Gesù Cristo rivelazione dell'uomo

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Capitolo dodicesimo - X

X. Esperienza temporale e dimensione d'eternità

Il senso cristiano della morte deriva dal senso della vita presente, relativa all'altra vita, la vera vita, la vita eterna.

Per il cristiano, questa vera vita, che è la vita di Dio, penetra già la vita presente, e questa vale per il suo rapporto con la vita eterna: « Per noi, dice san Paolo, la morte è un guadagno » ( Fil 1,21 ).

La morte, infatti, è l'istante in cui si realizza totalmente e definitivamente l'incontro della nostra vita temporale e della vita eterna divina, in cui si opera la fusione di queste due vite che sono state senza tregua coesistenti.22

Ciò che cambia interamente la nostra idea della morte, è questa tangenza e questa presenza della vita eterna, divina, con la nostra vita umana, temporale.

La morte viene a fissare per sempre, in modo. irreversibile, questo rapporto dove, in ogni istante della nostra vita terrestre, noi consentiamo a Dio, viviamo nella sua alleanza e fedeltà.

Di modo che, nella visione cristiana delle cose, vi sono due istanti importanti: l'istante presente e l'istante della nostra morte.

Sono i due istanti precari per i quali imploriamo l'aiuto di Maria: ora … e nell'ora della nostra morte e perché è in essi che si opera l'incontro con Dio.

« Oggi, se voi sentite la sua voce, non indurite i vostri cuori » ( Eb 3,7 ).

Che passi oggi e non temeremo domani.

Poiché morire è nascere alla vita eterna, è importante prima di tutto vivere bene l'istante presente.

La grande verità che sottende questa visione delle cose, è la nostra relazione a Dio: una relazione verticale, immediata, continua, nell'ordine del presente.

A ogni istante, quando rispondiamo all'appello di Dio, ci disponiamo a entrare nel riposo del Signore, con questa differenza che l'ultimo istante ricapitola, ratifica tutti gli istanti precedenti e ci fa entrare definitivamente nella vita eterna.

L'essenziale della nostra vita, è questa presenza a Dio, in ogni istante della nostra vita, orientata tutta verso Dio, come il fiore che segue il sole durante la giornata.

Dio non è alla fine della nostra vita, che ci aspetta, ma il suo sguardo è costantemente posato su di noi, a ogni istante; ma all'ultimo istante, questa Presenza si svela e diventa Luce per sempre.

Questa visione delle cose può aiutarci a sormontare lo scandalo della morte che coglie una vita in fiore, che lascia un'opera incompiuta: pensiamo a Pascal, a Teilhard de Chardin.

La morte di un giovane o di qualcuno che prometteva, è irritante, scandalosa.

In realtà, tuttavia, se noi ammettiamo che la vita si definisce mediante il nostro rapporto con Dio, si deve riconoscere che questo rapporto possiede la sua pienezza in ogni istante.

Qualunque sia la durata della vita di un uomo, il suo valore è dato in definitiva dall'immensità dell'amore che la abita, e che è l'amore stesso di Dio.

Ora, chi può misurare l'immensità di questo amore?

La fede non conosce un amore di Dio che sia proporzionato all'età o allo sviluppo intellettuale.

Questa interiorità e questa attualità dell'amore divino ci collocano in ogni momento al termine della nostra storia personale.

Se il cristianesimo non fosse che legalismo, calcolo matematico di meriti, sarebbe scandaloso che la morte intervenisse dall'esterno e falciasse delle vite appena incominciate.

Ma se il cristianesimo è essenzialmente l'entrata in una reciprocità d'amore, e se l'amore di Dio è senza misura, il compimento della nostra vita è sempre presente.

Che l'uomo sia salvato per grazia, significa che la storia umana personale, che non è mai compiuta, raggiunge sempre il suo compimento, che è l'entrata nella comunione divina, nell'Amore infinito che ci copre della sua Luce senza tenebre.

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22 Y. CONGAR, Les voies du Dieu vivant, Paris, 1964, pp. 435-444 (trad. it. Le vie del Dio vivo, Morcelliana, Brescia, 1966).