Regole del governo individuale e collettivo dei Catechisti |
È un tesoro che noi portiamo in vasi fragili ( 2 Cor 4,7 )
Ciò che l'Apostolo dice in generale della grazia, si applica con ragione al dono della castità; è un gran tesoro, ma è chiuso in un vaso molto fragile.
Si è sempre nel rischio di perderlo e non è che mettendo in opera tutti i mezzi forniti della bontà del nostro Divino Maestro che uno può preservarsi da sì grave disgrazia.
Questi mezzi sono per noi quelli stessi che sono indicati per tutti quelli che sono legati a Dio con voto di castità; si trovano abbastanza in esteso nella "Pratica della perfezione cristiana" del Rodriguez, nel suo trattato sul Voto di castità e sarà bene, per richiamarceli alla memoria di rileggere ogni tanto ciò che dice fino a tanto che non si abbia preso l'abitudine di mettere in pratica tali mezzi.
Mi contenterò dunque di indicarli.
Noi dobbiamo, per la difesa della castità, contro la carne il mondo e il demonio, opporre a ciascuno di questi avversari delle armi che mettano in condizioni di trionfarne: contro la carne, la mortificazione; contro il mondo, la fuga; contro il demonio, la preghiera.
La mortificazione: quella dei sensi; le nostre Regole ci raccomandano su tal punto la massima diligenza: "Che tutti custodiscano diligentemente le porte dei loro sensi, principalmente gli occhi, le orecchie e la lingua e non diamo loro nessuna libertà minimamente sregolata" ( 29º Reg. Somm. ).
I sensi ci sono presentati come le porte dell'anima nostra; per impedire che ci sia rubato il tesoro della castità, bisogna custodire queste porte con la massima diligenza e non aprirle che con molta riserva, quando la necessità, il dovere e la carità lo richiedano.
Bisogna vegliare particolarmente su gli occhi, le orecchie, la lingua.
Nel libro di Giobbe c'è una espressione importante riguardo la mortificazione degli occhi: "Ho fatto - dice questo Santo- un patto con i miei occhi, per non avere neppure il pensiero di una donna.
Perché senza questo, qual parte avrebbe il Signore in me?" ( Gb 31,1-2 ).
Queste parole dimostrano quanto importi vegliare sui propri occhi; ed è molto più degno di nota per il fatto che Giobbe era un principe ricchissimo e che era legato dallo stato coniugale, che viveva secondo la più comune opinione, prima dell'epoca di Mosé, e che non aveva per regola che la legge naturale.
Quale confusione per noi se, in mezzo al cristianesimo, dopo tanti esempi e con tanta luce e grazia abbondante non facessimo neppure ciò che egli faceva!
Ciò che dice il Signore di un sguardo gettato su di una donna, quando uno si espone con ciò "ad ammettere cattivi desideri" ha qualche cosa di terribile, come del resto l'esempio di Davide ce lo prova.
Le orecchie possono essere una sorgente di morte in diversi modi: per la natura delle cose che si sentono; per il suono della voce, per il suono stesso degli strumenti; ma siccome non turiamo facilmente le orecchie come non si chiudono gli occhi, bisogna evitare di mettersi nell'occasione di sentire ciò che può fare cattiva impressione sull'anima.
La lingua richiede tanta maggior vigilanza quanto più è difficile da contenere e che al contrario è molto facile lasciarsi sfuggire qualche parola che ferisca la castità o che almeno ne alteri la perfezione.
La mortificazione del corpo si pratica, sia con le macerazioni del medesimo, sia sottraendogli le agiatezze e le comodità e anche qualcosa di ciò che gli è necessario.
Le macerazioni del corpo si praticano con gli strumenti di penitenza: il cilicio, le catene di ferro, la disciplina; gli si sottrae qualcosa di ciò che gli è necessario col digiuno, con le veglie, con le astinenze.
Si potrebbe eccedere in queste pratiche, benché sante in se stesse e adoperate dei Santi; perciò, per evitare ogni indiscrezione, non si devono intraprendere né continuarle senza consiglio.
Occorre meno precauzione nel sottrarle gli agi e le comodità della vita: è raro che in tale sottrazione si cada negli eccessi.
Un lavoro costante e conforme allo stato di ciascuno, contribuisce molto a mortificare il corpo e a conservare la castità.
È ciò che fa altresì, in modo eccellente, la modestia esteriore, un contegno sempre decente, e la cura di non lasciar apparire nulla di disordinato, sia nell'espressione del viso, sia nei gesti.
La fuga del mondo non consiste nella separazione come fanno i solitari, ma non vederlo che per la gloria di Dio e la salvezza delle anime.
Quando noi siamo con gli uomini bisogna che vi siamo come gli Angeli ai quali venne affidata la salvezza degli uomini, e che non perdono per ciò quella vista di Dio che forma la loro gloria e la loro felicità.
Bisogna che ciascuno di noi possa rispondere a quelli che gli domanderanno conto di ciò che fa nel mondo: "Non sapete che io devo occuparmi di ciò che riguarda la gloria del Padre mio?" ( Lc 2,49 ).
Non cerchiamo mai il mondo per la nostra propria soddisfazione; noi dobbiamo considerarlo con gli occhi di Gesù Cristo; noi dobbiamo aver compassione della sua miseria, detestare la sua malizia, disprezzare i suoi beni e i suoi onori, temere le sue infezioni e i suoi pericoli, non invidiare le sue gioie che noi dobbiamo ritenere "come insensate".
Come, con tutto questo, potremo amare il mondo?
Temiamo anche di farci una legge di ciò che non è che una civiltà frivola e dannosa, per il tempo che essa toglie ad occupazioni necessarie.
Abbiamo cura, il più che ci sarà possibile, di non prender parte ai suoi divertimenti, alle sue feste, alle sue gioie, e a tutto ciò che manifesta nel mondo il lusso, la mollezza, la vanità.
È là specialmente che si formano in noi le immagini, delle quali il demonio si serve per attaccarci o assalirci.
Questo mezzo comprende tutto ciò che riguarda il culto divino.
Esso è necessario per allontanare da noi la tentazione e per farcela vincere quando ne siamo assaliti;
nulla è più atto a premunirci contro gl'inganni che lo spirito delle tenebre tende alla castità e farci trionfare dei suoi assalti contro tale virtù, che una vita di preghiera cioè una vita nella quale si ha cura di conservare la presenza di Dio, di rinnovare sovente la purità d'intenzioni nelle azioni, di soffrire in unione a Gesù Cristo;
di dare ogni giorno, per quanto è possibile un tempo regolato all'orazione, alla preghiera vocale, a sante letture;
alla Santa Messa, all'esame di coscienza, e agli altri esercizi di pietà, di confessarsi ogni settimana e di comunicarsi sovente.
Questi due ultimi mezzi: la Comunione frequente, quando ogni volta vi si apporta un nuovo rispetto, un nuovo fervore, e la confessione di ogni settimana quando è accompagnata dalle disposizione necessarie e soprattutto da una grande apertura di cuore, per tutto ciò che riguarda la castità e di molta docilità agli avvisi di un saggio direttore, sia per evitare ciò che proibisce come pericoloso, sia per disprezzare ciò che giudica doversi disprezzare; questi due mezzi, dico, sono forse i più efficaci per liberarsi da ogni caduta in tale materia.
Altri mezzi più generali ancora di quelli dei quali si è parlato e dai quali gli altri traggono la loro forza e senza dei quali gli altri sarebbero presto trascurati sono: un gran timore dei giudizi di Dio, un vivo orrore per il peccato, specialmente di quello che ferisce la purità, e un sentimento intimo della propria debolezza.
Colui che vuole preservarsi da ogni macchia deve diffidare di tutto il mondo, e di se stesso più di ogni altra persona.
Questa diffidenza deve fargli evitare non solamente ogni sorta di familiarità ma persino ogni unione troppo intima con persone d'altro sesso, anche le meno sospette.
Non si devono avvicinare che per motivi seri e non mai per sollievo o per ricreazione e non si parli loro che con circospezione e con una certa gravità, senza mai lasciarsi andare a propositi inutili e poco discreti.
La pratica dell'obbedienza è altresì molto utile per ottenere e conservare in noi il dono della castità.
Dio concede a quelli che sono docili all'autorità dei Superiori la forza di contenere i loro sensi in una giusta dipendenza.
Permette invece, per punire quelli che mancano all'obbedienza, che i sensi in essi si ribellino contro lo spirito: questo era, secondo quel che riferisce Cassiano, il sentimento unanime dei Padri del deserto.
Un mezzo che si deve considerare come dei più efficaci è una tenera e soda divozione alla Santissima Vergine.
È per l'intercessione di questa augustissima Vergine che si ottengono le grazie necessarie per acquistare la più perfetta purità di spirito e di corpo.
La Madre di Dio non può ammettere nel numero dei suoi più cari figli se non quelli in cui si trova questa virtù.
Ella s'interessa per farcela acquistare e se noi siamo tra i suoi zelanti servi, se noi desideriamo di piacerle non possiamo e non dobbiamo mancarle di perfezionarci ogni giorno più in una virtù si cara al suo cuore.
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12 | Titolo inserito da Fratel Teodoreto. |