La storia della Chiesa |
1. a) L'investitura laica, vale a dire la promozione di un chierico ad un vescovado o ad un'abbazia per mano di un principe secolare, avveniva mediante la consegna del pastorale237 e, più tardi, anche dell'anello, simboli della dignità episcopale.
Essa risale, nelle sue origini, all'inizio del regno cristiano dei Franchi.
Nella sostanza, era un aspetto del sistema della Chiesa territoriale, accettata anche dalla Chiesa, al quale erano essenzialmente connessi i diritti ( e i doveri ) ecclesiastici del principe.
Essa era diventata, nei secoli X e XI sia per uso legittimo che per abuso, un diritto, sancito dalla consuetudine, in tutti i regni.
Ancora nel 921 un Papa ( Giovanni X ) aveva ammesso che, secondo un'antica usanza, nessuno, all'infuori del rè, potesse assegnare un vescovado ad un sacerdote.
Queste consuetudini, così radicate nel passato, non c'inducono a condannare l'investitura laica semplicemente come non-ecclesiastica; tanto meno si ha il diritto di muoverle, in ogni caso, il rimprovero di simonia.
Questo rimprovero non venne sempre fatto nemmeno quando le cariche ecclesiastiche venivano comperate, vendute, ereditate o date in dote.
Poteva infatti trattarsi di chiese private, fra le quali, un po' alla volta, furono considerate anche le grandi chiese che fruivano dei beni del rè.
È ovvio il pericolo di profanazioni che divennero anche una triste realtà, soprattutto da quando iniziarono i disordini merovingi.
L'investitura è un tipico fenomeno che dimostra quanto il Medioevo si trovasse in pericolo sul piano religioso a causa del connubio fra realtà religiosa e quella temporale, a danno della prima.
Anche giudicando il comportamento del clero, è necessaria una scrupolosa distinzione.
Se nel IX e nel X secolo il clero non fu, in generale, all'altezza della dignità del suo ufficio, non si può dire tuttavia che tutto il clero in quel tempo conducesse una vita sfrenata.
In particolare per quanto riguarda i vescovi, l'episcopato, quello tedesco almeno, dopo aver superato il declino, a partire dunque da Ottone I intorno alla metà del X secolo, assolse bene al suo duplice compito risultante dalla investitura laica di signore ecclesiastico e politico.
Quanto la problematica sia profonda, lo dimostra anche il fatto che i fronti non sono nettamente distinti; ma che nelle aspre lotte che seguiranno buona parte della Chiesa imperiale, comprese grandi abbazie, furono di volta in volta dalla parte dell'Imperatore.
b) Il partito della riforma vedeva intanto, con sempre maggior chiarezza, i pericoli e gli aspetti negativi.
Tra i suoi rappresentanti il più importante, come abbiamo detto, dopo e insieme con Umberto di Silva Candida, fu Ildebrando, il futuro Gregorio VII.
Quanto più chiaramente questi circoli compresero la peculiarità dell'elemento cristiano-religioso e la sua superiorità su quello temporale-economico,238 tanto maggior sensibilità acquisirono per il troppo stretto raccordo tra elemento religioso ed economico, e tanto più in fretta ( e anche troppo in fretta ) si concludeva per la simonia canonicamente proibita.
Ma appunto qui stava la difficoltà; nel distinguere dall'abuso ciò che era storicamente e obiettivamente legittimo in gran parte si doveva prima stabilire che cosa fosse la simonia.
Tra gli stessi riformatori non regnava, a questo proposito, soltanto accordo.
2. a) Ildebrando ( nato verso il 1020 ) nel 1049 era ritornato nuovamente a Roma da Cluny.
Si può dire che il suo pontificato sia cominciato molto prima che egli fosse eletto Papa.
Già sotto i quattro successori di Leone IX ( + 1054 ), anzi prima, quando egli non rivestiva ancora alcuna carica vera e propria nella Curia, mediante relazioni familiari e d'amicizia con gli attivi circoli di riforma, aveva preso parte importante al governo della Chiesa.
Nel 1073 fu eletto Papa e assunse il nome di Gregario VII.
Contro il decreto sull'elezione del Papa del 1059, al quale egli stesso aveva cooperato, egli non fu eletto dai cardinali, bensì nella forma prima consueta, dal clero e dal popolo.
Probabilmente ritenne giusto segnalare la sua elezione al rè tedesco ( Enrico IV ) e accettò la conferma da parte di Enrico.
Una volta eletto, pose veramente tutte le sue forze, che si rivelarono quasi sovrumane, al servizio della Chiesa.
Iniziò il suo pontificato, in armonia con la sua provenienza religioso-culturale da Cluny e dalla cerchia della riforma ecclesiastica, con idee programmatiche molto chiare, non però con una dichiarazione di lotta contro il rè tedesco, dal quale egli, in un primo tempo, attendeva ancora aiuto contro il ribelle episcopato imperiale.
b) Gregario VII rappresenta, nella sua persona239 come nelle sue opere, il programma di tutto il curialismo dell'alto Medioevo.
Era monaco ed era Papa.
E ambedue in modo totale.
Egli era il servitore di Cristo e del suo Vicario, san Pietro, ma era anche il dominatore nato.
In lui però le due qualità sono così fuse insieme, da poter dire che il dominio sugli uomini sia stata la forma del suo servizio a Cristo, più esattamente, servizio nell'assolvere il compito di guida universale dato a Pietro dal Signore.
La fedeltà assoluta allo spirito religioso nel mezzo della grande realtà politica, questo intreccio carico di tensione, che nella realtà non è quasi possibile tradurre senza violenza, ma che Gregorio con un imponente sforzo psicologico-intellettuale-religioso ha cementato con la più pura intenzione, costituisce la sua formale peculiarità.
Dotato di una volontà combattiva e indomabile, non privo di rudezza,240 questo possente vincitore di uomini e di se stesso, ha impresso inconfondibilmente nella coscienza dell'umanità occidentale la figura ideale del monaco ( pietà ascetica ), ma soprattutto quella del Papa, come dominatore ( tutto il mondo, compreso il potere politico e i suoi rappresentanti, come sfera di dominio di Cristo e di Pietro ).
Egli ha realizzato il mistero del servizio genialmente-sovrano alla Chiesa.
Le sue idee ricevettero la loro forma definitiva solo dopo un certo sviluppo.
In un primo tempo egli aveva riconosciuto il potere reale-imperiale ancora come coordinato a quello pontificio.
In seguito però, la sua attività si esaurì nella lotta insonne per l'unico ideale che egli costantemente proclamò, per la iustitia, il diritto divino.
Un unico regno di Cristo sui popoli e le loro autorità politiche: sotto la guida del Papa.
In esso, realizzato dal Papa, un diritto divino, una unica sovranità divina.
Questa realtà religiosa priva di ogni concezione puramente simbolica o spiritualistica e immersa nella realtà concretamente politica: il Papa supremo feudatario del mondo!
Poiché la realtà sacerdotale è quella suprema, non può sottostare a nessuno.
Ogni male nella Chiesa deriva dal fatto che questa gerarchia fu sconvolta dalle ingerenze del potere temporale.
L'organizzazione del mondo secondo il piano di Dio descritta da Agostino può realizzarsi solo se il mondo è guidato dal Sommo Sacerdote.
Vale a dire, la « iustitia » può essere raggiunta soltanto se la Chiesa possiede la sua « libertas ».
Il nucleo basilare per questo rimane la superiorità, la particolarità e l'indipendenza della realtà ecclesiastico-religiosa.
Questa idea, che da Niccolo I in poi aveva cominciato ad attestarsi, fu da Gregorio VII portata alle sue estreme conseguenze.
In parte poté tradurre in realtà, egli stesso, il programma.
Per la maggior parte però furono i suoi successori che raccolsero dove lui aveva seminato.
Le grandiose innovazioni della Chiesa nei secoli XI, XII e XIII non sarebbero state possibili, senza la coscienza di sé della Chiesa, che egli aveva contribuito a formare.
Lo storico della Chiesa che dia uno sguardo retrospettivo, deve vedere naturalmente anche gli aspetti negativi dello sviluppo: le forze migliori della Chiesa d'ora in poi, nel Medioevo, sono legate sempre di più ad ottenere e mantenere, lottando, il dominio, e ciò molto vigorosamente, e servendosi dei mezzi del mondo.
La reazione immanente nel mondo « conquistato » non poteva certo mancare; il tentativo di un ordinamento teocratico di questo mondo, con mezzi politico-temporali, si snaturò in uno stretto connubio delle gerarchie con questo mondo e fu causa, in parte, della loro mondanizzazione.
c) La fondazione del dominio universale del Papato è, proprio e del tutto, opera di Gregorio VII.
Sotto questo aspetto il suo programma rappresenta ( realizzando o continuando lo Pseudo-Isidoro, Niccolo I e Niccolo II ) qualcosa di nuovo, in quanto egli riassunse in modo conseguente le esigenze del programma di riforma e incominciò a realizzarle.
L'agognata indipendenza della Chiesa dallo Stato era intrinsecamente legittima.
Si può dire persino che quella certa esagerazione, secondo una legge storica universale, è stata necessaria per l'affermazione di ciò che era legittimo.
Ma così, come la Chiesa tedesco-medievale storicamente era divenuta, questo modo di agire di Gregorio significava essenzialmente una rottura col passato.
È impossibile ignorare in lui certi atteggiamenti troppo decisi ( nei quali era stato preceduto dal cardinale Umberto ) che ebbero conseguenze fatali, sebbene siano stati dettati da intensissimo zelo religioso, e, meno ancora, le reazioni che, logicamente, queste pretese clericali suscitarono nella parte opposta.241
In conformità al sistema della Chiesa regionale, che aveva reso possibile la cristianizzazione dell'Europa; in armonia con la Chiesa imperiale del primo Medioevo, con la considerazione del re-imperatore, e con l'opera di salvezza della Chiesa nei disordini del saeculum obscurum compiuta dall'Imperatore, le potenze politiche della Germania possedevano il diritto storico di dire anch'esse la loro parola nella Chiesa.
L'investitura laica, perno della lotta tra Gregorio VII ed Enrico IV, non era un diritto arbitrario, scaturito da brame solo a-religiose, temporali.
La lotta per le investiture non fu semplicemente una lotta del diritto contro l'ingiustizia.
La tragicità della lotta che si stava iniziando, sta proprio nel fatto che entrambe le parti avevano ragione.
Si trattava in fondo del problema centrale dell'umanità, della relazione fra Stato e Chiesa, religione e politica, un problema che per la natura dei suoi elementi è sempre necessariamente sottoposto a forti tensioni.
La tensione però che in quel tempo era nata ed era stata impetuosamente potenziata da Gregorio, consisteva nel fatto che la sua tendenza agiva contro ciò che aveva una ragione storica.
In questo senso si può dire che Gregorio fu un uomo che pensò e che agì in maniera totalmente a-storica.
E in tale fatto, nonostante il grandioso progresso della realtà ecclesiastico-religiosa, si nascondevano gravi pericoli per la Chiesa.
Non va dimenticato che Gregorio afferrò e difese l'idea, concepita in modo assoluto, della realtà religiosa ed ecclesiastica con la coerenza d'un imperatore nato.
E che egli sosteneva delle idee che, in fondo, erano di natura politica e perciò dovevano necessariamente condurre i Papi a ragionare politicamente.
In tal modo, attraverso la teocrazia papale e la sua eccessiva accentuazione, si va preparando la politicizzazione e la secolarizzazione del Papato, così come si realizzò in parte ad Avignone e poi, in modo radicale, nel Rinascimento.
Diventa più forte il rigurgito delle forze, negativo per la Chiesa, attraverso l'intimo intrecciarsi di Stato e Chiesa, già più spesso ricordato per l'alto Medioevo, in una mescolanza che solo in rarissimi casi ( come in Enrico III ) si espresse in un ordinato rapporto reciproco, ma che in genere si esprimeva in continua lotta per la supremazia e in continui sconfinamenti di un potere nel campo dell'altro, provocando inevitabilmente la reazione dell'altra parte.
Con ciò fu resa impossibile la vera distinzione, sulla quale soltanto sarebbe stata possibile la « unità » di collaborazione e di reciprocità.
Scaduto il nuovo ordine che avrebbe dovuto conferire alla Chiesa la sua autonoma libertà d'azione ( dal vincolo della storia nazionale ), solo il riconoscimento dei diritti propri dell'indipendenza, dell'impero ( non di un'autonomia! ), della sfera politico-temporale, avrebbe potuto rendere possibile una sistemazione che avrebbe ristabilito il necessario equilibrio interno delle forze e scongiurato una reciproca opposizione distruggitrice.
La tragica tensione, più volte fatta rilevare, nell'edificazione della societas christiana medievale, contenente già nella fondazione i germi della decadenza, non fu qui strutturalmente eliminata, bensì potenziata nell'ascesa religiosa.
3. La prima misura di Gregorio interessò la riforma interna e fu diretta a colpire il male più funesto dal punto di vista religioso, la simonia e l'incontinenza degli ecclesiastici.
Come già sotto Leone IX e Niccolo II ( 1059 ), venne minacciato di deposizione chiunque fosse giunto ad un ufficio ecclesiastico attraverso la simonia; a tutti i sacerdoti fu proibito il matrimonio, e al popolo di assistere alle funzioni religiose officiate da preti ammogliati ( 1074 ).
Il partito della riforma e gran parte del popolo accolsero con gioia queste disposizioni; da parte degli interessati però ci furono degli aspri e più che aspri rifiuti di queste « nuove » disposizioni, e dell'esigenza « insopportabile » e « irragionevole » del celibato, sia attraverso singole proteste che attraverso sinodi.
Già dopo una reiterata comminazione di deposizione, nel 1074, una serie di vescovi tedeschi e lombardi e di consiglieri reali dovettero essere colpiti dalla scomunica.
( L'opposizione durò fino al XII e XIII secolo.
Poi la legislazione pontificia ottenne una piena vittoria242).
a) È fuori dubbio che qui era stata scelta come misura una meta ideale.
La sua graduale affermazione, nonostante il rilassamento dal XIV secolo in poi, ha fatto sprigionare nella cristianità, e specialmente nel clero, enormi valori etico-religiosi.
Ciononostante, non va sottovalutata l'intrinseca problematica.
Gli oppositori non furono soltanto uomini sfrenatamente sensuali.
Nella Chiesa occidentale, questo è certo, le leggi che venivano ora emanate trovavano degli agganci in antichi canoni.
Nell'ambito germanico però, essi non si erano potuti affermare, nel clero secolare.
Si era andato formando uno stato pratico equivalente, in molti punti, alle condizioni vigenti nella Chiesa orientale.
L'introduzione del celibato era una novità, nel senso che esso rendeva il sacerdote, in punti decisivi, un monaco, cosa che egli però non era, ne voleva essere.
Allora, contro questa generalizzazione, per la prima volta nella storia della Chiesa, fu fatta valere, su larghissima scala, l'autorità della Scrittura di fronte alle direttive ecclesiastiche.
Non va neppure dimenticato che con quelle disposizioni di legge venne favorito un certo offuscamento del carattere carismatico della verginità e si introdusse in essa una certa giuridicizzazione.
b) Il secondo attacco seguì nel 1075 con la proibizione di ogni investitura laica « simoniaca », pena la deposizione per colui che ricevesse l'investitura e la scomunica per il principe che la conferisse.
Gregorio mette sullo stesso piede, in maniera troppo indiscriminata, l'investitura laica e la simonia.
Contro questa seconda misura, l'opposizione si levò in modo molto più energico che contro la prima.
Non era solo l'interesse personale ad opporvisi.
Come già abbiamo detto, interessi vitali dell'impero contrastavano con l'assoluta applicazione della norma papale.
I vescovi e gli abati imperiali erano i più importanti possessori di beni imperiali; su di essi si fondava prevalentemente la concreta potenza ( economica e militare ) del rè in Germania.
Anche a prescindere dalla dignità sacrale del rè consacrato e dalla consapevolezza del suo potere ecclesiastico, il rè tedesco, già per le realtà politiche di fatto alle quali abbiamo accennato, non poteva rinunciarvi completamente.
Dato il nuovo concetto dell'autonomia della Chiesa, dovettero necessariamente sorgere degli attriti.
Poiché questa autonomia significava, di fatto, una pretesa di guida da parte della Chiesa della unità bipolare, cioè politico-ecclesiastica, della cristianità, si può ritenere che, a lungo andare nello spirito della nuova legislazione ecclesiastica, mai più si sarebbe potuto giungere ad una vera soluzione.
Comunque, in quel tempo si sarebbe potuto arrivare a una tregua, a un compromesso, se l'investitura, come è già stato detto, non fosse stata congiunta tanto spesso alla simonia.
Questo era il pungolo religioso che non lasciava pace alla coscienza religiosa.
E, infine, non va dimenticato questo fatto decisivo: « tutta l'esistenza della Chiesa era seriamente minacciata dal potentissimo influsso del diritto germanico della chiesa privata » ( U. Stutz ).
c) In Germania regnava allora Enrico IV ( 1056-1106 ), un sovrano intelligente.
Ma egli, nella distribuzione dei vescovadi, aveva proceduto in modo simoniaco.
Nelle controversie tra il Papa e il rè che ne risultarono, il 1075 è l'anno decisivo.
Nella lotta per la provvisione dell'importante arcivescovado di Milano, Enrico, che prima era stato tutto preso dalla sollevazione dei Sassoni, aveva promesso un cambiamento di rotta.
Perciò i suoi consiglieri furono sciolti dalla scomunica e a lui era stata impartita l'assoluzione.
Presso il Papa egli veniva considerato come un principe che serviva alla « iustitia », in subordine al potere spirituale.
Quando però, con l'aiuto dei prìncipi, i Sassoni furono vinti, Enrico non volle più saperne delle sue rinunce.
Si comportò come prima ( in modo particolare nella questione milanese ).
Gregorio reagì ( dicembre 1075 ) con un severo ammonimento al rè, che, unito ad una minaccia di scomunica, equivalse ad un ultimatum.
Il rè convocò ( gennaio 1076) una Dieta a Worms nella quale il cardinale Ugo di Remiremont, che era stato amico di Gregorio e aveva avuto una parte essenziale nella sua elevazione al pontificato, eccitò gli animi contro il Papa.
Si pervenne ad un giudizio da parte dei 26 prelati presenti, che depose il Papa a causa di pretesi delitti ( anche un sinodo lombardo diede la sua approvazione ).
Enrico, forte dei suoi diritti di patricius, impose a Gregorio di ritirarsi.
Uscì la famigerata lettera a « Ildebrando, falso monaco ».
Enrico cercò di consolidare la sua posizione, mediante la nomina autonoma di diversi vescovi e un attacco contro la Fatarla.
Ma i giorni di Sutri erano passati definitivamente.
La Chiesa imperiale non stava compatta dietro il rè.
Gli influenti arcivescovi di Magdeburgo, Brema, Salisburgo e Colonia ( Anno, l'oppositore di Gregorio, era appena morto ) non erano rappresentati a Worms.
A ciò s'aggiungeva inoltre, che gli alleati politici del Papato in Italia erano più forti ( la Pataria; i Normanni; Madide di Canossa con la sua importantissima potenza territoriale nell'Italia centrale e settentrionale243).
Ad un fatto come quello della deposizione del Papa avvenuta a Worms, la cristianità occidentale si era in certo qual modo abituata, sia per le misure prese nell'Impero romano d'Oriente, sia a causa degli scandalosi avvenimenti nel saeculum obscurum, ma anche attraverso gli interventi di salvataggio operati da Ottone I ed Enrico III.
Ora accadeva il contrario, e questo, per la coscienza occidentale, rappresentava qualcosa di nuovo, di inaudito e di rivoluzionario: prestissimo, solo un mese dopo la « deposizione » di Worms, il Papa, nel sinodo dei prìncipi del 1076, lanciò quella scomunica già minacciata ad Enrico, unita però a qualcosa di molto più importante e veramente nuovo, alla deposizione e allo scioglimento dei sudditi dal giuramento di fedeltà e alla proibizione244 di ubbidire al sovrano245).
4. a) La bolla di scomunica di Gregorio rivela una forte coscienza religiosa della sua autorità, incrollabile per la protezione di san Pietro.246
Di fronte a noi balza subito, in tutta la pienezza della sua potenza, il Papa del Medioevo, che domina il mondo.
Il mondo sentì la forza rivoluzionaria del gesto inconsueto.
Per la prima volta un rè tedesco veniva colpito dalla scomunica!
Il protettore supremo e con-reggitore della Chiesa veniva separato dal corpo della cristianità dal capo della Chiesa!
La pretesa del Papa di dominare sovrano nella Chiesa fu, in modo inaudito, non solo annunciata, ma anche applicata mediante una misura che era un ultimatum: invece di con-governare, ubbidire!
Nella sua lettera da Worms, Enrico IV si era appellato alla tradizione, per la quale il sovrano consacrato sottostava soltanto al giudizio di Dio.
Ma Gregorio VII nel suo « Dictatus Papae » esprime, nel più chiaro dei modi, che soltanto il Papa è tenuto « a governare la Chiesa ».
Purtroppo non si può ignorare che le espressioni del Papa non sono scevre di superlativi insufficientemente controllati.
Ne è un esempio il fatto che Gregorio « sciogliesse tutti i cristiani dagli obblighi di giuramento già prestato o che avrebbero prestato in futuro ».
A quali pericolose conseguenze poteva o doveva condurre questo!
L'effetto della scomunica non fu del tutto unitario.
Ma anche dove si negava la possibilità di una deposizione del rè da parte del Papa ( talvolta in forma grossolanamente demagogico-pubblicistica )247 si parlava di un perturbamento universale.
E questa era realmente la sensazione di tutti: si era verificato un urto catastrofico.248
b) La considerazione della sua minacciata posizione politica come rè tedesco ( i prìncipi in un'assemblea tenuta a Tribur, avevano deciso di deporre Enrico e di procedere all'elezione di un nuovo rè se Enrico, entro un anno, non si fosse liberato dalla scomunica ) indusse Enrico a varcare le Alpi nell'inverno 1076-77 per portarsi a Canossa, un castello fortificato della principessa Matilde di Toscana, rimasta fedele al Papa, dove quest'ultimo era ospite ( sulla strada verso Augusta dove avrebbe preso parte alla Dieta dei prìncipi per « esaminare se il neo-eletto fosse degno » ).
Per tre giorni il rè apparve dinanzi al castello, come penitente e chiese di venir riassunto nella Chiesa.
Fu una forte umiliazione, ma fu anche un'umiliazione nell'ambito della comune fede cristiana, del rè quindi, dinanzi a san Pietro.
Quale interlocutore e anche quale Papa avrebbe potuto accantonare in tale situazione, in vista di interessi puramente spirituali, le considerazioni politiche?
Gregorio invero, in un primo tempo si rifiutò di vedere Enrico.
Al quarto giorno cedette.
Chi per lui impetrò fu soprattutto l'abate Ugo di Cluny, padrino di Enrico.
Gregorio porse a Enrico la santa Comunione: il sacerdote in lui non poteva rifiutare l'assoluzione.
Ma egli non riabilitò il rè al governo in quest'occasione.
Il vincitore tuttavia, dal punto di vista politico, fu il rè.
Intendiamoci, vincitore sul piano della politica di corto respiro!
Sul piano dell'idea, per la realizzazione della quale qui si lottava, entrambe le parti subirono una sconfitta decisiva e irreparabile: l'umiliazione del rè e del futuro imperatore franse il carattere di sacralità, autonomo ed immediato, del rè tedesco e futuro imperatore, e con esso la sostanziale premessa per una vitale unità ecclesiastico-politica universale.
c) La conciliazione non durò a lungo.
Deposto dai prìncipi, ma tuttavia sempre vincitore nella guerriglia, Enrico volle che il Papa lo riconoscesse e scomunicasse l'anti-re ( Rodolfo di Svevia ) e minacciò di eleggere un anti-papa.
Dopo che il Papa, per lunghi anni, si era mantenuto neutrale tra i due candidati ( ciascuno dei quali esigeva la scomunica dell'avversario ), ma aveva sempre incitato i suoi legati a esaminare la faccenda, nel 1080 reagì contro questa minaccia con una seconda scomunica.
Nel contempo egli affermò solennemente il diritto della « Chiesa », cioè del Papa, di togliere o di concedere, secondo il merito, monarchie e imperi, insomma ogni dominio temporale.
È istruttivo il fatto che questa seconda condanna religiosa abbia avuto effetti così scarsi, sebbene fosse stata pronunciata dopo che Enrico aveva minacciato di deporre il Papa; in Germania ci dovevano essere dei dubbi sulla legittimità della formula di scomunica.
Enrico venne di nuovo in Italia, nominò un antipapa, assediò tre volte Roma, la nobiltà romana e gran parte del collegio cardinalizio abbandonarono il Papa; Gregorio fu deposto ed esiliato; l'antipapa Guiberto di Ravenna fu rieletto e solennemente intronizzato col nome di Clemente III, ed Enrico fu da lui incoronato nel 1084.
La sconfitta del Papa sembrava totale.
I Normanni liberarono Gregorio dal Castel sant'Angelo, ma devastarono Roma, in proporzioni prima mai viste, cosicché l'esasperazione dei Romani si rivolse anche contro il Papa.
Egli dovette abbandonare la città e ritirarsi a Montecassino.
Nel 1085 morì in « esilio » a Salerno.
I contrasti attorno alla figura di Gregorio rivissero ancora dopo parecchi secoli, quando Papa Paolo V lo canonizzò ( 1605 ).
Nel XVIII secolo la celebrazione della sua festa era ancora proibita in Francia, in Austria e in altri Paesi, e soprattutto la biografia di Gregorio inclusa nel breviario dei religiosi veniva considerata come un attacco alla sovranità dei principi.
5. Il pontificato di Gregorio non si esaurì affatto nella lotta con la Germania.
Nel suo famoso « Dictatus Papae » egli presentò un vastissimo programma degli universali diritti pontifici.
Questa compilazione fu approntata nel tempo anteriore alla lotta per le investiture.
La seconda delle 27 proposizioni fondamentali sui diritti del Papa dice: « Il Pontefice romano è il solo ad esser chiamato, a ragione, vescovo universale ».
A ciò corrispose la cura di Gregorio per tutta la Chiesa.
Il suo ideale di supremazia del Papa sui prìncipi e tutti i poteri politici egli cercò di realizzarlo nei confronti dei Normanni, dei Danesi, degli Ungheresi, degli Spagnoli, in Dalmazia e in Provenza e perfino presso una stirpe russa.
I diritti proclamati per principio da Gregorio di fronte a tutti i regni, non furono però da lui dappertutto perseguiti con la stessa inflessibilità.
a) Punto di partenza della sua contesa con Filippo IV, rè di Francia ( 1060-1108 ), fu parimenti l'investitura.
Qui però la scomunica fu solo minacciata.
La situazione della Chiesa in Francia assomigliava solo in parte a quella della Chiesa dell'Impero: la differenza concerne il potere centrale del rè, ancora relativamente scarso a quel tempo, e la maggior potenza della nobiltà.
È inoltre d'interesse interno per la Chiesa l'istituzione di un legato papale mediante il quale il Papa dette un colpo all'antico ordinamento della Chiesa francese ( recidendo le pretese primaziali di Reims ).
La concezione della supremazia di Gregorio nei confronti del potere temporale si palesa anche nel suo interessante tentativo di istituire una serie di strutture politiche in stretta dipendenza feudale dalla Santa Sede:
1) Un tentativo in tal senso, nei confronti di rè Guglielmo, il conquistatore d'Inghilterra ( che doveva il suo dominio in gran parte all'appoggio di Alessandro II ), fallì: egli rifiutò il giuramento feudale e pagò soltanto il solito obolo di san Pietro.
2) Anche analoghi tentativi in Spagna rimasero più o meno teoria, poiché la « crociata » del conte Ebolo di Roucy non portò ad alcun risultato.
Comunque, qui si vede chiaramente quanto Gregorio si valesse della donazione di Costantino, dalla quale egli deduceva non solo dei diritti sulla Spagna, ma anche sulla Corsica e sulla Sardegna.
3) Frustrato fu l'intervento anche in Ungheria, dove il Papa poteva richiamarsi all'invio della corona da parte di Silvestre II.
4) La politica papale raggiunse il suo scopo in Croazia e nel principato russo di Kiev.
5) In fine, è interessante a tale proposito il tentativo, anche questo fallito, di porre in dipendenza feudale il successore, originariamente previsto nell'impero, Rodolfo di Svevia: la formula di giuramento contiene, oltre all'obbligo di obbedienza di fronte al Papa, anche il riconoscimento formale della « Donatio Constantini ».
Tutte queste imprese non sono affatto di natura puramente politica: esse debbono servire alla realizzazione della pretesa di dominio universale del Papa, avente, in ultima analisi, il suo fondamento nella religione.
Ciononostante, proprio qui si palesa come Gregorio mirasse a raggiungere o ad assicurare l'ampliamento della sfera del dominio ecclesiastico nel senso della sua teoria, usando dei mezzi politico-temporali.
6) All'inizio del suo pontificato si delineò la possibilità di una unione con l'Oriente.
Forse alcune affermazioni del « Dictatus » dovevano servire di base per delle trattative.
Gregorio, comunque, progettava nientemeno che una grande campagna di liberazione che sotto la sua guida come « dux et pontifex » avrebbe dovuto unire l'impegno militare a quello religioso.
Il grande monaco e pontefice-imperatore, al tempo stesso anche condottiero militare!
b) Il Papa esteriormente battuto da Enrico IV fu tuttavia il vincitore nella lotta storica; ( assai più tardi - in modo chiarissimo nella caduta di Bonifacio VIII - ebbero la loro ripercussione però anche alcuni elementi errati della sua concezione di fondo ).
Infatti, la lotta per le investiture, che durò per 50 anni, si concluse essenzialmente con la vittoria della causa papale: da una totale dipendenza la Chiesa giunse a una emancipazione altrettanto completa, anzi ad una « preponderanza » ( Ranke ).
Già un decennio dopo la morte di Gregorio, il Papato si dimostra nella prima crociata la guida dell'Occidente.
La lotta per le investiture non si svolse naturalmente senza ripercussioni; fu una lotta complessa, vera e aspra, nella quale già con Enrico V ( quando si sentì politicamente sicuro ) si ebbe un enorme contraccolpo che si tradusse in un completo soggiogamento della Chiesa: Papa Pasquale ( 1099-1118 ) fu allora imprigionato e gli fu strappato il consenso per l'investitura con l'anello e il pastorale ( il famigerato « privilegium », più tardi ritirato dal Papa ); il successore Gelasio II dovette fuggire in Francia ( morì a Cluny ) e fu nominato l'antipapa Gregorio VIII ( 1118-1121 ).
Ciononostante ebbe luogo uno dei più radicali processi di chiarificazione nella maturazione del pensiero occidentale; si imparò a poco a poco a distinguere, in generale, tra il potere temporale del vescovo e il suo ufficio religioso.
Su questa base si pervenne ad una soluzione di compromesso nel Concordato di Worms nel 1112 ( tra Enrico V e Callisto II ): scelta libera del vescovo da parte del clero, rinuncia del rè all'investitura con l'anello e il pastorale, investitura del candidato già eletto dei possedimenti temporali ad opera del rè con lo scettro, giuramento feudale del vescovo o dell'abate.
Non si parla più ora di una conferma dell'elezione del Papa da parte dell'Imperatore, Enrico V deve però riconoscere i « Regalia beati Petri ».
In un intermezzo di suprema importanza, Pasquale II aveva già offerto la soluzione alla cui realizzazione la Chiesa tedesca giunse con la forza solo 700 anni più tardi: la completa restituzione delle regalie all'Impero.
Il progetto fallì per l'opposizione unanime dei vescovi tedeschi.
Questa proposta di Pasquale II mette maggiormente in evidenza il carattere di compromesso del concordato di Worms.
E, parimenti, palesa tutta la gravita della lotta spirituale attorno all'investitura.
Che essa sia fallita, non è da addebitare soltanto all'egoismo dei prìncipi ecclesiastici, ma anche al fatto che il pensiero d'allora non era ancora maturo per questo progetto che a noi sembra ora tanto evidente: non si era ancora in grado di staccarsi dalla concezione della Chiesa una, interessante tanto la realtà temporale quanto quella religiosa, della « ecclesia universalis ».
c) Il Concordato di Worms non costituiva una soluzione completa di un problema praticamente quasi insolubile dalle sue fondamenta.
Tuttavia fece epoca.
In modo simbolicamente pregnante si espresse nel fatto che ciò venne annunciato dal primo dei Concili ecumenici occidentali ( Lateranense 1123, il nono dei concili ecumenici ).
Questo però era anche il primo concilio ecumenico che, a differenza di quanto era accaduto in passato, venisse convocato e diretto soltanto dal Papa.
L'evoluzione era progredita in modo decisivo.
Il risultato ottenuto non era però semplicemente ecclesiastico, sebbene di carattere spiccatamente clericale; la futura formazione nella Chiesa, di un laicato adulto, fu reso straordinariamente difficile dal nuovo sviluppo e dalla tendenza trionfalistica.
Allo scopo di una reale influenza del rè tedesco nella provvisione di vescovadi e di abbazie imperiali provvedeva il suo diritto di presenziare all'elezione e di prendere lui la decisione, qualora l'elezione fosse discorde.
Una persona a lui direttamente poco gradita era ben difficile che arrivasse alla consacrazione.
Anche la potenza imperiale degli Hohenstaufen deriverà un giorno, in gran parte, dal suo influsso sui beni della Chiesa tedesca, come, del resto, si potrà sempre trovare anche una rilevante falange di forze ecclesiastico-religiose dalla parte dell'Imperatore.
6. La lotta di Gregorio VII contro Enrico IV ha un'importanza storica fondamentale e per molti aspetti fa epoca.
Per poterla valutare nella sua vera prospettiva è necessario anche avere il senso per le grandi, anzi enormi tensioni che non sono mai mancate ne alla dimensione di personalità geniali ne a tempi eroici.
È antistorico voler sminuire l'importanza di Gregorio VII in nome di un presunto spirito cristiano ( cfr. Mt 10,34 : « non la pace, ma la spada »; Ger 1,10 ).
Anche ( e proprio ) a questo punto dello sviluppo, bisogna imparare a capire la realtà storica come realtà complessa, nella quale si intersecano elementi diversi, anche apparentemente contraddittori, legittimi, assolutamente necessari, con altri negativi.
a) La lotta per il celibato e contro la simonia, in ultima analisi, non è altro che la lotta cristiana per la libertà dell'elemento interiore e religioso dall'istinto del sensi e dal potere materiale.
D'altra parte però, il modo cosi poco differenziato dell'attuazione, dimostra che essa non era libera da misure anche oggettivamente non giuste.
In questo contrasto non si trattava solo d'aver ragione su una questione particolare.
Il problema radicale era, chi dovesse considerarsi capo del mondo, la Chiesa o lo Stato; si trattava della pretesa del Papato di staccarsi dall'Impero che era stato sino allora la guida, per assumere esso stesso la direzione del mondo.
L'Occidente poggiava completamente sui fondamenti che ad esso aveva dato la Chiesa.
In corrispondenza di questo fatto e conformemente al superiore valore che spetta al principio dell'elemento religioso, il Papato ambiva alla funzione di guida.
Esso era la forza del futuro.
La storia dapprima sembrò dare ragione a Gregorio.
Dieci anni appena dopo la sua morte, Urbano II è la guida dell'Europa che marcia contro l'Islam ( § 49,1b ), nell'esecuzione di un piano già concepito da Gregorio.
Ma anche qui non va ignorato l'elemento negativo.
La gerarchia ha bensì il compito di sottomettere tutta la realtà al Signore, di santificarla; non ha però il compito di svolgere essa direttamente anche la parte politica.
Proprio la grande impresa delle Crociate rivela questa problematica negativa nello spirito del Vangelo.
b) La lotta era inoltre di un'importanza enorme per la unità della Chiesa.
In quanto venne rotto il legame essenziale dei vescovi tedeschi con il rè, cadde automaticamente il carattere della « chiesa imperiale » a indirizzo nazionalistico ( nonostante la sua idea universale ).
Per opera di Gregorio la Chiesa tedesca fu inserita, in un senso più immediato di quanto non lo fosse stato fino allora, nell'insieme della cattolicità.
Con ciò, per quanto riguarda la Germania, si era raggiunto uno degli scopi principali del Papato medievale e della Chiesa in generale.
E questo a sua volta era necessario per l'esistenza della Chiesa.
Il pericolo della rottura, infatti, apparentemente superato, doveva ben presto minacciare la Chiesa in forma nuova: attraverso il nascente « nazionalismo » ( nel senso del XIII e XIV secolo ) sulla base della concezione dello stato autonomo nella secolarizzazione ( causata in parte anche dalla riforma gregoriana ) della sfera statale e attraverso il fallimento del programma universale del Papa sul piano politico e politico-ecclesiastico ( di fronte all'idea imperiale degli Hohenstaufen e alla concezione dello stato di Filippo il Bello di Francia ).
c) Un altro importante rilievo: poiché, come è stato detto, l'esclusione della Chiesa dalla struttura politica generale fu operata solo in Germania con la radicalità descritta, ne derivò, come contraccolpo, un certo estraniamento, anche se non sempre consapevole.
Tutto il processo significa anche che la Germania ( dopo che nel X secolo e all'inizio dell'XI aveva salvato il Papato ) alla fine della lotta per le investiture pagò la posta maggiore per l'unità della Chiesa.
Non va dimenticato che lo scontento « ecclesiastico-nazionale » della Germania sorto proprio ora, a differenza della Francia e dell'Inghilterra, doveva diventare, proprio in Germania, una delle « cause » maggiori della diffusione della Riforma protestante.
d) L'attività di Gregorio sembra a prima vista aver servito solamente alla particolare grandezza papale, che fu legata al Medioevo e scomparve con esso.
In realtà proprio attraverso questa via indiretta in certo senso « politica », l'idea del primato giurisdizionale del Papa si impresse profondamente nella coscienza dei popoli molti secoli prima della sua definizione.
Nessuno ha partecipato a tale lavoro più del gigante spirituale, che per primo espresse in modo chiaro, preciso, inequivocabile e senza esitazione, quell'ideale sovrumano della grandezza del Papa in senso medievale e intraprese poi a calarlo, senza sosta, dal regno della teoria nella realtà.
e) D'altra parte, il fatto che questa prima realizzazione del regnum universale della Chiesa fosse avvenuta in maniera tanto stretta attraverso una « via indiretta politica », era naturalmente condizionato dalla storia del tempo, doveva però, come è stato più volte accennato, riuscire dannoso per il compito di guida spirituale.
Capovolgimenti storici delle dimensioni riscontrate nella lotta per la riforma gregoriana è difficile che si effettuino senza maturare delle conseguenze anche negative.
Canossa è una delle ore fatidiche dell'Occidente cristiano, non solo nel senso che fu ufficialmente fondata una concezione nuova nei confronti degli ordinamenti tradizionali, o che qui o partendo di qui venne affermata la supremazia, specificamente medievale, del papa come superiore a tutti gli ordinamenti del mondo, ma anche per il fatto che qui vennero posti non solo in teoria, ma anche nella pratica politica, i fondamenti per la secolarizzazione dell'Impero.
Se si prende l'avvenimento di « Canossa » nel suo complesso e non si guarda soltanto, in modo unilaterale, al pericoloso scioglimento dei sudditi dall'obbligo di fedeltà, esso rappresenta, dal punto di vista della Chiesa, un passo oggettivamente e religiosamente giustificato; ma esso, in contrasto con l'evoluzione storica, si rifece, spiritualizzandolo, ad un ideale puramente religioso, e si appropriò al tempo stesso dei frutti dello sviluppo storico.
Ci imbattiamo anche qui in quel tragico fatto che tanto spesso incontriamo nella storia e specialmente nel Medioevo ecclesiastico: l'elemento legittimo porta in sé, dal punto di vista cristiano, i germi di conflitti che ne sminuiranno il valore.
Nel nostro caso la tragedia storica si amplia, con rilevante insistenza, fino a trasformarsi in teologica.
La verità rivelata nella Chiesa e per mezzo di essa cresce in un indissolubile intreccio con le strutture e le idee di questo mondo, ma nello stesso tempo queste ultime la offuscano necessariamente e le danno una impronta storica che non è priva di un pesante aggravio per il mandato vero e proprio.
Purtroppo ci troviamo dinanzi ad uno sviluppo che non era evitabile.
L'interrogativo-desiderio, se per caso il Papato non avrebbe potuto evitare la via che portò allo Stato della Chiesa, alla politica e alla guida politica, scaturisce da un modo di ragionare anti-storico.
Nell'ambito germanico e nell'incontro tra Chiesa e Germani, l'affermazione dell'attività politica della gerarchia era un dato di fatto.
Una volta stabilito questo, gli avvenimenti ulteriori si svolgono in modo conseguente.
È certo che non si può riconoscere alla storia alcun diritto che offuschi la purezza della Rivelazione.
Ma la giustificazione storica di quello sviluppo sta proprio nel fatto che noi non vediamo per quale altra via avrebbe potuto in concreto esser raggiunta la possibilità di realizzare completamente l'unità giurisdizionale della Chiesa.
Neppure l'avidità personale di potere di singoli Papi toglie nulla alla giustezza di questa deduzione.
Essa rimane naturalmente, in tutti i sensi, aggravata dalla problematica di fondo sovente menzionata, specialmente partendo dalla motivazione teologica.
7. Questi eventi per altro non eliminano, purtroppo, l'ipoteca dell'elemento politico-secolare su quello evangelico-religioso e nemmeno il pericolo del pervertimento dell'ideale religioso.
Bernardo di Chiaravalle, con aspri moniti, richiamerà l'attenzione su questo fatto.
La lotta descritta fa parte delle tante cause del ridestarsi dello spirito laicale ( nei singoli come in interi strati sociali ).
Senza l'eccitante esperienza della lotta Gregorio-Enrico non sono bene comprensibili l'atteggiamento e i metodi di lotta di Filippo il Bello contro Bonifacio VIII ( § 63 ).
D'altra parte affondano qui le radici del futuro ipercurialismo che importa, a sua volta, un indebolimento della posizione del laico all'interno della Chiesa.
Lo sviluppo accennato portò il pericolo che venissero più o meno tolti i diritti ecclesiastici a colui che, in virtù del sacerdozio universale, era destinato a collaborare vivamente alla organizzazione della Chiesa, che egli venisse escluso in modo unilaterale dal « soggetto » Chiesa e fatto diventare, in maniera altrettanto unilaterale, « oggetto » del ministero clericale-gerarchico.
a) La coscienza della propria autorità e l'idea del potere, come abbiamo sufficientemente sottolineato, sono essenziali nel programma di Gregorio.
Ma in lui sono liberi da egoismo, sono, in ultima analisi, fondati religiosamente, sono a servizio di san Pietro e della Chiesa.
Gregorio voleva erigere un dominio, ma non il suo, bensì quello di Cristo.
Certamente meno degli altri, lo storico cristiano può ignorare il pericolo intrinseco del « potere », specialmente se nell'organizzazione della Chiesa pellegrina conferisce una funzione basilare all'idea della regalità già in questo mondo, così come la troviamo nel programma ierocratico di Gregorio.
Ma che la sublime concezione di diffondere il regno di Cristo decadesse più tardi dal disinteresse religioso di Gregorio VII e dall'altezza segnata e, messa a servizio dell'egoismo, portasse la Chiesa a molti mali, non è da attribuire ai princìpi stessi che, visti nel loro tempo, si possono ben definire « politicamente giusti », bensì alla necessità intrinseca dell'evoluzione dei fatti; poiché, inoltre, non sempre ci fu la eroica preoccupazione morale di eliminare l'interesse privato dalla signoria papale, che, al contrario, fu spesso ardentemente perseguito; quello sviluppo posteriore fu una conseguenza riprovevole, ma inevitabile.
Siamo ben lontani dallo stornare ogni colpa dalla gerarchia e dall'incolpare soltanto « il mondo » e perciò gli uomini.
Nonostante la mistica unione del corpo con il Capo, nella Chiesa rimane ancora la differenza fra sposa e sposo.
L'ulteriore sviluppo della Chiesa ha offerto anche l'occasione di metter a prova la sua forza indistruttibile di fronte a fenomeni di decadenza e di creare addirittura una via nuova là dove altri organismi sarebbero periti.
Se nei tempi, per molti versi infelici, del tardo Medioevo e dell'incipiente Età Moderna ( Filippo IV contro Bonifacio VIII; cattività avignonese § 64; scisma occidentale § 66; Rinascimento ) la lotta contro l'organizzazione ecclesiastica e soprattutto contro il primato del Papato, fu sostenuta principalmente da fattori politici, ciò dimostra quanto fosse necessario, purtroppo, che ( nel Medioevo strutturato così e non altrimenti ) anche il Papato divenisse ( anche se non esclusivamente ) una potenza politica.
Ciò rimane vero nonostante il fatto che la contestazione politica del primato, nel tardo Medioevo fosse a sua volta anche una conseguenza della sua traduzione in chiave di « politica del potere »; rimane anche vero nonostante gli enormi disordini che entrarono nella Chiesa con la struttura di questa evoluzione - e per più aspetti per colpa dei Papi - che senza tutto il potere dei Papi, l'unità della Chiesa si sarebbe spezzata nei continui attacchi delle potenze nazionali ( Francia, Inghilterra, Germania ), delle nuove scienze giuridiche a loro servizio ( l'idea dello stato autonomo; i pubblicisti e legisti francesi § 51,5; gli autori del Defensor pacis; Occam § 65, 2 e della nuova teologia da esse influenzata ( l'idea conciliare di Wiclif, Huss § 67; Lutero ).
b) La coscienza del potere di Gregorio progredì sino alla coscienza di Innocenze III, che si sentì veramente imperator e come tale fu descritto.
Si trattava di una tarda reviviscenza di antichi concetti romani, come spesso si è affermato?
Indubbiamente l'idea di Roma non era morta neppure in quel tempo e aiutò notevolmente a far trionfare la pretesa dei Papi al « dominio universale ».
Ma i Papi stessi attinsero pure di qui la spinta e la giustificazione?
Per Gregorio la risposta è negativa. Il testimonio migliore, a questo proposito, è Johannes Haller, con la sua tesi dell'origine germanica dell'idea religiosa del Papa: « Non v'è neppure la minima traccia che possa portare alla supposizione che Gregorio VII, quando esigeva ubbidienza in tutto il mondo, si sia sentito erede di antichi avi romani, o sia stato mosso da concezioni mutuate dalla storia romana.
Il suo dominio è completamente radicato nella fede nell'aldilà; il potere universale pontificio, così come lui lo pensa, è un'idea religiosa.
Soltanto nella dedizione ad una realtà superiore è comprensibile la fede fanatica che domina il suo agire, che lo guida e lo fa errare, ma non lo abbandona neppur quando è caduto ».249
c) Gregorio non potè realizzare completamente il suo programma.
Anzi, egli aveva scosso talmente il mondo, che la situazione della Chiesa alla sua morte si fece molto difficile.
Era necessario trovare il nuovo equilibrio.
Passò un anno prima che la cattedra di Pietro venisse nuovamente occupata.
L'eletto Vittore III ( 1086-7 ) si ritirò addirittura a Montecassino, dove morì.
Appena dopo sei mesi fu eletto Urbano II ( 1088-99 ).
Ma la mèta per l'alto Medioevo l'ha fissata Gregorio.
Fu egli infatti a plasmare le idee progressive e innovatrici che vedremo poi culminare nell'apogeo del Papato medievale con Innocenze III: il Papa come Imperatore nel possesso illimitato della pienezza del potere, e la Chiesa come impero nel senso più alto della parola.
Il vero trionfo del grande Papa del secolo XI è costituito dai secoli XII e XIII, i quali senza di lui non avrebbero visto uno sviluppo così splendente del Papato.
Innocenzo III è l'erede di Gregorio.
8. Se è segno di grado eroico dal punto di vista religioso voler servire per tutta la vita unicamente alla volontà di Dio, e, in una sovrumana coscienza di potere, sentirsi tuttavia soltanto servitore del regno di Dio, in tal caso nessuno ha dato di Gregorio VII una definizione migliore di quella data dalla Chiesa quando, per opera di Paolo V, nel 1605 l'innalzò agli onori degli altari.
Gregorio fu talvolta un cattivo uomo politico ( poiché troppo spesso volle l'impossibile, e il possibile con troppa veemenza250), ma fu un santo.
Fa parte della sua figura una certa robustezza di carattere, di pensiero e di azione, anche nelle cose dello spirito; essa era d'altra parte piena di energia naturale, che egli utilizzò molto a sostegno del ministero spirituale.
Per quanto egli fosse anzitutto religioso ed ecclesiastico, pensava e agiva, anche politicamente, in maniera altrettanto immediata.
Questa è una delle differenze più radicali tra lui e Bernardo di Chiaravalle ( § 50,IV ).
Con riferimento al Vangelo, la persona e l'opera di questo Santo che rese libera la Chiesa, possono tuttavia indurre a chiedersi se la sua santa impazienza non abbia realmente voluto anticipare l'erezione « del regno in questo tempo » ( At 1,6 ).
Fu pure Gregorio VII a riservare il titolo di « Papa » ai successori di Pietro.
In quel tempo iniziò pure la trasformazione della mitra episcopale ( fino allora portata anche dal Papa ) nella futura tiara, un cerchio a forma di corona, riservata soltanto al Papa ( § 41,III,6b ).
Bonifacio VIII aggiunse la seconda corona per indicare che il Papa possedeva le due spade, Clemente V aggiunse la terza.
9. Quanto più lo scisma tra Chiesa orientale e occidentale ebbe, ed ha tuttora, delle conseguenze fatali per la vita del Cristianesimo, tanto più importanti sono tutti gli indizi che ci mostrano come il senso dell'unità e della responsabilità per l'altra parte non fosse del tutto sparito.
Anche Gregorio VII pensò ad una riunificazione delle due Chiese.
Doveva darne il via una spedizione militare in difesa dei fratelli greci oppressi dai Saraceni e dell'impero bizantino ( e liberazione del Santo Sepolcro a Gerusalemme ).
Ma Gregorio non riuscì in questo.
Urbano IIereditò questa idea ( cfr. § 49 ).
Indice |
237 | Non del pastorale della Chiesa antica, ma del pastorale germanico, come simbolo del potere. |
238 | Una tale coscienza naturalmente non fece dei riformatori degli utopisti estranei al mondo, tanto meno nella confusione di quel tempo creata da capovolgimenti e affermazioni. Persino un Ildebrando non considera simonia l'uso di denaro da parte di Gregorio VI, per allontanare Benedetto IX. |
239 | Sulla sua origine sappiamo poco di preciso. Suo padre discendeva da famiglia non nobile. |
240 | San Pier Damiani, importante collaboratore, ma anche indipendente sotto diversi Papi, lo chiamava un santo satana, la cui parola lo sferzava, come un aspro vento del Nord. |
241 | Sull'origine degli Stati sorti da vizi peccaminosi, sotto l'influsso del diavolo, egli si esprime con un soggettivismo sfrenato e ingiusto ( Lettere VIII,21 ). I grandi teologi più tardi non condivideranno questa opinione. |
242 | Nella Chiesa greca lo sviluppo ebbe un altro corso ( v.
nota 59 ); lì fu l'opinione popolare a favorire questa regolarizzazione. Ma poiché i vescovi dovevano essere celibi, essi venivano scelti tra i monaci. |
243 | Ella, quasi ancora bambina, fu oggetto di intrighi politici. Dapprima fu unita in matrimonio al suo fratellastro Goffredo e, dopo lo scioglimento di questo matrimonio, al giovane duca Welf. Anche questo matrimonio fu sciolto. Matilde non ebbe figli. La sua eredità, i cosiddetti beni matildini, rimase per secoli il pomo della discordia tra Papa e Imperatore. |
244 | Un particolare sintomatico per il mutamento di coscienza: all'atto della scomunica, l'Imperatrice-madre Agnese sedeva ai piedi del Papa. |
245 | La bolla è redatta in forma d'invocazione diretta di Gregorio a san Pietro, a Pietro, … tu che fin dalla mia fanciullezza hai nutrito me e la tua santa Chiesa romana », « è tua grazia, se ti compiaci che il popolo cristiano affidatemi mi obbedisca ». La condanna avviene « Nel nome di Dio onnipotente … in virtù del tuo mandato ( di Pietro ) e della tua autorità … ». |
246 | Quanto poco si tratti qui di una reazione casuale, ce lo dimostra il « Dictatus! » di Gregorio che aveva già dichiarato la deposizione e l'esonero dall'ubbidienza come diritto del Pontefice. |
247 | In questa occasione per la prima volta vi fu una fiumana di libelli tendenti a influenzate la pubblica opinione. |
248 | Bonizo di Sutri: « Tutto il nostro mondo romano fu scosso dalla notizia della scomunica del rè ». Nel XII secolo Ottone di Frisinga medita: « Leggo e rileggo sempre di nuovo la storia degli imperatori romani e in nessun luogo sono capace di trovare che un Papa romano abbia deposto un imperatore ». |
249 | Che Haller a sua volta voglia spiegare la religiosità dell'idea gregoriana del Papa come risultante esclusivamente dall'Antico Testamento, è palesemente insostenibile nel caso di Gregorio VII. |
250 | La sua contestazione della validità per esempio della consacrazione nella Messa celebrata da sacerdoti sposati ( « la cui ostia consacrata è come stereo di vacca » ) solleva un problema teologicamente difficile. Ci troviamo qui nella sfera di una tendenza spiritualistica, quale era stata sostenuta da Umberto. |