Gli stati di vita del cristiano |
1.Finora è stata descritta la chiamata nella sua essenza, come essa procede da Dio e colpisce e provoca l'uomo.
Adesso essa deve venir considerata come avvenimento, nella facciata storica della sua realtà: come chiamata in arrivo, compresa, accettata o rifiutata.
Sarà di nuovo preferibile trattare della chiamata qualitativa allo stato sacerdotale o dei consigli, che come tale rimane però anche idea e modello di ogni altro esser chiamati all'interno della Chiesa.
La chiamata come avvenimento è l'incontro col Dio vivo, nell'essere del Quale rientra l'essere avvenimento.
Anche se sarebbe unilaterale appallottolare tutta la verità dell'Essere divino o di ogni essere in generale in questo carattere di avvenimento e dissolverla quindi nella pura dinamica della semplice storicità, in cui Dio e uomo si incontrano solo nel momento sempre attuale di chiamata e risposta-cosa che toglierebbe il terreno da sotto i piedi tanto all'eternità di Dio, come all'essere della Chiesa e dell'ordine sacramentale e dissolverebbe il carattere cattolico in pura dialettica, in un nervoso "pointillisme"-, è tuttavia vero che Dio, in quanto assolutamente libero, puro spirito, anzi in quanto spirito trinitario, rimane comunque sempre l'Evento assoluto, e che la creatura spirituale creata ad immagine di questo Dio fu chiamata all'esistenza per l'avvenimento dell'incontro con Lui.
Il carattere di avvenimento dell'essere divino come di quello umano non si aggiunge a questo essere in un secondo tempo, come modale o accidentale; esso è proprio dell'essere spirituale in quanto tale.
Che Dio è essere assoluto che sussiste dall'eternità, che nelle sue promesse egli è eternamente vero e fedele, l'uomo lo sperimenta e lo sa non al di fuori dell'incontro sempre nuovo col Dio vivente.
L'eterno avvenimento che Dio è viene ora però reso presente all'uomo non in una continuità temporale, ma si traduce nel linguaggio della temporalità, cosicché la libertà sostanziale di Dio appare e si annuncia chiamando in momenti mai calcolabili.
Così gli uomini dell'Antico Testamento vengono visitati da Dio e sorpresi dalla sempre nuova "discesa" di Jahwè, così anche la luce che appare in Cristo è non una luce universalmente a portata di mano, lasciata all'arbitrio e all'inerzia dell'uomo, ma una luce sempre in atto di passare ( Lc 18,37 ), sempre in atto di illuminare, e da utilizzare: "Camminate nella luce, finché c'è, affinchè non vi sorprendano le tenebre!" ( Gv 12,35 ).
"Ecco ora il tempo della grazia, ecco ora il giorno della salvezza!" ( 2 Cor 6,2 )-"finché dura quest'oggi" ( Eb 3,13 ).
Questo "rispettivamente ora" dell'incontro con Dio non elimina la sua eternità e la sua fedeltà e longanimità, ma così pure la grazia promessa da Dio dall'eternità non elimina il suo "rispettivamente ora" ( e domani troppo tardi! ).
Se questi due momenti non fossero contemporanei e irreducibili l'uno all'altro, Dio non sarebbe ne l'eterna Maestà ne l'eterno Amore.
Ne la sua signoria può permettersi di prendersi gioco di essi dicendo che tanto tutto più tardi si concluderà bene, ne il suo amore può manifestarsi come amore "fino all'ultimo" ( Gv 13,1 ) se esso non fosse l'amore offerto sempre adesso e altrimenti sciupato.
Il fatto che Dio è "salvatore di tutti gli uomini" non relativizza il fatto inafferrabile che egli nella sua grazia è "in primo luogo salvatore dei credenti" ( 1 Tm 4,10 ).
E il fatto che egli "ha chiamato tutti i credenti alla sua ammirabile luce" ( 1 Pt 2,9 ) contraddice ancor meno all'incomprensibilità della chiamata personalmente unica con la quale egli proprio me "ha scelto fin dal seno materno e ha chiamato con la sua grazia di rivelarmi il Figlio suo" ( Gal 1,15-16 ).
Dio non manca di chiarire agli uomini il volto di avvenimento della sua grazia, non solo per il fatto che egli "viene nell'ora in cui voi non pensate" ( Mt 24,44 ) e nessun calcolo può scovare il giorno "in cui il Signore viene" ( Mt 24,42 ), sicché non solo si raccomanda vigilanza, ma più drasticamente viene presentata la temibile possibilità di addormentarsi e perdere così la chiamata ( Mt 25,5 ) e di un definitivo "troppo tardi" della missione ( Mt 25,12 ).
La perdita totale è tanto più tragica, quanto più la chiamata e l'offerta della grazia erano uniche.
C'è nella vita normale dei cristiani una sovrabbondanza di pazienza divina, che per grazia si è impegnata a perdonare sempre finché un uomo fa appello ad essa.
"Ognuno che invoca il nome del Signore verrà salvato" ( Gv 3,5 ).
Ma il conferimento di una missione qualitativa, che concerne non solo la salvezza dell'uomo nell'aldilà, ma pretende tutto il tempo di una vita terrena, missione che deve venire udita, accettata, preparata ed eseguita, può sopraggiungere solo una volta, in un'ora decisiva.
Se l'uomo la perde, ha perso la sua missione.
Egli si ritrae in mezzo alla folla e scompare in essa.
Egli non può commutare la sua missione unica con un'altra, forse la seconda migliore.
In questa scelta si tratta del senso o non senso della sua esistenza.
E Dio non mancherà di farlo presente a colui che rifiuta.
Chi viene chiamato? C'è solo una risposta: "Quelli che egli stesso vuole" ( Mc 3,13 ), "affinchè rimanga fermo il disegno divino fondato sull'elezione non in base alle opere, ma in base alla volontà di Colui che chiama" ( Rm 9,11 ).
A partire dal mondo non si può innalzare criterio di legge per le vocazioni, all'infuori di quell'unico, non calcolabile, secondo cui Dio accoglie nella predestinazione preghiera e sacrifìci dei cristiani, per farli divenire fecondi così per moltiplicate vocazioni.
Così è assai ragionevole pregare e offrire sacrifici per vocazioni sacerdotali e religiose, e per la moltiplicazione delle vocazioni si deve sicuramente ringraziare anche la Chiesa.
Soltanto che questa partecipazione ecclesiale è talmente nascosta in Dio, che un calcolo rimane sempre impossibile.
Quanti vengono chiamati? Anche qui la Rivelazione ci da solo una risposta: molti di più di quanti di fatto seguono la chiamata.
A ciò fa cenno la più volte ripetuta parola del Signore: "Infatti molti sono chiamati, ma pochi eletti" ( Mt 20,16; Mt 22,14 ), e le parabole che la chiariscono.
La parabola del seminatore divide il seme gettato, che "è la Parola" Mc 4,14 ), in quattro categorie:
- nel seme che cade sulla strada, e questo avviene per colui che "ascolta la parola di Dio, ma non la comprende, viene il maligno e porta via quello che è stato seminato nel suo cuore"
- del seme che cade sul terreno sassoso; questo avviene per colui che "ascolta la parola e la accoglie con gioia, ma non ha radici in sé ed è incostante, sicché appena giunge una tribolazione a causa della Parola subito si smarrisce"
- nel seme che è seminato tra le spine; questo avviene per colui "che ascolta sì la parola, ma la preoccupazione del mondo e l'inganno della ricchezza soffocano la parola, cosicché essa rimane senza frutto"
- e infine nel seme che cade su terra buona; ed è il caso di colui che "ascolta la parola e la comprende; questi da frutto, e produce ora il cento, ora il sessanta, ora il trenta" ( Mt 13,4-9; Mt 13,18-23 ).
La parabola lascia dunque crescere solo una quarta parte di ciò che è stato Seminato, e dal punto di vista del risultato resta indifferente se per le altre tre parti l'insuccesso è da registrare già subito all'inizio o solo nel corso della crescita: se colui che ascolta non comprende, oppure comprende sì ma non può custodire, o comprende e accetta ma in seguito si allontana di nuovo.
La parabola del grande banchetto, che inizia con la chiamata del padrone di casa: "Venite, tutto è pronto!", lascia dapprima riecheggiare questa chiamata nel vuoto.
"Allora cominciarono tutti all'unanimità a scusarsi.
Il primo gli disse: ho comprato un campo ( … )
Un secondo disse: ho comprato cinque paia di buoi ( … )
Un terzo disse: ho preso moglie e perciò non posso venire" ( Lc 14,17-20 ).
Solo la chiamata rinnovata, che raggiunge oramai "mendicanti, storpi, ciechi e zoppi" e tutti questi "li spinge ad entrare, affinchè la mia casa si riempia", ha successo.
Queste parabole si riferiscono certo in primo luogo a Israele ( e dopo Pasqua all'universalità della Chiesa ), ma il rapporto tra Antico e Nuovo Testamento, come quello tra mondo e Chiesa, si intensifica ancora una volta all'interno della Chiesa stessa, cosicché tutte le parole del Signore circa la chiamata possiedono ( come abbiamo già esposto ) un significato a più gradi: uno che riguarda i cristiani nei confronti dei non cristiani, un altro che concerne i discepoli chiamati e li separa dalla moltitudine delle folle.
Non è perciò un'interpretazione allegorica delle parabole se le si applica alle vocazioni qualitative, bensì corrisponde al loro senso inteso immediatamente dalla parola di Dio che parla.
La medesima parola chiama e colpisce i cristiani generalmente e l'eletto propriamente; questi sa che non può considerarsi scusato se rimane fermo al senso generale.
Sarebbe ozioso voler calcolare, anche solo per approssimazione, il numero degli eletti da queste parabole.
Tuttavia non si potrà prendere mai sul serio abbastanza la quarta parte nella prima parabola, come il generale "non darsi cura e andare per la propria strada" ( Mt 22,5 ).
Dove Dio incide e lavora di scalpello ci sono molte scorie; non perché la sua opera fallisca, ma perché così tanta parte del materiale a cui egli cerca di dar forma si sottrae alle Sue mani.
"Quante volte avrei voluto ( … ), ma tu non hai voluto!" ( Mt 22,37 ).
Senza dubbio queste "scorie" continuano a prodursi anche nella Chiesa, per quanto concerne le vocazioni speciali.
Molti pii cristiani sarebbero chiamati alla sequela personale di Cristo nella vita secondo i consigli, e anche allo stato sacerdotale, di quanti di fatto la seguono ( dove per il momento può essere lasciata da parte la questione circa l'esistenza e la ripartizione della colpa insita in questo atteggiamento di strozzare la voce divina ).
Il fatto è che anche nel suo popolo santo la chiamata di Dio incontra resistenza e rifiuto piuttosto che orecchie aperte e cuori disponibili.
"Perché non c'era nessuno quando io venni? Perché nessuno diede risposta quando io chiamai?" ( Is 50,2 ).
"Perché tutti vanno per le proprie strade, ( … ) perché io avevo chiamato e nessuno ha risposto, avevo parlato e nessuno ha ascoltato" ( Is 66,3-4 ).
"E benché io prima e dopo abbia parlato con voi, non mi avete udito, e benché io vi abbia chiamato non mi avete seguito" ( Ger 7,13 ).
"Quanto più io chiamavo, tanto più lontano essi fuggivano da me" ( Os 11,2 ).
E anche i profeti, che portano la parola di Dio, gridano nel vuoto: "Tu dirai loro tutte queste cose, ma loro non ti ascolteranno; li chiamerai, ma non ti daranno alcuna risposta" ( Ger 7,27 ).
La testarda Gerusalemme rimane solo l'immagine evidente e il simbolo di tutti quelli che in ogni epoca della storia si allontanano dalla chiamata di Dio: "Tutte queste cose accaddero loro come esempio, e sono state scritte come ammonimento per noi" ( 1 Cor 10,11 ).
"A noi è stato annunciato il Vangelo, al pari di essi" ( Eb 4,2 ).
"Io non ho nessuno ( all'infuori di Timoteo ), ( … ) tutti gli altri pensano solo a sé, non a Gesù Cristo" ( Fil 2,20-21 ).
"Tutti mi hanno piantato in asso" ( 2 Tm 4,16 ).
L'udire la vocazione che seleziona non è affare solo del singolo che viene chiamato, ma è altrettanto affare della Chiesa, che deve provvedere alla disponibilità nell'ascoltare tale chiamata.
Dio infatti, come abbiamo visto, dà alla sua chiamata una componente soggettiva e una oggettiva; egli penetra cioè in silenzio nell'intimo dell'anima, ma aspetta che i guardiani da lui eletti si prendano cura di interpretare, chiarire, render cosciente e guidare il chiamato.
"Noi siamo collaboratori di Dio ( … ) io ho piantato, Apollo ha irrigato. Dio ha fatto crescere" ( 1 Cor 3,6-9 ).
Certo i collaboratori sono "soltanto ministri, attraverso i quali siete venuti alla fede", certo "l'importante non è ne chi pianta, ne chi irriga, ma Dio che fa crescere" ( 1 Cor 3,5-7 ).
Ciononostante: "Io sono divenuto vostro padre in Cristo Gesù, mediante il Vangelo" ( 1 Cor 4,15 ), "io soffro le doglie del parto per voi, finché Cristo non acquisti forma in voi" ( Gal 4,19 ).
La parte dei "collaboratori", che sono ben più che semplici levatrici socratiche, sono autentiche "balie", "che si prendono cura dei propri bambini ( … ) e consacrano per essi le proprie energie vitali" ( 1 Ts 2,7-8 ), è così importante che, laddove essi vengono meno, la più gran parte delle vocazioni va persa.
Rientra invece nella fecondità speciale promessa ai preti e alle persone che vivono nello stato dei consigli il fatto che essi possono cooperare in maniera particolare a destare e far crescere nuove generazioni di preti e di persone che vivono i consigli evangelici.
Catechisti laici potranno ( e vorranno ) solo in via eccezionale sostituire i preti in questo compito.
Questo mostra l'esperienza della Chiesa lungo tutti i secoli della sua esistenza.
Senza l'esempio e la cosciente cura della sommessa chiamata di Dio nelle anime è impossibile che le vocazioni germinali si dispieghino.
Certamente per l'impressionante diminuzione di vocazioni sacerdotali. e religiose rispetto al Medioevo e all'epoca barocca ci sono molti motivi sociologici, che sembrano indicare che non certo l'intera moltitudine di quelli che una volta intrapresero la carriera clericale o furono "cacciati in convento" avevano vocazioni autentiche nel senso del Vangelo.
D'altra parte l'atmosfera in cui oggi i giovani crescono ci fa vedere chiaramente che solo con fatica una reale chiamata può qui essere udita.
A ciò si aggiunge l'affievolirsi della comprensione della vocazione qualitativa negli stati d'elezione stessi, il timore umano laddove realmente si dovrebbe reclutare, la rassegnazione di fronte ai provvedimenti d'emergenza ecclesiali considerati come normali.
L'immediato bisogno di parroci e cappellani per comunità fa inoltre perdere di vista quella che è un'istanza fondamentale di tutto questo libro: che il ministero sacerdotale può svilupparsi fruttuosamente solo in un'intima congiunzione con la vita secondo i consigli, e che perciò il destarsi della sensibilità per ogni specie di vita secondo i consigli - dai monasteri contemplativi passando attraverso gli ordini attivi e le congregazioni fino alle comunità di vita nel mondo - è indirettamente ma fondamentalmente il presupposto per un rinnovamento del clero.
A ciò corrisponde l'esperienza oggi frequente che per i preti in posizione isolata è tutto più difficile, tanto più laddove non è quasi più possibile trovare delle perpetue, e che associazioni regionali di pastori d'anime, che rimangono iniziative esteriori e aggiunte in un secondo momento, raramente si rivelano molto efficaci.
Le esperienze migliori sono quelle fatte con preti che vivono nello stato dei consigli, preti che sono tenuti insieme dal loro comune ideale, dalla loro comune educazione e forma di vita, tanto più se essi vivono in zone adiacenti e si possono incontrare più frequentemente.
Da tali preti che vivono i consigli evangelici la vita secondo i consigli può anche venir spiegata al popolo in una predicazione e una catechesi senza forzature e venir presentata nella sua indispensabilità.
Il popolo cristiano ha però già da sé, se non è guastato dall'indottrinamento, un fiuto, una conoscenza intuitiva che il suo prosperare dipende dal fiorire della vita d'elezione ecclesiale, e che a ragione gli "angeli delle comunita" ( Ap 2-3 ) vengono chiamati a render conto della condizione spirituale di esse.
Da tali preti soltanto può venir creato un vivo contrappeso al crescente influsso di stampa e mass-media, che non di rado perseguitano la vita secondo i consigli con il loro cinismo spregiudicato e bollano la Chiesa nel suo insieme come un fantasma istituzionale.
Si fa ancora molto discorrere di apostolato dei laici, ma i movimenti specializzati di Azione Cattolica hanno fatto il loro tempo, e furono essi stessi vivi solo fintanto che dietro i singoli gruppi ci stavano uomini impegnati fino in fondo.
Che di tali uomini c'è bisogno può essere reso comprensibile anche ai giovani d'oggi, che ritengono in primo luogo che sia possibile seguitare anche più tardi nella vita professionale con quell'impegno ideale che sono disposti a vivere durante il tempo dell'educazione.
E i genitori che hanno intuito da lungo tempo questa illusione dovrebbero imparare nuovamente a vedere che la loro critica a Chiesa, preti e frati rimane sempre inopportuna finché non sono disposti a rendere attenti seriamente i loro figli - almeno uno di essi - alla chiamata alla sequela.
Le proporzioni tra gli stati di vita ecclesiali dovrebbero essere mantenute o restaurate in modo tale che questi possano stare in un'autentica, vicendevole relazione di scambio e arricchimento reciproco, analogamente al rapporto tra i due sessi nello spazio di comunione naturale, cosicché ad esempio le famiglie cristiane stiano in contatto con la casa parrocchiale e con gli insediamenti religiosi, e questi stiano in contatto con le famiglie, per costruire l'uno con l'altro e l'uno per mezzo dell'altro il Corpo del Signore, che è formato di molte membra.
"Spero che comprenderete sino alla fine, come in parte avete già compreso, che noi siamo il vostro vanto, come voi sarete il nostro nel giorno del Signore nostro Gesù" ( 2 Cor 1,14 ).
Come giunge la chiamata? Di ciò abbiamo già parlato nel capitolo precedente riguardante l'essenza della chiamata.
Non solo il fatto della chiamata, ma anche il modo particolare in cui essa avviene è lasciato alla libertà di Dio, la cui voce non solo viene percepita soggettivamente in maniera sempre diversa, ma anche oggettivamente avviene in maniera sempre diversa.
Essa può essere un invito sommesso o una richiesta imperiosa.
Essa può dispiegarsi nell'arco di anni come un'aurora che cresce a poco a poco o piombare all'improvviso come un fulmine che incenerisce.
Raramente la chiamata non spingerà le sue radici già sin nella prima infanzia, destando l'eletto dal sonno come Samuele o infondendogli, come certo accadde per la Madre del Signore, la consapevolezza dell'appartenenza a Dio, che fa tenersi pronti, prima ancora di conoscerla, per una missione che deve ancora giungere.
L'eletto non ancora chiamato sa che deve aspettare, che non può amministrare e orientare la sua vita definitivamente, poiché Dio ha forse in mente di compiere con lui qualcosa di decisivo.
Egli sa questo non in base alle sue capacità personali; non si tratta della coscienza d'essere un uomo eletto proprio del genio, la quale spesso con forza sovrumana avverte presagia in sé l'ora di entrare in azione.
D'altra parte nessun senso d'indegnità e di non essere all'altezza può frenare colui che è stato eletto da Dio dal tenersi libero per la chiamata.
Egli vive durante il tempo dell'attesa in una sorta di preesistenza soprannaturale, protetto dagli angeli di Dio.
I sogni delle sue notti sono tutt'altro che quelli di un normale dormiente.
In momenti decisivi, in determinate svolte della sua vita, quand'è ancora giovane, egli vive strani destini, incomprensibili preservazioni da cose che il suo orgoglio o la sua sensibilità avrebbero sufficientemente voglia di conoscere, incontri con persone la cui esistenza o le cui parole diventano casualmente per lui indicazione, esortazione o conferma di qualcosa che egli stesso non è in grado di formulare.
Forse egli getta lo sguardo dall'alto sulla catena di tali disposizioni solo a partire dall'ora in cui la vocazione si è destata: questa diventa per lui la chiave di tutto il suo passato, che si ordina attorno al nuovo punto centrale come limatura di ferro attorno ad un magnete.
A partire dall'ora della scelta egli comprende non solo l'oggettivo esser stato guidato, ma non di meno il suo proprio sentimento della vita, che lo ha animato come un inafferrabile fluido lungo tutti gli anni della maturazione.
Quando arriva la chiamata? Normalmente essa dovrebbe venir compresa negli anni dello sviluppo, fra i quattordici e i vent'anni.
Dove la formazione della coscienza cristiana non ha tenuto il passo con l'istruzione particolare la capacità di ricezione della chiamata può cadere anche nell'età fra i venti e i trent'anni, presupposto che rimanga sufficiente apertura e disponibilità per essere ancora realmente in ascolto.
Certo Dio è libero di chiamare uomini anche più tardi.
Egli può guidarli attraverso delusioni, ad esempio la morte di un coniuge o di una qualche altra persona amata, per far loro provare il vuoto della propria esistenza ed attirarli a sé.
Oppure egli può lasciar loro ultimare il corso degli studi in vista di una professione mondana, per poi mostrare loro che questo non basta, che il ristretto ambito delle preoccupazioni e degli affari mondani in cui l'ideale dello studio va a sfociare li priverebbe di quanto di meglio essi hanno sognato.
Tanto le esperienze belle quanto quelle amare saranno di aiuto a colui che adesso è stato chiamato, per un sacrificio più consapevole o anche per un apostolato più fruttuoso.
Per alcuni ordini religiosi, tanto più per quelli attivi o per gli istituti secolari, che hanno da vivere l'esistenza del Signore nel vivo della mischia, un simile trattenersi nel mondo può essere di vantaggio.
Se per di più questo tempo è stato un tempo di duro lavoro e di privazione, anche questo può ripercuotersi a vantaggio di colui che fa il suo ingresso nella vita religiosa, non solo in quanto egli è diventato più desideroso delle vere sorgenti della salvezza, ma perché egli ora accetta i sacrifici e le privazioni, che il sacerdozio o la comunità di vita secondo i consigli impongono, con più naturalezza e ovvietà di altri.
La chiamata di Dio può aver luogo sempre, anche all'undicesima ora.
Questo significa che tutti, anche quelli che vivono nello stato laicale, devono fino all'ultimo tendere l'orecchio con attenzione.
Certo chiamate come quella di Frate Klaus non saranno frequenti
Ma non è sempre necessario attendere di essere vedovi per prestare ascolto più attentamente ad una sempre più o meno chiaramente udita chiamata.
Se i laici fossero in più attento ascolto, potrebbe certamente essere che spesso essi, dopo che i figli sono cresciuti e il primo stato di vita insieme coi suoi doveri è stato adempito, insieme con la Madre del Signore cambiassero stato passando all'altro, per trasformare la fecondità naturale in una soprannaturale.
"Il Figlio dell'uomo viene in un'ora in cui voi non ve l'aspettate" ( Mt 24,44 ).
"Si mangiava e si beveva, si prendeva moglie e marito ( … ), si comprava e si vendeva, si piantava e si edificava" ( Lc 17,27-28 ); ma all'interno di tutto questo ha luogo "la venuta del Figlio dell'uomo come il lampo, che guizzando brilla da un capo del cielo all'altro" ( Lc 17,24 ).
Se gli uomini, anziché immergersi fino alle orecchie nei loro affari, vivessero nella disponibilità a "pregare sempre, senza mai smettere", Gesù non avrebbe dovuto pronunciare le amare parole: "Il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà fede sulla terra?" ( Lc 18,8 ).
Non è mai troppo tardi per aspettarlo, a meno che non si abbia già chiuso bottega con un "no".
Chi è giovane possiede un'intima capacità di mettersi in marcia incontro ad ogni ideale e perciò anche qualcosa come una naturale prontezza ad aprirsi generosamente alle chiamate di Dio che esigono generosità.
Questa qualità naturale è conferita a lui come una grazia, per allenarsi alla disponibilità soprannaturale che deve durare lungo tutta la vita.
Fra i venti e i trent'anni deve aver luogo questa spiritualizzazione dell'idealismo dell'età dello sviluppo; l'orecchio naturalmente aperto deve venir trasformato in un orecchio che sta in ascolto per la forza della fede.
Se si trascura di far ciò, allora il tempo della giovinezza appare a colui che è diventato adulto come il tempo di una piacevole ma davvero folle illusione, la cui "verità" è il malinconico sorridere degli ex studenti universitari che si ritrovano assieme.
L'ex-universitario saggio tornerà talvolta a bere nelle bettole insieme coi giovani studenti, per ricollocarsi nella svanita spensieratezza da ragazzo, ma riterrà suo dovere iniziare i giovani ai misteri della disillusione che verrà.
Quale miracolo può di nuovo sfondare la porta di colui che ha deciso di chiudersi?
Della grande partenza incontro a Dio egli non sa più nulla, e quando dei giovani si decidono per la totale offerta di sé, per il sacrificio completo, "allora essi vedono ciò ma lo disprezzano"!
"La gente vide ciò, ma non comprese, non pose mente a questo: che Dio dona favore e misericordia ai suoi eletti e aiuto a coloro che gli sono devoti" ( Sap 4,18.14-15 ).
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