Teologia dei Padri |
Ecco qual è la fornicazione generale dell'anima, che racchiude in sé ogni altra fornicazione: non aderire a Dio aderendo al mondo …
Quando l'uomo mondano, aderendo al mondo, si allontana da Dio, commette adulterio contro Dio, e così pecca nel proprio corpo.
Infatti per la concupiscenza corporea verso ogni bene temporale e carnale, l'animo viene trascinato dal senso e dalla prudenza carnale e viene istigato a servire alla creatura piuttosto che al Creatore, che è benedetto nei secoli …
Solo per questo male, cioè per la concupiscenza carnale e generale, l'anima commette adulterio completo contro Dio e, quasi inceppata e avvolta nei desideri e nei diletti temporali, pecca nel proprio corpo, perché soddisfacendo pienamente la sua concupiscenza, si fa mettere sotto dal mondo e si allontana da Dio …
Questo amore per il mondo, dunque, che contiene in sé una generale concupiscenza mondana, è la fornicazione generale, per cui si pecca nel proprio corpo, perché l'animo umano soddisfa senza posa tutti i desideri e le voluttà corporee e visibili, abbandonato, ripudiato dallo stesso Creatore di tutte le cose.
Agostino, Discorsi, 162,3-4
Pecca la volontà che si allontana dal Bene generale e immutabile e si rivolge al bene proprio, o a quello esteriore, o a quello inferiore. Si rivolge al bene proprio, quando vuole essere padrona di se stessa; si rivolge al bene esteriore quando cerca di conoscere ciò che appartiene agli altri o che comunque non appartiene ad essa: si rivolge infine al bene inferiore quando ama le voluttà corporee.
Così l'uomo, divenuto superbo, curioso e lascivo, entra in un'altra vita, che in paragone alla vita superiore è una morte; vita tuttavia che viene retta dal governo della divina provvidenza che ordina tutto al proprio luogo e distribuisce a ciascuno secondo i meriti.
Ne risulta così chiaramente che il male non consiste nei beni che desiderano i peccatori, ma neppure nella stessa libera volontà, che dobbiamo annoverare tra i beni, diremo così, medi, come abbiamo visto; il male è l'allontanarsi della volontà dal Bene immutabile e il suo rivolgersi ai beni mutabili; allontanamento e avvicinamento non imposti, ma volontari: cui segue perciò il dolore giusto e degno del castigo.
Agostino, Il libero arbitrio, 2,19,53
Anche se tu non ti fossi obbligato con un voto, quale altro suggerimento ti si sarebbe dovuto dare o quale offerta migliore potrebbe fare l'uomo che restituire se stesso a colui dal quale fu creato?
Soprattutto se si pensi che Dio per amore nostro diede una prova così grande e luminosa del suo amore, da mandare il proprio Figlio unigenito a morire per noi.
Non resta dunque altro se non che si compia ciò che disse l'Apostolo: Cristo è morto per far sì che coloro i quali vivono non vivano più per sé, ma per colui che è morto per essi ed è risorto ( 2 Cor 5,15 ), salvo che meriti ancora di essere amato questo mondo consunto da tante rovine; sino a perdere anche l'apparenza della seduzione.
Quanto perciò sono da lodare ed esaltare quelli che non si sono degnati di brillare in mezzo alla felicità del mondo, altrettanto sono da biasimare e da accusare quelli a cui piace andare in rovina col mondo che va in rovina.
Se per la vita medesima che un giorno o l'altro dovrà finire si affrontano le fatiche, i pericoli, i disastri di questa vita transitoria non con lo scopo di allontanarne del tutto la fine, ma di differirla un poco, quanto più seriamente bisogna affrontare le presenti sciagure per la vita eterna, dove la natura non si premunisce contro la morte con trepidazione né la codardia la teme vigliaccamente né la sapienza la sopporta con fortezza.
Per nessuno ci sarà più la morte poiché essa non esisterà più.
La vita eterna ti annoveri dunque fra i suoi innamorati.
Non vedi quanti spasimanti ha questa vita miserabile e povera, e quanto li asservisce a se stessa?
Spesso, turbati dai pericoli a cui la vita è soggetta, vi pongono termine tanto più presto, proprio per la paura che termini e, mentre evitano la morte, la affrettano a guisa di chi si getta in un fiume per esserne travolto, nel tentativo di sfuggire a un brigante o a una belva.
Quando la tempesta infuria, i marinai gettano in mare a volte anche gli alimenti; e per sopravvivere si disfanno dei mezzi per vivere, per non terminare presto la vita che si trascorre persino tra i travagli.
Con quante pene si ottiene di prolungare le pene!
Ma quando la morte comincia a sovrastare, allora si cerca di evitarla per temerla più a lungo.
Difatti, in mezzo a tanti accidenti della fragilità umana, quante specie di morte si temono, mentre quando una sola di esse verrà, non v'è certo da temere le altre?
E nondimeno se ne fugge una sola, perché si abbia paura di tutte.
Da che dolori lancinanti sono tormentati coloro che vengono curati e operati dai medici!
Forse per non morire? Nient'affatto, ma solo per morire un po' più tardi.
Si sopportano molti tormenti sicuri, perché si aggiungano alla vita solo pochi giorni malsicuri.
A volte alcuni muoiono subito, sopraffatti dai dolori che affrontano proprio per timore della morte.
Così, mentre per nessun verso essi preferiscono non già di troncare la vita per non soffrire ma soffrire per non morire, capita loro di affrontare il dolore e di cessare di vivere; non solo perché anche dopo esser guariti a prezzo di dolore terminino la vita - che anche se acquistata con tante sofferenze non può essere eterna perché è mortale, né può essere di lunga durata perché nella sua fatalità è pur breve, né per la sua breve durata è scevra di timore, incerta com'è sempre -, ma anche perché un giorno terminarono con dolore quella vita per cui si volle soffrire per non morire.
Ma anche un altro male grande e oltremodo esecrando e orrendo ha in sé l'eccessivo amore di questa vita, ed è che molti, mentre vogliono vivere un po' più a lungo, offendono gravemente Dio, presso il quale è la sorgente della vita ( Sal 36,10 ).
E mentre temono invano la fine della vita che sarà immancabile, vengono respinti dal paradiso dove si vive senza fine.
A ciò si aggiunge che questa vita piena di miserie, anche se potesse essere eterna, in nessun modo meriterebbe di paragonarsi alla vita beata sia pure brevissima.
Eppure costoro, amando una vita infelicissima e molto breve, perdono quella beatissima ed eterna, poiché vorrebbero trovare precisamente in questa, che amano male, quel bene che perdono nell'altra.
Poiché nella vita terrena non amano affatto la povertà, dato che desiderano essere beati, non ne amano neppure la brevità, poiché non desiderano che abbia fine.
Solo per il fatto che questa è vita, la si ama al punto che spesso, per amore di essa, benché misera e breve, si perde quella beata ed eterna.
Agostino, Le Lettere, II, 127,1-3 ( ad Armentario e Paolina )
Ogni popolo che rifiuta il regno del Signore ( dove solamente si può essere insieme sudditi e regnare sulle proprie passioni ) e ripone la sua felicità in un regno umano, si allontana dai santi.
Fratelli miei, non riferite questo ai soli giudei! …
Intendete questa lontananza come lontananza del cuore e non del corpo.
Accade infatti, spesso, che uno, lontano da te con il corpo, sia invece unito a te perché ama ciò che ami tu.
Non differisce, costui, da uno che ti sta vicino e che sia unito a te, amando ciò che tu ami.
Capita però, e anche sovente, che sia lontano da te uno che pur ti sta vicino.
É quando l'altro ama il mondo, mentre tu ami Dio.
Agostino, Esposizioni sui Salmi, 56,2
Se i magi fanno un sì lungo viaggio per vederlo ancora bambino, quale scusa puoi invocare per giustificare il tuo rifiuto di fare tre passi per visitarlo mentre è malato o è in prigione?
I nostri stessi nemici ci destano compassione, quando sono ammalati o prigionieri: e tu osi non aver compassione per il tuo Signore, che pure ti ha fatto tante grazie, quando lo vedi in queste condizioni?
I magi gli donarono dell'oro e tu trovi faticoso dargli un po' di pane.
Quando videro la stella, essi furono rapiti dalla gioia.
Ebbene, tu vedi innanzi a te Gesù Cristo senza abiti, senza un ricovero, e non ti commuovi minimamente!
Chi di voi, dopo aver ricevuto infinite grazie da Cristo, ha compiuto per lui un lungo cammino come quello compiuto da questi stranieri, da questi barbari, che mostrarono di essere più sapienti dei sapienti stessi?
Ma che dico, un lungo cammino!
La maggior parte delle donne di oggi vivono in tali mollezze, che non sono capaci di attraversare nemmeno una via per venire ad adorarlo su questa sacra mangiatoia che è l'altare, e si fanno trasportare dalle mule, mentre gli altri che non fanno fatica a compiere qualche passo, preferiscono muoversi per i loro innumerevoli affari mondani e per andare al teatro, non alla chiesa.
Come? I magi fanno un viaggio così faticoso prima di vedere il Salvatore, e tu non vuoi imitarli, neppure dopo averlo visto?
Tu preferisci lasciarlo subito per correre agli spettacoli.
Tu abbandoni Cristo che vedi coricato sulla mangiatoia per correre a vedere donne sulla scena.
Quali pene saranno degne di punire una simile follia?
Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di san Matteo, 7,5
Non dobbiamo amare il mondo e le cose del mondo.
Esse sono le cupidigie carnali, la cupidigia degli occhi, l'ambizione degli onori mondani.
Sono tre realtà di fronte alle quali nessuno dica: non è opera di Dio tutto ciò che è nel mondo?
Non sono opera di Dio il cielo, la terra, il mare, il sole, la luna, le stelle, ornamento dei cieli?
E i pesci non sono l'ornamento del mare?
Così dicasi per la terra degli animali, degli alberi, degli uccelli.
Queste realtà sono nel mondo e le ha fatte il Signore.
Perché allora non dovrei amare ciò che Dio ha fatto?
Lo Spirito del Signore ti aiuti a vedere realmente queste cose buone; ma guai a te se amerai le creature e abbandonerai il Creatore.
Queste cose ti appaiono belle, ma quanto più bello sarà l'autore della loro bellezza?
Cercate di comprendermi, fratelli carissimi.
I paragoni possono servire a istruirvi, onde Satana non vi tragga in inganno, mettendovi davanti questa obiezione: nelle creature di Dio non vi è altro che bene; non per altro egli le avrebbe create che per arrecarvi del bene.
Molti si lasciano persuadere a loro perdizione e dimenticano il Creatore: quando delle creature si fa un uso smodato, si reca offesa al Creatore.
Di costoro dice l'Apostolo: Onorarono e servirono le creature invece del Creatore, che è benedetto nei secoli ( Rm 1,25 ).
No! Dio non ti proibisce di amare le sue creature, ma ti proibisce di amarle allo scopo di ottenere da esse la felicità.
Non è proibito invece accettare e ammirare le creature per amare il Creatore.
Fratelli, ponete che uno sposo fabbricasse l'anello destinato alla sposa e questa amasse di più l'anello che non il suo sposo che lo costruì; forse che attraverso quel dono non risulterebbe che la sposa ha un cuore adultero anche se essa ama ciò che è dono del suo sposo?
Certo, essa ama ciò che ha fatto il suo sposo, ma se dicesse: a me basta il suo anello e non mi interessa affatto di vedere lui, che sposa sarebbe mai costei?
Chi non detesterebbe la sua insulsaggine?
Chi non porrebbe sotto accusa quest'animo da adultera?
Invece del marito, tu che sei la sua sposa, ami l'oro, ami un anello; se tali sono i tuoi sentimenti da amare un anello invece del tuo sposo e lui non vuoi neppure vederlo, significa che egli ti ha dato questo dono in caparra non per possederti, ma per perderti.
Lo scopo per cui un fidanzato offre un dono come caparra, è di assicurarsi l'amore della sposa per mezzo di quel dono.
Dio ti ha dunque dato le cose create, ma perché tu amassi chi le ha fatte.
Egli ti vuole dare assai di più, cioè vuole darti se stesso.
Ma se avrai amato le cose, pur fatte da Dio, se avrai trascurato il loro Creatore per amare il mondo, il tuo non può essere giudicato altro che un amore adultero.
Agostino, Commento alla prima lettera di san Giovanni, 2,11
Attenti, o carissimi, ai fiumi di Babilonia!
Sono fiumi di Babilonia tutte le cose che quaggiù si amano, e passano.
Uno, non so chi, ama, per esempio, l'agricoltura: dedicarvisi, arricchirvisi, metterci tutta l'anima e averne piacere: badi alla fine, e vedrà come ciò che ama non è il bastione di Gerusalemme, ma un fiume di Babilonia.
Un altro dice: grande cosa è la vita militare: tutti i contadini temono i soldati, sono pieni di ossequi e di tremore di fronte a loro.
Se diventerò contadino, avrò paura del militare; se diventerò militare, il contadino avrà paura di me.
O stolto! Ti sei gettato in un altro fiume di Babilonia, anzi più tumultuoso e rapido.
Se vuoi che il minore ti tema, temi chi è maggiore: chi ti teme può diventare all'improvviso maggiore di te; non ci sarà mai invece qualcuno minore di te che tu debba temere.
Essere avvocato, dice un altro, è una gran bella cosa: l'eloquenza è un potere: tutti sono raccolti e pendono dalla bocca del loro eloquente patrono, dalla sua lingua sperano o danni o guadagni, o morte o vita, o rovina o salvezza.
Non sai dove ti sei gettato: questo è un altro fiume di Babilonia; fiume fragoroso che mugghia e percuote le pietre.
Attento che scorre, attento che è rapido: se non lo noti, bada, ti porta via.
Imbarcarsi e darsi al commercio, dice un altro, è una gran bella professione: conoscere molte province, ovunque guadagnare, non essere soggetto, in città, a nessun potente, viaggiare sempre, pascere l'animo nella varietà di occupazioni e di nazioni, e tornare infine ricco per l'aumento del capitale.
Questo è un fiume di Babilonia. I tuoi guadagni, quando saranno certi?
Quando potrai farci conto, quando sarai sicuro di ciò che acquisti?
Più sarai ricco, più sarai preoccupato: per un solo naufragio resterai nudo e piangerai te stesso in quel fiume di Babilonia, per non aver voluto sederti e piangere su di esso.
Ma gli altri, i cittadini della santa Gerusalemme, che comprendono il proprio stato di schiavitù, badano ai voti umani, alle diverse brame degli uomini che trascinano qua e là, che travolgono e sospingono al mare: vedono tutto ciò e non si mettono nei fiumi di Babilonia.
Ma siedono alla loro riva e piangono su quei fiumi: piangono o quelli che ne vengono trascinati, o piangono se stessi che hanno meritato di essere a Babilonia.
Ma seduti, cioè con umiltà. Sui fiumi di Babilonia ci sedemmo e piangemmo, ricordandoci di Sion ( Sal 137,1 ).
O santa Sion, ove tutto è fermo e nulla scorre!
Chi ci ha precipitato in questi fiumi?
Perché abbiamo abbandonato il tuo fondatore e la tua società?
Ecco, qui tra ciò che passa e scorre, a stento qualcuno si salva se può afferrare il legno.
Umiliati perciò nella nostra schiavitù sediamo alle rive dei fiumi di Babilonia e non osiamo gettarci tra le loro onde; e non osiamo, nella tristezza e nel male di questa nostra schiavitù, innalzarci per superbia, ma sediamo, e così piangiamo.
Agostino, Esposizioni sui Salmi, 137,3-4
Ti metto in guardia, e te ne scongiuro con lacrime e gemiti: finché su questa terra siamo in corsa, non portiamoci addosso due tuniche ( voglio dire: una doppia fede ); non appesantiamoci i piedi con scarpe di cuoio ( intendo dire: con opere morte ); non ci curvi verso terra una bisaccia colma di ricchezze e non appoggiamoci a un bastone qual è quello della potenza temporale.
Non crediamo di poter tenere contemporaneamente l'anima su Cristo e sul mondo.
Le cose brevi e caduche, invece, posponiamole a quelle eterne!
E poiché ogni giorno - mi riferisco al corpo - sentiamo di morire un po', non illudiamoci di essere eterni per il resto.
Solo così potremo essere immortali.
Girolamo, Le Lettere, 23,4 ( a Marcella )
La legge eterna comanda di distogliere l'amore dalle realtà temporali, di purificarlo e rivolgerlo ai beni eterni.
E cosa pensi che comandi la legge temporale?
Solamente che gli uomini, quando si attaccano col desiderio ai beni che per un po' di tempo possiamo dire i nostri, li posseggano a patto che la pace e l'umana società siano salve, in quanto possono restar salve in tali cose.
Questi beni sono, anzitutto, il corpo e i suoi beni, come la salute, l'acume dei sensi, le forze, la bellezza e altri, sia necessari alle buone arti, e perciò da maggiormente valutare, sia più vili.
Poi la libertà, che non è vera se non tra i beati e gli osservatori della legge eterna; ma ora parlo della libertà per cui si ritengono liberi coloro che non soggiacciono ad altri uomini, la libertà che desiderano gli schiavi, i quali aspirano a ottenere la liberazione dai loro padroni.
E poi i genitori, i fratelli, la sposa, figli, parenti, cognati, servi e tutti coloro che sono a noi legati.
E infine la stessa città, che si considera di solito come genitrice; gli onori, le lodi e quello che viene detto buon nome tra la gente.
E infine il denaro, parola che significa tutto ciò su cui abbiamo diritto, di cui sembriamo disporre liberamente, vendendo e donando.
Come, fra tutti questi beni, la legge umana distribuisca a ciascuno il suo, è difficile e lungo spiegarvelo, e ovviamente non necessario al nostro proposito.
Basta infatti notare che la potestà di tale legge, nel punire, non si spinge oltre a limitare o togliere, al colpevole, questi beni o qualcosa di essi.
Il suo potere coercitivo, dunque, si fonda sul timore: per ottenere ciò che intende, essa tribola e angustia l'animo dei miseri, per reggere i quali è prevista.
Essi infatti temono di perdere tali beni, e perciò usandone si attengono a un modulo adatto al vincolo sociale, quale può essere costituito da gente di tal fatta.
Non punisce dunque la colpa di amare questi beni, ma la colpa di toglierli ingiustamente agli altri …
Di essi, uno fa uso cattivo, un altro fa uso buono.
E chi ne fa cattivo uso, si attacca e lega ad essi, cioè si assoggetta alle cose che dovevano essergli soggette, e ritiene proprio bene quelle realtà, nell'ordinare e giustamente usare le quali doveva consistere il suo bene.
Quegli invece che ne fa buon uso, mostra che sono beni, ma non per sé; infatti non lo rendono buono o migliore, ma da lui vengono rese buone; e perciò egli non si attacca ad esse facendone quasi membra del suo animo - ciò che fa l'amore -, e quando cominceranno ad amputargliele, egli non verrà meno per il dolore e l'angoscia. No!
Elevato al di sopra di esse, sarà pronto ad averle e reggerle, quando sarà necessario, e sarà più pronto ancora a perderle e non averle.
Stando dunque così le cose, pensi forse di accusare l'argento e l'oro perché ci sono degli avari, o il cibo perché ci sono dei golosi, o il vino per gli ubriaconi, o la bellezza femminile per gli impudichi e gli adulteri?
E tutto a questo modo, tanto più che, lo vedi, il medico usa bene del fuoco, mentre chi prepara un veleno fa un uso scellerato del pane …
Abbiamo compreso dunque, penso, a che vale la legge eterna, e abbiamo scoperto fino a che punto la legge temporale possa spingersi nel castigare.
Abbiamo distinti abbastanza chiaramente due generi di realtà: eterne e temporali; e due generi di uomini: quelli che seguono e amano i beni eterni, e quelli che bramano invece i beni temporali.
E ciò che ciascuno elegge di seguire e abbracciare è riposto nella sua volontà; e nulla, se non la volontà, può cacciare lo spirito dalla rocca dove domina, può farlo deflettere dal retto ordine; ed è chiaro che non si deve rimproverare nessuna realtà quando qualcuno ne usa male, ma colui che ne usa male.
Agostino, Il libero arbitrio, 1, 32-34
L'umana natura ha in sé questo vizio - non postole dal Creatore ma contratto dal primo prevaricatore e trasfuso nei posteri per legge genetica -: dal corpo corruttibile sorge anche ciò che può corrompere l'anima.
Per questo l'uomo interiore, benché già rigenerato in Cristo e liberato dai ceppi della schiavitù, sostiene un conflitto assiduo contro la carne, e mentre ne comprime le brame, ne esperimenta la ribellione.
In questo contrasto non si ottiene facilmente una vittoria tanto perfetta da non restare avvinti dai legami che si vogliono spezzare, né feriti dagli incentivi che si vogliono uccidere.
Per quanto l'animo compia con sapienza e preveggenza il suo ufficio di giudice sui sensi esteriori, tra la preoccupazione e la discrezione nel reggere e sostenere la carne, troppo vicina gli è sempre la tentazione.
Chi infatti sa tanto staccarsi dal piacere o dal dolore del corpo che il suo spirito non resti neppure toccato da ciò che esteriormente o accarezza o affligge?
La gioia non è divisa, la tristezza non è distinta nell'uomo: tutto intero lo accende l'ira, lo sopraffà la gioia, lo abbatte lo sconforto.
E come ci si può tenere lontano dal peccato se uguali sono gli impulsi dell'animo che governa e del corpo a lui suddito?
A ragione il Signore protesta che lo spirito è pronto, ma la carne è debole ( Mt 26,41 ).
Ma perché la disperazione non ci porti all'inerzia e alla pigrizia, egli promette come possibile, per virtù divina, ciò che è impossibile all'uomo per la debolezza propria: É angusta, infatti, la via che conduce alla vita ( Mt 7,14 ).
E nessuno potrebbe entrare in essa, nessuno potrebbe in essa muovere il passo, se Cristo non ci avesse aperto un transito tanto difficile facendo se stesso via: così il Creatore della strada diventa possibilità di camminare, introduce alla fatica del viaggio e conduce al riposo finale.
Colui che è per noi speranza di vita eterna, è anche modello di pazienza; infatti se con lui patiamo, con lui regneremo ( 2 Tm 2,12; Rm 8,17 ); poiché, come dice l'apostolo: Chi dice di restare in Cristo, deve camminare come egli camminò ( 1 Gv 2,6 ).
La nostra professione è un'apparenza falsa, se non seguiamo i precetti di colui, del cui nome ci gloriamo; precetti che non ci sarebbero certo gravosi e ci libererebbero da ogni pericolo, se noi non amassimo altro, se non ciò che ci comandano di amare.
Due infatti sono gli amori da cui procedono tutte le determinazioni umane; e sono tanto diversi in sé, quanto sono diversi i loro oggetti.
L'animo razionale, che non può restar senza amare, ama o Dio o il mondo.
Nell'amore di Dio, nulla è troppo; nell'amore del mondo, tutto è troppo e nocivo.
Perciò dobbiamo attaccarci per sempre ai beni eterni, e usare invece dei beni temporali solamente di passaggio; così a noi, che peregriniamo e ci affrettiamo a tornare in patria, qualsiasi forma di benessere in questo mondo serva come cibo per il viaggio, non come attrattiva di una fissa dimora.
Per questo il beato Apostolo ci predica: Il tempo è breve; ormai chi ha moglie, sia come se non la avesse; e chi piange, come se non piangesse; e chi gode, come se non godesse; e chi compera, come se nulla possedesse; e chi usa di questo mondo, come se non ne usasse: passa infatti la figura di questo mondo ( 1 Cor 7,29-31 ).
Ma da ciò che blandisce con la bellezza, l'abbondanza e la varietà non ci si allontana facilmente, se in tale bellezza non si ama il Creatore delle realtà visibili piuttosto che la creatura; egli, dicendo: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, e con tutte le tue forze ( Mt 22,37 ), esige che noi non ci sciogliamo in nulla dal vincolo del suo amore.
E unendo a questo precetto quello dell'amore per il prossimo ci propone l'esempio della sua bontà, perché noi amiamo ciò che egli ama e operiamo come egli opera.
Infatti, pur essendo noi campi coltivati da Dio, edifici innalzati da Dio ( 1 Cor 3,9 ), e quantunque né chi pianta sia qualcosa, né chi irriga, ma colui che dà la crescita, Dio ( 1 Cor 3,7 ), egli esige in tutto la prestazione del nostro servizio e vuole che noi siamo dispensatori dei suoi doni, perché così chi porta in sé l'immagine di Dio fa la volontà di Dio.
Per questo nella preghiera del Signore pronunciamo le parole sacratissime: Venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra ( Mt 6,10 ).
Con queste parole, che altro chiediamo se non che Dio assoggetti a sé chi ancora non gli è soggetto, e faccia gli uomini in terra servi della sua volontà, come lo sono gli angeli in cielo?
Chiedendo ciò, amiamo Dio e amiamo il prossimo: unico è in noi e non distinto l'amore, quando desideriamo che il servo serva e che il Signore imperi.
Leone Magno, Sermoni, 90,1-3
Io mi sono scrollato di dosso tutte le passioni, da quando mi sono schierato con Cristo, e nulla più mi attrae di ciò che è gradito e ricercato dagli altri: non la ricchezza, che ti trascina in alto e ti travolge; non i piaceri del ventre o l'ubriachezza, madre di arroganza; non le vesti molli e vaporose, non lo splendore e la grazia delle gemme, non la fama seducente né il profumo effeminante né gli applausi delle genti e dei teatri, che da tempo abbiamo lasciato a chi li vuole; non tutto ciò che ha tratto origine dalla peccaminosa degustazione che ci ha rovinati.
Invece riconosco la grande dabbenaggine di coloro che si lasciano dominare da queste cose e permettono che la nobiltà della loro anima sia devastata da tali piccinerie; si danno tutti a realtà fugaci come fossero stabili.
Gregorio di Nazianzo, In lode di san Cipriano, 3
Quale grave sacrificio impone la vita eterna ai suoi amanti, quando esige di essere amata allo stesso modo che questa nostra vita è amata dai suoi innamorati?
É forse cosa degna o almeno tollerabile che, mentre si trascurano tutte le cose che si amano nel mondo per poter conservare la vita destinata dopo un breve spazio a finire, per conservarla - dico - almeno per quel breve spazio nel mondo, non si disprezzi egualmente il mondo, per conseguire la vita che è senza fine presso colui dal quale fu creato il mondo?
Or non è molto, quando Roma medesima, sede della potenza più famosa del mondo, era devastata dall'invasione dei barbari [ i visigoti condotti da Alarico, nell'anno 410 ], quante persone innamorate di questa vita temporale, pur di prolungarla nell'infelicità e riscattarla nella miseria, donarono tutti i beni che avevano in serbo non solo per renderla piacevole e bella, ma per sostentarla e proteggerla?
Certo gli innamorati sono soliti recare molti doni alle donne che amano, per possederle; costoro invece non possederebbero la loro amata, se amandola non l'avessero resa povera, né le farebbero molti doni, ma piuttosto la spoglierebbero di tutto, per non farsela portare via dal nemico.
Ma io non voglio biasimare la loro perspicacia: chi ignora infatti che essa sarebbe perita se non fossero stati distrutti quei beni già messi in serbo per lei?
Con tutto ciò, alcuni hanno perso prima questi tesori e subito dopo l'amata; altri, pur disposti a perdere ogni bene per amore di lei, l'hanno persa prima.
Da questi esempi dobbiamo trarre monito per ricordarci quali ardenti innamorati dobbiamo essere della vita eterna, sì da disprezzare, per amore di essa, ogni cosa superflua, dal momento che per questa vita transitoria furono disprezzati perfino i beni ad essa indispensabili.
Noi invece non spogliamo, come fanno quelli, la nostra amata per conservarla, ma, per ottenere la vita eterna, facciamo servire la vita temporale come un'ancella più libera da impedimenti, se non la teniamo legata con vincoli di ornamenti inutili e non l'appesantiamo con fardelli di pensieri dannosi, ma porgiamo ascolto al Signore, che ci promette nel modo più veridico la vita eterna degna d'essere desiderata con ardentissimo amore e che ci grida come in un'assemblea di tutto il mondo: Venite da me, voi tutti che siete affaticati e stanchi e io vi ristorerò.
Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me, perché sono mite e umile di cuore, e troverete pace per le anime vostre; poiché il mio giogo è soave e il mio carico è leggero ( Mt 11,28-30 ).
Questa lezione di santa umiltà scaccia dall'animo la vana e torbida cupidigia, avida di beni non sottoposti al nostro potere, e in qualche modo la fa esalare.
Ci si affanna infatti quando si ricercano e amano molti beni, per il cui acquisto e possesso non è sufficiente la volontà, poiché non ha il potere necessario a raggiungerli.
La vita giusta, invece, noi l'abbiamo quando la vogliamo, giacché il volerla pienamente è già la giustizia, e la giustizia, per essere perfetta, non richiede altro che una perfetta volontà.
Guarda se c'è fatica, dove è sufficiente il volere.
Ecco perché divinamente fu detto: Pace in terra agli uomini di buona volontà ( Lc 2,14 ).
Dov'è pace, ivi è tranquillità, ivi è il termine di ogni desiderio e non c'è alcun motivo di penare.
Ma a far sì che questa volontà sia piena, occorre che sia sana; sarà sana poi se non respingerà il medico per grazia del quale soltanto può esser risanata dal male di desideri nocivi.
Orbene, il medico è proprio colui che ad alta voce proclama: Venite da me voi tutti che siete affaticati, e dice che il suo giogo è dolce e lieve il suo peso, poiché quando per mezzo dello Spirito Santo sarà stata diffusa la carità nei nostri cuori ( Rm 5,5 ), si amerà certo ciò che ci verrà comandato; il giogo di Cristo non sarà duro né gravoso, se sotto questo unico giogo quanto meno superbamente tanto più liberamente serviremo Dio.
Questo è l'unico fardello da cui il portatore non è aggravato, ma alleviato.
Se si ama la ricchezza, venga custodita là dove non può perire; se si ama l'onore, lo si riponga là dove non è onorato se non chi lo merita; se si ama la salute, si aspiri a conseguirla là dove per essa non si teme più quando si sia ottenuta; se si ama la vita, la si acquisti là dove non è troncata da nessuna morte.
Agostino, Le Lettere, II, 127,4-5 ( ad Armentario e Paolina )
I cristiani non si distinguono dagli altri uomini, né per territorio, né per lingua, né per modo di vivere.
Essi non abitano città loro proprie, non usano un linguaggio particolare né conducono un singolare genere di vita.
La loro dottrina non è conquista del genio inventivo o della riflessione di uomini irrequieti; né essi professano, come fanno alcuni, un sistema filosofico umano.
Abitando in città civili o barbare, come a ciascuno è capitato, e seguendo gli usi del paese nel vestito, nel cibo e in tutto il resto del vivere, danno prova di una forma di vita sociale meravigliosa che, a detta di tutti, ha dell'incredibile.
Abitano la loro patria, ma come pellegrini; prendono parte a tutto come cittadini e si sottomettono a tutto come stranieri.
Ogni terra straniera è loro patria e ogni patria è, per loro, terra straniera.
Si sposano come tutti gli altri e hanno figli, ma non abbandonano i neonati.
Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne.
Dimorano sulla terra, ma sono cittadini del cielo.
Obbediscono alle leggi stabilite, ma con il loro tenore di vita vanno molto al di là.
Amano tutti e da tutti vengono perseguitati.
Non sono capiti, e vengono condannati; sono messi a morte, e ne ricevono vita.
Sono poveri, e arricchiscono molti; sono privi di tutto, e di tutto abbondano.
Sono disprezzati, e nel disprezzo trovano gloria; vengono calunniati, e si aggiunge testimonianza alla loro innocenza.
Sono ingiuriati, e benedicono; trattati con violenza, rendono onore.
Quando fanno del bene, sono puniti come dei malfattori; e anche allora godono, quasi si dia loro vita.
I giudei li combattono come gente straniera, e i greci li perseguitano; ma chi li odia non sa dire il perché.
In breve, i cristiani sono nel mondo ciò che l'anima è nel corpo.
L'anima è in tutte le parti del corpo, e anche i cristiani sono sparsi in tutte le città del mondo.
L'anima abita nel corpo, ma non è del corpo: anche i cristiani abitano nel mondo, ma non sono del mondo …
Questo è il posto di combattimento che Dio ha loro assegnato, e non è loro permesso di disertarlo.
Lettera a Diogneto , 5-6
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