La storia della Chiesa |
Dopo il periodo del predominio del potere politico-secolare su quello ecclesiastico ( Carolingi, Ottoni ) segue ora quello della supremazia del Papato.
Essa dovette anzitutto esser conquistata ( XI secolo ), poi difesa due volte ( XII e XIII sec. ) in dure lotte contro l'Impero.
Essa è espressione della nuova consapevolezza di indipendenza e di autonomia della Chiesa, così come si era avviata per opera dei riformatori sotto Lodovico il Pio ( in parte anche contro di lui che aveva dovuto fare la penitenza inflittagli dalla Chiesa ), di Gregorio IV ( § 41 ), e di Niccolo I ( con le Decretali dello Pseudo-Isidoro ).
Questa consapevolezza viene in piena luce in Cluny e Gorce ( § 47 ), il movimento di riforma prende il sopravvento.
Come già in quegli inizi, anche qui si tratta della libertas della Chiesa.
Ma dopo che il desiderio di riforma nel periodo della preminenza imperiale si era, per così dire, ritratto all'interno, durante la riforma gregoriana diviene decisamente aggressivo.
L'esigenza della « libertas » viene posta al centro con un programmatico inasprimento e ampliamento; essa rappresenta l'idea centrale secondo la quale, in senso agostiniano, deve essere esercitato il potere e venir realizzata la giustizia e la pace in tutta la cristianità.
Nella misura in cui questa « libertà » viene concepita come « libertas Ecclesiae » si palesa una limitazione carica di conseguenze del concetto di Chiesa: come « Chiesa » in senso vero appaiono prevalentemente, anzi quasi esclusivamente, i suoi rappresentanti ufficiali; i laici, in questa visuale, erano più oggetto di assistenza che mèmbri attivi.
È importante il fatto che siano delle forze ecclesiastico-religiose radicalmente rinnovate che avviano e che, in un primo tempo, sostengono la lotta.
Nell'XI secolo essa si concentra attorno al problema della investitura dei laici; i protagonisti del dramma sono Gregorio VII ed Enrico IV ( § 48 ).
Come primo frutto dell'ascesa in senso universalmente determinante, vediamo poi il Papa quale guida dell'Occidente nella prima crociata; come secondo frutto sorge una maggiore, sostanziale interiorizzazione della pietà occidentale che trova la sua massima espressione nella figura di san Bernardo e nell'Ordine dei Cistercensi: santità nella Chiesa a differenza ( e in notevole parte in tensione ) di una coscienza ecclesiastica nella quale l'idea del potere aveva acquistato una eccessiva importanza.
Bernardo-Citeaux, infatti, non è solo un frutto della riforma gregoriana, ma anche una correzione di quest'ultima.
Se essa avesse potuto essere applicata a tutta la Chiesa gerarchica, forse si sarebbero potute evitare, in uno sviluppo autentico, quelle impostazioni negative dell'alto Medioevo, che incontreremo.221
Dobbiamo ora seguire questo sviluppo che ci riporta agli inizi del X secolo.
1. Il « saeculum obscurum », i fenomeni concomitanti alla cristianizzazione dei Germani e alcuni elementi della pietà del primo Medioevo, ci hanno chiaramente mostrato come il messaggio cristiano annunciato dalla Chiesa non avesse ancora penetrato e trasformato il mondo occidentale.
Anzi, con lo scomparire della civiltà carolingia e il decadimento dell'ordine universale erano nuovamente attecchiti inconvenienti di natura ecclesiastico-religiosa.
Era necessaria una riforma radicale.
Tali movimenti rinnovatori dall'interno crescono lentamente.
Essi prendono sempre inizio da un lavoro silenzioso in un circolo ristretto.
Molto tempo prima che Ottone I avesse una prima volta liberato il Papato dalla sua indegna posizione ( 962 ), tali nuclei di vita nuova avevano già incominciato ad agire nella Chièsa.
Come già nell'antichità lo spirito di mortificazione ( ascesi ) si era sempre opposto al rilassamento delle virtù cristiane, così anche ora.
Questa volta, come spesso in seguito, esso provenne dai monasteri.
Con la grande ondata della riforma monastica che si stava ora realizzando, il monachesimo occidentale si pose, come terzo elemento plasmante la storia, accanto al Papato e all'Impero.
Dapprima ci si presenta una riforma esclusivamente monastica e veramente religiosa.
Essa si amplia creando un nuovo ideale ecclesiastico e una determinata coscienza ecclesiastica universale.
Ciò che poi si impose in grande stile alla storia non fu, di conseguenza, causato e favorito soltanto ( e in parte sensibile nemmeno in primo luogo ) dall'elemento ascetico, bensì in maniera condeterminante da quello organizzativo.
Ad ogni modo, il movimento si estende dall'ambiente monastico al Papato e all'episcopato dove si collega a concetti gerarchici che noi conosciamo dallo Pseudo-Isidoro: l'idea del potere gerarchico influisce in maniera determinante.
Il movimento infine tende ad una liberazione della Chiesa dalle mani dei laici, a un capovolgimento, quindi, delle condizioni di potere finora vigenti.
Non va dimenticato che in questo rinnovamento religioso-monastico e nella sua successiva azione nella lotta politico-ecclesiastica, si svolge un'importante parte di storia generale della religione occidentale: è uno sforzo per comprendere in maniera più adeguata l'idea cristiana di perfezione, in fondo, dunque, uno sforzo per comprendere ciò che costituisce l'essenza del messaggio cristiano.
2. Dall'inizio del X secolo sino alla fine dell'XI si ebbero parecchi centri d'irradiazione del rinnovamento religioso.
Essi sono, in parte, di carattere del tutto differente, cosicché talvolta invece della collaborazione ci imbattiamo in una aspra rivalità con talora odiose controversie.
Hanno importanza specialmente le due grandi potenze monastiche di Cluny ( in Borgogna ) e Gorce ( vicino a Metz, nella Lotaringia occidentale, politicamente « tedesca », « francese » per lingua ).
La riforma di Gorce, abbraccia, oltre alla Lotaringia, la maggior parte del monachesimo imperiale222 ( un gruppo a Treviri con san Massimino come centro; un gruppo attorno a Ratisbona, uno attorno a Niederaltaich, uno a Lorsch, uno a Fulda, uno a Magonza e un gruppo alemanno con Einsiedein come centro ): complessivamente viene investito e vivificato un ampio territorio ( Hallinger ).
S'aggiunge inoltre una osservanza mista di Riccardo di san Vanne ( Verdun ) con irradiazioni nel Belgio, in Fiandra e anche in Germania.
Infine, dopo la momentanea « conquista » ad opera di Cluny, ci sono i cosiddetti gruppi di giovani-gorciani con una linea tedesco-meridionale e una tedesco-settentrionale.
Diversi monasteri di questa zona subirono l'influenza di Cluny che nell'XI secolo cercò di abbracciare, in due grandi ondate, anche il monachesimo imperiale.
Questo fatto causò dei contrasti estremamente acuti poiché il monachesimo gorciano si manteneva in una posizione negativa di fronte all'ideale cluniacense.
Differenze riguardanti costumi e varie usanze monastico-liturgiche vengono superate, come importanza, da differenze fondamentali nella costituzione e soprattutto nella presa di posizione di fronte alla Chiesa e all'Impero.
Il monachesimo gorciano non conosce un centralismo uniformante come Cluny, ha pure un atteggiamento più positivo nei confronti dell'ordine feudale dell'epoca, e dell'idea della Chiesa imperiale, la quale in gran parte è da esso sostenuta.
Altri centri di riforma: in Fiandra, Brogne vicino a Liegi; nel Sud-Italia, san Nilo ( + 1005 ) e il circolo attorno a san Romualdo ( + 1027 ), fondatore dell'eremo di Camaldoli ( nell'XI secolo si trasforma nell'ordine dei Camaldolesi, per opera dell'austero Pier Damiani [ § 48 ] ); i Vallombrosani fondati da Giovanni Gualberto ( + 1073 ).
Dalla metà del X secolo ci fu un importante movimento di riforma anche in Inghilterra proveniente da Canterbury.
I desideri di riforma nel Sud-Italia subirono l'influsso greco; d'altra parte Romualdo era stato educato in un monastero cluniacense.
Egli riunì, organizzandoli, l'antico eremitaggio orientale con la regola benedettina e si diede anche alla cura d'anime.
Quando Cluny si avviava alla decadenza, legati di Gregorio VII indussero il monastero di Hirsau nella Foresta Nera ( organizzazione dei fratelli laici: conversi ) ad attuare la riforma cluniacense nel 1079; la sua forza di propagazione fu enorme per la durata di un secolo ( circa 150 monasteri ); nella lotta delle investiture Hirsau fu il centro della riforma per la Germania meridionale.
( Intorno all'anno 1400 ebbe un rinnovamento, il quale nel 1458 portò all'annessione alla congregazione di Bursfeld, § 70,1a ).
In tutti questi movimenti il numero dei monaci-sacerdoti aumenta sempre più ( clericalizzazione; un segno esteriore: il coro romanico che va ampliandosi ); nella vita monastica d'altra parte i « conversi »,223 fratelli laici, mezzi monaci, acquistano una grande importanza ( v. § 45 ).
3. a) Quando in Francia i monasteri ebbero raggiunto il punto più profondo della loro decadenza, sorse, già nell'anno 910, il monastero di Cluny in Borgogna.
Doveva diventare il punto di partenza del rinnovamento.
Si trattava però, a sua volta, di un frutto di quella riforma anianica ( § 41,I,2 ) che, in una tradizione di continuità, aveva fatto fronte ai tempi cattivi.
Il primo abate di Cluny, Bernone, proveniva da un monastero che era stato riformato da un abate di Aniano, e lui stesso aveva fondato e riformato dei monasteri nello spirito della riforma.
Ora però, uno degli scopi dell'abate imperiale Benedetto di Aniano era stato quello di salvaguardare i monasteri dalla mano dei nobili feudatari, mediante la protezione imperiale.
Questa caratteristica, adattata alle condizioni, si manifestò nella fondazione di Cluny, e, rispettivamente, nel suo atto di fondazione, in guisa tale da possedere un'importanza fondamentale per la storia della riforma cluniacense e di quella gregoriana che su di essa si basa.
Fondatore ne fu il duca Guglielmo d'Aquitania.
Egli donò ai principi degli Apostoli Pietro e Paolo il monastero fondato su possedimenti allodiali224 e con ciò lo mise sotto la protezione del Papa.
La donazione si distingue per il fatto che essa, in maniera quasi rivoluzionaria, rompe con la concezione germanica della donazione ( § 34 ).
Con inequivocabile formula di abdicazione, Guglielmo rinuncia per sé e per i suoi eredi, e per sempre, al diritto di proprietà sulla chiesa privata.
Ma più ancora: mediante un proprio atto di immunità, il fondatore cerca di assicurare la « libertas » di Cluny anche contro la mano di ogni altro potere sia temporale che religioso.
È importante il fatto che, a questo proposito, oltre al rè, al conte e al vescovo viene nominato anche il « Pontefice della cattedra romana »; anche lui viene scongiurato, dopo che ci si è appellati al giudizio universale, di non toccare il patrimonio del monastero.
Lo stesso pensiero è espresso dalla conferma dei privilegi cluniacensi per opera di Rodolfo di Borgogna ( 927 ): la subordinazione alla Sede apostolica sarebbe avvenuta per proteggere il monastero, non per essere da quella dominato.
Il privilegio di immunità mirava, originariamente, solo alla garanzia economica di fronte al feudalismo laico ed episcopale.
Attraverso ulteriori concessioni di privilegi da parte dei Papi, si affermò anche l'esenzione dalla giurisdizione religioso-episcopale.
Riassumendo, si può dire: sin dalla fondazione si cercò di eliminare quei pericoli che minacciavano la vita monastica da parte della chiesa privata.225
b) In Cluny si svegliò a nuova vita l'antico rigore monastico.
Si voleva essere di nuovo veramente monaci, secondo la regola di san Benedetto, nello spirito della riforma anianica.
Attraverso una serie di abati rimasti in carica per lunghi anni, fu perseguito il programma di rinnovamento spirituale.
Dopo il fondatore i 5 abati successivi che, di volta in volta, designarono personalmente il loro successore governarono per 200 anni.
In tal guisa poté formarsi una grande tradizione.
Il monachesimo indubbiamente subì in tal modo una importantissima trasformazione della sua idea.226
Va detto subito che tutto ciò non si compì in maniera unicamente positiva dal punto di vista religioso, monastico e perfino ecclesiastico.
c) Tanto la forza vitale, quanto la singolarità di Cluny si concentra su ciò che costituisce notoriamente il centro della regola di san Benedetto, l'« opus Dei » della liturgia.
Se vogliamo dare un giudizio, possibilmente preciso, su questo tema piuttosto difficile, dobbiamo distinguere nettamente fra zelo soggettivo dei riformatori, e valore funzionale oggettivo dei mezzi impiegati.
Il primo è da sottolineare con ammirazione nel suo manifestarsi per lunghi anni.
Per quanto riguarda il secondo, invece, è senza dubbio aperto il problema: se quel centro ( l'opus Dei ) previsto nella regola di san Benedetto sia stato attivato per spirito veramente evangelico.
Diciamo subito che le nostre osservazioni su questo punto si riferiscono innanzi tutto ad uno sviluppo già progredito.
Sul carattere particolare dello stile monastico di Cluny nel periodo di fondazione siamo poco informati.
Si tratta di questo; i cluniacensi aumentarono l'ufficio corale fino a renderlo una specie di preghiera perpetua.
La lode a Dio da funzione centrale, e la più elevata della vita monastica, si trasformò, col tempo, in fine a se stessa e nell'unica attività dei monaci.
Qui si palesano la grandezza e il limite dell'ideale cluniacense: la grandezza, perché coi decenni e fino al XII secolo inoltrato l'esercito dei cluniacensi oranti, la loro celebrazione grandiosa della liturgia, l'affratellamento nella preghiera, che da essi scaturisce, e non per ultimo le loro preghiere per le anime del Purgatorio, si condensano formando quella rappresentazione della Chiesa che con forza irresistibile superò il tempo; il limite, perché l'eroica volontà di agire, nella sua sminuita esagerazione e in sorprendente cecità per le esigenze della vita spirituale, a lungo andare doveva necessariamente minacciare dall'interno la stessa vita di preghiera dei monaci.
Ritualismo rubricistico degenerato, soffocante predominio della quantità, questi sono i pericoli e le forme abortive con i quali Cluny ipotecò la propria pietà e quella del tempo.
L'aumento della preghiera corale al doppio della quantità prevista da san Benedetto227 portò praticamente alla scomparsa totale del lavoro fisico e intellettuale, ciò che ebbe delle gravi conseguenze nella struttura religiosa della spiritualità benedettina.
La funzione religiosa solenne e pubblica divenne col tempo una specie di titolo di diritto sulle generose offerte dei fedeli, ciò che portò al mutamento dello stato di proprietà e, con esso, dell'ideale di povertà.
Nella forma di continua salmodia e lettura scritturale assidua, venne a mancare il lavoro paziente e la meditazione attorno ai Testi sacri.
Per integrare l'ascesi, la preghiera stessa infine si trasformò in « lavoro », che divenne bensì il titolo glorioso di Cluny nella cristianità, ma d'altra parte rese quasi impossibile l'approfondimento mistico.
Il contrasto fra regula solennemente promessa e consuetudo vigente, in pratica si fece sempre maggiore.
Era stato compito originario della consuetudo quello di adattare la norma religiosa fondamentale della regola al mutare delle condizioni; ora degenerò in prescrizione immutabile, resa, sacra dalla tradizione.228
4. L'esempio, offerto a Cluny nei suoi primordi, di una volontà di riforma espressamente monastica, ebbe degli effetti anche all'esterno ( un effetto al quale si mirò del tutto coscientemente: già il primo abate Bernone diresse 4 monasteri ).
In realtà la grandezza e l'importanza storica del movimento cluniacense si manifestano con una straordinaria forza di espansione.
Ben presto i Papi e i signori delle chiese private, ma anche numerosi vescovi, chiamarono i Cluniacensi per riformare i nonasteri da loro dipendenti. In tal modo Cluny, sotto i successori di Bernone, soprattutto sotto i santi abati Odo, Odilo e Ugo, sperimentò una diffusione di proporzioni straordinarie.
a) Ci furono monasteri che vennero subordinati direttamente a Cluny e altri che adottarono soltanto la riforma cluniacense.
A Cluny si confederarono da 1200 a 1450 comunità!
Circa 1600 monasteri avevano assorbito, assieme alla riforma, lo spirito di Cluny e vivevano e diffondevano a loro volta le consuetudini cluniacensi.
Si può designare la Congregazione cluniacense, che contava complessivamente 3000 comunità, come una grande potenza monastica che improntò delle sue idee la cristianità e la Chiesa del tempo.
La suddivisione delle forze cluniacensi dimostra chiaramente il carattere occidentale-universale del movimento che partì dalla Borgogna.
Se è vero che il suo centro di gravita si trova in territorio di lingua francese, è tuttavia partendo da questa base, che Cluny raggiunge l'Italia, la Spagna, l'Inghilterra e finalmente anche la Germania.
Sotto Pietro il Venerabile, Cluny fondò un monastero persino nelle vicinanze di Bisanzio, due abbazie in Palestina ed estese il suo influsso fino alla Polonia e all'Ungheria.
La federazione dei monasteri attorno al monastero centrale di Cluny, si adatta benissimo al periodo fine millennio, quando la crescente coscienza unitaria dell'Occidente aveva creato una espressione unitaria e monumentale nella forma « classica » dell'architettura romanica.
La centralizzazione e quindi la « congregazione » cluniacense che si stava formando, diffuse dal canto suo uguali concezioni in tutto l'Occidente.
L'unità dell'Occidente ricevette una spinta decisiva.
Storicamente di grande importanza fu il fatto che l'esenzione fosse più tardi estesa anche ai monasteri confederati.
Assieme ad essa, la centralizzazione influì nella formazione di tendenze papali universalistiche.
Anche la storiografia ( per esempio Orderico Vitale ) nel raggio d'azione centrale di Cluny esercitò delle influenze, nel senso della formazione di una coscienza europeo-occidentale.
Già prima di Cluny v'erano stati dei prodromi di questi nuovi sviluppi ( l'idea anianica del controllo, sulla base di una vita monastica uguale; il rapporto di dipendenza già esistente tra abbazia autonoma e le comunità o i priorati da essa fondati ).
Ma la formazione di una grande federazione come a Cluny, di una specie di ordine, era stata sino ad allora impedita dalla struttura monarchica della abbazia, col singolo abate, come padre della famiglia monastica e dal sistema del singolo monastero autonomo.
Ma appunto questa rimane una questione importantissima, se cioè una tale unione corrispondesse allo spirito della regola di san Benedetto ( § 22 ) che voleva l'indipendenza di ogni monastero ( stabilitas laci ).
Per qualche tempo ci furono a Cluny alcune centinaia ( perfino 400 ) di monaci, cosa che non corrispondeva più affatto all'idea della famiglia monastica benedettina, con un abate come padre.
Realizzando questa unione, Cluny procedette con saggio realismo graduando la dipendenza a seconda della reale disponibilità, cosa che configura un quadro straordinariamente differenziato.
Nelle abbazie incorporate che mantenevano il loro abate, questi veniva designato da Cluny; in altri ci si accontentava del diritto di proposta o di conferma e del controllo.
Ma anche i monasteri e i centri uniti solo temporaneamente o in maniera piuttosto tenue a Cluny, hanno la loro importanza per il movimento di riforma sia che essi esercitassero il loro influsso in un ambito più ristretto, sia che, come Cava dei Tirreni nel Sud-Italia e Hirsau in Germania, dessero poi vita a delle grandi federazioni di ispirazione cluniacense.
b) La caratteristica determinante della federazione fu il centralismo, al quale si mirava e che in grandissima parte fu realizzato: l'abate di Cluny diventa l'« abate degli abati », i monaci dell'unione federale che fanno solennemente la loro professione nella stessa Cluny gli debbono, direttamente o indirettamente, obbedienza.
Cluny si pensa come una specie di Chiesa monastica, la sola a rappresentare e comunicare la giusta forma del monachesimo e abbastanza spesso esprime questa concezione in una propaganda poco riguardosa di fronte all'altro monachesimo, tacciato di inferiorità o di decadenza: le numerose abbazie e i priorati in tutto l'Occidente erano, per così dire, una sola abbazia, sotto un abate.
I vantaggi di questo sviluppo consistono nell'accennata concentrazione unificante della Chiesa che avrebbe dominato il futuro.
Come dimostra il successo delle grandiose donazioni fatte a Cluny, per questa strada penetrarono nel mondo laico delle idee religiose, con una profondità ed ampiezza fino allora sconosciute.
Ma non vanno, naturalmente, dimenticati neppure gli svantaggi.
La perdita già accennata del vero concetto di famiglia monastica è un fatto negativo.
L'abate di Cluny non poteva più governare come padre il gigantesco complesso che era venuto formandosi: con Cluny si annunciarono, per la prima volta nella storia della Chiesa, i pericoli di un esasperato centralismo.
Ancora: l'abate di Cluny subentrò al posto dei feudatari che avevano donato i loro monasteri e le loro chiese.
Si venne così a legittimare inconsapevolmente il diritto della chiesa privata nell'ambito ecclesiastico-monastico, quello stesso che, nell'interesse della riforma, si voleva combattere nella sua forma feudale.
Perciò si comprende la vigorosa opposizione ai cluniacensi da parte dei circoli del tradizionale monachesimo imperiale e soprattutto di quello di impronta gorciana.
Molto spesso solo l'autorità del conte fondatore o del signore del monastero o addirittura l'espulsione dei vecchi monaci rese possibile l'introduzione della riforma cluniacense.
Neppure l'esenzione era senza pericoli.
Incmaro di Reims li aveva già riconosciuti in altra forma ( § 41,II,2b ): ci si sottometteva a potestà superiori, ma generalmente anche molto lontane, per rendersi liberi da quelle inferiori e locali.
Cluny, per la sua unione particolare alla sede romana, non si sentiva obbligata a prestare nessun servizio di una certa importanza.
Nella lotta che stava per scatenarsi fra Chiesa e Impero la metropoli monastica burgunda sentì di essere la naturale mediatrice.
In Cluny si continuò ancora a pregare per il protettore imperiale, anche quando il Papa cluniacense Gregorio VII lo aveva da tempo scomunicato e aveva sciolto i sudditi dal dovere di fedeltà verso Enrico IV.
5. Era inevitabile che questo grande movimento esercitasse la sua influenza anche al di fuori del monachesimo; vescovi e sacerdoti ( cfr. anche sotto ) vi aderirono: la riforma monastica cluniacense funse da battistrada per una riforma del clero.
Assieme alle più antiche tendenze di riforma, già accennate, andò formandosi un « partito » dei simpatizzanti della riforma, con ampie ramificazioni e perciò potente e di grandissima importanza, poi, per la storia della Chiesa.
a) È importante il fatto che il suo spirito ( plasmato anche, come abbiamo detto, da Nilo e Romualdo ) abbia raggiunto anche i vertici della cristianità.
Nei piani di Ottone III avvertiamo l'influsso del loro programma; anche Enrico II e III ne furono ispirati.
Infine con Leone IX ( 1049-1054 ), Papa tedesco innalzato al pontificato dall'Imperatore tedesco Enrico III, questo zelo religioso per la riforma penetrò anche nella suprema direzione della Chiesa.
E così egli divenne il vero rinnovatore dell'idea religiosa del Papato.
Leone IX, come vescovo di Toul, era già stato in relazione con i cluniacensi.
Quando si recò a Roma, passò per Cluny.
Da qui condusse con sé il monaco Ildebrando che vi si era ritirato dopo la morte di Gregorio VI.
Lo sviluppo che abbiamo delineato va salvaguardato da un equivoco.
Cluny fu, come abbiamo detto, battistrada ideale della più ampia riforma del clero e della lotta per la libertà della Chiesa, ma ne all'una, ne all'altra partecipò direttamente ( se si eccettuino contributi di singole personalità ) e si tenne lontana dalla lotta ecclesiastica.
I cluniacensi della riforma ecclesiastica ( Ildebrando, Umberto e i suoi amici ) trasfusero nella gerarchia ciò che fin'allora il movimento cluniacense aveva fatto soltanto nell'ambito della vita monastica: era nel confronto con il monachesimo riformato di Cluny che il tempo giudicava il clero secolare molto difettoso: partendo da questa premessa Umberto esigerà la dignità dei sacerdoti come presupposto della validità dei sacramenti da loro amministrati; la futura lotta per la libertas era preparata dalla coscienza della superiore dignità della sfera religiosa di fronte a quella secolare.
b) Quanto di queste idee era già vivo nella coscienza della curia pontificia ed aveva trovato espressione nello Pseudo-Isidoro Cluny come Chiesa ideale lo aveva tradotto, in modo storicamente imponente e convincente, nei monasteri di tutto l'Occidente.
I numerosi baroni e conti, i prìncipi e i rè che, per amore della loro salvezza eterna, trasferivano i loro diritti, gelosamente salvaguardati, ai monasteri cluniacensi, erano le colonne sostenitrici della societas christiana di domani.
Nei rapporti spirituali coi monaci, essi si aprirono anche ai problemi religiosi d'ordine sociale, e impararono a pensare con altre categorie che non fossero sempre soltanto quelle politiche.
Qualcuno di loro avrà subito uno sviluppo simile a quello di Papa Gregorio, avrà cioè voluto modellare sul mondo monastico di Cluny tutta la Chiesa e sarà diventato seguace della riforma papale, anche senza che Cluny indicasse o battesse questa strada.
Alla potenza travolgente del movimento cluniacense non poterono sottrarsi neppure gli Imperatori, i quali conservarono la loro amicizia e il loro entusiasmo per Cluny anche nel più vivo dei contrasti con la Chiesa.
c) La rinascita liturgica che ebbe luogo a Cluny acquistò un'importanza incalcolabile ( ma non sempre positiva ) per la pietà medievale.
La liturgia fu trasformata, nel vero senso della parola, in un ininterrotto ufficio corale ( che continuava poi con preci prescritte durante il lavoro ).
Ciò comportò chiese più grandi.
Sorse così l'imponente chiesa abbaziale di Cluny, con 5 navate, 2 navate trasversali, 7 torri e 5 cappelle, raggruppate attorno all'abside.
Era la chiesa più lunga del mondo.
Le associazioni di preghiera formatesi a Cluny e i suffragi per i defunti, particolarmente curati, si ispiravano di per sé all'idea fondamentale della communio sanctorum.
Ma su tutto, per quella smodata moltiplicazione cui accennammo, pesava una grave ipoteca e il pericolo della giustificazione mediante le opere.
d) Attraverso le donazioni sempre crescenti, fino a divenire immense, l'abbazia, con i monasteri da essa dipendenti, divenne un fattore economico di primaria importanza.
La ricchezza fece sì che il lavoro manuale, determinante per l'ideale benedettino, diventasse una pura formalità; e d'altra parte, nell'ambito delle consuetudines stabilite, moltiplicò le prescrizioni per il cibo e il vestiario in modo tale che espose l'ascesi al pericolo di divenire inautentica a causa di una falsa interpretazione spiritualizzante.
Il suo crescere, benedetto da tanti beni materiali, non si trasformò forse in possesso e avidità di potere?
Gli aspri attacchi di san Bernardo nei confronti di Pietro il Venerabile tolgono, purtroppo, tutti questi problemi dalla sfera delle ipotesi, almeno nel XII secolo.
Il successivo sviluppo portò, in realtà, molto lontano dall'ideale originario.
Iniziando dal XIII secolo, con lo svigorirsi della disciplina sia nel monastero centrale che in quelli affiliati, Cluny dimenticò anche la sua meta originaria: essere libera da ogni ingerenza.
Dacché nel 1258 si mise sotto la protezione del rè di Francia ( Luigi IX ), divenne una delle maggiori commende con abati commendatarili. 229
6. Con l'opera di Ildebrando nella Curia, la menzionata trasfusione del programma di riforma monastica alla gerarchia cominciò ad avere i suoi effetti di natura storico-ecclesiastica e storico-universale.
Siamo al punto in cui l'ideale riformatore della libertas ( Sguardo generale ), germogliato per secoli da princìpi diversi, e lentamente e in maniera affatto unitaria, comincia a dispiegare tutta la sua importanza.
In parte, era soltanto una nuova rappresentazione dell'ideale della Chiesa primitiva del tempo della lotta con l'antico stato pagano, un obiettivo che del resto, in una forma o nell'altra, emerge spontaneamente, attraverso i secoli, dai contrasti fra Chiesa e Stato.
Ma ora si attestavano nuove esigenze.
Libertà della Chiesa dal potere temporale significava ora: si doveva raggiungere la piena realizzazione del giusto ordine nel mondo, la gerarchia doveva essere conosciuta e riconosciuta come il maggiore dei valori, in modo che la preminenza di potere dello Stato non potesse più impedire la gerarchia nel suo sviluppo autonomo con diritti di giurisdizione ecclesiastica dell'Imperatore ( « vicarius Dei », e « servus apostolorum », investitura dei vescovi ).
La pretesa ecclesiastica di « libertà », si sviluppò addirittura fino ad esigere per sé il diritto di sovranità o perlomeno di guida del Papato sull'Impero.
a) Tutti vedevano quanto dannosa fosse stata la mancanza di libertà per la Chiesa in Roma; ma anche la dipendenza della Chiesa tedesca e dei vescovi tedeschi dal potere dei rè, nascondeva in sé gravi pericoli per la vita della Chiesa, specialmente sotto prìncipi poco benevoli verso la Chiesa stessa.
Con ciò non è detto che gli inconvenienti della Chiesa, in senso lato ( simonia e concubinato ) fossero una conseguenza necessaria del predominio imperiale.
Come fu possibile la lotta contro di essi sotto Enrico III, così, cambiata la guida, essi non furono eliminati con un semplice colpo di spugna.
Non si può contestare però che l'investitura dei laici fosse effettivamente e di gran lunga, una delle cause di quei disordini.
Nessuno vide questo con tanta acutezza quanto Ildebrando; non per nulla aveva soggiornato varie volte in Germania ( era stato anche in contatto con i circoli tedeschi della riforma di Lotaringia ).
A servizio dei Papi suoi predecessori, poi come Papa, egli diventò l'anima che preparò, organizzò e condusse la lotta.
Decisivo, per l'improvviso cambiamento di rotta, fu il periodo di tutela dopo la morte di Enrico III ( Enrico IV aveva appena 6 anni; « l'avvenimento mondiale » di Ranke ).
Poiché ora mancava la corrispondente e sufficientemente potente controparte politica, che fosse, per così dire, ecclesiastico-nazionale e al tempo stesso ecclesiastico-universale, per dare per un verso alla Chiesa ( come Enrico III ) la libertà ad essa assolutamente necessaria e per proteggerla, e, d'altra parte, per vincolare il clero, in maniera decisiva, ai suoi doveri ecclesiastico-religiosi.
Un'analisi storica approfondita e che tenga conto dell'intero gioco delle forze, non potrà ignorare che, alla base di tutto, sta il grandioso processo di crescita delle forze cristiane ed ecclesiastiche.
b) A questo punto dello sviluppo storico-ecclesiastico è della massima importanza scegliere bene i criteri per poter giudicare quanto si sta compiendo.
Dalla confusione delle lotte egoistiche per il potere, condotte da piccoli principi del X secolo, passiamo ad orizzonti ben più ampi della controversia.
Sta per iniziare un'età eroica.
La posta del grande gioco è il dominio universale.
L'idea del potere mira al punto centrale.
Anche da parte ecclesiastica essa si limita spesso al predominio sul potere politico.
Dovremo purtroppo costatare, quali nefaste conseguenze questo concetto abbia recato alla Chiesa.
E per quel che di questa ingerenza nella sfera terrena viene conglobato come diritto esclusivamente politico ( non religioso-direttivo ) nell'idea dogmatica di Papato, ci troviamo dinanzi ad una invasione di confini non solo morale, ma anche strutturale.
Vanno ben disgiunti anche qui il contenuto oggettivo dell'idea e l'intenzione del singolo detentore.
Ma, detto questo, dobbiamo essere ben consapevoli che il nostro giudizio deve guardarsi da una interpretazione falsificante e superficiale ( specialmente dei Papi di quel tempo ).
Primo: non è che l'idea del « potere » sia estranea al Cristianesimo, che non è di questo mondo: « A me è dato ogni potere » ( Mt 28,18 ); anche gli Apostoli pensarono alle forme rudimentali di un ordine ecclesiastico-sociale.
Secondo: per quanto riguarda in particolare i vescovi di Roma, a cagione del loro obbligo di provvedere per il sostentamento dei poveri e della popolazione in genere, essi si avvalevano d'ufficio, già da lungo tempo, del « potere »; la lotta per sopravvivere ( per esempio contro i Longobardi ) non aveva lasciato loro la possibilità di rinunciare alla forza politica.
L'incorporazione dei vescovi medioevali nella struttura dell'Impero rafforzò queste tendenze.
Si ragiona in maniera antistorica se si pretende che la Chiesa avrebbe dovuto restare una Chiesa di sacrestia; e doppiamente utopistica se, nello stesso tempo, si riconosce che essa ha plasmato la civiltà dell'Occidente.
Ciò che va ovviamente esigilo dalla Chiesa, è che essa realizzi la parola essenziale del Signore, Gv 18,38 ( « non di questo mondo » ) il più possibile anche nell'esistenza concreta, che essa sia dunque un regno spirituale a servizio del Vangelo, quindi in forma di diaconia.
Terzo: nella particolare situazione di sviluppo che stiamo ora esaminando ( a partire, cioè, dalla morte di Enrico III ), non è vero neppure che, per calcolo politico-clericale, dai circoli ecclesiastici fosse stata introdotta a torto una idea del tutto nuova, prima inesistente.
L'idea qui in atto era vecchia; fu difesa da Enrico III che contribuì alla sua affermazione.
Sono le idee:
1) della superiorità della realtà religiosa su quella temporale;
2) del potere autonomo ( già universale ) del Papato.
c) Il fatto più importante è, come abbiamo già detto, il profondo inasprimento che andava ora attuandosi, di queste idee e tendenze.
Gli uomini della riforma traevano infatti dagli antichi princìpi delle conseguenze, alle quali i loro predecessori non avevano pensato.
Di straordinaria importanza fu un elemento negativo: la concezione della dignità religiosa della carica d'imperatore ( e di rè ) diminuì e fu ridimensionata; un po' alla volta si affermò invece la convinzione che il rè fosse soltanto un laico, e perciò non potesse comandare alla Chiesa.
Nella misura in cui questa diminuzione ( vedi per esempio Gregorio VII a Ermanno di Metz ) colpiva pretese di giurisdizione, era giustificata.
Ma essa tende ad una laicizzazione di principio del potere temporale del sovrano; la dignità della monarchia o dell'Impero cristiano appare come essenzialmente dipendente dal potere direttivo della gerarchia ecclesiastica.
La formazione di queste idee era orientata necessariamente proprio contro colui che finora era stato il signore della Chiesa, l'Imperatore.
La sua potenza politica però, secondo il processo storico, poggiava essenzialmente ( insieme alla corona burgunda, longobarda e italiana, e a quella agognata romana ) sulla potenza della corona tedesca.
Anche se gli obiettivi della riforma, in quanto tali, non erano « nazionali » ( quindi anti-« tedeschi » ), ma si dirigevano contro il concetto imperiale-universale dell'Imperatore, in realtà influirono in senso « anti-tedesco ».
( Cosa che non ha nulla a che vedere col nazionalismo moderno ).
È da notare che il movimento nasce a Cluny, terra di lingua francese.
Per quanto le tendenze da esso irradiate non possano venir chiamate « francesi » in senso moderno, l'elemento realmente antitedesco che abbiamo menzionato sfociò in quella instabilità, gravida di conseguenze, di politica d'alleanza per cui i Papi chiamarono in aiuto i Normanni, che ancora da Niccolo II, in un primo tempo, erano stati combattuti come nemici dell'Impero e della Chiesa; ora i Papi cercavano i loro alleati contro l'Imperatore tedesco dove li potevano trovare.
La linea portò infine il Papato ad appoggiarsi alla Francia.
d) Per una comprensione esatta degli avvenimenti, è importante osservare che le idee circa ciò che fosse libertà della Chiesa si svilupparono nei circoli cluniacensi, soltanto a poco a poco.
Anche a Cluny, fino alla metà dell'XI secolo, non si era trovato nulla da ridire nell'attribuire al rè un carattere religioso e nell'approvare che dominasse in molteplici modi sulla Chiesa.
Le obiezioni che furono sollevate contro l'intervento con cui Enrico III salvò il Papato, perché era un laico, non provenivano da Cluny.230
San Pier Damiani ( + 1072 ) diceva che la suprema istanza sacerdotale e la suprema potestà temporale ( una accanto all'altra e in collaborazione ) dovevano lavorare per il bene della cristianità, « perché il Sacerdozio gode della protezione dello Stato e il regnum viene protetto dalla santità del ministero sacerdotale ».
Entrambi hanno compiti specifici e differenti: « il rè possiede le armi temporali, i sacerdoti la spada dello spirito che è la parola di Dio.
Situazione felice quando la spada temporale si unisce a quella spirituale! ».
Ma l'accennata opposizione religioso-laica andò accentuandosi profondamente, portando in direzioni diverse.
Si affermò da una parte la decisiva dissacralizzazione della sfera politica e dall'altra la clericalizzazione.
Quest'ultima, se fu necessaria e salutare in un primo tempo, divenne poi profondamente nociva.
e) La sua forza d'urto liberò il nuovo sviluppo della Chiesa dallo sfruttamento abusivo, soprattutto simoniaco, dei beni dei vescovadi e dei monasteri da parte del laicato.
Una prova chiara di questo fatto la offre già il titolo del libro, riassuntivo e fondamentale per tutto lo svolgimento, del cardinale Umberto di Silva Candida ( + 1061 ) « Adversus simoniacos » ( 1054-58 ): un vero scritto programmatico.
Qui possiamo osservare la trasposizione già ricordata del programma di riforma monastico-cluniacense sul piano ecclesiastico.
Umberto esige che la Chiesa e il Papato siano liberi dal regno, vuole che la Chiesa abbia sovranità sulla sfera temporale.
Lo scritto è diretto contro l'influenza del rè tedesco sulla Chiesa e contro l'investitura dei vescovi mediante il conferimento dell'anello e del pastorale.
L'investitura spetta soltanto al « sacerdotium ».
La motivazione di questa esigenza viene addotta simbolicamente nella immagine dell'anima e del corpo.
L'anima è l'elemento più nobile.
L'anima è la Chiesa.
Il regno è paragonabile al corpo.
Di somma importanza è l'argomento religioso, che vien qui applicato: la tesi pericolosa, radicalmente spiritualistica, della invalidità delle consacrazioni simoniache.
Poiché di fatto la investitura laica viene considerata semplicemente come simonia, si comprende l'immensa portata e della proibizione e delle conseguenze di questa.
Accanto a questo, c'è un altro elemento pericoloso: l'appello alle masse e ai principi cristiani perché insorgano, in caso di bisogno, a protezione della Chiesa contro i loro vescovi simoniaci!
7. a) Le idee di Umberto non rimasero pura teoria; presero corpo in una legge per l'elezione del Papa.
Niccolo II ( il primo Papa, allora, non più tedesco ) stabilì nel sinodo Lateranense del 1059 ( sotto la guida di Ildebrando e di Umberto ) che solo i cardinali231 avessero diritto di eleggere il Papa; il Papa doveva provenire possibilmente dal clero romano e l'elezione aver luogo a Roma.
Il senso ultimo della nuova legge per l'elezione del Pontefice era quello di assicurare l'influenza delle forze riformatrici nell'elezione pontificia.
Essa colpiva direttamente le ingerenze della nobiltà romana.232
Dalla motivazione risulta che si voleva procedere soprattutto contro le soperchierie simoniache.
Non si riscontravano disposizioni d'animosità o addirittura ostilità contro il rè tedesco.
In realtà però la nuova regolamentazione significava, inevitabilmente, la fine della prassi finora seguita nella nomina del Papa da Enrico III nella sua veste di patrizio e di imperatore.
Nell'enciclica pubblicata da Niccolo sul sinodo Lateranense del 1059 ( in cui fu promulgata la legge sull'elezione del Papa ), non troviamo nulla
1) riguardo a diritti del rè o dell'Imperatore ( eccetto una formula non obbligante );
2) viene però proibita, in generale, la investitura da parte dei laici in senso lato.
Questa fu una vivace e alta protesta contro il potere ecclesiastico dei signori secolari e un attacco effettivo contro il regnimi tedesco, poiché il potere dei rè tedeschi sulla Chiesa era fondato sulla investitura laica.
La realizzazione di quanto richiedeva il Sinodo significava la distruzione del sistema germanico della chiesa privata.
Ma poiché nelle chiese private era impegnata un'imponente quantità di beni reali, questa intromissione costituiva una vera e propria minaccia per tutto l'insieme della situazione tedesca, compresa quella politica.
Contro lo scontento che la legge sulla elezione del Papa suscitò in Germania, la curia cercò protezione nell'alleanza coi Normanni.
Questa alleanza, mediante l'opera determinante di Ildebrando, portò ben presto i suoi frutti ( anti-imperiali ) nell'elezione di Alessandro II233 ( 1061-1073 ), confondatore della Potaria milanese ( v. sotto ), avvenuta sotto la protezione normanna.
A lui le forze imperiali, influenzate dalla nobiltà romana e dai vescovi imperiali lombardi, contrapposero un antipapa ( Onorio ).
b) La legge del 1059 per l'elezione del Papa fu, a lunga scadenza, una importante tappa sulla via dell'accennata clericalizzazione della Chiesa.
Come già da lungo tempo, la partecipazione del popolo era esclusa dall'ordinazione dei vescovi, così lo fu ora anche dall'elezione del Pontefice:234 la separazione tra popolo e clero si fa più profonda, la Chiesa, a poco a poco, diventa « sia interiormente che esteriormente nei suoi mèmbri, nel suo culto e nella sua cultura, una pura Chiesa di sacerdoti » ( Brandi ).235
La conseguenza di questa scissione e di questa opposizione attraverso i secoli ( Valdesi, Wiclif, umanisti ) fu una delle cause della Riforma e anche del suo successo.
8. Il Papato ( come sostenitore delle tendenze di riforma ), trovò in Italia, tra molte ostilità, anche due importanti alleati: i Normanni nel Sud e i Patarini nel Nord.
a) L'alleanza coi Normanni fu stretta già da Niccolo II236 ( 1059 ).
Il duca Roberto il Guiscardo prestò al Papa giuramento di essere « fidelis » ( = vassallo ) suo e della Chiesa romana e di aiuto per le « regalia » di san Pietro, promise di pagare una pensione annuale, di contribuire, sotto l'indicazione dei cardinali « migliori », a che il Papa venisse « eletto e costituito » « ad onore di san Pietro ».
Il Papa mutuò in pieno il sistema feudale a suo vantaggio.
Il fondamento giuridico della concessione era dato dalla donatio Constantini che d'ora in poi verrà maggiormente valorizzata.
b) Parallelo all'insorgere delle forze che abbiamo osservato nella riforma monastica ed ecclesiastica, notiamo un certo risveglio delle masse popolari.
Questo processo, del tutto anonimo, si rende storicamente afferrabile dopprima nella « Pataria » ( nomignolo col significato all'incirca di « marmaglia » ).
Esso è strettamente connesso alle aspirazioni delle città lombarde ( anche di Firenze e delle Fiandre ) con i contrasti che si fanno sempre più acuti tra le classi sociali.
Le tendenze palesemente antifeudalistiche, democratico-sociali sono integrate o addirittura sottese da tendenze originariamente religiose.
In alcuni casi - come a Milano - furono addirittura il clero e i nobili a prendere la guida; a Milano uno dei capi della Pataria fu il futuro Papa Alessandro II.
L'unione con essa si era già stabilita sotto il predecessore di Nicolo II, Stefano IX ( l'ultimo dei Papi tedeschi dell'alto Medioevo ) attraverso Ildebrando.
c) La Pataria rappresenta, in un certo senso, l'inizio storicamente afferrabile di quel movimento dei « Pauperes Christi », che, alla svolta del secolo, conquistò larghi strati popolari, per scindersi poi, ben presto, in un'ala ortodossa e una eretica.
Se si considera bene la situazione dell'affermarsi religioso-spirituale delle forze riformatrici, si comprenderà anche ciò che fece della Pataria il naturale alleato di quella.
Qui erano le masse cristiane alle quali si era rivolto Umberto.
Entusiaste e aperte all'ideale di una Chiesa purificata, libera da vincoli secolari, esse erano fin troppo pronte a sollevarsi contro il clero feudale, concubinario e simoniaco, rifiutando i Sacramenti da esso amministrati.
La particolarità di questa alleanza consiste certamente nel fatto che la Chiesa spiccatamente clericale della riforma si unisce con la Chiesa del popolo, religiosamente viva.
Purtroppo non si riuscì a incanalare durevolmente la forza che stava scaturendo dai laici cristiani a vantaggio della Chiesa e del mondo.
Ma a partire da questo periodo, nella Chiesa fino allora medievale-aristocratica, c'è anche un filone democratico.
L'ulteriore sviluppo della Pataria segue parallelamente la lotta delle investiture.
d) Il programma di riforma trovò anche degli avversar! ostinati: i disordini morali sembravano inestirpabili.
Prìncipi e nobili rispettavano poco i diritti dei più umili strati popolari ( sollevazione della Pataria ).
L'alto clero ricco e imparentato con i grandi signori terrieri viveva come questi: nei godimenti e secondo una politica di potenza.
La società feudale che si stava formando mostrava gravi sintomi di debolezza interna: gli adulteri di rè Lotario, il governo delle donne e dei partiti a Roma, l'incontinenza degli ecclesiastici ( la tortissima resistenza contro la diffusione dell'obbligo del celibato ) e la simonia onnidissolvente sono sintomi tipici del basso livello morale della società di quel tempo, specialmente in Italia e in Francia.
Non va dimenticato però che lo stato « quasi-coniugale » del basso clero non era soltanto decadenza, ma anche espressione di vecchie, anzi antiche abitudini.
Ricordiamo i tentativi di riforma operati dagli Ottoni e dai Salì.
Ma il quadro così delineato trova il suo più importante completamento nelle forze positive che si opposero alla riforma gregoriana.
La parziale astensione di Cluny, anche nella imminente lotta tra Papa e Imperatore, o la reazione contro gli eccessi della riforma ecclesiastica, come noi la conosciamo da molte espressioni di Bernardo di Chiaravalle, ce lo documentano.
Tuttavia, l'opera di riforma riassunta nel nome di Cluny fin dalla sua fondazione e dai suoi tempi eroici, e la riforma della Chiesa sviluppatasi dal suo spirito hanno vinto infine, soprattutto ad opera dell'inflessibile Gregorio VII.
La prova è data dai secoli XII e XIII: dopo i secoli di preparazione del primo millennio, solo Cluny, Gregorio VII e Bernardo di Chiaravalle hanno dato all'Occidente una struttura veramente cristiana.
Indice |
221 | L'esposizione che segue illustrerà quello che intendiamo dire; si consideri soltanto, per esempio, la differenza del concetto di « sanctitas » presso Gregorio VII e presso il monaco « politico », misticamente orante, Bernardo di Chiaravalle; in Gregorio ha una impronta ufficiale-oggettivizzante, estranea a Bernardo. |
222 | Per « monachesimo imperiale » s'intende soprattutto il monachesimo delle grandi abbazie dell'alta nobiltà dell'Impero. Questi monaci erano strettamente uniti all'ordine feudale dell'Impero da una concezione sacrale dell'Impero ed anche, in modo rilevante, dal punto di vista economico. |
223 | « Conversus » significa originariamente l'opposto di « monachus oblatus », un monaco quindi che non era stato donato ( oblatus ) dai genitori in gioventù, ma che si era convertito ( conversus ) alla vita monastica solo più tardi. Ora il nome è riservato prevalentemente ai fratelli-laici che erano associati al monastero e al monachesimo. |
224 | Allodio è l'eredità fondiaria libera in contrapposto al feudo. Trattandosi di possedimenti esenti da imposte, i diritti del rè non vengono lesi da una donazione. |
225 | Cfr. la sottomissione alla protezione di san Pietro che un tempo Bonifacio aveva chiesto al Papa per Fulda: piena « esenzione » da ogni potere regionale sia di natura temporale che religiosa. |
226 | Cfr. a tale proposito le « antiche consuetudini » scritte nell'XI secolo, cioè nel II secolo della sua esistenza. Esse portarono ad una controversia, importante dal punto di vista della storia ecclesiastica, tra Bernardo di Chiaravalle e Pietro il Venerabile sulla questione, che cosa fosse in fondo vero monachesimo. La problematica qui posta in discussione circa la futura pietà cistercense, così come si era sviluppata, sotto l'influsso dell'enorme diffusione della « Congregazione » cluniacense, della moltiplicazione dei monaci e della ricchezza di Cluny, apre l'orizzonte sugli elementi pericolosi della pietà medievale in genere. In maniera penosa la qualità appare minacciata dalla quantità. |
227 | Pier Damiani si lamenta una volta per il fatto di non trovare di domenica nemmeno una mezz'ora per parlare coi monaci, tanto durava la preghiera in coro. |
228 | Ancora al tempo di Pietro il Venerabile i monaci ogni settimana lavavano i loro calzari in forma simbolicamente stilizzata, perché, circa due secoli prima, si erano veramente sporcati nel lavoro dei campi. |
229 | Tra gli altri, restarono famosi Richelieu e Mazarino. La commenda è un ufficio ecclesiastico il cui titolare non cura personalmente gli interessi religiosi, ma è soprattutto beneficiario economico. |
230 | Vedi sopra § 45,6. |
231 | Cardinali si chiamavano i più stretti collaboratori del Papa. Originariamente erano i 7 vescovi delle diocesi suburbicarie, i 28 preti delle chiese titolari di Roma e i 14 (poi 18) diaconi delle regioni dei poveri della città di Roma, Dacché fu loro affidata l'elezione del Papa, la loro importanza crebbe costantemente, mentre andò scemando quella dei metropoliti. |
232 | Per esempio dei Tuscolani. Questi, prima che avesse luogo l'elezione di Niccolo, elevarono al papato, di loro iniziativa, un cardinale ( del resto si trattava del cardinale-vescovo di Velletri, incline alla riforma ) che prese il nome di Benedetto X. |
233 | Sotto questo Papa i regni spagnoii cominciano a riacquistare nuovamente maggiore importanza nella storia della Chiesa: vengono annessi più strettamente a Roma, incomincia la reconquista (repressione degli Arabi) sostenuta dal Papa, con la prima indulgenza, documentata con certezza, annessa alle crociate. |
234 | L'approvazione del popolo per l'elezione, che era rimasta ancora a lungo, non aveva alcun significato giuridico. |
235 | Il processo viene portato avanti da una molteplicità di elementi. Anche l'opposizione tra le lingue volgari che stavano per sorgere e il latino agì nella stessa direzione. |
236 | A Melfi ( per opera di Ildebrando ): il Normanno Riccardo di Aversa riceve l'investitura di Capua e il duca normanno Roberto il Guiscardo delle Puglie, della Calabria e della Sicilia ( che doveva prima esser tolta ai Saraceni ). |