Gesù Cristo rivelazione dell'uomo

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Capitolo secondo - II

II. Il « Memoriale » testimone di una esperienza decisiva

I Memoriale, come pure il Mistero di Gesù, non si trova nelle prime edizioni delle opere di Pascal.

Questi due testi infatti avevano un carattere così strettamente intimo e personale che non erano destinati alla stampa.

Cronologicamente sono molto vicini l'uno all'altro, il Mistero essendo stato redatto probabilmente durante il primo ritiro di Pascal a Port-Royal, cioè solo qualche settimana dopo l'esperienza annotata nel Memoriale.

Il testo del Mistero, pubblicato prima nel 1844, è stato poi inserito nell'edizione dei Pensieri.

Il Memoriale invece è sempre stato considerato un testo a parte.

È stato pubblicato per la prima volta nel 1740.

È una semplice nota, ma di un valore unico, perché è la testimonianza di un avvenimento che ha radicalmente cambiato la vita di Pascal.

L'avvenimento è datato con precisione: lunedì 23 novembre 1654, tra le dieci e mezzo e mezzanotte e mezzo.

Non è un testo redatto a freddo, ma piuttosto una lava bruciante.

Le parole sono contemporanee di un verbo interiore, molto più denso e ardente delle parole che si sforzano di tradurlo.

Queste parole, in verità, sono soltanto punti di riferimento che scandiscono una meditazione.

La forte emozione provata da Pascal è tale che, per salvarla dall'oblio, l'annota subito sulla carta.8

Il testo originale, insieme a una copia su pergamena fatta dallo stesso Pascal, è stata trovata dopo la sua morte, da un domestico.

Era stata « cucita » da Pascal all'interno della sua giacca: senza dubbio per ravvivare continuamente la sua fede in Cristo e la fedeltà ai suoi propositi.

Il testo era sconosciuto a tutti, anche a sua sorella Jacqueline: era un segreto assoluto tra Dio e lui.

Le numerose citazioni bibliche indicano una meditazione della Scrittura, accompagnata da riflessioni, sorte spontaneamente, e seguite da un colloquio.

Illuminano anche il contesto e il percorso dell'esperienza vissuta da Pascal.

Il primo testo, tolto da Esodo 3,6, evoca la scena del roveto ardente.

Dio, per primo, interpella Mosé: « Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe ».

Il FUOCO, sola parola del testo scritta in maiuscolo, è Dio stesso e il segno della sua presenza; fuoco del Sinai, fuoco della nube nel deserto, fuoco di Pentecoste.

Per antitesi, Pascal intuisce che questo Dio vivente che fa irruzione nella storia umana e nella storia di ciascuno, che ha un nome e che interpella, non è il Dio dei filosofi ( causa prima, principio di ogni ordine, l'incondizionato e l'assoluto ), ma il Dio di Gesù Cristo, il Dio al quale pensa Gesù quando dice: « Padre mio e Padre vostro ».

Il Memoriale prosegue immediatamente con la seconda citazione biblica: Deum meum et Deum vestrum ( Gv 20,17 ).

Il testo è un'allusione all'apparizione di Gesù a Maria Maddalena.

Cristo risorto, il vivente per sempre ci unisce a lui nel rapporto filiale che unisce Gesù al Padre: « Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro ».

« Il tuo Dio sarà il mio Dio » è certamente un'allusione a Rut 1,16.

Rut, la moabita, che entra nel popolo di Dio non avrà più altro Dio che Jahvè.

Essa dice a Noemi: « Il tuo Dio sarà il mio Dio ».

Anche Pascal lascia una terra che è stata finora la sua, il mondo, per entrare in un'altra.

Gesù dice: « Dio mio e Dio vostro ». Pascal risponde: « Il tuo Dio, Signore, sarà il mio Dio ».

I testi si intrecciano, riecheggiano, secondo una logica del cuore, al di là di ogni cronologia.

Pronunciare queste parole dal fondo del cuore, è accettare « l'oblio del mondo e di tutto, fuorché di Dio ».

San Giovanni offre a Pascal la formula di questa opposizione: « Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto » ( Gv 17,25 ).

Gesù prega per gli apostoli che manda in un mondo in rottura col messaggio del Vangelo: « Non sono del mondo, come io non sono del mondo » ( Gv 17,14 ).

Le parole raccolte da Pascal sono quelle che appaiono alla fine della preghiera sacerdotale.

Il testo di Giovanni continua: « Questi sanno che tu mi hai mandato » ( Gv 17,25 ).

Pascal non cita il seguito: « Io ho fatto conoscere loro il tuo nome … perché l'amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro » ( Gv 17,26 ).

Ma « i pianti di gioia » significano che Pascal rivive nella propria vita questo mistero di adozione in Gesù.

Ma la stessa gioia desta in Pascal il timore di una nuova « separazione », di una nuova infedeltà, che potrebbe condurre alla rottura definitiva.

« Dereliquerunt me fontem aquae vivae »; « Hanno abbandonato me, sorgente di acqua viva » ( Ger 2,13 ).

Il Dio vivente Pascal l'aveva conosciuto, ma l'aveva abbandonato.

Come Israele che si è allontanato da Jahvè, Pascal si è separato da Dio: « Me ne ero separato … Dio mio, mi abbandonerai? ».

Allusio- ne al salmo 119 « Voglio osservare i tuoi decreti, non abbandonarmi mai » ( Sal 119,8 ).

Pascal si pente di aver abbandonato Dio, teme che Dio a sua volta lo abbandoni.

Per due volte ripete: « Che non ne sia separato eternamente … Che non ne sia mai separato ».

È la supplica ardente e tenace di Pascal davanti a Cristo ritrovato.

« Eternamente », cioè per la « morte eterna ».

La parola serve d'aggancio per introdurre il tema opposto della vita eterna: « La vita eterna è che conoscano ( di quella conoscenza che è presenza, esperienza, amore ), tè, l'unico vero Dio e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo » ( Gv 17,3 ).

Di nuovo, allusione alla preghiera sacerdotale.

Gesù Cristo, Gesù Cristo, ripetuto, serve da transizione tra la conversione, l'incontro di Cristo e i propositi.

Il finale riprende, con leggere varianti, le linee precedenti.

Si tratta ormai di « conservare », di non dimenticare.

Di nuovo, il salmo 119: « Mai dimenticherò la tua parola » ( Sal 119,16 ).

Pascal, abbiamo detto, è stato nutrito, formato dalla meditazione della Sacra Scrittura.

Non c'è da stupirsi quindi che trovi spontaneamente nella Sacra Scrittura i testi che sono lo specchio della sua esperienza.

Non cerca i testi: sono i testi che accorrono, che traducono il suo stato d'animo, come nel Magnificat di Maria.

Qual è il senso del Memoriale?

Di quale esperienza è testimonianza?

L'esperienza decisiva di quella notte è stata quella dell'incontro vivo, personale, col Dio vivente: il Dio dei due Testamenti, il Dio di Gesù Cristo.

Dio, è QUALCUNO che viene, che interviene, che ha un nome, un volto, che è conosciuto perché ci precede e ci interpella.

Pascal sente un bruciante rimpianto per essersi separato da lui nel passato; prega, supplica per non esserne più separato nell'avvenire, ne nell'eternità, e si impegna a « seguire le vie indicate nel Vangelo ».

Alcune espressioni, alcuni vocaboli del Memoriale ( Dio dei filosofi e dei dotti, grandezza dell'anima umana, certezza, opposta al dubbio ) hanno potuto far credere che il Memoriale si presentava in Pascal come il termine di una crisi intellettuale, cioè il passaggio dalla conoscenza del Dio dei filosofi alla conoscenza del Dio della rivelazione cristiana.

Tutt'altro è il senso del Memoriale.

La crisi di Pascal non è quella di un filosofo deluso, ma di un cristiano tiepido, che ha ritrovato Dio in Gesù-Cristo, e che teme di esserne separato.

Il vocabolario e le allusioni filosofiche del Memoriale si devono capire alla luce delle idee espresse nel Colloquio tra Pascal e de Sacy su Epitteto e Montaigne, e formulate in uno scrittore anteriore al Colloquio, anteriore anche all'esperienza del 23 novembre.9

Pascal nel Colloquio, oppone Epitteto a Montaigne, per respingerli entrambi, e far posto al Vangelo: Dio solo può insegnare.

Stessa scelta esclusiva nel Memoriale.

« Il Memoriale, osserva A. Blanchet, redige una meditazione che si regge unicamente su Gesù-Cristo e la sua parola, ma che si riaccende opponendo a Gesù-Cristo i filosofi e gli scienziati, e alla Sacra Scrittura, gli scritti profani ».10

Non v'è dubbio che il dramma di Pascal si situa all'interno della sua fede.

A dir vero. Pascal non ha imparato ( come un sapere nuovo ) ciò che ignorava: è stato invece illuminato su ciò che sapeva già, da una luce che infiamma la volontà.

Egli ha sperimentato, nell'intimo del suo essere, là dove l'intelletto diventa fiamma, dove la volontà diventa intuizione come l'amore, che il Dio che istruisce e che salva, il Dio che cerca l'anima umana, il Dio che cercava lui, Pascal, più di quanto Pascal cercasse Dio ( Agostino ) è QUALCUNO: il Dio di Abramo, il Dio di Gesù-Cristo, GESÙ-CRISTO stesso.

Di ciò ha ora la certezza; una certezza che viene dal cuore, in senso pascaliano, cioè dall'essere intimo infiammato dall'amore.

Pascal è conquistato: il tutto della sua vita è Gesù-Cristo.

L'attrattiva di Dio e collaudata in lui, vissuta come una certezza che è fonte di giòia, di pace.

La novità non riguarda quindi un contenuto nozionistico, ma un nuovo modo di conoscere: fino a quel momento Pascal non aveva conosciuto Dio « In questo modo ».

La novità non sta nel conoscere Dio ma nell'essere stato preceduto e conquistato da lui, nell'avere riconosciuto la sua presenza luminosa, nella comunione di un incontro che rende Dio vivente e vivificante nella vita di Pascal, tale da infondergli un cuore nuovo e un'attrattiva tanto efficace da tradursi con la rinuncia a tutto.

Si deve parlare di esperienza « mistica »?

Forse non è possibile e nemmeno necessario rispondere.

Certamente si tratta per Pascal di una esperienza religiosa profonda, situata alla radice dell'essere, di un tale impatto che ha illuminato e trasformato tutto il resto della sua esistenza.

Esperienza caratterizzata dall'intensità e dalla subitaneità, senza paragone con quanto precede, e simbolizzata dal fuoco.

Padronissimo chi vuole di qualificare mistica o no questa esperienza di cui ci rimangono tracce, più che una descrizione.

Checché ne sia, la data di questo avvenimento-incontro con Cristo è rimasta impressa in Pascal che ne ha perpetuato il ricordo in una pergamena cucita nei suoi vestiti.

La notte del 23 novembre 1654 segna la grande svolta della sua vita.

La sua esistenza è divisa in due: prima e dopo il Memoriale.

È questa esperienza che illumina il testo composto poco dopo, nel gennaio 1655, il Mistero di Gesù; è ancora essa che spiega il cristocentrismo dei Pensieri; è essa infine, crediamo, che ha permesso a Pascal di definire ciò che chiama i « tre ordini »: dei corpi, dell'intelligenza, della carità.

Questo frammento, infatti, non è stato scritto semplicemente per esprimere delle verità generali sulla gerarchia degli esseri, ma per precisare delle esperienze che Pascal ha vissuto personalmente.

È evidente che questo frammento è « cristocentrico ».

Pone la persona di Cristo al culmine delle grandezze soprannaturali.

Lo splendore dei re e dei dotti era inutile a Gesù, e l'umiltà della sua condizione terrena nulla toglie alla sua grandezza unica.

Scritto col rigore di un matematico, questo testo è di un'emozione lirica intensa, anche se contenuta, che ha la sua sorgente nella vita di Pascal.

Sappiamo che l'esistenza dell'uomo si realizza, « si compie » attraverso piani, tramite livelli da superare: c'è passaggio, ma anche superamento, salto qualitativo da un livello all'altro, superiore, più luminoso.

In queste fasi o piani della vita si possono distinguere per Pascal, quello della fisica e della matematica; poi a Parigi, a contatto coi Roannez, de Mere e de Mitton, nei salotti che frequenta e attraverso la lettura di Montaigne, Pascal si sensibilizza ai problemi dell'uomo, realtà che si penetra solo con l'« esprit de finesse ».

Pascal tuttavia non visse a lungo come uomo di mondo.

Scoprì ben presto l'ordine superiore della carità.

La morte del padre, la vocazione della sorella Jacqueline, e soprattutto l'insoddisfazione profonda della sua vita mondana, il vuoto sentito nella sua anima, hanno minato la sua superbia di scienziato e la sua sicurezza di uomo onesto, conducendolo, attraverso il mistero di una crisi interiore, alla notte del 23 novembre, nel corso della quale Cristo gli è apparso come la realtà delle realtà.

Ci sono quindi nella vita di Pascal tre esperienze che, senza dubbio, non rispondono che parzialmente ai tre ordini di cui parla ( le scienze della natura e la scienza dell'uomo situandosi di primo acchito nell'ordine dell'intelletto ), ma egli ha conosciuto nondimeno l'ordine delle grandezze mondane ( cioè lo splendore della vita dei principi, lo splendore delle ricchezze, lo splendore delle armi e delle battaglie ), e soprattutto ha vissuto l'ordine dell'intelletto ( come scienziato e uomo di mondo) e l'ordine della carità.

Tra questi tre ordini la distanza è infinita.

Ognuno ha la sua grandezza e il suo valore, ma l'ordine della carità supera infinitamente gli altri due.

È la notte del 23 novembre che, su questo punto, ha messo Pascal di fronte all'evidenza.

Ormai, per Pascal, tutto il resto del mondo, tutto l'uomo, sono destinati a entrare in una nuova sintesi, infinitamente superiore, suscitata dall'irruzione della persona di Gesù Cristo nella storia dell'umanità e nella storia della propria vita: « Gesù Cristo, senza beni e senza alcuna esteriore manifestazione di scienza, sta nel suo ordine di santità.

Non ha fatto scoperte [ ordine dell'intelligenza ], non ha regnato [ alla maniera dei principi temporali: ordine dei corpi ]; ma è stato umile, paziente, santo per Dio, terribile per i demoni, senza peccato alcuno.

Oh, com'è venuto in gran pompa e magnificenza prodigiosa agli occhi del cuore che vedono la sapienza! ».11

Il Memoriale di Pascal trova un'ultima eco e la firma definitiva nella sua morte.

Gli ultimi sei mesi della sua vita furono mesi di sofferenze atroci.

Pascal si raccoglie allora nella preghiera e nella penitenza.

Vende i suoi beni, da il suo denaro ai poveri, manda via i domestici e va a pensione presso sua sorella.

È la « sottomissione totale a Gesù Cristo » di cui parla il Memoriale.

Alla fine chiede di ricevere l'eucaristia: cosa che gli viene rifiutata, in un primo tempo.

Chiede che almeno venga condotto nella sua casa un povero, come rappresentante di Cristo: questo desiderio non fu possibile realizzarlo.

Chiede di essere trasportato all'ospedale degli incurabili per morire in mezzo ai poveri: i medici si oppongono per ragioni di salute.

Finalmente all'ultimo giorno della sua vita gli viene portato il Viatico, che riceve tra due crisi.

Ventiquattr'ore dopo si spegne, a trentanove anni, il 19 agosto 1662.

Indice

8 Sul Memoriale vedere soprattutto: H. GOUHIER, Blaise Pascal. Commentaires, Paris, 1966, pp. 11-65; A. BLANCHET, «La nuit de feu de Pascal», Etudes (nov. 1954), pp. 145-166; ID., «Une lecture nouvelle du Memoriali», Etudes (gen. 1970), pp. 74-84;
H. GOUHIER, «Le mémorial est-il un texte mystique? », in: Blaise Pascal. L'homme et son oeuvre, Cahiers de Royaumont, Philosophie, n. 1, Paris, 1956, pp. 296-318; J. RUSSIER, « L'expérience du Mémorial et la conception pascalienne de la connaissance », ibid., pp. 225-240;
L. PASTOUREL, « Le ravissement de Pascal », Annales de philosophie chrétienne (febbraio 1911), pp. 5-26; 487-509;
P. COURCELLE, L'entretien de Pascal et Sacy. Ses sources et ses énigmes, Paris, 1960.
Quest'ultimo lavoro aiuta a capire alcune espressioni del Memoriale la cui risonanza filosofica stupisce in un testo di carattere innanzitutto biblico.
9 P. COURCELLE, L'entretien de Pascal et Sacy. Ses sourcer et ses enigmes, Paris, 1960, pp. 165-172.
10 A. BLANCHET, « Une lecture nouvelle du Mémorial », Études (gen. 1970), p. 84.
11 Il primo numero è quello dell'edizione di Brunschvicg; il secondo è quello dell'edizione della Plèiade, preparata e annotata da Jacques CHEVALIER (Paris, 1954). La numerazione dell'edizione di Brunschvicg corrisponde a quella delle Edizioni Paoline usata per questa traduzione italiana (n.d.t.).