Teologia dei Padri |
Riconosci te stessa, o anima magnifica: tu sei l'immagine di Dio!
Riconosci te stesso, o uomo: tu sei la gloria di Dio!
Comprendi in che modo tu sei la sua gloria.
Dice il profeta: Troppo meravigliosa è la tua sapienza per me ( Sal 139,6 ), cioè nel mio io creato risplende ancor più mirabilmente la tua santa maestà, nell'intelletto dell'uomo la tua sapienza trova la sua lode.
Nel considerare il mio io, che proprio tu penetri nei suoi pensieri più nascosti e nei suoi sentimenti più intimi, io conosco i misteri della tua sapienza.
Perciò riconosci te stesso, o uomo: cioè, come sei grande, e « bada a te stesso », che tu non debba cadere inavvertitamente nella rete del diavolo, diventando preda dei suoi inganni!
Che tu non cada improvvisamente nelle fauci di quel tetro leone che ruggisce, e si aggira cercando di divorare ( 1 Pt 5,8 ).
« Bada a te stesso », perché tu possa notare con precisione cosa in te entra e cosa da te esce!
Non al cibo io penso, che si digerisce e si espelle: ai pensieri, io penso, alle parole.
Non penetri in te la brama del talamo altrui; non si insinui nel tuo spirito, non adeschi i tuoi occhi la bellezza della donna che passa, e il tuo cuore non la chiuda in sé.
I tuoi discorsi non intessino la rete della seduzione, non tenda scaltri tranelli al prossimo, non lo infanghi con lo scherno e il motteggio.
Dio ti ha creato per la caccia, non per la rapina, egli che ha detto: Ecco, io mando molti cacciatori ( Ger 16,16 ).
Cacciatore non di misfatti, ma di redenzione; cacciatore non di colpa, ma di grazia.
Tu sei un pescatore di Cristo, a cui è rivolta la parola: D'ora in poi sarai pescatore di uomini ( Lc 5,10 ).
Getta dunque la tua rete: usa dunque dei tuoi occhi, delle tue parole perché nessuno resti schiacciato nell'acqua, ma tu lo possa trarre a te.
« Bada a te stesso ».
Tienti saldo, per non cadere; corri, per raggiungere il premio; combatti, per ottenere la vittoria decisiva, perché solo alla giusta guerra si addice la corona della vittoria.
Tu sei un soldato: spia con attenzione il nemico, che non ti assalga di notte.
Tu sei un lottatore: tienti vicino all'avversario con le mani, non con il viso, perché egli non colpisca i tuoi occhi.
Resti libero lo sguardo, sicuro il passo, perché tu lo possa respingere se ti attacca, perché tu lo possa abbattere se vacilla, con occhio attento sottrarti ai suoi colpi e sopraffarlo con attacchi sicuri.
E se tuttavia resti ferito, bada a te stesso!, corri dal medico, cerca subito la medicina della penitenza.
Bada a te stesso, perché tu porti la carne che presto si corrompe.
Venga a visitarti il buon medico dell'anima, la parola di Dio: versi su di te i detti del Signore come un balsamo di salute.
« Bada a te stesso », perché la parola, che sta nascosta nel tuo cuore, non si tramuti in perversione: sarebbe allora come un sottile veleno che cela in sé contagio di morte.
« Bada a te stesso », perché tu non dimentichi Dio che ti ha creato, e perché tu non abbia ricevuto inutilmente il suo nome.
Ambrogio, Esamerone, 6,50
Con intelligenza e circospezione dobbiamo coltivare, in senso spirituale, il campo del Signore, di cui siamo agricoltori, per mieterne in ricompensa il frutto di buone opere.
Se queste, per quiete indolente o trascuratezza oziosa, vengono trascurate, il terreno del nostro cuore non porta più nessun germoglio nobile.
Ricoperto di rovi e spine, non produrrà più ciò che merita di esser raccolto nei granai, ma porterà solo frutti degni di essere divorati dalle fiamme.
Ma se questo campo invece, irrorato dalla grazia divina, viene dissodato con la fede, arato con il digiuno, seminato con le elemosine e aiutato nella sua fertilità con le preghiere, allora tra ciò che noi abbiamo piantato e riccamente irrigato, non potrà diffondersi nessun'erba amara e non potrà spuntare nessuna pianta dannosa; tutti i vizi saranno soffocati fino dal primo germogliare e tutte le virtù verranno riunite nel più ricco raccolto.
Leone Magno, Sermoni, 14,1
Se l'uomo, sconvolto dalla guerra combattuta nella sua anima fra il peccato e la grazia, se ne parte da questo mondo, dove mai si dirigerà, trattenuto com'è da entrambe quelle parti?
Là dove l'anima rivolge la propria inclinazione, il proprio amore, lì l'uomo tende.
Soltanto se sarai afflitto da quella guerra interiore, dovrai allora ribellarti e nutrir odio: quando ti piomba addosso quel conflitto, infatti, esso si sottrae alla tua responsabilità; l'odiare, però, dipende da te.
Il Signore, però, dopo aver letto nel tuo animo che tu lotti e lo ami con tutta l'anima, allontana la morte dall'anima tua in un solo attimo ( il che non gli è certo difficile ), assumendoti nel suo seno e nella sua luce.
Ti strappa in un istante dalle fauci delle tenebre e senza indugio ti reca nel suo regno.
A Dio, infatti, riesce facile condurre a compimento in brevissimo tempo tutte le cose, affinché tu abbia amore per lui soltanto.
Giacché Dio ha bisogno dell'opera umana essendo l'anima dell'uomo partecipe della divinità.
Pseudo-Macario, Omelie spirituali, 26,18
Abbiamo bisogno di un animo forte: nulla, allora, ci sembrerà difficile.
Al contrario, invece, quando l'animo è debole, niente appare facile.
Dunque a seconda della nostra disposizione interiore ogni cosa ci sembra tollerabile o insostenibile: rafforziamola allora e sopporteremo tutto facilmente.
Anche l'albero, infatti, una volta che abbia gettato profonde radici, neppure una tempesta violenta potrebbe sradicarlo.
Se invece esso aderisce soltanto superficialmente al suolo, basta anche un lieve soffio di vento per staccarlo dalla sua radice.
Ebbene, non diversamente accade anche in noi stessi: se inchioderemo le nostre carni nel timor di Dio, nulla potrà turbarci; se, invece, ci appoggeremo ad esso con superficialità, qualsiasi stimolo esterno ci abbatterà e ci distruggerà.
Giovanni Crisostomo, Omelie sulla seconda lettera a Timoteo, 9,3
Rendendosi perfettamente conto della propria mancanza d'armonia, la nostra anima si migliora spontaneamente, passando in tal modo dallo stato di confusione a una situazione di riflessione e di disciplina.
La nostra anima deve contemplare se stessa come in uno specchio, in maniera che le si rendano visibili i princìpi e le radici dei mali, tutto quanto alberghi in essa di irrazionale, donde sia che nascono in noi le assurde passioni.
E parimenti, d'altronde, le appaia tutta la miglior parte di se stessa, quella razionale, il cui governo le consente di rimanere padrona di se stessa, senza peccati né patimenti. In seguito, dopo aver a lungo riflettuto su ciò che si trova in essa, l'anima deve allontanare e respingere tutto quanto nasca dal principio cattivo, tutto ciò che ci disperde all'esterno in conseguenza della nostra mancanza di disciplina, tutto quanto ci rinchiude e ci soffoca a motivo della nostra meschinità: piaceri e cupidigie, tristezze e pianti e l'intero esercito di mali che tengono dietro a questo genere di cose.
Così, dico, l'anima potrà stornare e affrancarsi da questi mali, opponendosi ad essi fin dal loro primo insorgere, senza lasciarli ingrandire neppure un poco, ma facendoli, anzi, sparire e morire.
D'altra parte, l'anima dovrà conservare e alimentare tutti i valori suscitati in noi dal buon principio, trattenendoli fin dal primo momento e coltivandoli tutti fino alla loro perfetta realizzazione.
Gregorio il Taumaturgo, Panegirico di Origene, 9
Non siamo forse composti di due sostanze: anima e corpo?
Perché, dunque, non dedichiamo ad entrambi la medesima cura, ma ci preoccupiamo in ogni modo del corpo, chiamiamo i medici, noi stessi lo curiamo diligentemente, lo ricopriamo d'un vestito prezioso, lo nutriamo con un cibo più che sufficiente e vogliamo che si trovi in continua prosperità e non sia travagliato da nessuna malattia, dandoci da fare in tutte le maniere, quando qualcosa lo turba, onde eliminare ciò che lo molesta?
E tutto ciò a vantaggio del corpo il quale, secondo la sua sostanza, è qualcosa d'inferiore; che cos'è, infatti, superiore: l'anima o il corpo?
Se vuoi constatare la differenza, in effetti, osserva come il corpo, qualora l'anima lo abbandonasse, non varrebbe più a nulla.
Tu dunque, che hai tanta cura del tuo corpo, per quale motivo nutri sì grande disprezzo per l'anima e non l'alimenti con un cibo adeguato ( gli insegnamenti, cioè, delle sacre Scritture ), ponendo i giusti rimedi a quelle ferite e a quelle ulcere che debilitano la sua forza e mettono a dura prova la sua sicurezza?
Tu, per contro, lasci che l'anima tua deperisca per la fame e le sue ferite vadano in putrefazione, consentendo che essa, gettata, per così dire, ai cani, venga dilaniata dai mali e dagli illeciti pensieri, mentre ogni sua energia si dilegua.
Perché mai, così come ci mostriamo solleciti nei confronti del corpo visibile, allo stesso modo non ci prendiamo cura anche dell'anima, che è incorporea e invisibile, soprattutto se consideriamo che il provvedervi non soltanto è cosa leggera e facile, ma non costa neppure fatica alcuna?
Quando, invece, si deve curare il corpo, allora è necessario spendere molto denaro per guarire qualche sua malattia, ora per i medici, ora per altre necessità, come vestiti e alimenti, per tacere di altre cose procacciate unicamente per lusso, al di là del necessario.
Quando si tratta dell'anima, al contrario, essa non ha bisogno di nessuna di queste cose.
Se tu lo vuoi, così come ogni giorno provvedi al cibo per il corpo e spendi del denaro, similmente non trascurare l'anima, affinché non muoia di fame.
Dalle, invece, il nutrimento conveniente, ricavandolo dalla lettura delle Scritture e dall'insegnamento spirituale: infatti non di solo pane vive l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio ( Mt 4,4 ).
Così facendo, ti sarai comportato ottimamente e avrai provveduto nella maniera giusta a riguardo di quella parte di noi stessi che più profondamente ci appartiene.
Allo stesso modo, come fornisci diversi indumenti al corpo, a seconda delle differenti stagioni dell'anno; parimenti non trascurare l'anima, affinché non vada in giro spoglia di opere buone, ma rivestila di abiti decenti: la guarirai subito e le restituirai la sanità naturale.
E quali sono, poi, gli indumenti dell'anima?
L'elemosina e la generosità verso i poveri: questi sono i migliori vestiti dell'anima, questi i suoi splendidi indumenti.
Se poi desideri non soltanto rivestirla, ma altresì adornarla, così come sei solito fare con il corpo, conferiscile l'aiuto che proviene dalle preghiere e dalla confessione dei peccati, senza mai desistere dal lavare la sua faccia con lacrime continue.
Allo stesso modo come, infatti, con ogni sollecitudine lavi ogni giorno il tuo volto fisico, affinché nessuna macchia non lo imbruttisca, non diversamente abbi cura anche dell'anima, lavandola ogni giorno con fervide lacrime: una volta cancellate le sue macchie grazie a quest'acqua, il suo volto apparirà più splendente.
E dal momento che molte donne, disdegnando per la loro vanità il precetto apostolico con il quale si ordina di non adornarsi con riccioli o con oro o con perle o con una veste sontuosa ( 1 Tm 2,9 ), lo fanno, invece, con grande ostentazione ( né soltanto le donne, ma anche certi uomini effeminati divengono simili a deboli donnicciole, portando anelli alle dita e adornandosi di grandi e pesanti pietre, delle quali si dovrebbe arrossire ); sia gli uni che le altre, tuttavia, qualora obbedissero alle mie parole, trasferirebbero nell'ornamento dell'anima quei monili d'oro, dannosi tanto agli uomini quanto alle donne, e con essi l'adornerebbero.
Infatti, a differenza dei gioielli posti sul corpo, i quali, anche quand'esso sia bello, finiscono con l'imbruttirlo; gli ornamenti dell'anima, invece, persino nel caso che questa sia brutta, le conferiscono una straordinaria bellezza.
Ma com'è possibile, dirai, porre intorno all'anima degli ornamenti d'oro?
Ancora una volta, rispondo, attraverso le mani dei poveri.
Infatti, quando costoro li ricevono, rendono l'anima bella.
Dona ai poveri oro e danaro e riempi i loro ventri; e, a loro volta, essi procureranno tanta bellezza alla tua anima che il tuo aspetto attraente alletterà il vero sposo e questi ti coprirà di innumerevoli doni.
Una volta attratto il Signore con la tua bellezza, ti sarà elargito ogni bene e abbonderai di immense ricchezze.
Se vogliamo, dunque, divenire amabili agli occhi del Signore, non adorniamo più tanto il corpo, quanto, piuttosto, curiamo con grande diligenza, ogni giorno, la bellezza dell'anima.
In tal modo ci concilieremo la benevolenza del buon Dio e conseguiremo ineffabili beni.
Giovanni Crisostomo, Omelie sul Genesi, 21
Chi è fisicamente sano, non ha bisogno delle cure dei medici; la buona salute, infatti, non esige l'opera delle medicine.
Coloro i quali, invece, sono afflitti da qualche malattia, sono soliti chiamare in aiuto i medici; impugnando come un'arma il soccorso della loro scienza, essi tentano di scacciare, come fossero dei nemici, le malattie dai corpi.
La scienza medica, in effetti, è di sollievo per il fisico ed escogita rimedi contro i malanni.
Parimenti, coloro che hanno l'anima sana, florida per religiosità, non hanno bisogno del farmaco di nessuna dottrina; al contrario, coloro che professano qualche empio insegnamento e hanno contratto le malattie delle dottrine profane, avendo per di più conseguito, con il trascorrere del tempo, l'assuefazione alla malattia; ebbene, costoro hanno bisogno di molte cure, onde liberarsi da quella sostanza ostile e purificare la propria anima. Inoltre, essi necessitano di molte altre medicine che chiudano e ostruiscano, con il loro effetto, gli originari condotti della sostanza peccaminosa, placando altresì le colpevoli sofferenze.
Teodoreto di Ciro, La provvidenza divina, 3
Fa' attenzione a te stesso ( Gal 6,1 ): non preoccuparti, cioè, di ciò che possiedi né delle cose che sono intorno a te, ma proprio di te soltanto.
Altro siamo noi medesimi, infatti, altro le nostre cose, altro, infine, quanto si trova intorno a noi.
Noi siamo anima e spirito, essendo stati fatti a immagine del Creatore; ciò nonostante, esiste il nostro corpo con i suoi sensi; attorno a noi, poi, c'è il denaro, ci sono le arti e i mestieri, assieme con tutti gli altri aspetti della nostra vita.
Che cosa ci dice dunque la Scrittura?
Non prenderti cura del corpo e non ricercare in alcun modo i suoi beni: la salute, la bellezza, i piaceri, la longevità; non aspirare ai soldi né alla gloria né al potere; non sopravvalutare, insomma, a tal punto tutto ciò che inerisce alla tua vita temporale, da sacrificare, per consacrarti ad esso, la tua esistenza primaria.
Al contrario, « fa' attenzione a te stesso », cioè all'anima tua.
Adornala e sii sollecito verso di essa, sì da rimuoverne tutto il sudiciume proveniente dall'iniquità e purificarla accuratamente da ogni vergogna provocata dal vizio, decorandola e illustrandola d'ogni ornamento di virtù.
Scruta te stesso, chi tu sia; fa' in modo di conoscere la tua autentica natura: che il tuo corpo, cioè, è mortale, mentre l'anima, invece, immortale.
Devi conoscere, altresì, che la nostra vita è duplice: una carnale, cioè che passa presto; una seconda propria dell'anima, che è senza fine.
Perciò « fa' attenzione a te stesso »: non aderire a quelle cose che sono periture, come se fossero eterne, e non disprezzare quelle eterne, come se fossero effimere.
Disprezza la carne, poiché passa; abbi cura dell'anima, che è cosa immortale.
Fa' attenzione a te stesso con ogni diligenza, affinché tu sia in grado di distinguere ciò che sia utile a entrambi: alla carne, il nutrimento e i vestiti; all'anima, la pietà, la condotta decorosa, l'esercizio della virtù, il dominio dei vizi.
Non ingrassare il corpo oltre misura e non essere sollecito riguardo alle dimensioni del tuo corpo.
Dal momento che, infatti, la carne ha desideri contrari allo spirito, lo spirito invece contrari alla carne, e questi si contrastano a vicenda ( Gal 5,17 ), sta' attento che un giorno, votato come sei alla carne, tu non finisca col conferire un'eccessiva potenza a ciò che è inferiore.
Infatti, come nel caso della bilancia, quanto più appesantisci un piatto, tanto più alleggerisci anche l'altro; così anche per quanto concerne il corpo e l'anima, quando uno dei due trabocca, l'altro, necessariamente, risulta diminuito.
Quando il corpo gode dei piaceri ed è appesantito dall'obesità, infatti, conseguentemente lo spirito si sente indebolito e incapace a compiere le attività che gli sono proprie.
Al contrario, quando l'anima si trova in una situazione di benessere e si sente attratta dalla meditazione delle cose buone verso la propria grandezza, ne consegue allora che i godimenti del corpo si affievoliscono e finiscono con lo svanire.
D'altronde, questo medesimo precetto, se va bene per gli infermi, ancor maggiormente si addice a chi gode buona salute.
Nelle malattie, poi, i medici raccomandano ai malati di aver cura di se stessi e di non trascurare nulla di quanto si sia prescritto nella terapia.
Allo stesso modo, anche il medico delle nostre anime guarisce con questo modesto rimedio l'anima afflitta dal peccato.
Perciò « fa' attenzione a te stesso », onde ricevere il sollievo della cura conformemente alla gravità del tuo delitto.
Si è trattato di un peccato grave e rilevante?
Hai allora bisogno di un'accurata confessione, di amare lacrime, di veglie intense, di un digiuno ininterrotto.
La colpa è stata lieve e tollerabile; la penitenza deve essere corrispondente.
Fa' attenzione a te stesso, perché tu conosca lo stato di salute e di malattia dell'anima.
Esistono parecchie persone, infatti, le quali, a motivo della loro eccessiva sconsideratezza, non si rendono conto di essere ammalate, quantunque soffrano gravemente e in maniera inguaribile.
Ciò nondimeno, anche per quanti godano di una buona salute, giova non poco, nella pratica della vita, quel medesimo precetto.
Esso, infatti, mentre guarisce i malati, procura, per di più, a chi stia bene una sanità ancor più perfetta.
Basilio il Grande, Omelia « Fa' attenzione a te stesso », 3-4
Il cuore dirige e governa tutti gli organi del corpo.
E se la grazia è entrata in possesso dei pascoli del cuore, regnerà su tutte le membra e su tutti i pensieri.
Ad essa, infatti, aderisce la mente, tutti i pensieri dell'anima e la sua confidenza.
A motivo di ciò, appunto, la grazia penetra altresì in tutte le membra del corpo.
Al contrario, quando si tratti dei figli delle tenebre, chiunque essi siano, è il peccato a dominare sul loro cuore e a penetrare in tutte le membra.
Dal cuore, infatti, provengono i cattivi pensieri ( Mt 15,19 ) e il peccato, diffondendosi sempre maggiormente, finisce coll'avvolgere l'uomo nelle tenebre.
Coloro i quali, invece, asseriscono che il male non si alimenta né cresce in alcun modo insieme con l'uomo, costoro non sono solleciti per il domani né vengono trascinati dalla concupiscenza.
A un certo momento, infatti, il male ha cessato di molestarli e di suscitare in essi la concupiscenza, tanto che non esitano ad assicurare, giurandolo, che mai più cadranno nel peccato.
Non molto tempo dopo, però, ecco riaccendersi la concupiscenza e smentirsi il giuramento.
Infatti, come l'acqua scorre attraverso un tubo, non diversamente avviene per il peccato attraverso il cuore e i pensieri.
Tutti coloro che lo negano, sono contraddetti e derisi dal peccato stesso che si prepara a celebrare il suo trionfo.
Il male, infatti, tenta di nascondersi nello spirito dell'uomo.
Se dunque qualcuno ama Dio, anche Dio lo rende partecipe del proprio amore.
E se qualcuno ha creduto anche una sola volta in lui, Iddio gli concede la fede soprannaturale, raddoppiando in tal modo l'essere dell'uomo.
Offrendoti a Dio con le tue membra, egli stesso, a sua volta, si unirà con le proprie all'anima tua, perché tu possa agire, amare e pregare sempre con purezza.
L'uomo, infatti, possiede una dignità altissima.
Osserva quanto siano grandi il cielo, la terra, il sole e la luna; ciò nondimeno, il Signore non ne fu soddisfatto: soltanto dell'uomo egli si appagò.
Per questo l'uomo è la più bella fra tutte le creature, e forse non esiterò a dire: non soltanto più delle creature visibili, ma anche di quelle invisibili, cioè degli spiriti al servizio di Dio.
Infatti, non riferendosi agli arcangeli Michele o Gabriele Iddio disse: Facciamolo a nostra immagine e somiglianza ( Gen 1,26 ), bensì a proposito della sostanza spirituale dell'uomo: la sua anima immortale.
Sta scritto, infatti, che anche le schiere degli angeli del cielo lo circondano con timore ( Sal 34,8 ).
Pseudo-Macario, Omelie spirituali, 15,20-22
Il Dio dell'universo, soccorrendo la nostra debolezza, non sempre consente che rimaniamo in circostanze avverse, affinché la nostra limitatezza non venga sopraffatta.
Al contrario, egli stesso appresta prontamente il suo aiuto, confermando il nostro zelo e stimolandoci la nostra mente.
Né, d'altronde, ci permette di vivere sempre nella prosperità, perché non diventiamo più negligenti e non fuggiamo verso i vizi.
La natura umana, infatti, quando le accade di prosperare molto, dimentica la sua nobiltà e travalica i propri limiti.
É per questo che Dio, a guisa di un padre amorosissimo, talora ci accontenta, talaltra ci castiga, onde curare in varie maniere la salute dell'anima nostra.
Dal momento che anche il medico, nel curare un malato, non sempre lo affligge con diete né, d'altra parte, consente ogni volta ch'egli goda di una mensa abbondante, affinché la voracità, procurando la febbre, non aggravi la malattia e la dieta, a sua volta, non indebolisca ancor più l'infermo, ma dà delle prescrizioni dopo aver valutato le energie del paziente e appellandosi alle risorse della propria scienza; ebbene, non diversamente, anche il buon Dio, ben sapendo ciò che giovi a ciascuno, talvolta ci concede di godere della prosperità, talaltra, onde metterci alla prova, ci attornia di tentazioni.
Se coloro che sperimentano le tentazioni sono virtuosi, diventano più luminosi chiamando sopra di sé la grazia celeste in misura più abbondante.
Se, invece, essi sono peccatori come noi, sopportando tuttavia le tentazioni con rendimento di grazie, depongono il grave peso dei peccati e ottengono anch'essi il perdono.
Perciò, ve ne prego, dal momento che conosciamo la potenza e la sapienza del Medico delle nostre anime, non indaghiamo mai con spirito di mera curiosità su quanto egli ci elargisce.
Se, infatti, la nostra mente non è in grado di comprenderlo, meravigliamoci per questo ancor di più e glorifichiamo Dio per ogni cosa, giacché abbiamo un Signore talmente grande che i suoi doni non possono esser compresi né dal nostro spirito né dall'umana ragione.
Noi non conosciamo così bene come lui, infatti, ciò che possa esserci di giovamento.
Giovanni Crisostomo, Omelie sul Genesi, 40
In tal modo Dio governa l'universo intero: ora usando la forza, ora la grazia, e non permettendo che la prosperità sia duratura, né che l'afflizione domini a suo talento; ma come il giorno succede alla notte e l'estate all'inverno, così accade anche a noi: ora siamo nel dolore, ora nella gioia, ora siamo ammalati, ora sani.
Non sorprendiamoci, dunque, se cadiamo in qualche malattia, poiché anche della salute noi dovremmo meravigliarci.
Non turbiamoci quando dobbiamo sopportare qualche dolore, poiché anche per la gioia dovremmo turbarci ed essere commossi.
Tutto avviene in realtà per legge di natura e secondo un ordine e una successione intrinseca.
Perché ti stupisci di essere soggetto a queste vicissitudini?
Chiunque può constatare che lo stesso è accaduto anche ai giusti del tempo passato …
Così è stata anche la vita degli apostoli.
Perciò Paolo dice: Sia benedetto Dio che ci consola in ogni tribolazione, onde noi siamo in grado di consolare gli altri in qualsiasi loro afflizione ( 2 Cor 1,4 ).
Ma che m'importa tutto questo, mi dirai, se io sono sempre nel dolore?
Suvvia, non disconoscere le grazie di Dio e non essere ingrato.
Non è possibile che un uomo viva sempre nel dolore: la natura non potrebbe resistere.
Volendo esser sempre nella gioia, ci sembra di essere sempre nel dolore.
Non solo, ma siccome dimentichiamo subito il bene e la prosperità, mentre ricordiamo sempre le sciagure che ci hanno colpito, siamo indotti a dire che ci troviamo sempre nel dolore e nella miseria …
No, non è possibile trovare una vita del tutto priva di dolori, e d'altra parte non c'è vita che non abbia i suoi momenti di gioia e di consolazione.
La nostra natura, come vi ho detto prima, non resisterebbe a una condizione troppo penosa.
E se uno gioisce di più e un altro è più sovente triste, ciò dipende da quest'ultimo: è la sua debolezza che lo abbatte e lo scoraggia, non la natura delle cose né la situazione dei fatti.
Se, infatti, noi vogliamo essere sempre nella gioia, abbiamo molti motivi e occasioni per esserlo.
Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di san Matteo, 53,3-4
L'opera educativa, che ridona quasi la salute all'anima - e se questa salute manca, nulla giova ad allontanare le miserie, la salute stessa del corpo - è certo una delle cose più difficili.
Come già dicevamo parlando del corpo, altro è curare le ferite e le malattie, cosa che pochi sanno fare bene; altro è calmare la fame e la sete e simili, modo di aiutare gli altri, a tutti concesso.
Così a vantaggio dell'anima vi sono alcune azioni per cui non si richiedono un acume e una sapienza rara, come quando esortiamo e ammoniamo di prestare ai bisognosi gli aiuti corporei or ora ricordati.
Quando infatti noi li attuiamo, prestiamo aiuto al corpo; quando invece insegniamo ad attuarli, compiamo opera educativa sugli animi.
Ma vi sono altre azioni per le quali le molteplici e numerose malattie dell'anima vengono sanate in un modo eccelso, e quasi ineffabile: e se questa arte medica non fosse stata mandata da Dio ai popoli, non vi sarebbe nessuna speranza di salvezza per l'uomo, che tanto smodatamente avanza nel peccato; anche se considerando più profondamente le origini delle cose, ci si accorgerà che anche l'arte medica rivolta al corpo giunge agli uomini come dono di Dio, a cui dobbiamo attribuire la salvezza di tutte le cose e lo stato in cui si trovano.
Quest'opera educativa di cui parliamo, che è l'arte medica dell'anima, per quanto ci è lecito cogliere dalle stesse divine Scritture, si distingue in due momenti: l'ammonizione e l'istruzione.
L'ammonizione fa leva sul timore, l'istruzione invece sull'amore - almeno per colui che è oggetto dell'opera educativa: infatti colui che educa null'altro ha in sé se non amore -.
In ciò Dio stesso - dalla cui bontà e clemenza solo dipende se siamo qualcosa - ce ne ha dato la regola nei due Testamenti: l'Antico e il Nuovo.
Quantunque in essi si trovino ambedue questi momenti, tuttavia nell'Antico prevale il timore, nel Nuovo l'amore; in quello ci viene inculcato il servizio, in questo ci viene predicata dagli apostoli la libertà.
Sarebbe molto lungo parlare dell'ordine mirabile e dell'armonia divina di questi due Testamenti, e molti uomini religiosi e dotti ne hanno parlato: è un impegno che richiederebbe molti libri perché si possa spiegare ed esporre l'argomento esaurientemente, quanto almeno è concesso all'uomo.
Chi dunque ama il prossimo, fa quanto può, perché sia sano nel corpo e salvo nell'anima; ma la cura del corpo è sempre subordinata alla salvezza dell'anima; rivolgendo dunque le sue cure all'anima, agisce a gradi, così che il prossimo anzitutto tema Iddio, e poi lo ami.
Agostino, I costumi della Chiesa cattolica, 1,55.56
Riguardo a coloro i quali soffrono di qualche malattia fisica, quantunque il medico prescriva loro continui rimedi, se poi il malato non si sottopone all'azione della medicina, andando sovente persino in collera quando il medico gli prescrive il farmaco e respingendolo addirittura, insofferente del dolore, senza perciò ricavarne utilità veruna; ebbene, nessuna persona saggia, in tal caso, rimprovererebbe al medico di non aver fatto il proprio dovere.
Similmente anche noi prescriviamo un rimedio, ricavato dalla dottrina spirituale; in seguito, però, spettava a voi sopportare le sofferenze e far tesoro della terapia, onde liberarvi dalla malattia e ritornare alla vera sanità.
Così, infatti, voi stessi ricaverete grande utilità e noi proveremo, per questo, non poca consolazione nel vedere coloro, che prima soffrivano, aver recuperato così presto la buona salute.
Ciascuno di voi, perciò, ve ne prego, se non prima, almeno da adesso si dia da fare per emendarsi da quel vizio dal quale, più di altri, sente che la sua anima è agitata, servendosi della pia meditazione come di una spada spirituale.
Se vogliamo osservare attentamente, infatti, Dio ci concesse la ragione per riuscire a domare tutti i mali che ci circondano.
A questo scopo la grazia dello Spirito Santo ha altresì descritto nelle divine Scritture la vita e le opere di tutti i santi, affinché noi, apprendendo come essi abbiano manifestato ogni sorta di virtù, pur possedendo la nostra stessa natura, non siamo indolenti ad esercitarle anche noi.
Giovanni Crisostomo, Omelie sul Genesi, 11
L'anima viene influenzata dai discorsi.
Infatti, i cattivi discorsi corrompono i buoni costumi ( 1 Cor 15,33 ).
Giovano, perciò, le buone conversazioni; i discorsi prudenti rendono saggi.
L'anima, infatti, è come una cera: se ci versi sopra dei discorsi freddi, ne indurisci la superficie; se, invece, infuocati, allora l'ammorbidisci.
Una volta resa tale, poi ne potrai fare ciò che vuoi, modellandovi anche l'immagine di un re.
Chiudiamo, dunque, le orecchie ai discorsi temerari; questi ultimi non costituiscono un danno da poco: da essi nascono tutti i mali.
Se la nostra mente si fosse abituata ad ascoltare discorsi pii, non presterebbe attenzione agli altri, nel qual caso non si rivolgerebbe verso le cose cattive.
Il discorso, infatti, è la strada che conduce all'azione: prima noi pensiamo, poi parliamo, infine agiamo.
Sovente molte persone, anche sobrie e morigerate, sono pervenute dalle turpi parole alle turpi azioni.
L'anima nostra, infatti, non è naturalmente né buona né cattiva: diviene l'una o l'altra in virtù del suo libero arbitrio.
Come la vela, perciò, a seconda di dove spiri il vento, lì sospinge la nave ovvero, piuttosto, come il timone dirige la nave, qualora il vento sia favorevole; allo stesso modo anche il pensiero, nel caso in cui le parole siano recate da un vento propizio, navigherà senza pericolo.
Se, invece, vengono sospinte da un vento contrario, le parole finiscono anche col sommergere il pensiero.
Ciò che è lo spirare dei venti per i marinai, questo rappresentano le parole per l'anima: dove tu lo desideri, puoi condurla e trasportarla.
Per questo qualcuno ammonisce: Ogni tuo discorso sia conforme alla legge dell'Altissimo ( Sir 9,16 ).
Giovanni Crisostomo, Omelie sulla seconda lettera ai Tessalonicesi, 2
Fratelli miei, sappiate che vi illudete se siete venuti col desiderio di ascoltare la parola senza l'intenzione di metterla in pratica.
Rendetevi conto che è bene udire la parola, ma è meglio ancora metterla in pratica.
Se non l'ascolti e non passi all'azione costruisci una rovina.
Su questo argomento il Signore suggerisce un paragone molto esatto: Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sopra la pietra.
E cadde la pioggia e vennero i fiumi a soffiarono i venti a si abbatterono su quella casa e non cadde.
Perché non cadde? perché era fondata sopra la pietra ( Mt 7,24-25 ).
Perciò, ascoltare e mettere in pratica è costruire sulla roccia.
Il solo fatto di ascoltare è già cominciare a costruire.
E chiunque - continua il Signore - ascolta queste mie parole e non le mette in pratica sarà simile a un uomo stolto che - anche lui - costruisce.
Che cosa costruisce? La sua casa.
Tuttavia non gli serve a nulla sentire, perché ascolta senza mettere in pratica, costruisca sulla sabbia.
Perciò costruisce sulla sabbia chi ascolta e non agisce; costruisce invece sulla roccia chi ascolta e mette in pratica.
Mentre chi non vuol ascoltare, non edifica né sulla sabbia né sulla roccia.
Nota ciò che segue: E cadde la pioggia e vennero i fiumi a soffiarono i venti a si abbatterono su quella casa, e cadde, e la sua rovina fu grande ( Mt 7,27 ).
Spettacolo deplorevole!
Forse qualcuno mi dirà: « Perché ascoltare ciò che non ho intenzione di fare?
Se ascolto senza mettere in pratica costruisco infatti una rovina. Non è meglio non ascoltare? »
Nel suo paragone il Signore non ha voluto considerare questo atteggiamento, ma ci ha dato la possibilità di valutarlo.
In questo mondo la pioggia, i venti e i fiumi non cessano mai.
Se non costruisci né sulla roccia né sulla sabbia, perché non ascolti nulla, resterai senza alcuna protezione.
Viene la pioggia, vengono i fiumi; sarai al sicuro quando, senza riparo, sarai trascinato via?
Dunque rifletti bene sulla scelta che vuoi fare.
Non sarai al sicuro, come pensi, per non aver ascoltato nulla.
Senza protezione e senza tetto, sarai necessariamente abbattuto, travolto, sommerso; se è male costruire sulla sabbia, è peggio non costruire.
Possiamo perciò concludere; ciò che vale è costruire sulla roccia.
É male non ascoltare; ed è male anche ascoltare senza mettere in pratica.
Diventate esecutori della parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi ( Gc 1,22 ).
Agostino, Discorsi, 179,8-9
Quando si sente pigra, l'anima nostra ha bisogno d'una continua esortazione.
Allo stesso modo come il nostro corpo ha bisogno ogni giorno dell'alimento fisico, al punto da non poter compiere alcuna azione quando incorra in qualche malattia anche non grave; così anche l'anima ha bisogno del cibo spirituale e di un'ottima condotta di vita, affinché, pervenendo a una consuetudine con le cose buone, divenga invincibile e sia in grado di resistere alle insidie del maligno.
Perciò prendiamoci cura ogni giorno, operosamente, della forza dell'anima nostra, esaminandoci con scrupolo; facciamo a noi stessi il rendiconto di ciò che esce e di ciò che entra in noi, di quanto abbiamo detto opportunamente e quanto a sproposito, di ciò che di proficuo abbiamo introdotto nell'anima attraverso le orecchie e di quanto possa arrecarle un qualche nocumento.
Stabiliamo, inoltre, delle regole e dei limiti anche alla nostra lingua, in maniera che siano dapprima ponderate le parole, e successivamente vengano proferiti i discorsi.
Alleniamo la nostra mente a non elucubrare alcunché di pernicioso.
Se, poi, qualcosa del genere sia stato pronunciato, rimuoviamolo al più presto come superfluo e dannoso; nel caso in cui, viceversa, ciò sia stato suscitato all'interno di noi stessi, sfuggiamolo all'istante per mezzo della pia meditazione.
Giovanni Crisostomo, Omelie sul Genesi, 4
Chi oltraggia il matrimonio è un frutto maledetto, che maledice la sua stessa radice …
É una bestemmia grave, se un uomo nega il suo Creatore; è una vergogna grande, se un uomo nega la sua radice.
I maestri dell'errore dicono che il matrimonio è impuro, ma nella loro ebbrezza non considerano che le membra e i sensi sono fratelli, sono compagni e parenti.
Ma se l'uso di un membro è impuro, è chiaro che tutte le membra sono impure, perché se un membro soffre, tutte con lui soffrono …
Dio non ha dichiarato impuro l'uso dei sensi, ha solo comandato che l'uomo non usi peccaminosamente della vista, che l'uomo non usi peccaminosamente dell'udito: la sua legge perfeziona la nostra natura, il suo comando adorna la nostra volontà, il suo insegnamento corona la nostra libertà …
In tre forme ci viene proposta la legge: vi è matrimonio, santità e verginità: vi è possesso, rinuncia e perfezione.
Dalle azioni cattive essa distoglie ogni uomo allo stesso modo; alle azioni buone essa lascia ogni uomo libero a suo modo, secondo il suo volere.
Le leggi, di un tempo e di ora, sono basate sulla giustizia e sulla bontà: infatti non vi è legge che costringa all'adulterio, e non vi è legge che proibisca di esser realmente buoni, casti, onorati.
L'abitudine e la volontà portano alla perdizione, la legge e la volontà arrecano l'ordine.
Efrem Siro, Inni contro gli errori, 45,6-11
Glorifichiamo Dio: esaltiamolo sia nel corpo che nello spirito.
Ma come, dirai, lo si potrebbe glorificare nel corpo? Come, nello spirito?
In questo caso per spirito si intende l'anima, in contrapposizione al corpo.
In che modo, allora, può glorificarsi Dio nel corpo? In qual modo, nell'anima?
Glorifica Dio nel corpo chiunque non commetta impurità, non si ubriachi, non dia soddisfazione al ventre, non perda tempo ad adornarsi, non si preoccupi di sostentare il fisico più di quanto basti alla salute, non commetta adulteri.
Glorificano Dio, nel corpo, le donne che non si spalmano d'unguenti, non si colorano il volto, sono contente di come Dio le abbia fatte e nulla vi aggiungono.
Per quale motivo, allora, domando, aggiungi qualcosa a ciò che Dio ha creato nella maniera più perfetta?
Non sei soddisfatta di come l'abbia fatto lui?
Vuoi pretendere di abbellire le cose create, come se tu fossi un artista ancor migliore di lui?
Non è giusto, certamente.
Tu, invece, adorni te stessa e offendi il Creatore, soltanto per attrarre schiere di ammiratori.
« Ma che cosa dovrei fare? », dirai, « infatti io non lo desidero, ma sono costretta a comportarmi così soltanto a causa dell'uomo ».
Non v'è donna, infatti, che non voglia essere amata ardentemente.
Dio, però, ti ha creato bella, per essere ammirato e non per essere offeso, non perché lo ricambiassi con tali doni, ma con la continenza e l'onestà.
Dio ti ha fatta bella, per accrescere in te i tesori dell'onestà.
Non è la stessa cosa, infatti, che si mantenga casta colei che è amabile, piuttosto che quella che non suscita l'ammirazione e il desiderio di nessuno …
« Le donne brutte, però », dirai, « fanno tutto ciò giustamente ».
Ma perché mai? Dimmi un po': forse per nascondere la bruttezza? Ma è pena sprecata.
Quando mai, infatti, domando, ciò che avviene secondo natura viene superato da ciò che è fatto artificialmente?
Per quale motivo la bruttezza dev'essere causa di afflizione, se è priva di vergogna?
Ascolta, infatti, un sapiente che dice: Non lodare l'uomo per la sua bellezza e non aborrire alcuno per il suo aspetto ( Sir 11,2 ).
Ammira piuttosto Dio come ottimo artefice, non l'uomo; la perfezione dell'opera, infatti, non è da ascriversi a quest'ultimo.
Quale vantaggio, infatti, deriva dalla bellezza?
Nessuno; ne provengono, invece, molte ansietà, enormi fastidi, pericoli, diffidenze.
Nessuno, infatti, sospetterà mai di colei che non è bella; la donna attraente, invece, se non si attornia di grande modestia e onestà, subito incorre nella cattiva fama e il suo uomo vive nel sospetto riguardo a lei: e che cosa potrebbe mai esservi di più fastidioso di ciò?
Il marito non riceverà dalla sua bellezza un piacere pari all'afflizione che gli sarà procurata dalla gelosia.
Il piacere, infatti, con l'andare del tempo, finisce col dileguarsi, mentre la donna acquista fama di lascivia, di dissolutezza, di libidine e il suo spirito diventa oltremodo fatuo e arrogante: tutte queste cose, in effetti, reca con sé la bellezza.
Colei che non è bella, invece, non incontrerà ostacoli come questi.
Non l'attorniano, infatti, cani rabbiosi ed essa pascola in pace come un'agnella, mentre nessun lupo la turba e l'insidia, quando il pastore è lontano.
Non v'è nulla di male nel fatto che una donna sia bella e un'altra no; è molto grave, invece, se una donna bella commetta delle impurità ovvero, se una non bella, sia maliziosa.
Dimmi, infatti: qual è mai la funzione degli occhi?
Quella forse di essere mobili, rotondi e azzurri, oppure consiste nel fatto di essere acuti e penetranti?
Io direi la seconda cosa, e lo spiegherò chiaramente con un esempio: qual è mai l'utilità della lampada?
Il fatto di splendere luminosa e di rischiarare tutta la casa, o il fatto di essere bella e rotonda?
Io direi la prima cosa: questo, infatti, è ciò che si richiede a una lampada; il resto, invece, è inutile.
Per questo diciamo alla serva incaricata di quest'ufficio: « Hai preparato male la lampada ».
Compito della lucerna, pertanto, è quello di illuminare.
L'occhio, parimenti, non importa se sia fatto in un modo piuttosto che in un altro, purché esso sia all'altezza del compito che è destinato ad adempiere: in tal modo esso viene definito cattivo, qualora sia offuscato o non si trovi, comunque, in perfette condizioni …
E del naso, dimmi, qual è la facoltà?
Il fatto di essere diritto e armonioso e proporzionato dall'una e dall'altra parte, oppure di servire all'olfatto, potendo in un attimo percepire un odore e trasmetterlo al cervello?
É chiaro a chiunque come quest'ultima sia, appunto, la sua facoltà …
Quali denti, poi, noi definiamo ottimi?
Quelli che tagliuzzano e masticano il cibo ovvero quelli che sono bellamente ordinati?
I primi certamente, com'è evidente.
In generale in tutto il corpo, se esaminiamo a questo modo le singole membra, riscontreremo come tutti gli organi siano sani e belli, purché siano in grado di assolvere perfettamente il loro ufficio.
Così anche i singoli strumenti diciamo che sono validi ( come, del resto, anche gli animali e le piante ), non in base alla loro forma né al loro colore, ma al servizio ch'essi adempiono; non diversamente noi apprezziamo quel servo che è idoneo al nostro servizio, non quello che è semplicemente bello e raffinato.
Vedi, dunque, in che cosa consista veramente l'essere bella? …
Se si deve dire qualcosa di sorprendente, ebbene, le donne non belle sono molto più sane di quelle belle.
Quest'ultime, infatti, schiave della bellezza, non si dedicano ad attività proficue, ma unicamente all'ozio e ai piaceri, e la loro energia fisica diventa debole quant'altra mai.
Le altre, invece, non prendendosi cura alcuna per la bellezza, si dedicano interamente al lavoro.
Glorifichiamo dunque Dio, portiamolo nel nostro corpo senza cercare nessun altro ornamento: una preoccupazione di tal genere, infatti, è inutile e insensata.
Non insegniamo agli uomini ad essere estimatori soltanto dell'aspetto fisico.
Se adornerai soltanto il tuo aspetto esteriore, infatti, il tuo uomo presto, a furia di essere attratto unicamente dalla tua bellezza, finirà col rimanere sedotto da qualche prostituta; se, invece, tu gli insegnerai ad amare i retti costumi e l'onestà, egli non fornicherà troppo facilmente: tutte queste cose, infatti, non le troverà in una prostituta, ma, al contrario, vi scoprirà caratteristiche affatto antitetiche a queste.
Non insegnargli, perciò, ad essere attratto dal sorriso né dall'abito scollato e non cercare di sedurlo con incantesimi; insegnagli, invece, a godere dell'onestà.
Ciò potrai fare, però, quando il tuo aspetto esteriore sarà conforme a queste intenzioni.
Se, infatti, sarai maliziosa e vanitosa, come potrai parlare in modo serio?
Chi non ti prenderà in giro? Ma come possiamo recare Dio nel corpo?
Praticando la virtù e ornando l'anima: quest'ultima, infatti, nulla ci vieta di abbellirla.
Con la perfetta bontà glorificheremo allora Dio.
Giovanni Crisostomo, Omelie sulla prima lettera a Timoteo, 4,3
Mi è stato riferito che uomini perversi vi vanno predicando che nessuno si deve lavare di domenica.
Certo, se qualcuno vuol prendere il bagno solo per divertimento o voluttà, noi non glielo concediamo di farlo neppure in qualsiasi altro giorno.
Ma se lo fa per necessità igienica, non glielo proibiamo neppure nel giorno del Signore.
Infatti sta scritto: Nessuno olia la sua carne, ma la nutre e cura ( Ef 5,29 ); e sta scritto ancora: Non curate il vostro corpo per concupiscenza ( Rm 13,14 ).
Colui che proibisce di curare il corpo se si tratta di concupiscenza, lo concede invece se si tratta di necessità igienica.
Infatti, se di domenica fosse peccato lavare il corpo, non ci si dovrebbe, in quel giorno, neppure lavar la faccia.
Se poi lo si concede a una parte del corpo, perché lo si nega - sempre che vi sia necessità - a tutto il corpo?
Nel giorno del Signore bisogna astenersi dal lavoro terreno, e applicarsi in tutti i modi alla preghiera, così che, se in sei giorni si pecca per negligenza, se ne espia la colpa, con la preghiera, nel giorno in cui risorse il Signore.
Gregorio Magno, Lettera ai cittadini romani, 13,1
Come l'Apostolo non ha proibito di bere, ma di ubriacarsi, non di sposarsi, ma di abbandonarsi alla lussuria; così egli non ha vietato di prendersi cura della carne, bensì soltanto di non indulgere alle concupiscenze, senza evidentemente trascurare le necessità.
Infatti, a riprova di com'egli non interdisse la cura verso la carne, ascolta ciò che raccomanda a Timoteo: Bevi un po' di vino a causa del tuo stomaco e delle tue frequenti infermità ( 1 Tm 5,23 ).
Parimenti, nel nostro caso, tu vieni sollecitato a prenderti cura della salute, non della lascivia.
Se tu accendessi la fiamma, infatti, se rendessi la fornace ancor più ardente, ciò non costituirebbe una manifestazione di cura.
Affinché vi rendiate più chiaramente conto di ciò che significhi il prendersi cura della concupiscenza del corpo e ve ne teniate lontano pensate un po' agli ubriachi, ai crapuloni, a coloro che si adornano di vesti preziose e si deliziano e conducono una vita molle e dissoluta: comprenderete allora quanto è stato detto.
Costoro, infatti, fanno di tutto non per godere della salute, ma unicamente per darsi alla lussuria e accendere la concupiscenza.
Tu, invece, che ti sei rivestito di Cristo, lascia da parte tutto ciò e preoccupati soltanto di quanto ti occorre per esser fisicamente sano: pensa solo a questo e non di più.
Tutta la tua sollecitudine, invece, sia rivolta verso le realtà spirituali.
Giovanni Crisostomo, Omelie sulla lettera ai Romani, 24,2
Il corpo deve nutrirsi di alimenti per vivere e per assolvere senza impedimenti le sue funzioni, non invece per essere travolto dai piaceri.
Dal momento che molti, anche a riguardo dell'alimentazione, cadono in errore, vengono prescritte le seguenti norme intorno ai cibi.
Alcuni, infatti, si accostano indistintamente alla carne sacrificata agli idoli; altri invece, onde esercitarsi conformemente alle norme della vita ascetica, se ne astengono, condannando coloro che li mangiano ( Rm 14,3 ).
Così, sia pure in modi diversi, a proposito dei cibi, rimane contaminata l'anima di taluni i quali ignorano le ragioni autentiche e proficue così del mangiare come dell'astenersi.
Digiuniamo, infatti, astenendoci dal vino e dalle carni, non aborrendoli come se fossero occasioni di delitti, ma unicamente nell'aspettativa della ricompensa.
Disdegniamo le cose sensibili per godere di una mensa spirituale e intellettuale: seminando presentemente nelle lacrime, nel mondo futuro mieteremo nella gioia ( Sal 126,5 ).
Non disprezzare, pertanto, coloro che mangiano ( Rm 14,3 ) e, per la debolezza dei loro corpi, prendono cibo; non biasimare coloro che bevono un po' di vino a causa dello stomaco e delle frequenti infermità ( 1 Tm 5,23 ) e non condannarli a guisa di peccatori.
Neppure odierai la carne come se costituisse un tabù; l'Apostolo, infatti, si riferiva a persone che la pensavano a questo modo, quando diceva: I quali proibiscono il matrimonio e prescrivono di astenersi dai cibi che Dio ha creato, perché siano presi con rendimento di grazie dai credenti ( 1 Tm 4,3 ).
Tu, dunque, che ti astieni da queste cose, non tenertene lontano come se fossero abominevoli, altrimenti non avrai nessuna ricompensa.
Tralasciale, invece, continuando a considerarle come realtà positive, per amore di quelle spirituali, di gran lunga superiori, che ti vengono proposte.
Cirillo di Gerusalemme, Catechesi, 4,26-27
Mi rallegro con coloro che hanno scelto una vita austera e che bramano l'acqua, farmaco di temperanza, che fuggono, quanto più possono, lontano dal vino, come da una minaccia d'incendio.
Mi piace, dunque, che i fanciulli e le fanciulle si astengano, il più possibile, da questo farmaco, poiché non conviene versare il più ardente di tutti i liquidi, cioè il vino, nella bollente età, quasi versando fuoco sul fuoco; donde divampano costumi ignei, cupidigie ardenti, passioni selvagge.
I giovani, riscaldati dentro, diventano propensi alle libidini; tanto che visibilmente il loro danno è dimostrato dal corpo, dal momento che le membra vergognose giungono a maturità più presto di quello che conviene.
Sono inverecondamente turgidi e bollenti, quando li infiamma il vino, il petto e le parti disoneste, e danno già un'immagine di fornicazione, e il trauma dell'anima fa ardere il corpo.
Gli impulsi impuri cercano di soddisfarsi traendo l'uomo onesto all'iniquità.
Onde il mosto dell'età trabocca fuori dei limiti del pudore.
Ora è necessario, quanto è possibile, tentare di estinguere le passioni dei giovani, togliendo la minacciosa esca bacchica e versando un rimedio al bollore giovanile, il quale raffredderà anche l'anima infiammata, calmerà le membra tumide e sopirà la commozione della passione già tempestosa.
Gli adolescenti, quando di giorno desinano, se si tratta di un pasto conveniente ad essi, mangino solo del pane, si astengano affatto dal bere, perché il loro soverchio umore venga disseccato, assorbito, come da una spugna, dall'alimento asciutto …
E se venisse sete, estinguano questo bisogno con non molta acqua.
Non conviene riempirsi di una quantità eccessiva d'acqua, perché non venga diluito il cibo, ma venga triturato per la digestione: in tal modo gli alimenti, così trasformati, sono assimilati dal corpo e soltanto in scarsissimo numero vengono evacuati.
D'altronde, non è opportuno ci si dedichi alle divine meditazioni appesantiti dal vino.
Poiché « il vino a pensar poco c'induce », dice il comico [ Menandro, Frag. 779 ], e forse a non esser nemmeno saggi.
Alla sera, invece, durante la cena, bisogna far uso di vino, poiché non ci diamo più alle letture che richiedono molta sobrietà.
E allora anche l'atmosfera diventa più fresca che durante la giornata, così che bisogna supplire al naturale tepore, che manca, con calore artificiale.
Ma il vino, anche qui, deve essere poco; ché non bisogna andare fino alle tazze della petulanza.
A quelli, poi, che sono già invecchiati, si deve permettere di bere più lietamente, riscaldando senza danno, col farmaco della vite, la fredda età che va spegnendosi pel tempo.
Infatti, il più delle volte, non fluttuano più le voglie dei vecchi verso il naufragio dell'ubriachezza … e possono, parimenti, nei pranzi, scherzare anche un poco.
Ma anch'essi si limitino nel bere, per conservare la ragione non scossa, la memoria attiva e il corpo non barcollante per il vino.
Gli esperti di queste cose chiamano un uomo siffatto « brillo ».
É bene, dunque, cessare prima, per la facilità di andar troppo oltre.
Un certo Artorio, nel suo trattato Della longevità, se ben ricordo, sostiene doversi seguitare a bere solo fino al punto che siano bagnati gli alimenti, per avere una vita più lunga.
Bisogna talvolta servirsi del vino come medicina, solo a causa della sanità, talvolta per ricreazione e sollievo.
Infatti, il vino anzitutto rende il bevitore più clemente con se stesso di quanto lo fosse prima e più dolce con i convitati, più mite coi domestici e più giocondo con gli amici; se si esagera nel dare il vino, però, egli contraccambia l'ingiuria.
Essendo caldo e avendo succhi dolci, mescolato moderatamente, il vino, con il calore, scioglie la vischiosità degli escrementi e tempera gli umori acri e cattivi con la sua fragranza.
Adunque è giusto quel detto: Il vino fu creato da principio per la delizia dell'anima e del cuore, se è bevuto con moderazione ( Sir 31,27 ).
É poi cosa eccellente mescolare il vino a moltissima acqua e renderlo incapace di ubriacare, e non, invece, versarlo giù come acqua, per amore del vino.
Sia il vino che l'acqua, infatti, sono stati creati entrambi da Dio: giova, perciò, alla salute la loro mescolanza.
La vita, infatti, consta del necessario e dell'utile.
Clemente Alessandrino, Il pedagogo, 2,2
Tutti i mestieri e le attività dell'uomo ci sono stati dati da Dio onde colmare le lacune della natura.
Così l'agricoltura, ad esempio, poiché i frutti che nascono spontaneamente dalla terra non sono bastevoli a soddisfare i bisogni; così l'arte della tessitura, essendo quanto mai necessario servirsi degli indumenti sia per motivi di decenza che per ripararsi dalle pericolose correnti d'aria; così ancora, l'edilizia e anche la scienza medica.
Quando, infatti, il nostro corpo giace infermo, afflitto dalle malattie o da inconvenienti di varia natura, ora per motivi provenienti dall'esterno, ora invece dall'interno a causa dei cibi e soffre ora a causa di un loro eccesso ora a causa di una loro mancanza, allora Iddio, moderatore di tutta la nostra esistenza, ci ha concesso, a dimostrazione di quella sua medicina destinata a curare le anime, la scienza medica, grazie alla quale viene ridimensionato il superfluo e accresciuto ciò che si trova in misura troppo ridotta.
Infatti, allo stesso modo che, se ci trovassimo in paradiso, non avremmo bisogno in alcun modo né di conoscere né di praticare l'agricoltura, non diversamente, se fossimo immuni dalle malattie, come prima della caduta, non vi sarebbe bisogno dell'aiuto di nessuna medicina per guarirci.
Invece dopo esser stati espulsi da quel luogo e dopo aver udito: Con il sudore della tua fronte ti procurerai il tuo pane ( Gen 3,19 ), avendo impiegato molta fatica per coltivare la terra, abbiamo inventato l'arte dell'agricoltura onde lenire i dannosi effetti della maledizione divina, mentre Dio stesso favoriva in noi l'intelligenza e l'apprendimento di quell'arte.
Ebbene, allo stesso modo, poiché ci è stato ordinato di tornare alla terra dalla quale eravamo stati tratti e siamo stati legati alla dolorosa carne, destinata alla morte a causa del peccato e soggetta per questo alle malattie, ci è stato allora offerto anche l'aiuto della medicina, affinché talora, in una certa misura, i malati potessero guarire.
Non a caso, infatti, sono germinate dalla terra quelle erbe destinate a curare le singole malattie; anzi, sono state certamente suscitate dalla volontà del Creatore, perché lenissero i nostri malanni.
Per questo motivo, appunto, quella virtù naturale insita nelle radici, nei fiori, nelle foglie, nei frutti, nei succhi così come tutto ciò che di terapeutico proviene dai metalli o dal mare, in nulla differisce dagli elementi analoghi scoperti nel cibo e nelle bevande.
Ciò nondimeno i cristiani devono astenersi da ogni cura superflua o escogitata per mera curiosità e, lungi dal sentirsi costretti a curare la carne per tutta la loro vita, si preoccupino di servirsi della medicina, quando ve ne sia bisogno, in maniera tale da non attribuire ad essa ogni causa della buona o della cattiva salute, bensì da praticare l'uso di quei mezzi da essa offerti allo scopo di dichiarare la gloria di Dio e proporre un esempio di come vada curata anche l'anima.
Se, infatti, ci mancassero i sussidi della medicina, in nessun modo riporremmo ogni speranza di guarigione in tale scienza, bensì unicamente nella consapevolezza che non saremo tentati più di quanto siamo in grado di sopportare ( 1 Cor 10,13 ) …
Tuttavia, non certo per il fatto che taluni si servano a sproposito della medicina, noi dobbiamo per questo rinunciare ad ogni sua utilità.
Infatti, non perché certi intemperanti, praticando l'arte della cucina o della pasticceria o della tessitura, abusano nell'escogitare cose voluttuarie, oltrepassando i limiti delle necessità; per questo tutte quante le arti debbono esser da noi rigettate.
Al contrario, piuttosto, noi dobbiamo metterne in luce ciò che da quelli è stato corrotto, cioè il loro retto uso.
Così anche per quanto concerne la medicina, non è giusto che un dono ricevuto da Dio venga contestato in considerazione del cattivo uso che se ne fa.
É stolto, infatti, anche riporre la speranza della propria sanità nelle mani dei medici, il che, tuttavia, vediamo di solito accadere a tanti infelici, che non esitano a chiamarli salvatori.
Al contrario, così come Ezechia non riteneva che il balsamo del fico fosse stato la causa principale della sua guarigione, ma rese gloria e azione di grazie a Dio per aver creato i fichi; allo stesso modo anche noi, avendo ricevuto la nostra vita da Dio, che cura bene e assennatamente le ferite, domandiamo anzitutto a lui di indicarci il motivo per il quale siamo stati castigati a questo modo, chiedendogli altresì di liberarci dalle presenti molestie e di donarci la pazienza e la forza di superare la tentazione ( 1 Cor 10,13 ).
Ci viene donato il beneficio della buona salute, sia per mezzo del vino mescolato con l'olio ( Lc 10,34 ), come nel caso di colui che s'imbatté nei ladroni, sia per mezzo dei fichi, come in Ezechia ( 2 Re 20,7 ), quando lo riceviamo con rendimento di grazie.
E non riteniamo che la cosa sia diversa, qualora Dio si prenda cura di noi in modo invisibile ovvero con mezzi fisici: le cose corporee spesse volte non fanno comprendere troppo efficacemente il dono del Signore.
Sovente, poi, caduti nelle malattie a motivo del castigo, siamo condannati a sopportare un'aspra e pesante cura onde sfuggire alle sofferenze della malattia.
In tal caso il raziocinio ci persuade a non ripudiare né le amputazioni né le cauterizzazioni né l'asprezza di rimedi amari e molesti né i digiuni né l'osservanza d'una dieta o d'un particolare tipo di alimentazione né l'astinenza da cose esiziali, in considerazione dell'utilità che ne deriva per l'anima: colui il quale avrà fatto tesoro di quest'esempio, infatti, imparerà ad imitarlo nella cura di se stesso.
Esiste, tuttavia, il non trascurabile pericolo di cadere nella presunzione che ogni malattia abbia bisogno dell'intervento della medicina.
Al contrario, non tutte le malattie vanno attribuite alla natura né ci provengono da un'errata alimentazione o da altre cause fisiche: vediamo infatti come, per curarle, non occorra medicina alcuna.
Spesso invece le malattie sono punizioni dei peccati, mandateci per convertirci.
Il Signore infatti, sta scritto, castiga chi ama ( Pr 3,12 ).
E ancora: Per questo tra voi ci sono molti ammalati e invalidi e molti muoiono.
Che se ci esaminassimo attentamente, non saremmo condannati.
Ma quando noi siamo giudicati dal Signore, veniamo corretti per non essere condannati insieme col mondo ( 1 Cor 11,30-32 ).
Se ci troviamo in simili condizioni, perciò, avendo conosciuto i nostri delitti e tralasciato l'uso della medicina, dobbiamo sopportare in silenzio quelle pene, conformemente a colui che disse: Sopporterò l'ira del Signore, poiché ho peccato contro di lui ( Mi 7,9 ); e dobbiamo altresì emendarci, sì da mangiare i degni frutti della penitenza, ricordando ancora il Signore che disse: Ecco, sei stato sanato; non peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio ( Gv 5,14 ) …
A me sembra, inoltre, che la medicina contribuisca non poco alla continenza.
Constato, infatti, ch'essa ripudia i piaceri, condanna la sazietà, la ricchezza del vitto e l'eccessiva abbondanza di condimenti; viceversa, essa considera l'astinenza come madre della salute: da questo punto di vista i suoi consigli non ci sono inutili.
Pertanto, sia che ci conformiamo talora ai precetti della medicina, sia che li respingiamo per i motivi dianzi ricordati, occorre in ogni caso tener presente ciò che piace a Dio, ciò che serve all'utilità dell'anima e adempie al mandato dell'Apostolo che raccomanda: Sia dunque che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualsiasi cosa, tutto fate a gloria di Dio ( 1 Cor 10,31 ).
Basilio il Grande, Regole lunghe, 55,1-5
Non senza ragione nei libri santi e canonici mai si può trovare il precetto o il permesso divino di inferire la morte a noi stessi, né per raggiungere la stessa immortalità, né per liberarci da qualche male o per prevenirlo.
Dobbiamo intendere infatti che riguarda anche noi la proibizione della legge che dice: Non ucciderai ( Es 20,13 ), specialmente per il fatto che non si soggiunge « Il tuo prossimo », come quando ci proibisce la falsa testimonianza, dicendo: Non dirai falsa testimonianza contro il tuo prossimo ( Es 20,13.16 ) …
Vi sono alcuni che vorrebbero estendere questo precetto anche alle bestie, tanto che, in virtù di esso, non ci sarebbe lecito ucciderne nessuna.
Ma perché allora non anche alle erbe, a tutto ciò che si fissa con le radici alla terra e così si nutre?
Anche questo genere di esseri, per quanto privi di sensibilità, si dice che vivono, e pertanto possono anch'essi morire; possono perciò anche venir uccisi, se si usa loro violenza; così dice l'Apostolo, quando parla di semi: Quello che tu semini non ha vita, se prima non muore ( 1 Cor 15,36 ), e nel salmo troviamo scritto: Uccise le loro viti con la grandine ( Sal 78,47 ).
Quando poi udiamo: « Non uccidere », pensiamo forse che sia un delitto svellere un virgulto, accettando così, da mentecatti, l'errore manicheo? Via queste pazzie!
Perciò quando leggiamo « Non uccidere », se non lo riteniamo detto anche per le piante, perché non hanno sensibilità, non lo è neppure per i rettili, i volatili, gli animali natanti e deambulanti, perché a loro non è dato di avere in comune con noi la razionalità.
Perciò, per rettissima disposizione del Creatore, la loro vita e la loro morte è subordinata al nostro uso; resta perciò che intendiamo solo dell'uomo quel « Non ucciderai »; non puoi uccidere un altro uomo, perciò neppure te stesso.
Infatti chi uccide se stesso, non uccide altro che un uomo … tutti coloro che hanno perpetrato in se stessi questo crimine, sono forse da ammirare per la grandezza d'animo, ma non sono certo da lodare per saggezza.
Quantunque, se interroghi con più diligenza la ragione, non puoi parlare giustamente di grandezza d'animo, quando qualcuno, che non sa sopportare la sorte aspra o le colpe altrui, uccide se stesso.
É segno piuttosto di mente inferma, che non riesce a sopportare o la dura schiavitù del corpo, o la stolta opinione del volgo; e si deve giustamente dire che è maggiore la grandezza d'animo di chi sa sopportare una vita travagliata, piuttosto che fuggirla, e sa disprezzare il giudizio umano - soprattutto del volgo, tutto avvolto per lo più nella caligine dell'errore - per la purezza e la luminosità della sua coscienza …
Vi sono molti che si sono uccisi per non cadere nelle mani dei nemici.
Non chiediamo solo se ciò fu fatto, ma se si doveva fare: la ragione retta, infatti, deve essere anteposta anche agli esempi; ma con essa concordano altri esempi, quelli cioè tanto più degni di imitazione, quanto più eccellenti per religiosità.
Non fecero così i patriarchi, non i profeti, non gli apostoli: lo stesso Signore Cristo, quando li ammonì di fuggire di città in città nella persecuzione, poteva anche esortarli a infierire contro se stessi per non cadere nelle mani dei persecutori.
Ma se egli ciò non comandò, né ammise che in questo modo emigrassero dalla vita coloro a cui aveva promesso di preparare in cielo dimore eterne, qualsiasi esempio ci oppongano i pagani che ignorano Iddio, è chiaro che non è lecito seguirlo agli adoratori dell'unico e vero Dio …
Vi furono uomini fortissimi e nobilissimi, difensori della patria terrena, cultori non fallaci degli dèi purtroppo falsi, fedelissimi ai loro giuramenti, che seppero uccidere, per consuetudine e per diritto di guerra, i nemici vinti; vinti a loro volta dai nemici, non vollero uccidere se stessi, e pur non temendo affatto la morte, preferirono sopportare il nemico vincitore che dar morte a se stessi.
Tanto più i cristiani, che adorano il Dio vero e aspirano alla patria superna, si tratterranno da questo delitto, se la disposizione divina, per metterli alla prova o purificarli, li assoggetterà per qualche tempo ai nemici.
Nella loro umiliazione non li abbandona l'Altissimo, che per loro è venuto in tanta umiliazione; e principalmente quelli che nessuna potestà militare né codice di guerra obbliga a uccidere il nemico vinto.
Che errore perverso è dunque questo che va diffondendosi: che un uomo cioè uccida se stesso, o perché il nemico peccò contro di lui, o perché non pecchi, pur non osando uccidere lo stesso nemico che peccò o che peccherà?
Questo diciamo, questo affermiamo, questo in ogni modo approviamo: nessuno deve dare a se stesso volutamente la morte perché non gli avvenga, credendo di fuggire ai mali temporanei, di cadere in quelli eterni.
Nessuno deve farlo per un peccato altrui, perché non cominci ad averne uno gravissimo personale chi veniva macchiato solo dal peccato degli altri; nessuno per i suoi peccati trascorsi, perché in questo caso ha più bisogno di vita, per poterli curare con la penitenza; nessuno quasi per desiderio di una vita più alta che spera dopo la morte, perché chi è reo della propria morte non sarà certo accolto, dopo di essa, da una vita migliore.
Agostino, La città di Dio, 1,20.22.24.26
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