Teologia dei Padri |
Tutti siamo accomunati dal dolore, ma il motivo ne è diverso.
Uno soffre per la moglie, uno per il figlio, un altro per il servo, un altro per l'amico, un altro per il nemico, un altro ancora per il vicino e un altro per una perdita: molti e diversi sono i motivi di sofferenza e non si può trovare proprio nessuno che sia esente da dolore e da angustia, anche se uno ha da soffrire poco e un altro ha da soffrire molto.
Non restiamone dunque costernati e non crediamo di essere noi soli a soffrire.
Non vi è nessuno, che sia uomo, che conduca questa vita mortale, libero dal dolore; se non oggi, domani; se non domani, in seguito gli sopraggiungerà la sofferenza.
Come non è possibile che sia privo di angoscia chi naviga, dico chi naviga in alto mare, così chi vive questa vita non è possibile che sia privo di preoccupazioni; anche se lo dicessi ricco, proprio perché ricco ha molti motivi di ambire; anche se lo dicessi re, anch'egli è soggetto a molte necessità e non fa tutto come pensa, ma viene gratificato di molte cose che non gli vanno; anzi, più di tutti, proprio lui fa quello che non vuole.
Ma come? Perché sono molti quelli che vogliono impossessarsi di ciò che ha.
Renditi conto in quali angustie si trova quando vuol fare qualcosa e non lo può, o per paura o per sospetti, o per i nemici o per gli amici.
Spesso, poi, quando si è messo a fare qualcosa che realmente gli va, tutto il piacere della sua azione gli viene distrutto, perché molti sono coloro che in ciò lo avversano.
Ma che? Credi che quelli che passano la loro vita lontano dagli affari siano privi di dolore? Non è così.
Come non è possibile che un uomo sia immortale, così non è possibile che sia libero dalla sofferenza.
Quante angustie devono sopportare, e non è loro possibile neppure parlarne agli altri: devono esperimentare da soli la loro situazione.
Mille e mille hanno desiderato di morire anche tra le ricchezze, anche tra i piaceri.
I piaceri non liberano affatto dal dolore; anzi proprio essi partoriscono in quantità sofferenze, malattie e fastidi; e prescindendo da ciò, si soffre spesso senza motivo.
Quando l'anima infatti è immersa in una data condizione può star male così, da sola.
Dicono del resto i medici che la debolezza di stomaco può originare sofferenze moleste e intempestive.
E non avviene anche a noi che a volte siamo di malumore e non vediamo il motivo del nostro turbamento?
Davvero, non si può trovare nessuno libero dal dolore e se qualcuno non ha motivo come noi di soffrire, ciascuno crede di averne non meno e soffre più per i dolori propri che per gli altrui.
Come quelli che soffrono in una parte del corpo pensano di penare più degli altri - chi è ammalato d'occhi crede che non vi sia altro dolore come il suo, chi è ammalato di stomaco, dice che questa è la sofferenza peggiore e ciascuno ritiene che il suo malanno sia il più molesto di tutti - così anche per le altre sofferenze: ciascuno è convinto che la più acuta sia proprio quella che lo preme.
Giudica infatti secondo l'esperienza propria.
Per esempio, chi non ha figli, pensa che nulla sia peggio di non aver figli; chi ne ha molti ed è povero, contro nulla inveisce quanto contro la prole numerosa; chi ne ha uno, nulla ritiene più infausto che averne uno solo.
Ne deriva, dice, neghittosità al ragazzo, che prepara non pochi dolori al padre; e il padre, per quanto lo ami ardentemente, non riesce a plasmarlo e mutarlo.
Chi ha una moglie bella, sostiene che nulla è peggio di avere una moglie bella.
É una situazione piena di pericolo e di sospetti; chi l'ha brutta, dice che nulla è peggio di avere una moglie brutta: è una situazione piena di spiacevolezza.
Chi conduce una vita privata, dice che nulla è più inutile e noioso di tale vita; il soldato dice che nulla è più faticoso e pericoloso della vita militare: sarebbe meglio vivere di pane e di acqua che sopportare tali gravami.
Chi comanda, dice che nulla è più pesante ché prendersi cura degli altri; chi è comandato, che nulla è più basso e servile che esser soggetti al volere altrui.
Chi è sposato, dice che nulla è peggio della moglie e dei pensieri della famiglia; chi non è sposato, che per un uomo indipendente nulla è peggio del celibato, della privazione di una casa e della pace domestica.
Il commerciante proclama beato il contadino per la sua tranquillità, il contadino proclama beato il commerciante per la sua ricchezza.
In ultima analisi: la razza umana è una razza scontenta, querula, avvilita.
Ogni qualvolta si mette a condannare lo stato umano, sostiene che l'uomo è un nulla, che tutta la natura è oppressa dalla fatica e dall'afflizione.
Quanti ammirano la vecchiaia? Quanti proclamano beata la giovinezza?
Così anche l'età è fonte di grande scontento.
Quando, per la nostra età, ci sentiamo rimproverare, diciamo: « Perché non siamo vecchi? ».
Quando il nostro capo si fa canuto esclamiamo: « Dove se n'è andata la giovinezza? ».
E mille cause abbiamo di dolerci.
Una sola è la via che pone termine a tanti mali, quella della virtù; anzi, anch'essa ha la sua sofferenza, ma è una sofferenza non inutile, che reca guadagno e vantaggio.
Giovanni Crisostomo, Omelie sulla seconda lettera a Timoteo, 1,2-3
Ma dimmi: che vedi di bello nella vita? Considera ciò che in essa si osserva.
Non ti ripeto la parola del profeta: Ogni carne è fieno ( Is 40,6 ): con questo paragone egli abbellisce la miseria della natura: sarebbe forse meglio che fosse fieno, piuttosto di essere ciò che è.
Perché? Perché il fieno non ha da natura nulla di spiacevole, mentre la nostra carne è una fabbrica di fetore, che trasforma in putridume tutto ciò che riceve.
Quale pena è più molesta che dover essere tutto il tempo soggetti al servizio del ventre?
Guardate questo esattore assiduo, il ventre dico, che ogni giorno ci impone la necessità di pagare il tributo!
E se una volta versiamo più di ciò che è stabilito, non abbiamo soddisfatto per nulla al debito futuro.
Proprio come gli animali si affaticano al mulino, così anche noi, con gli occhi bendati, tiriamo intorno la mola della vita, rifacendo sempre lo stesso cammino e ritornando sempre sugli stessi passi.
Ti spiego in che consiste questo giro chiuso: appetito, sazietà, sonno, veglia, evacuazione.
Sempre, dopo quello questo, e dopo questo quello; e di nuovo lo stesso, e non cessiamo di percorrere l'identico giro, fino a quando non finiamo fuori dal mulino.
Un bel paragone ha usato Salomone chiamando la vita un orcio perforato e una casa altrui.
É davvero una casa altrui, e non nostra, perché non sta in noi permanervi quando vogliamo e fino a quando bramiamo; invece vi entriamo, e non sappiamo come; traslochiamo, e non sappiamo quando.
Puoi comprendere inoltre l'allusione all'orcio se osservi l'insaziabilità dei desideri.
Vedi come gli uomini continuano ad attingere onori, potere, gloria e tutto il resto; ma scorre via ciò che vi pongono, e al possessore non resta nulla.
La ricerca della gloria, del potere e dell'onore è sempre attiva, ma l'orcio del desiderio resta sempre vuoto.
Gregorio di Nissa, Discorso funebre per Placilla
Camminavo dunque da me solo, sul declinare del giorno; passeggiavo sulla riva del mare.
Sono solito alleviare la fatica con questo genere di distrazioni, perché anche il nervo dell'arco non sopporta la tensione continua ed è necessario allentarne talvolta le tacche alle estremità, se dev'essere di nuovo teso e non risultare inutile per l'arciere, privo di efficacia al momento del bisogno.
Procedevo, dunque, e i piedi mi portavano, mentre gli occhi si posavano sul mare.
Ma non era dolce quello spettacolo, che pur spesso è tanto soave, quando nella calma l'acqua si tinge di porpora e gioca dolce e lieve con le sponde.
Come era allora? Uso volentieri le parole della Scrittura: soffiando un gran vento, il mare si innalzava ( Gv 6,18 ) e fremeva; le onde, come avviene in queste burrasche, ora ingigantivano e si gonfiavano, poi scendevano e si dissolvevano alla spiaggia; ora invece percuotevano gli scogli vicini, vi si infrangevano e si polverizzavano in una spuma effervescente e leggera.
Venivano gettate fuori, quasi sputate, pietruzze, alghe, conchiglie, e piccole ostriche; e non poche venivano trascinate via di nuovo, travolte dalle onde.
Ma gli scogli restavano fissi e immobili, come se nulla li disturbasse, fuorché le frustate delle onde.
Compresi che da ciò potevo ricavare utile per il mio spirito; e siccome sono abituato a riferir tutto a me stesso, in particolare davanti agli eventi che, come quello, mi danno le vertigini, non accolsi lo spettacolo con leggerezza e negligenza, ma quella scena mi fu d'ammaestramento.
Ma dunque, dicevo a me stesso, il mare non è la nostra vita e la realtà umana?
Vi è pur tanta amarezza e agitazione!
E i venti non sono le tentazioni che ci assalgono e gli avvenimenti imprevisti?
Mi sembra che anche Davide lo abbia notato, quando disse: Salvami, o Signore, perché le acque sono entrate fino all'anima mia ( Sal 69,2 ); e: Liberami dalle acque profonde ( Sal 69,13 ); e ancora: Sono giunto nel profondo del mare e la tempesta mi ha sommerso ( Sal 69,3 ).
Alcuni di coloro che vengono tentati mi parve che si lascino trasportare come oggetti leggerissimi, esanimi, senza opporre la minima resistenza alle avversità: non hanno in sé la minima fermezza, non hanno il peso di un saggio meditare che si opponga agli eventi.
Gli altri invece mi apparvero come una roccia, degni di quella Roccia su cui ci basiamo e che adoriamo [ cioè Cristo ]: quelli cioè che usano saggiamente la ragione e, innalzatisi al di sopra della limitatezza della massa, sopportano tutto imperturbabili e irremovibili, mentre si ridono oppure hanno compassione di coloro che vengono travolti ( se ne ridono per la loro saggezza e ne hanno pietà per la loro amorevolezza ).
Essi ritengono vergognoso disprezzare i pericoli quando sono lontani e affermare che non sono pericoli, e invece quando si presentano venir meno, come se non fossero passeggeri ma permanenti; e anche ritengono vergognoso filosofare fuori tempo e perder tutta la filosofia quando ce n'è bisogno, come uno che si credesse l'atleta migliore, senza neppure discendere nello stadio, o il nocchiero più celebre, vantando la propria perizia nella calma e deponendo il timone nelle tempeste.
Gregorio di Nazianzo, Discorso dopo il suo ritorno dalla campagna, 8-10
Invocami nel giorno della tribolazione; ti libererò e tu mi glorificherai ( Sal 50,15 ).
Per questo ho permesso che venisse per te il giorno della tribolazione; perché, forse, se tu non l'avessi conosciuta, non mi invocheresti; ma siccome soffri, mi invochi; siccome mi invochi, io ti salverò; siccome ti salverò, tu mi glorificherai e non ti allontanerai più da me …
Certamente, fratelli, le tribolazioni sono conosciute da tutti.
Ecco quelle che abbondano nel genere umano: uno piange il danno subìto, un altro versa lacrime per qualche lutto crudele, un altro è triste perché è esule dalla patria, desidera tornare e ritiene intollerabile l'esilio; un altro ha avuto la vigna colpita dalla grandine, ed egli guarda le sue fatiche, e vede che tutta la sua opera è stata vana.
Quand'è che l'uomo non si rattrista?
Sopporta inimicizia da parte dell'amico.
Quale miseria maggiore di questa nel genere umano?
Tutti conoscono simili sofferenze, e si dolgono, e queste sono vere tribolazioni.
In tali tribolazioni invocano il Signore, e fanno bene.
Invochino Dio; lui solo può insegnarci a sopportare o guarire questo male.
Egli sa che non possiamo essere tentati oltre la misura delle nostre forze.
Invochiamo Dio anche in queste tribolazioni; ma queste sono le tribolazioni che vengono esse stesse a cercarci, come sta scritto in un altro salmo: Aiuto nelle tribolazioni che pesantemente ci sono capitate ( Sal 46,2 ).
C'è infatti una tribolazione che noi stessi dobbiamo trovare.
Ci capitino pure delle tribolazioni; ma ce n'è una che dobbiamo cercare e trovare noi stessi.
Di che cosa si tratta? Non parlo di quello che in questo mondo è detto felicità, l'abbondanza dei beni temporali: non si tratta in tal caso di una tribolazione, ma di un sollievo alla nostra sofferenza.
Di che sofferenza si tratta dunque?
Di quella connessa con il nostro esilio.
Il fatto stesso che non siamo ancora con Dio, il fatto che viviamo qui in mezzo alle tentazioni e alle persecuzioni e non possiamo vivere senza timore, ecco la nostra tribolazione.
Agostino, Esposizioni sui Salmi, 50,22
Tutti sappiamo che l'uva pende dalle viti e l'oliva dagli olivi: come pure sappiamo che è per questi due frutti che si sogliono allestire i torchi.
Orbene, fino a tanto che stanno sull'albero, tali frutti si godono, per così dire, la loro aria libera; e l'uva non è vino né l'oliva è olio finché non vengano ad essere spremute.
Così capita agli uomini che dall'eternità Dio predestinò a diventare conformi all'immagine di suo Figlio unigenito: il quale, soprattutto nella passione, ci appare come un grappolo di grandi proporzioni che viene spremuto.
Tali uomini, dunque, prima che si consacrino al servizio di Dio, nel mondo godono di una certa libertà, per molti aspetti deliziosa.
Sono come le uve o le olive ancora pendenti sull'albero.
Viceversa, la Scrittura contiene la massima: Figlio, quando ti metti al servizio di Dio, sta' saldo nella giustizia e nel timore, e disponiti alla prova ( Sir 2,1 ); perciò chi si consacra al servizio di Dio ha da sapere che è entrato nel torchio
Sarà stritolato, schiacciato, spremuto.
Non perché abbia a morire fisicamente, ma perché fluisca nei serbatoi divini.
Agostino, Esposizioni sui Salmi, 84,1
Se sei uno dei membri di Cristo, o uomo, chiunque tu sia che queste parole ascolti, chiunque tu sia che ora non ascolti ( ma devi necessariamente ascoltarle, se sei un membro di Cristo ): ebbene, qualunque cosa tu soffra da parte di coloro che non sono membra di Cristo, questo mancava alle sofferenze di Cristo.
Per questo si aggiunge, perché mancava.
E tu colmi la misura, non la fai traboccare; tanto soffri, quanto attraverso le tue sofferenze doveva essere aggiunto all'universale passione di Cristo.
Egli soffrì un tempo nella persona del nostro capo e soffre oggi nelle sue membra, cioè in tutti noi.
Ognuno di noi, secondo la sua misura limitata, paga alla comunità ( diciamo pure, alla nostra repubblica ) ciò che gli spetta e, secondo le proprie forze, aggiunge come un canone di sofferenze.
Non sarà effettuato il versamento completo della somma di sofferenza da parte di tutti, finché non finirà il mondo.
Fino a quando ammucchierete mali sopra l'uomo? ( Sal 62,4 ).
Tutto quanto hanno sofferto i profeti, dal sangue del giusto Abele fino al sangue di Zaccaria ( Mt 23,35 ), è stato ammucchiato sopra l'uomo, poiché erano membra di Cristo anche quelle che precedettero l'avvento dell'incarnazione di Cristo.
Così come nella nascita di quel tale [ Giacobbe ], quando ancora non era venuto alla luce il capo, lo precedette una mano, la quale naturalmente era unita al capo.
Non crediate dunque, o fratelli, che tutti i giusti che hanno sofferto persecuzioni, anche quelli che furono inviati prima dell'avvento del Signore ad annunziare tale venuta, non siano appartenuti alle membra di Cristo.
Come si fa, infatti, a pensare che non sia stato tra le membra di Cristo uno che apparteneva alla città che ha Cristo per re?
Tale città è una sola, la Gerusalemme celeste, la città santa; e questa unica città ha un solo re: Cristo …
Prima di incarnarsi, egli inviò avanti a sé alcune sue membra, e, dopo che la sua venuta era stata da loro annunziata, venne lui stesso, che con loro era unito.
Agostino, Esposizioni sui Salmi, 62,4
Il fatto stesso che non siamo ancora con Dio, il fatto che viviamo qui in mezzo alle tentazioni e alle persecuzioni e non possiamo vivere senza timore, ecco la nostra tribolazione.
Non è questa infatti la sicurezza che ci è stata promessa.
Chi non prova questa tribolazione connessa al suo esilio, non pensa al ritorno in patria.
Ecco la tribolazione, fratelli.
Certamente compiamo ora opere buone, quando porgiamo il pane a chi è affamato, quando accogliamo in casa l'esule: anche qui vi è tribolazione.
Troviamo infatti i miseri verso cui esercitare la nostra misericordia; e la miseria di costoro ci fa compassionevoli.
Quanto meglio sarebbe essere già là dove non troverai affamati da nutrire, ove non troverai esuli da accogliere, non ignudi da vestire, non ammalati da visitare, non litiganti da riappacificare!
Tutte le cose infatti sono colà eccelse, vere, sante, eterne.
Lassù il nostro pane è la giustizia, la nostra bevanda è la sapienza, la nostra veste è l'immortalità, la nostra casa è eterna in cielo, l'eternità è la nostra consistenza.
Forse che lassù ci coglie la malattia?
Forse che lassù la stanchezza ci spinge a dormire?
Non vi è morte, non vi è lite: ivi è pace, quiete, gioia, giustizia.
Nessun nemico vi entra, nessun amico viene meno.
Quale pace è lassù!
Se pensiamo a questo, e guardiamo ove siamo, e ove ci ha promesso che saremo colui che non sa mentire, dalla sua stessa promessa ci rendiamo conto in quale tribolazione viviamo.
Nessuno trova tale tribolazione, se non chi l'ha cercata.
Sei sano, guarda la tua miseria; con facilità, infatti, chi si ammala si rende conto della propria miseria; ebbene, quando sei sano renditi conto che sei misero , perché non sei ancora con Dio.
Agostino, Esposizioni sui Salmi, 50,22
É facile udire il lamento, accorato e partecipe, per le sofferenze corporee che affliggono i bimbi che non hanno peccati - per la loro stessa età, dato che le anime non cominciano ad esistere prima degli uomini -.
Si dice: « Cosa hanno fatto di male per soffrire tutto ciò? », come se fosse un merito l'innocenza prima che uno possa nuocere.
Ma Dio compie il bene, e vuole l'emenda degli adulti, quando li flagella con le sofferenze e la morte dei loro bambini da loro tanto amati: perché allora non dovrebbero esserci questi dolori che, quando passeranno, sarà come non fossero mai stati per coloro che ne soffrono?
Gli adulti - in vista dei quali questi dolori hanno avuto luogo - o saranno migliori se, emendati dagli affanni terreni, sceglieranno di vivere meglio, o non avranno scusa nella condanna loro inflitta al giudizio futuro se, pur tra le ansie di questa vita, non avranno voluto convertirsi al desiderio della vita eterna.
E chissà che cosa per questi bimbi, le cui sofferenze colpiscono la durezza degli adulti, né esercitano la fede e né mettono alla prova la misericordia, chissà che cosa, nel segreto dei suoi giudizi, Dio riserva in ricompensa?
Essi, pur non avendo ancora operato il bene, hanno sofferto tanto senza peccare.
Non è senza motivo che la Chiesa ha accolto nella gloria dei suoi martiri anche quei bimbi che furono uccisi quando Erode cercava il Signore Gesù Cristo per ammazzarlo.
Agostino, Il libero arbitrio, 3,68
Voi dite: I tempi sono cattivi; i tempi sono pesanti; i tempi sono difficili.
Vivete bene, e muterete i tempi; se mutate i tempi, non avrete più da lamentarvi.
Cosa sono infatti i tempi, fratelli miei?
Estensioni e rotazioni di mondi.
Il sole è sorto; passate dodici ore tramonta in un'altra parte del mondo; la prossima mattina sorgerà di nuovo.
Conta quante volte: questi sono i tempi.
Chi è stato danneggiato dal sorgere del sole?
Chi è stato danneggiato dal suo tramonto?
Dunque, il tempo non ha mai danneggiato nessuno.
Coloro che danneggiano, sono uomini; coloro che vengono danneggiati, sono uomini.
O quale grande dolore!
Gli uomini sono danneggiati, gli uomini sono derubati, gli uomini sono oppressi.
Da chi? Non dai leoni, non dai serpenti, non dagli scorpioni, ma dagli uomini.
Chi viene offeso, ne soffre.
Ma se potesse, non farebbe egli ciò che condanna?
Agostino, Discorsi, 311, 8,8
Dimmi, perché queste tribolazioni e questi flagelli? Quale ne è la ragione?
Forse la forza che muove l'universo è disordinata, irregolare, anarchica, è cioè un impeto cieco, quasi che nulla presieda alle cose e le trascini il caso, come ritengono quelli che sono stoltamente sapienti e si lasciano portare da uno spirito tenebroso e disordinato?
O piuttosto tutte le cose, come all'inizio hanno avuto l'esistenza dalla ragione e dall'ordine, così vengono contemperate, collegate e soavemente mosse come sa solo Colui che le muove, e che pure le alterna e le scambia, conducendole con la guida della Provvidenza?
Qual è dunque la causa delle carestie, degli uragani, e anche della grandine, nostro presente castigo e ammonimento?
E così dei contagi, delle malattie, dei terremoti, delle burrasche marine e dei terrori del cielo?
E come mai la creazione, fatta per il godimento degli uomini, nostro diletto comune e uguale, si muta in castigo per gli empi?
Perché così noi, che onorati dei suoi doni non ne abbiamo mostrato riconoscenza, veniamo corretti con i doni stessi, e apprendiamo la potenza di Dio da ciò che soffriamo, non avendola appresa dai suoi benefici.
E come mai alcuni ricevono dalle mani del Signore il doppio per i loro peccati ( Is 40,2 ), e la misura del male viene riempita due volte - e a questa stregua anche Israele viene corretto -, mentre altri devono accogliersi in seno il settuplo ( Sal 49,12 ) per esaurire i loro peccati?
E in che modo si è riempita la misura degli amorrei!
E come mai il peccatore o la scampa o riceve un doppio castigo?
Nel primo caso, viene riservato per l'aldilà, nel secondo, viene guarito quaggiù.
E come mai il giusto talvolta soffre?
Forse perché viene messo alla prova.
Talvolta invece se la passa bene?
Forse viene preservato dal male perché è spiritualmente debole e non sa sollevarsi al di sopra delle cose visibili.
Sulla sorte dei giusti e dei peccatori ci istruisce anche la coscienza, nostro giudice personale e imparziale.
Perché questo flagello, e per quale motivo?
É una prova della nostra virtù o una dimostrazione della nostra colpevolezza?
Dico che è meglio piegarsi sotto il castigo ( anche se le cose non stessero così ) e umiliarsi sotto la potente mano di Dio, che gonfiarsi per una presunta prova della virtù.
Questo insegnaci, questo ricordaci, perché non ci sia troppo difficile sopportare la sofferenza presente, e non ci riteniamo chissà chi, cadendo nel profondo del male ( ai più, proprio questo è successo! ), ma perché in essa ci comportiamo da saggi, e non ce ne tiriamo addosso una maggiore, comportandoci da incoscienti.
Gregorio di Nazianzo, In occasione del flagello di una grandinata, 5
Vi sono alcuni contraddittori mordaci che, pur non avendo esaminato a fondo la questione e proponendola con grande loquacità, turbano la fede dei meno istruiti.
Circa i dolori e le sofferenze degli animali essi dicono: « Cosa hanno meritato di male gli animali, per sopportare tanti guai; o cosa sperano di bene, nel dover subire tutto questo? ».
Ma dicono o sentono ciò perché è perversa la loro idea delle cose.
Non riuscendo infatti a vedere cosa sia e quanto grande sia il sommo bene, vorrebbero che tutto fosse quale essi considerano il sommo bene.
Non sono capaci di pensare a un bene maggiore dei corpi celesti, che non soggiacciono alla corruzione; per questo si lamentano, ingiustamente, che i corpi degli animali siano soggetti alla morte e alla corruzione, come se non fossero mortali, pur essendo di ordine inferiore, o come se fossero cattivi, perché i corpi celesti sono migliori.
Ma il dolore che le bestie sentono, ci mostra un qualcosa di mirabile e di grandioso nelle loro anime.
In ciò infatti appare chiaro quanto, nel reggere e dare vita ai loro corpi, esse tendano all'unità.
Che altro è infatti il dolore se non l'insofferenza della separazione e della corruzione?
Appare perciò più chiaro della luce quanto la loro anima sia avida dell'unità di tutto il corpo, e quanto sia tenace a conservarla: non volentieri o indifferentemente, ma resistendo e opponendosi combatte contro la sofferenza del proprio corpo, vedendo quanto essa ne comprometta l'unità e integrità.
Senza il dolore delle bestie, non vedremmo quanto le creature inferiori tendano all'unità; e se non vedessimo ciò, non saremmo spinti come conviene a ritenere che tutto è fondato sulla somma, sublime e ineffabile unità del Creatore.
In realtà, se mediti con pietà e diligenza, ogni bellezza e ogni movimento delle creature che cade sotto la percezione dell'animo umano, parla a nostro ammaestramento, con diversi moti e affetti, come con lingue diverse, e da ogni parte si eleva il grido e l'esortazione a conoscere il Creatore.
Non vi è nessuna creatura, fra quelle che non provano né dolore né piacere, che non consegua il decoro del proprio genere se non per una qualche unità, o almeno per una certa stabilità della propria natura.
E non vi è nessuna creatura, fra quelle che sentono la molestia del dolore o l'attrattiva del piacere, che, per il fatto stesso di fuggire il dolore e ricercare il piacere, non confessi di fuggire la divisione e ricercare l'unità.
Agostino, Il libero arbitrio, 3,69-70
Nel salmo dodici Davide ci espone una lunga tentazione.
Con le parole: Sino a quando, Signore, ti dimenticherai di me fino in fondo? ( Sal 13,1 ), e per tutto il salmo ci insegna di non scoraggiarci nelle tribolazioni, ma confidare nella bontà di Dio ed essere convinti che egli ci dà la sofferenza secondo un ordine provvidenziale, misurando la prova secondo il metro della fede di ciascuno.
Dopo aver dunque chiesto: « Sino a quando, Signore, ti dimenticherai di me fino in fondo? », e ancora: « Sino a quando terrai il tuo volto distolto da me? », passa subito a parlare della malvagità degli empi, i quali, se non debbono soffrire nessun contrasto nella vita e non debbono sopportare situazioni rovinose, subito dubitano nei loro pensieri che esista un Dio che si prenda cura delle realtà di quaggiù, osservando la situazione di ciascuno e misurando per ciascuno la retribuzione.
Poi, se si vedono a lungo costretti da situazioni sgradevoli, rafforzano in se stessi quella cattiva convinzione e asseriscono nei loro cuori: « Non c'è Dio ».
Dice lo stolto in cuor suo: Non c'è Dio ( Sal 14,1 ).
E chi ha accettato ciò nelle sue convinzioni, se ne passa senza ritegno di peccato in peccato.
Infatti se non c'è chi osserva, se non c'è chi retribuisce a ciascuno secondo i meriti della vita, cosa mai impedisce di opprimere il povero, di uccidere gli orfani, di ammazzare la vedova e lo straniero, di osare ogni azione scellerata, di macchiarsi di ogni vizio impuro e abominevole, e d'ogni desiderio belluino?
Per questo il salmista alle parole: « Non c'è Dio » fa seguire queste: Sono corrotti, si sono resi abominevoli nel loro agire ( Sal 14,1 ).
Ma non possono invece allontanarsi dalla retta via coloro che in cuore loro non dimenticano Dio.
Basilio il Grande, Omelia su « Dio non è l'autore dei mali », 1
Nessuno si lamenti della propria povertà, di aver lasciato la casa vuota.
Più povera è la rondine, che è ricca per la sua industriosità nel cielo vuoto.
Edifica e non impedisce il terreno; innalza il tetto, e nulla toglie al prossimo; per la povertà, per l'indigenza non è spinta a nuocere agli altri; né si dispera di fronte alla debolezza dei figli.
Quanto a noi, invece, la povertà ci affligge, la necessità ci tormenta, e per lo più l'indigenza ci spinge alla colpa, ci stimola al delitto.
Spinti dal desiderio del guadagno usiamo l'intelligenza per la frode, simuliamo i sentimenti; nelle sofferenze gravi perdiamo la speranza, ci abbattiamo e giacciamo inerti e privi di iniziativa: ma proprio allora dobbiamo maggiormente sperare della divina misericordia, quando gli aiuti umani vengono a mancare.
Ambrogio, Esamerone, 5,57
Quando l'uomo comincia ad ascendere, parlerò più chiaro: quando il cristiano comincia a pensar di progredire, comincia anche a soffrire per le lingue ostili.
Chi ancora non ne ha sofferto, non ha progredito; chi non ne soffre, non si sforza di progredire …
Cominci uno a progredire, si determini di ascendere, di disprezzare i beni terreni, fragili, temporali, di riputare un nulla la felicità del mondo, di pensare solo a Dio, di non godere per il guadagno e non affliggersi per i danni; si disponga a voler vendere i suoi beni e darli ai poveri, e, così, seguire Cristo: vedremo come soffrirà per le lingue di coloro che lo biasimeranno, gli faranno difficoltà, e, ciò che è più grave, lo distoglieranno dalla salvezza con i loro consigli …
E chi già è asceso ed è stato esaudito, come prega?
O Signore, strappa la mia anima dalle labbra ingiuste e dalla lingua ingannatrice ( Sal 120,2 ).
Quale lingua è ingannatrice? La lingua subdola, che all'apparenza consiglia, e in realtà nuoce.
Sono quelli che dicono: « E tu farai ciò che nessuno ha mai fatto? Tu solo sei cristiano? ».
E se si mostrerà loro che anche altri lo hanno fatto, se si leggerà il Vangelo ove il Signore comanda di far ciò, e se si leggeranno gli Atti degli apostoli, essi, cosa dicono con la loro lingua subdola e le loro labbra inique?
« Non ce la farai: è troppo ciò che ti proponi » …
É meglio essere disprezzati che ricevere tali consigli fallaci!
Agostino, Esposizioni sui Salmi, 120,3-4
Vi sono altri sacrifici, veri olocausti: i corpi dei santi martiri.
Qui sono santi i corpi e le anime; hanno un profumo di immensa soavità.
Anche tu, se vuoi, puoi offrire questo sacrificio.
Ma che, se il tuo corpo non sarà arso dal fuoco?
Lo puoi con un altro fuoco: il fuoco della povertà volontaria, il fuoco della tribolazione.
Poter passarsela nella gioia e nello splendore e scegliere una vita faticosa e amara, e uccidere così il corpo, non è forse offrire un olocausto?
Uccidi il tuo corpo e crocifiggilo, e tu pure otterrai la corona di questo martirio.
Ivi è la spada che agisce, quivi agisca il fervore.
Non ti riarda né ti intrattenga l'amore delle ricchezze, ma il fuoco dello spirito abbruci ed estingua questa cupidigia, turpe e nefanda: la faccia a pezzi la spada dello spirito.
É questo un sacrificio bello, che non ha bisogno di sacerdoti, ma solo di chi lo offre: un sacrificio bello, che viene offerto quaggiù, ma ascende subito lassù.
Non ci meravigliamo forse che una volta il fuoco ardesse tutto, scendendo dall'alto?
Ma anche ora è possibile che un fuoco, molto più meraviglioso di quello, scenda ancora dall'alto e arda tutte le offerte; o meglio, non le arda, ma le innalzi al cielo: non le renda cenere, ma le offra come doni a Dio.
Giovanni Crisostomo, Omelie sulla lettera agli ebrei , 11,3
Non cercare una vita priva di rischi e inattiva, una vita non travagliata, non trascinata nei pericoli.
Non è lo stesso starsene seduti nel porto o mostrare l'arte di salpare il mare.
L'uno si fa infingardo, vuoto e snervato; l'altro, scampate molte pietre latenti, molti scogli, molte burrasche di vento e sopportati altri pericoli del mare, si segnala nella sua attività e si rafforza nello spirito.
Tu sei entrato nella vita presente per questo: non per restare inattivo, spossato dal torpore, né per evitare qualsiasi pericolo, ma per diventare più splendido con le sofferenze.
Non cerchiamo dunque il benessere né una vita piena di piacere: è questo un desiderio non da uomo forte, ma piuttosto da verme; più da essere irrazionale che da essere ragionevole.
Giovanni Crisostomo, Omelia sul Salmo 124,1
Giobbe si stracciò le vesti, non per esprimere una protesta contro Dio, ma per essere più pronto a lottare contro il nemico.
Fu privato dei beni, e così perse la sicurezza del ricco; la morte dei figli lo rese irriconoscibile come padre e la malattia che lo colpì gli tolse l'apparenza del giusto.
Logorato in tutta la persona dai colpi del nemico, il suo corpo non si presentava soltanto come segnato da numerose ferite, ma era ridotto a un'unica piaga.
Eppure tutte queste disgrazie non lo inducono alla bestemmia contro Dio.
La moglie cerca di trascinarlo alla ribellione, gli amici si fanno beffe di lui, ma Giobbe non cede.
Anzi, superata la tentazione dell'orgoglio e dell'empietà, pazientemente siede su un letamaio fetido e formicolante di vermi.
Si direbbe che non stia soffrendo: il timore di Dio gli basta.
Uomo davvero felice! Con la sua straordinaria pazienza si è guadagnato il favore di Dio, ha sconfitto il diavolo, riacquistato la salute e ha ritrovato, non perso, una nuova ricchezza e nuovi figli.
Se penetriamo il senso delle cose, comprendiamo che Giobbe è una figura di Cristo.
Mettiamoli a confronto, ed emergerà la pienezza della realtà.
Giobbe è stato dichiarato giusto da Dio.
Ora, Cristo è la giustizia stessa, è la fonte a cui attingono tutti i beati: Per voi sorgerà il sole di giustizia ( Ml 3,20 ).
Giobbe è stato riconosciuto verace.
Ma la verità per essenza è il Signore, che dice nel Vangelo: « Io sono la via e la verità » ( Gv 14,6 ).
Giobbe era ricco. Ma chi è più ricco del Signore?
Tutti i ricchi sono suoi servi; il mondo intero e tutta la natura gli appartengono, come dice il salmo: Del Signore è la terra e tutto quello che contiene, il mondo e i suoi abitanti ( Sal 24,1 ).
Il diavolo tentò Giobbe per tre volte.
Così, secondo il Vangelo, lo spirito del male cercò per tre volte di tentare il Signore.
Giobbe perse le ricchezze che possedeva.
Anche il Signore, spinto dall'amore per noi, si spogliò delle sue ricchezze divine e si fece povero per renderci ricchi. Il diavolo, infuriato, provocò la morte dei figli di Giobbe; così la folla accecata dei farisei uccise i figli del Signore, i profeti.
Il corpo di Giobbe è stato macchiato dalle piaghe.
Il Signore, assumendo la nostra carne, ha preso su di sé lo sporco dei peccati di tutto il genere umano.
Giobbe è invitato dalla moglie a peccare, e il Signore è spinto dalla sinagoga a conformarsi alla corruzione degli anziani.
Giobbe è stato insultato dai suoi amici.
Allo stesso modo hanno insultato il Signore i suoi sacerdoti, i suoi stessi amici.
Giobbe è seduto su un letamaio pieno di vermi.
Anche il Signore si è trovato in un vero letamaio, cioè nel fango di questo mondo, in mezzo agli uomini - i veri vermi - che si agitano nei loro peccati e nelle loro passioni.
Giobbe riacquistò la salute e le ricchezze.
Il Signore, risuscitando, diede in dono a quelli che credono in lui non solo la salute, ma l'immortalità, e riconquistò il dominio su tutto il creato, come egli stesso dice: Tutto è stato dato a me dal Padre mio ( Mt 11,27 ).
Giobbe generò altri figli dopo la perdita dei primi.
E il Signore generò gli apostoli dopo i profeti, suoi figli.
Giobbe raggiunse finalmente il riposo della beatitudine e della pace.
Il Signore è benedetto per l'eternità, prima dei secoli, lungo i secoli e per tutti i secoli dei secoli.
Zenone di Verona, 2,15 ( omelia su Giobbe )
Quando avremo percorso la via, e saremo giunti alla patria, chi sarà più lieto di noi, chi più beato?
Non vi è pace più profonda di quella: perché là ogni rivolta contro l'uomo sarà cessata.
Invece ora, fratelli, siamo quasi sempre in contrasto.
Siamo chiamati a vivere in perfetta concordia, ci viene comandato di avere la pace tra noi: a questo debbono tendere i nostri sforzi, a questo scopo dobbiamo dedicare le nostre energie, in modo da pervenire finalmente alla pace perfetta, mentre ora, al contrario, siamo quasi sempre in lite, anche con coloro dei quali vorremmo prenderci cura.
Egli è là, e tu vuoi condurlo sulla via giusta; egli ti resiste, e tu litighi; il pagano ti resiste e tu disputi contro gli errori dell'idolatria e dei demoni; ti resiste l'eretico, e tu ancora disputi contro altre dottrine del diavolo; un cattivo cristiano non vuole vivere nel bene, e tu rimproveri anche questo fratello, che vive nella tua casa e che cerca le vie smarrite.
Ti sforzi di trovare la maniera di correggerlo, in modo da poter rendere bene conto a Dio di te come di lui.
Quanti sono, in ogni luogo, i motivi di rissa?
Il più delle volte l'uomo, stanco di queste lotte, dice a se stesso: Che m'importa di soffrire per queste contraddizioni, di patire per coloro che restituiscono male per bene?
Io voglio aiutarli, ma essi vogliono perdersi; consumo la mia vita nelle liti, non ho pace, mi faccio nemici quegli stessi che dovrei avere amici, se accettassero le mie buone intenzioni: perché tutte queste contrarietà?
Debbo invece tornare in me e, stando solo con me, invocare Dio.
Ebbene, anche se torni in te stesso, lì troverai nuovi motivi di rissa: poiché se hai cominciato a seguire Dio, in te c'è la rissa.
Ma quale rissa troverò?, tu chiedi.
La carne desidera contro lo spirito e lo spirito contro la carne.
Ecco, tu sei là, sei solo, solo con te, non soffri gli affronti di nessun altro uomo: ma ti accorgi che nelle membra c'è un'altra legge, che ripugna alla legge della tua anima, e che ti fa prigioniero della legge del peccato che è nelle tue membra.
Allora chiedi aiuto, invoca, dal tuo conflitto interiore, Dio, affinché ti dia la pace: Oh, me infelice, chi mi libererà dal corpo che mi dà tale morte?
La grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore ( Rm 7,23-24 ).
Perché chi mi segue - dice il Signore - non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita ( Gv 8,12 ).
Una volta finiti tutti i conflitti, sarà raggiunta l'immortalità, perché ultima nemica sarà distrutta la morte ( 1 Cor 15,26 ).
E come sarà la pace? Bisogna che questo corpo corruttibile si rivesta di incorruttibilità, e che questo corpo mortale si rivesta di immortalità ( 1 Cor 15,53 ).
E affinché si possa pervenire lassù, seguiamo ora nella speranza - poiché soltanto allora sarà realtà - colui che disse: Io sono la luce del mondo; chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita ( Gv 8,12 ).
Agostino, Commento al Vangelo di san Giovanni, 34,10
Se tale è la guerra, se tali sono le schiere nemiche, se i loro capi sono incorporei, dominatori del mondo, spiriti del male, perché ti abbandoni ai piaceri, dimmi?
Perché sei dissoluto? Come potremo aver scampo, se siamo disarmati?
Ciascuno su ciò rifletta tra sé e sé ogni giorno: quando è dominato dall'ira, quando è signoreggiato dalle brame, quando cerca, senza badarci, le mollezze della vita.
Ascolti il beato Paolo che ci dice: La nostra battaglia non è contro la carne e il sangue, ma contro i prìncipi, contro le potestà ( Ef 6,12 ).
Questa guerra è peggiore, questa battaglia è più dura di quella contro un nemico visibile.
Rifletti da quanto tempo il nemico è in lotta, rifletti per chi combatte, e sii prudente!
« Certo, dice così. Ma se il diavolo fosse tolto di mezzo, tutti sarebbero salvi! ».
Questo è il pretesto che tirano fuori gli indolenti.
Tu dovresti essere riconoscente, o uomo, che, se vuoi, puoi superare il nemico; e invece ti mostri sdegnato e usi le frasi del soldato infingardo e dormiglione.
Tu conosci i tuoi punti deboli, se vuoi: guardati da ogni lato, rettifica te stesso.
La nostra battaglia non è solo contro il diavolo, ma anche contro la sua potenza.
Come dunque combatteremo contro le tenebre? Diventando luce.
Come combatteremo contro gli spiriti del male? Diventando buoni.
Il bene infatti si oppone al male e la luce caccia le tenebre.
Ma, se anche noi saremo tenebre, cadremo del tutto in potere dei nemici.
Come li vinceremo, dunque?
Se quello che essi sono per natura noi lo diventeremo per elezione: liberi dalla carne e dal sangue, allora li domineremo.
Probabilmente perché a quei tempi i cristiani erano perseguitati da molti, « Non credete » dice Paolo « che siano questi uomini a combattere contro di noi. Quelli che in essi agiscono, sono i demoni; essi ci combattono: contro di loro è la nostra guerra ».
E con ciò ottiene un doppio effetto: li rende più audaci contro i loro oppositori ed eccita il loro animo contro i veri nemici.
Ma perché dobbiamo combattere contro costoro?
Perché abbiamo un alleato invincibile: la grazia dello Spirito; e abbiamo appreso quest'arte: che non possiamo combattere contro gli uomini, ma contro i demoni.
E se lo vorremo, neppure combatteremo, perché la battaglia dipende dalla nostra volontà.
Infatti, il potere di colui che abita in noi è tale da fargli dire: Ecco: vi ho dato il potere di calpestare i serpenti e gli scorpioni e tutta la potenza del nemico ( Lc 10,19 ).
Egli ci ha dato ogni potere: di combattere e di non combattere; ma poiché noi siamo infingardi dobbiamo combattere contro questi nemici.
Invece, che Paolo non dovesse combattere, odilo dalle sue stesse parole: Chi ci separerà dall'amore di Cristo?
La tribolazione? O l'indigenza? O la fame? O la nudità? O il pericolo? O la spada? ( Rm 8,35 ).
E ascoltalo ancora che dice: Dio stritolerà il satana sotto i vostri piedi, e presto ( Rm 16,20 ).
Egli lo aveva assoggettato, per questo poteva dire: Ti comando nel nome del Signore Gesù di uscire da costei ( At 16,18 ).
Ma queste non sono parole di chi combatte: chi combatte non ha ancora vinto, e chi ha vinto non combatte più.
Paolo lo aveva soggiogato, lo aveva fatto schiavo.
E anche Pietro non combatteva più contro il diavolo; essi facevano ciò che è assai meglio che combattere.
Essi dominavano lui e le sue potenze per ordine nei cuori dei fedeli, degli uditori e dei catecumeni …
Chi combatte deve ancora sostenere la lotta: può essere contento se non cade.
E solo allora la vittoria sarà splendida, quando ce ne partiremo di qui.
Per esempio: davanti a una brama perversa, lo straordinario sarebbe non accoglierla, ma estinguerla completamente; se però questo è impossibile, se dobbiamo combatterla continuamente e dominarla, quando ce ne partiremo combattendola, allora avremo vinto.
Giovanni Crisostomo, Omelia sulla lettera agli Efesini, 22,4-5
Chi sarà capace di combattere, dato che nessuno si allena al combattimento?
Quale atleta può vincere il suo avversario e ottenere il premio ai giochi olimpici senza che, fin dalla sua adolescenza, si sia addestrato nell'arte della lotta?
Non dovremmo noi forse allenarci tutti i giorni, lottare e correre?
Non vedete che gli atleti, in attesa di affrontare i loro competitori, appeso un sacco pieno di sabbia, si addestrano provando in quel modo tutta la loro forza?
Molti giovani si allenano anche in finti combattimenti con i loro compagni, per prepararsi al combattimento con gli avversari.
Questi atleti imita e allenati nelle battaglie della virtù.
Vi sono infatti molte persone che ti inducono all'ira, che gettano e accendono in te la fiamma delle passioni.
Resisti a questi invisibili nemici, supera con fermezza questi dolori dello spirito, in modo da sopportare anche quelli del corpo.
Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di san Matteo, 33,6
Oltre ai mali della vita comuni ai buoni e ai cattivi, i giusti hanno delle sofferenze proprie e particolari, che sono la guerra continua contro i vizi e la vita tra i pericoli e le tentazioni.
A volte sono più forti, a volte più tenui, mai però non cessa la ribellione della carne contro lo spirito e quella dello spirito contro la carne, tanto che mai non riusciamo ad attuare ciò che vorremmo: la distruzione completa della concupiscenza cattiva.
Ci resta solo di superarla non acconsentendole, per quanto possiamo con l'aiuto divino, vigilando continuamente
che qualche opinione dalla parvenza di vero non ci inganni, non ci abbagli qualche discorso astuto,
che le tenebre dell'errore non circondino il nostro spirito, tanto da farci ritenere buono ciò che è male e male ciò che è bene;
che il timore non ci trattenga dal fare ciò che dobbiamo e il desiderio non ci precipiti a fare ciò che non dobbiamo;
che sulla nostra ira non tramonti il sole, che l'inimicizia non ci spinga a restituire male per male,
che la tristezza disordinata o smodata non ci assorba, che l'animo ingrato non ci renda tiepidi nel beneficare,
che le maldicenze non turbino la nostra coscienza,
che il sospetto temerario non ci inganni sul conto altrui e
che non ci avviliscano i sospetti altrui sul conto nostro.
Vigiliamo, perché non regni il peccato nel nostro corpo mortale spingendoci ad obbedire alle sue voglie, perché non ci capiti di offrire le nostre membra, quali armi inique, al peccato, perché l'occhio non segua le sue brame, perché il desiderio della vendetta non ci vinca, perché né lo sguardo né il pensiero si soffermino su ciò che piace, e che è male, perché non si ascoltino volentieri le parole ingiuriose o disoneste; perché non si compia ciò che non lice anche se piace, e finalmente perché in questa guerra piena di pericoli e travagli, non si speri la vittoria dalle nostre semplici forze o ad esse si attribuisca, ottenutala, ma alla grazia di colui, di cui dice l'Apostolo: Ma grazie a Dio, che ci dà la vittoria per nostro Signore Gesù Cristo ( 1 Cor 15,57 ), e in un altro passo: In mezzo a tutto ciò, noi stravinciamo per colui che ci ha amati ( Rm 8,37 ).
Tuttavia, per quanta sia la forza con cui combattiamo contro i vizi, o anche superiamo o soggioghiamo i vizi, teniamo presente che finché siamo in questo corpo non ci manca mai di che dire a Dio: Rimetti a noi i nostri debiti ( Mt 6,12 ).
Ma in quel regno lassù, dove vivremo per sempre con i nostri corpi immortali, non vi saranno né guerre né debiti; anzi, non vi sarebbero neppure quaggiù se la nostra natura fosse rimasta nella rettitudine in cui fu creata.
E così anche questa nostra guerra in cui corriamo tanti pericoli e da cui bramiamo di essere liberati con l'ultima vittoria è uno dei mali di questa vita, vita che - lo si dimostra per la testimonianza, appunto, di tanti mali - è soggetta alla divina condanna.
Agostino, La città di Dio, 22,23
Quale scusa potrai invocare per giustificare la tua pigrizia, se mentre tanti passano oltre la meta indicata, tu non hai forza né coraggio per raggiungere il traguardo stabilito?
Ti esortiamo a donare ai poveri parte di ciò che possiedi, mentre altri si sono spogliati di tutto quanto avevano.
Ti chiediamo di vivere castamente con tua moglie, mentre altri non hanno neppure contratto matrimonio; ti rivolgiamo ammonimenti perché tu non sia invidioso, mentre altri sono giunti a dare la propria vita per amore dei fratelli.
Ti scongiuriamo di perdonare coloro che ti ingiuriano e di non adirarti contro chi ti offende e altri, quando sono percossi, presentano l'altra guancia.
Che potremo dire un giorno? Quale scusa porteremo per non aver fatto ciò che è ordinato, quando gli altri ci hanno così largamente superato?
Costoro non sarebbero andati tanto oltre, se non avessero trovato grande facilità in ciò che facevano.
Chi si strugge e chi si consuma: colui che invidia i beni altrui, oppure chi se ne rallegra come fossero propri?
Chi sospetta di tutto e vive sempre nel timore: l'uomo casto o l'adultero?
Chi è felice e ha buone speranze: colui che ruba o colui che è misericordioso e dona i suoi beni a chi si trova nel bisogno?
Riflettiamo, dunque, su tutto ciò e non dimostriamoci pigri nella gara della virtù; prepariamoci anzi con tutto l'impegno e il fervore a queste nobili e gloriose battaglie.
Faticheremo e soffriremo per un po' di tempo, ma alla fine conquisteremo corone che non appassiscono e durano eterne.
Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di san Matteo, 39,4
Non viviamo nel rigore della disciplina tanto consono ai cristiani, ma stimiamo e amiamo questa vita molle, dissoluta e vana: per questo è chiaro che ci dilettano le realtà presenti.
Se passassimo questa vita nei digiuni, nelle veglie e nella frugalità, sbarazzandoci dalle brame perverse, rimovendo i piaceri, assoggettandoci al sudore per la virtù, castigando il nostro corpo e riducendolo in schiavitù, come dice Paolo ( 1 Cor 9,27 ), non attuando i disegni della carne per favorirne le brame, procedendo sulla via stretta e scabrosa, ben presto ci riempiremmo di desiderio per le realtà future e mireremmo a liberarci dalle fatiche di quaggiù.
Questo nostro discorso non è falso: sali sulle cime dei monti, osserva ivi i monaci che vivono vestiti di sacco, tra i ceppi, nei digiuni, chiusi al buio, e vedrai che tutti loro desiderano la morte e la chiamano riposo.
Come il pugile si affretta a uscire dallo stadio per curarsi le piaghe, come l'atleta desidera che lo spettacolo finisca per cessare dallo sforzo, così chi per la virtù trascorre la sua vita nel rigore e nell'asprezza, né desidera il termine per essere liberato dai travagli di quaggiù e per poter confidare, pienamente nella corona per lui riposta, navigando verso il porto tranquillo, indirizzandosi là dove non c'è più da temere naufragio.
Ma per questo Dio ci ha provveduti di una natura soggetta a fatica, ci ha assoggettati a una vita affranta dalle angustie: perché sospinti dalle tribolazioni di quaggiù ci accendiamo di desiderio dei beni futuri.
Se pur tra tante sofferenze e pericoli e timori e preoccupazioni che ci circondano ovunque, ci abbandoniamo con tanto amore alla presente vita, se non ci fosse tutto ciò e il nostro vivere fosse tutto privo di dolore e di cure, quando mai brameremmo i beni futuri?
In questo modo anche per i giudei si comportò Dio.
Volendo suscitare in loro il desiderio di uscire dall'Egitto e indurli a odiare quella terra, permise che fossero violentemente assoggettati a lavorare l'argilla e a costruire mattoni, perché angustiati dalla dura fatica e dalle vessazioni invocassero da lui la liberazione.
Se già usciti dall'Egitto, dopo tutti quegli eventi, si ricordarono ancora di quella terra, della loro dura schiavitù e si sarebbero affrettati a ritornare sotto tale tirannide ( Es 16,3 ), se non avessero esperimentato quanto barbara fosse quella gente, quando avrebbero mai altrimenti abbandonato quella terra straniera?
Perché inchiodati alla terra e tutti pieni delle sue brame noi non fossimo tanto angustiati da dimenticare i beni futuri, per questo Dio ci ha dato una vita sofferente.
Non abbracciamo dunque il vivere di quaggiù più di quanto è necessario.
Di che utilità c'è? Che guadagno abbiamo ad attaccarci oltre ogni misura alle brame di quaggiù?
Vuoi sapere perché la vita presente è bella?
Perché è premessa e principio della vita futura, è palestra e stadio delle corone di lassù.
Se essa non fosse questo per noi, sarebbe più misera di mille morti.
Se vivendo non dovessimo piacere a Dio, sarebbe meglio morire.
Giovanni Crisostomo, Omelie sulle statue, 6,3-4
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