La storia della Chiesa |
1. In mezzo al progressivo dissolvimento politico-statale, dopo il saccheggio di Roma da parte dei Saraceni ( 846 ), prima che la desolazione si abbattesse anche sulla Chiesa, fiorì ancora una volta il prestigio del Papato.
Tre notevoli figure salirono successivamente alla cattedra di Pietro, la prima delle quali da, in certo qual modo, perfino l'impronta alla sua epoca: Niccolo I ( 858-867 ), Adriano li ( 867-872 ), Giovanni VIII ( 872-882 ).
a) L'abbassarsi del prestigio dell'Impero aveva automaticamente elevato la coscienza del potere dei Papi.
Il loro linguaggio si fece molto più consapevole di sé di quanto fosse ai tempi di Carlo.
Già Gregorio IV aveva fatto presente a coloro che si occupavano di concezioni ecclesiastico-politiche, che l'ufficio « pontificale » della cura delle anime era più alto di quello temporale « imperiale ».172
Con l'irreprensibile e impavido Niccolo I, ben cosciente dei fini da raggiungere, ci troviamo dinanzi un precursore spirituale di Gregorio VII ( § 48 ) e di Innocenze III ( § 53 ), non nel senso di una evoluzione ininterrotta, bensì di un annuncio complessivo di diritti che, due secoli dopo, articolati in un grande programma, avrebbero in parte essenziale determinato il Medioevo al suo apogeo.
Il loro passeggero affiorare ora, nella decadenza, tradisce la presenza, nella Chiesa, di riserve di forze nascoste ma non ancora esaurite.
Parallelamente al contemporaneo partito franco di riforma ecclesiastica, l'opera di Niccolo ( e in certo qual modo dei suoi due successori ) è il preannuncio di una incipiente rivoluzione decisiva, la quale farà dell'elemento ecclesiastico religioso, cioè di quello dominato finora dal potere politico, la forza predominante nella guida della « civitas Dei » o anche della « ecclesia universalis », considerata ancora dai due poteri come unità.
Nei tempi che si stanno avvicinando, « Vicarius Dei » non sarà più l'Imperatore, ma il Papa.
Niccolo I, come Bonifacio, come Carlo Magno, come i grandi Imperatori e i grandi Papi dell'alto Medioevo, è rappresentante dell'ecclesiasticità universale173 in opposizione ai molteplici particolarismi dei metropoliti occidentali di Ravenna, Colonia, Treviri174 e Reims, dei Patriarchi orientali ( Fozio ) e di Lotario II, sostenitore della Chiesa nazionale.
b) Secondo il pensiero di Niccolo I, il Papa è posto direttamente da Dio come amministratore dell'opera della redenzione per tutta la Chiesa, d'Occidente e d'Oriente.
Egli può citare dinanzi a sé ogni ecclesiastico di qualsiasi diocesi.
« Se gli è stato affidato tutto dal Signore, non c'è nulla che egli non gli abbia dato ».
Egli giudica tutti, ma non può essere giudicato da nessuno, neppure dall'Imperatore; la potestà episcopale viene da quella pontificia - qui si manifesta una fatale esagerazione.
Il Papa personifica la Chiesa, i suoi decreti hanno valore come i canoni e i sinodi devono avere la sua conferma.
La Chiesa sussiste in piena indipendenza da ogni potestà temporale.
Ogni forma di Chiesa territoriale e statale in Occidente e Oriente viene respinta.
La realtà religiosa è più sublime di quella secolare.
Niccolo I si adoprò affinché il Papa divenisse anche realmente ciò che era secondo la sua convinzione ( Hauck ).
Profondamente penetrato dalla forte coscienza di essere, come successore di Pietro, giudice di tutta la Chiesa, egli sentì tuttavia, altrettanto, i doveri che gli erano imposti.
Personalmente fu di alta moralità e di forte sensibilità giuridica.
Non si tratta solo di una frase fatta se, un uomo come lui, nella piena coscienza del suo ufficio, in uno scritto all'Imperatore Michele III, confessa in modo convincente la propria fragilità e ricorda a se stesso la sua perigliosa responsabilità missionaria per la salvezza dell'anima dell'Imperatore ora così aspramente respinto.175
Bisogna prenderlo sul serio quando si dichiara pronto al martirio, se ciò fosse necessario, per la difesa della Chiesa romana.
Non dobbiamo poi dimenticare che tutto questo, quindi anche la divisione dei poteri, si trova sulla linea generale prima accennata dell'elevazione del Papa al di sopra del potere politico!
È proprio lui che durante l'incoronazione attribuisce a Lodovico II il diritto della spada ( come inizio della futura teoria delle due spade ).
2. Nessuna delle lotte nelle quali Niccolo I sostenne i princìpi menzionati, fu da lui vittoriosamente portata a termine.
Le lotte si trasanarono durante i pontificati successivi sotto forma di una lenta crisi fino al completo superamento del « saeculum obscurum ».
L'importanza del grande Papa consiste nell'aver enunciato e sostenuto, per una vita intera, in maniera disinteressata ed efficace, un grandioso programma.
Anche questo chicco di grano morì ancora una volta per fruttificare poi abbondantemente dall'XI secolo in avanti.
In un mondo che si trova già in fase di avanzata decadenza ( v. sotto ), la figura di questo grande Papa è un'espressione della sicurezza della Chiesa.
a) Non senza connessione con quella organizzazione politico-sociale di potenze intermedie, che noi chiamiamo processo di feudalizzazione, alcuni metropoliti occidentali cercarono di ampliare il loro potere ecclesiastico e di consolidare la loro indipendenza con una potestà patriarcale.
Per tutta la sua vita Niccolo fu in lotta con essi.
A ciò s'aggiunse il contrasto col Patriarca di Costantinopoli, una contesa che non poté mai più essere del tutto superata.
La prima lotta Niccolo ebbe a sostenerla contro Giovanni, arcivescovo di Ravenna, l'antica rivale e antagonista di Roma e, dopo di questa, la più importante sede metropolitana.
Giovanni, appoggiato da suo fratello ( che era colà detentore del potere politico ), e in un primo tempo anche dall'Imperatore ( d'Italia ) Lodovico II, voleva nientemeno che un proprio stato ravennate della Chiesa, indipendente da Roma ( svantaggio politico, economico ed ecclesiastico della Chiesa romana ).
Ne la sospensione, ne la scomunica da parte del Papa furono in grado di produrre una completa chiarificazione della contesa; gli abusi proseguirono sotto il pontificato successivo.
Dal punto di vista interno ecclesiale è importante il fatto che le pretese avanzate da Giovanni ( e formulate in un pericoloso superlativismo - v. sotto - dal volubile Anastasio ) dovevano portare come effetto una minaccia all'indipendenza dell'ufficio episcopale e della collegialità.
b) Molto più notevole e anche di maggior valore dal punto di vista umano, fu l'arcivescovo di Reims, Incmaro ( + 882 ).
Le lotte contro di lui dimostrano con particolare evidenza, quali fossero le spinte che portarono allo « Pseudo-Isidoro »: i vescovi vogliono emanciparsi dalle soperchierie dei grandi secolari ed ecclesiastici; a tale scopo essi proclamano il Papa supremo giudice e difensore dei loro diritti: « I vescovi cerchino rifugio presso il Papa, come presso una madre, affinché qui, come è sempre stato, vengano protetti, difesi e liberati ».
A sua volta l'arcivescovo Incmaro ammoniva i vescovi dicendo: « Diverrete servi del vescovo di Roma, se non osservate i gradi della gerarchia, così come Dio l'ha voluta. » ( riducendo il potere metropolitano ).
Uno dei vescovi suffraganei di Incmaro, Rotardo, vescovo di Soissons, un rappresentante particolarmente zelante degli ideali di riforma ecclesiastica dei vescovi, si difese dalle prepotenze sia del rè che di Incmaro, suo metropolita.
Quando fu espulso dalla comunione dei vescovi, egli si appellò al Papa.
Niccolo reagì con quella impavida energia che incontriamo sia nei suoi atti che nelle sue parole, durante tutto il suo pontificato.
Fa con chiarezza pervenire le sue richieste a Incmaro, minaccia la sospensione, esige l'immediata riammissione di Rotardo o la sua comparsa dinanzi al suo tribunale.
Egli esprime la sua presa di posizione con saggia diplomazia, mediante lettere indirizzate a Incmaro, al rè, al clero e al popolo di Soissons, e ai vescovi franchi occidentali.
Si esprime con tutta forza la coscienza della potestà universale-pontificia.
Niccolo parla proprio come signore della Chiesa franca e del metropolita Incmaro; i diritti della Chiesa nazionale e del metropolita indipendente vengono respinti: « tutte le questioni di maggiore importanza sono di competenza del Papa ».
Rotardo riesce a recarsi a Roma personalmente, dove Niccolo nel Natale dell'864 lo riconferma nella sua dignità, annulla la condanna del sinodo imperiale e fa accompagnare il vescovo a Soissons da un suo legato ( Arsenio ).
A questo contrasto incentrato su Rotardo ne seguì presto un secondo, poiché alcuni ecclesiastici che erano stati deposti e la cui consacrazione era stata annullata, si erano ugualmente appellati a Roma.
Anche questa volta la potente volontà del Papa vinse contro la Chiesa franca occidentale e i suoi metropoliti.
3. Durante queste lotte di vescovi sorse ( non però negli ambienti immediatamente vicini alla curia papale ) l'importantissima raccolta delle decretali dello Pseudo-lsidoro.
Essa contiene, accanto a canoni autentici, oltre cento documenti non autentici, fra questi anche la falsificazione delle promesse di Querzy fatte da Pipino, e la « donazione di Costantino ».
Lo scopo della raccolta era in fondo un miglioramento cristiano del capo e delle membra.
È un particolare nucleo dottrinale scagliato contro l'organizzazione della Chiesa.
Si tende soprattutto a difendere i vescovi dalle prepotenze dei principi secolari e dall'eccessiva potenza dei metropoliti.
Per questo viene messo in rilievo che l'ufficio episcopale proviene direttamente da Dio: « I vescovi vengono giudicati ( "solo" ) da Dio ».
Perciò quanto li riguarda va trattato nei sinodi i quali, però, hanno giurisdizione soltanto se convocati dal Papa.
Per garantire tutto questo, viene esaltato il potere primaziale del Papa.
Il Papa è « capo di tutta la Chiesa e al tempo stesso capo di tutto il mondo ».
Perciò soltanto al Papa spetta il diritto, finora preteso dal rè, di convocare e approvare i concili; vescovi che siano stati denunciati possono appellarsi a lui come giudice supremo; tutti gli affari di maggiore importanza sono poi senz'altro riservati alla sua decisione; leggi temporali che contraddicano ai canoni o alle decretali sono invalide.
Lo stesso scopo perseguono le raccolte, probabilmente un po' anteriori, ma anch'esse ampiamente falsificate, di Benedetto Levita e i cosiddetti Capifula Angiiramni ( di 1721 capitoli, dei quali solo un quarto circa sono autentici ).176
L'accrescimento qui perseguito del potere del Papa corrisponde all'incirca all'atteggiamento di Niccolo I.
La coincidenza del suo punto di vista giuridico con le decretali dello Pseudo-Isidoro è così chiaramente palese, che si può ritenere « con buon fondamento » ( Seppeit ) che la famosa falsificazione sia giunta a Roma con Rotardo.
4. La stessa fermezza e impavidità Niccolo I dimostrò nelle vicende matrimoniali di Lotario II: questi e la sua amante Valdrada, dalla quale ebbe tre figli ( fra questi anche un figlio che poteva figurare come erede al trono ), si opponevano alla moglie legittima, la contessa burgunda Teuteberga, che Lotario aveva sposato per motivi politici, ma che aveva ripudiata, non avendogli essa dato un erede.
( Poiché anche i suoi fratelli erano senza eredi diretti maschili, l'aspetto politico della faccenda - l'estinzione del ramo lotaringio nella dinastia carolingia - si prospettò con maggiore evidenza.
Anche il fratello maggiore di Lotario, l'imperatore Lodovico II, sosteneva che venisse sciolto il matrimonio ).
Tre sinodi della città residenziale di Aquisgrana, influenzati dai metropoliti di Colonia e Treviri e dal vescovo di Metz, offrirono al rè il loro servile aiuto: strapparono a Teuteberga una confessione di incesto, dichiararono nullo il suo matrimonio e valido, invece, il nuovo matrimonio del rè; la regina dovette entrare in convento.
Seguì allora il matrimonio con Valdrada.
( Incmaro non vi aderì; senza paura egli denunciò gli intrighi ).
Il Papa osò questa volta ciò che nessuno dei suoi predecessori aveva osato, giudicando il rè franco.
Per mezzo dei suoi legati egli esige la convocazione di un nuovo sinodo con nuovi vescovi, riservandosi la sentenza.
Poi chiama sovranamente tutto l'episcopato franco, orientale e occidentale, a esprimere il proprio giudizio sul rè. Un sinodo Lateranense dell'863 condanna il nuovo matrimonio del rè; senza procedimento giudiziario, gli arcivescovi di Colonia e di Treviri vengono destituiti.
Il legato di Niccolo, questa volta l'equivoco Arsenio,177 accompagna Valdrada in Italia.
Ella fugge presso suo cognato Lodovico, che viola il giuramento.
Ma il Papa non cede neppure di fronte alla rinuncia di Teuteberga.
Egli condanna in pieno i colpevoli.
Non che egli, naturalmente colpisse qui con la scomunica.
Non arrivò quindi a una rottura clamorosa con la Chiesa franca; non poteva averne alcun interesse, di fronte alle gravi controversie ecclesiastiche con l'Oriente.
Il Papa morì prima che la questione fosse risolta; fu ripresa sotto il suo successore Adriano, ma senza conseguenze.
In tutta questa vertenza è evidente il mutamento dei rapporti fra Papa e regno franco e i suoi sovrani, dai tempi di Bonifacio, di Pipino e di Carlo Magno; l'elemento nuovo nell'atteggiamento del Papa si manifesta in modo particolare, se pensiamo che anche Carlo Magno e perfino il pio Carlomanno, in sostanza, avevano agito come Lotario senza che ciò avesse provocato un conflitto col Papato, per il quale allora non ci sarebbe stata alcuna possibilità d'intervento.
Qui, con Niccolo I, si annuncia chiaramente il futuro capovolgimento in favore del Papa.
In realtà il Papa, estendendo la sua giurisdizione politico-ecclesiastica, divenne al tempo stesso il difensore della legge morale e della giustizia cristiana.
5. Il pontificato di Niccolo I segna una cesura anche nel tragico, continuo accrescersi del contrasto, da tempo divenuto più profondo, fra Chiesa orientale e occidentale.
Il difensore dei diritti particolari della Chiesa in Oriente era allora il Patriarca Fozio ( dall'858 ).
Egli era la persona più dotta del suo tempo, un uomo che, per energia e coscienza di sé, poteva competere con Niccolò, nell'affermare la grande tradizione e posizione di potere della Chiesa orientale ( che egli aveva tutto il diritto di difendere ), ma era purtroppo anche pieno di scaltrezza.
Da segretario di stato e comandante della guardia del corpo imperiale era stato creato Patriarca di Costantinopoli, dopo che gli erano stati conferiti nello spazio di 5 giorni ( dunque in maniera non canonica ) tutti gli ordini.
La sua elevazione era avvenuta dopo l'allontanamento del suo predecessore Ignazio dalla sede patriarcale, per opera del reggente che viveva in matrimonio invalido.
In questo scisma Ignazio-Fozio ebbero parte rivendicazioni politiche ed ecclesiastico-politiche molto reali, da parte del Papa: il quale esigeva che gli venissero restituiti il vicariato di Tessalonica, le province ecclesiastiche e i patrimoni dell'Italia meridionale e di Sicilia ( più tardi si aggiunse la questione dei Bulgari ).
Ne i molto abili raggiri di Fozio ( che cercava di procurarsi l'approvazione di Roma ), ne ( anche qui! ) l'atteggiamento perlomeno poco chiaro, dei legati pontifici,178 ne le storpiature o le falsificazioni degli scritti pontifici, ne l'atteggiamento con cui, anche in questa circostanza, i vescovi di Colonia e di Treviri operarono contro il Papa, riuscirono a far desistere Niccolo I dalla sua linea: essa fu espressa nel Sinodo Lateranense ( 863 ) e in un rescritto dell'865.
Ignazio è stato destituito a torto, Fozio non può essere riconosciuto quale Patriarca; le divergenti concezioni giuridiche della Chiesa orientale non possono essere tollerate; le prescrizioni della sede romana obbligano tutti.
Comunque ( così afferma il rescritto dell'865 ), si potrebbe pensare all'eventualità di un nuovo processo, se Ignazio e Fozio comparissero dinanzi al loro giudice, a Roma.
La portata di questa sentenza del Papa diventa più chiara, se pensiamo alla situazione generale: in conseguenza della migrazione dei popoli Roma e Bisanzio s'erano profondamente estraniate sul piano culturale, e ciò era stato ancor più acuito dalla penetrazione in Oriente di elementi asiatici.
Con l'incoronazione dell'Imperatore nell'800, l'Occidente, agli occhi dei Greci, si era staccato politicamente dall'Oriente; ora Niccolo, accanto al suo antico primato dottrinale, afferma in modo più deciso il suo primato di giurisdizione ed esige dall'Oriente, in maniera inaudita, d'esser riconosciuto anche come supremo giudice, come egli, in base a una favorevole costellazione di poteri, era riuscito ad ottenere in Occidente - nel suo proprio Patriarcato.
- Per quanto anche da parte di Bisanzio difetti e colpe possano essere all'origine della tensione e della successiva scissione, non si può negare che le riserve interne degli ortodossi di fronte allo sviluppo più dinamico dell'Occidente erano senz'altro giustificate ed erano cristianamente comprensibili.
L'appoggio morale dei metropoliti di Colonia e di Treviri si trova in un certo rapporto con il piano di Fozio di incanalare tutta l'opposizione franca, compreso l'imperatore Lodovico II, contro il Papa, affinché venisse messa in atto la deposizione pronunciata ( dal concilio dell'867, v. sotto ) contro il Papa.
Ma a questo punto si rivelò quanto ormai estranei fra loro fossero Oriente ed Occidente.
L'appello del Papa a Incmaro, a Liutperto di Magonza e a tutto l'episcopato franco, ebbe successo.
È indice della grandezza morale di Incmaro il fatto che egli - trattato poco prima dal Papa come « maligno impostore » e « falsificatore » - alla testa dell'episcopato franco, sia rimasto fedele al Papa.
6. a) Questa situazione già pericolosamente tesa, fu ancor più aggravata dai dissensi insorti circa la conversione dei Bulgari, i quali - preoccupati per la loro indipendenza politica - non sapevano se decidersi per Bisanzio o per Roma.
In un primo tempo cercarono di appoggiarsi alla Chiesa orientale: lo Zar di Bulgaria, Boris, nell'865 si fece battezzare a Costantinopoli; missionari greci iniziarono l'opera di conversione e Fozio inviò al principe bulgaro un poderoso scritto dottrinale.
Boris però, deluso nelle sue aspirazioni di autonomia ecclesiastica, si rivolse a Roma, nell'866, per ricevere da Niccolo quello che Fozio aveva negato.
Il Papa riuscì abilmente a eludere la richiesta di un proprio patriarca fattagli da Boris, inviò però, senza indugio, un gruppo di missionari i quali, guidati da due vescovi, iniziarono il lavoro di evangelizzazione, seguendo le direttive del Papa, redatte allo scopo.
Le usanze bizantine furono sottoposte ad aspra critica e sostituite con quelle romane.
I missionari greci, come quelli franchi ( che Boris poco tempo prima aveva chiesto all'imperatore Lodovico ) dovettero abbandonare il Paese.
Inaspettatamente quindi il patriarcato romano si estese molto al di là dell'antico vicariato di Tessalonica, fino alle porte di Costantinopoli.179
Ciò parve insopportabile ai Greci e permise a Fozio, assieme agli altri patriarchi orientali di trasformare la sua causa in quella di tutto l'Oriente contro i « delinquenti » occidentali; si giunse così ad una opposizione di principio e furono impiegati i mezzi più forti.
Che egli fondamentalmente negasse il primato romano oppure no ( come afferma recentemente Dvornik ), sta il fatto che nell'867 un sinodo a Costantinopoli decretò, alla presenza della corte, la destituzione e la scomunica del Papa essendo egli « eretico e devastatore della Vigna del Signore »; contemporaneamente fu fatto il tentativo, già menzionato, di sollevare l'episcopato franco contro Niccolo.
b) Al culmine della tragedia i protagonisti lasciano la scena: Niccolo muore prima che lo raggiunga la notizia della scomunica dell'867; Fozio invece scompare nella cella di un monastero poiché una rivoluzione di palazzo, nel frattempo, aveva riportato Ignazio alla sede patriarcale.
Il Papa successivo, Adriano II, scomunicò Fozio.
L'VIII concilio ecumenico di Costantinopoli dell'869/70, guidato da 3 legati pontifici, confermò questa sentenza contro l'intruso e il « nuovo Dioscoro » Fozio; le ordinazioni da lui amministrate furono annullate.
In un nuovo sinodo di Costantinopoli nell'879/80 però, i seguaci di Fozio riuscirono ad indurre il legato romano, che non conosceva la lingua greca, ad alcune concessioni.180
La dottrina primaziale proposta da Giovanni VIII fu abilmente mascherata nella traduzione e anzi Fozio fu nuovamente riconosciuto dalla Chiesa romana.181
Infine Fozio fu confinato in un monastero dal nuovo imperatore, un suo ex-discepolo, dove morì dopo 10 anni. ( verso l'897/98 ).
7. Questa lotta tradisce chiaramente l'opposizione politico-nazionale dei bizantini contro i « barbari » ed « eretici » occidentali.
Alla morte di Fozio l'unione non era ancor rotta, ma molto incrinata.
a) Non si comprenderebbe però la situazione oltremodo complessa e la sua problematica, senza porsi questa domanda: era veramente necessario giungere a questo risultato negativo?
Senza voler accreditare a Fozio più schiettezza e disposizione all'intesa di quanto riveli il suo agire, non possiamo dimenticare che i numerosi appelli al vescovo di Roma implicano effettivamente un riconoscimento dell'ufficio di Pietro.
Se ora, proprio in quella drammatica alterna vicenda di contrasti, il processo di allontanamento precipitò, la causa non è forse da attribuire al fatto che, non soltanto la parte orientale ( dove Fozio, o gli imperatori miravano, con l'aiuto dell'autorità papale, a far vincere il loro partito ), ma anche quella occidentale pensava troppo al raggiungimento dei propri scopi?
Un atteggiamento più soprannaturale e più sollecito non del proprio prestigio, ma nel servizio della chiesa orientale, così ricca di tradizioni, non avrebbe forse espresso con maggior successo l'ufficio di Pietro in Oriente?
b) Niccolo I sulla strada che da Gregorio I conduce al culmine del Medioevo, è il gradino preparatorio del programma di Gregorio VII e di Innocenze III.
Ciò che da questi Papi doveva essere espresso e realizzato come manifestazione di pienezza di potere ecclesiastico specificamente medioevale, qui è presagito, ideato o già esigilo.
In questa futura pienezza di potere del Papa avrà un grande ruolo la tanto invocata « teoria delle due spade ».
Niccolo non l'ha mai insegnata ( come del resto neppure Gregorio VII ); essa appare con questa espressione la prima volta in uno scritto di Bernardo di Chiaravalle ( § 50,IV ).
Ma anche nella teoria delle due spade abbiamo a che fare con una immagine-guida medievale, estremamente complessa.
Essa ha subito un notevole mutamento di significato.
Non ha certo lo stesso significato in san Bernardo e in Bonifacio VIII ( § 63 ) o nei canonisti dell'alto o del tardo Medioevo.
Se si guarda ai concetti basilari, già in Niccolo si trova la pretesa che il Papa, come Pietro, disponga delle due spade.
Il Papa però, non postula per sé questo diritto nel senso di un esercizio diretto ma solo come potestà direttiva ( pofesfas directiva ).
Indice |
172 | Successivamente l'« imperiale » fu spesso sopravvalutato anche da parte della Chiesa. Rimane importante, perciò, che il punto di partenza sia stato religioso. |
173 | Non è sempre necessario far rilevare che questo universalismo ha in sé delle differenze decisive in Niccolo e Carlo Magno. |
174 | Essi rimproveravano al Papa di essersi eretto a « Imperatore» (!) di tutto il mondo. |
175 | L'Imperatore orientale aveva preteso « di essere il capo »; i romani sarebbero stati solo « le membra ». |
176 | Riguardo al problema delle falsificazioni medievali vedi § 39, 6 a. |
177 | Egli è contemporaneamente uomo di fiducia dell'imperatore Lodovico, approfitta della sua legazione per arricchirsi personalmente. Ci si chiede se egli sia stato del tutto estraneo alla fuga di Valdrada. La figura di questo Arsenio illustra molto bene una situazione estremamente complicata. |
178 | Abusando dei loro pieni poteri, essi dichiarano giusta la deposizione di Ignazio; non pronunciano però il riconoscimento di Fozio. |
179 | Purtroppo una politica personalistica illuminata dei romani, più tardi spinse di nuovo i Bulgari dalla parte di Costantinopoli ( v.
§ 42 ). La politica di indipendenza dello Zar bulgaro portò, con l'adozione della liturgia slava, alla erezione di un proprio patriarcato entro la Chiesa greca. |
180 | Vedi il cap. III,3. |
181 | Che Giovanni VIII abbia condannato ancora una volta Fozio è smentito dalle più recenti ricerche. |