufficiente non pregiudicasse la reciproca amicizia.
L'abbondanza dei beni, si sa, si compiace dell'insolenza ed è madre dell'intemperanza.
Il mare, perciò, si estende nel bel mezzo della terra ( divisa in innumerevoli golfi ) come la piazza di una grandissima città mostrando un'infinità di cose necessarie e accogliendo molti venditori e acquirenti, conducendoli gli uni dagli altri.
I viaggi che si effettuano per terra, infatti, sono pieni di pericoli; anzi, per mezzo di essi, non soltanto sarebbe stato problematico, ma addirittura impossibile soddisfare ogni esigenza.
La superficie del mare, invece, è fatta in modo da sopportare sia le navi grandi che quelle piccole, onde trasportare enormi carichi di utili mercanzie per quegli uomini che ne abbiano bisogno.
Si osservi, infatti, che il carico di una sola nave a mala pena può essere trasportato da alcune migliaia di trasportatori.
Affinché coloro che viaggiano per mare non si affaticassero troppo, il Creatore vi pose, a mo' di stazioni, le isole.
I naviganti, ivi discesi, dopo aver ristorato i corpi e riacquistato le energie necessarie, salpano nuovamente alla volta del luogo ove sono diretti.
« Apprezza, dunque, tutti questi benefici! », dice il mare: poiché a te, più che a Sidone, si addicono le parole del profeta.
Questa città, infatti, non riconoscendo il Creatore, frantumò il divino in molteplici divinità e, distruggendo l'unica fede, introdusse quella in coloro che non esistono, senza negare la provvidenza, ma attribuendola ad essi: Sidone, infatti, non rese culto a coloro che pure, riteneva come dèi, se prima non si fosse persuasa ch'essi arrecassero utilità e stornassero il danno.
Tu, invece, liberato da quella finzione di una folla di dèi, pur riconoscendo che tutta la realtà visibile è stata creata e pur adorando il suo Creatore, ciò nondimeno separi costui dalle sue opere, relegandolo assolutamente al di fuori della creazione: affermi, insomma, che questa così grande macchina dell'universo è priva di nocchiero, trascinata dall'imprevedibilità del caso come una nave senza controllo.
Teodoreto di Ciro, La provvidenza divina, 2
Grazie a te, Signore! ( Ap 11,17 ).
Noi vediamo il cielo e la terra, ossia la parte corporea superiore e quella inferiore, come la creazione spirituale e corporea.
Ornamento delle due parti, di cui consta tanto il complesso della mole del mondo, quanto in generale il complesso della creazione, vediamo la luce, creata e divisa dalle tenebre.
Vediamo il firmamento del cielo, quello situato fra le acque spirituali superiori e le acque corporee inferiori, corpo primario dell'universo, come la distesa fisica dell'aria, cui pure si dà il nome di cielo, ove vagano i volatili del cielo fra le acque che sono portate sopra di esso in forma di vapore per poi cadere in rugiada nelle notti serene, e le acque pesanti, che scorrono sulla terra. Vediamo il bell'aspetto delle acque riunite nella distesa del mare, e la terra arida, ora spoglia, ora ornata, fatta visibile e armoniosa quale madre di erbe e di alberi.
Vediamo i lumi celesti brillare sul nostro capo, il sole bastare da solo al giorno, la luna e le stelle consolare la notte, tutti insieme regolare e indicare il tempo.
Vediamo l'elemento umido pullulare dovunque di pesci, di mostri e di esseri alati, poiché la densità dell'aria, sostegno al volo degli uccelli, si forma mediante l'evaporazione delle acque.
Vediamo la faccia della terra adornarsi di animali terrestri, e l'uomo, fatto a tua immagine e somiglianza, collocato sopra tutti gli animali privi di ragione, appunto perché tua immagine e somiglianza, ossia dotato di ragione e intelletto.
E come nell'anima dell'uomo v'è una parte che delibera e quindi domina, e una parte che soggiace, per obbedire, così vediamo la donna fatta anche fisicamente per l'uomo.
Essa possiede, sì, uguale natura nell'intelligenza razionale, ma nel sesso fisico è sottoposta al sesso maschile, come è sottoposto l'impulso dell'azione per generare dalla ragione una norma di condotta sagace.
Queste cose vediamo singolarmente buone e tutte buone assai.
Le tue opere ti lodano ( Pr 31,31; Dn 3,57 ), affinché ti amiamo, e noi ti amiamo affinché ti lodino le tue opere.
Agostino, Le Confessioni, 13,32-33
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