La storia della Chiesa |
1. Come vivevano i cristiani nello stato ostile dal quale poteva venir loro la morte?
Non dobbiamo credere che ordinariamente, e nemmeno in tempo di persecuzione, si tenessero nascosti.
Finché lo Stato non prese l'iniziativa di ricercare i cristiani, essi vivevano la loro vita esercitando una professione come i pagani, o come artigiani o partecipando al commercio e così via.
Soltanto stavano scrupolosamente attenti a non macchiarsi in alcun modo di idolatria o di immoralità.
Certamente, se qualcuno veniva a trovarsi in pericolo prossimo, si metteva al sicuro con la fuga, il che generalmente si riteneva permesso.
Ogni inutile provocazione alla condanna era proibita e veniva rifiutata come temeraria.
D'altra parte però, la tortura e la morte erano considerate una consapevole testimonianza di fede « poiché essi col martirio vorrebbero liberare anche voi ( = pagani ) dal vostro ingiusto pregiudizio » ( Giustino ).
2. Nello svolgimento non unitario delle persecuzioni è rilevante la differenza tra Oriente e Occidente.
Le comunità orientali non ebbero da soffrire persecuzioni in intensità nemmeno approssimativamente uguali a quelle occidentali.
In Occidente, per esempio nella parte dell'impero di Costanzo Cloro, soltanto l'ultima persecuzione non fu eseguita, o lo fu appena.
Sia da una parte che dall'altra vi furono lunghi periodi di vera tolleranza.
Specialmente a partire dalla fine del II secolo prevalse la tendenza a lasciare indisturbati i cristiani.
Tutte le persecuzioni anteriori al 250 furono territorialmente limitate.
Il numero comunemente riportato ( secondo Eusebio ) di 10 persecuzioni fu stabilito in analogia alle dieci piaghe d'Egitto dell'Antico Testamento e non corrisponde allo svolgimento storico.
3. Sotto Traiano ( 98-117 ) morì Ignazio di Antiochia, il rappresentante più illustre dell'epoca post-apostolica.
Le sue lettere sono la nostra fonte più preziosa per la situazione interna della Chiesa attorno al 110 ( § 18,2c ).
Ancora oggi, leggendole, si può avvertire con immediatezza la forza quasi soprannaturale e tuttavia pacatamente contenuta che urge al martire per esser presso il Signore: « Lui io cerco, che è morto per noi, lui voglio che per noi è risuscitato.
È imminente la mia nascita ».
Marco Aurelio, l'illustre filosofo sul trono imperiale ( 161-180 ), non era, come falsamente si affermò, un protettore dei cristiani.
Egli si sentiva superiore alle loro « stravaganze ».
Sotto di lui morì l'apologeta Giustino.
A Lione nel 177 si giunse alla sanguinosa persecuzione già accennata.
Essa ci dimostra la parte avuta dalla plebe nelle sofferenze dei cristiani.
In questo periodo si ebbe il pericoloso attacco letterario di Gelso ( § 14 ).
A loro volta sia Atenagora che Melitene di Sardi si videro costretti a indirizzare all'imperatore Marco Aurelio uno scritto in difesa dei cristiani, segno che la situazione anche in altre parti dell'Impero non era proprio invidiabile, ma segno pure che anche una certa « opposizione » poteva manifestarsi.
Sotto Commodo ( 180-192 ) i cristiani ebbero in Marcia, moglie dell'Imperatore, una valida protettrice.
Poterono aver luogo - già nel II secolo - senza alcun disturbo diversi sinodi sulla controversia della Pasqua.
Pur tuttavia anche in questo « periodo di pace » ci furono dei martiri: quelli di Scilli in Africa e il dotto Apollonio ( + circa nel 185 ) a Roma, il quale tenne un incisivo discorso di difesa, simile alle apologie cristiane.
4. Già più sistematico fu il procedimento di Settimio Severo ( 193-211 ); egli cercò di arrestare lo sviluppo del Cristianesimo: proibì le conversioni.
Si ebbero allora persecuzioni contro i cristiani in Egitto35 e nella provincia d'Africa: a Cartagine morte di Perpetua e Felicita ( + circa 202 ) che erano state battezzate immediatamente prima dell'arresto.
Gli atti commoventi del loro martirio ci fanno vedere il comportamento veramente umano e cristiano ( e non leggendariamente esaltato ) dei martiri.
5. Con i successori siriaci di Severo ( 211-235 ), di poco valore sia nel carattere che in politica, i culti orientali fecero il loro ingresso trionfale in Occidente.
Il culmine ripugnante ( e macchiato di immoralità cultuale ) è dato dal regno di Eliogabalo ( 218-222 ), che proprio in qualità di imperatore e a Roma rimase sommo sacerdote attivo ( sacrificante, danzante cultualmente ) del suo dio siriaco.
Con questi culti prese piede ufficialmente a Roma una concezione « sincretistica » ( § 16 ) della religione.
Si fece propria la convinzione dell'intima affinità e della possibile simbiosi, e quindi, in ultima analisi, dell'essenziale identità di tutte le religioni e di conseguenza del loro uguale diritto di cittadinanza.
Questa concezione, per se stessa disastrosa, favorì la tolleranza del Cristianesimo.
L'imperatore Alessandro Severo ( 222-235 ) fu ben disposto verso i cristiani, più di qualsiasi altro imperatore prima di lui.
In questo tempo ci fu una serie di donne della famiglia imperiale che ebbero una grande importanza politica.
Per la situazione del Cristianesimo ebbe importanza il fatto che la madre di Alessandro Severo, l'ambiziosa e abile Giulia Mammea, entrò in rapporti con Origene e con Ippolito di Roma.
I cristiani poterono comparire come corporazione legale e come tali acquistare delle proprietà.
Il risultato fu che essi cominciarono a erigere propri edifici per il culto.
6. Costatiamo, già a partire dalla fine del II secolo, un notevole aumento della coscienza storica di sé nei cristiani.
L'Apologeticum dell'« avvocato » Tertulliano ne è da solo già una prova.
In lui e in altri c'imbattiamo in concetti come questo: il mondo deve la sua sussistenza alla preghiera dei cristiani; per mezzo di essi, i migliori sostegni dello Stato e della società, l'Impero romano è cresciuto.
Indice |
35 | La brama del martirio del diciassettenne Origene ( § 15, I, 5 b ); la sua lettera entusiasta al padre incarcerato per causa della fede. |