Summa Teologica - I

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Funzione della ragione e della cultura nella teologia

III

7. Così la mente nostra si rende conto dell'organicità vivente e vitale della parola di Dio, la quale è infinitamente ricca.

E qui si apre un campo immenso alla speculazione teologica: il campo dell'implicito, indiretto, virtuale.

S. Tommaso lo chiamò il campo del « rivelabile » intendendo con questo termine tutto ciò che può essere visto in forza della luce della Rivelazione, che si trova in concreto nella sacra Scrittura: sia esso mistero inaccessibile di per sé alla ragione umana, sia invece verità di ragione connessa col mistero come presupposto o come conseguenza, sia fatto storico avente rapporto con la parola di Dio.

« Appartiene alla teologia - scrive S. Tommaso - l'esplorazione dl tutte le verità che dai principi derivano e che servono alla loro difesa », « di tutte le verità che, o accompagnano la fede, o la precedono o la seguono » ( 1 Sent., Prol., a. 3, qc. 2, ad 2; 3 Sent., d. 24, q. I, a. 2, qc. 2 ).

Campo esplorato dal teologo col sussidio che gli fornisce la propria cultura biblica, letteraria, filosofica, storica.

La quale cultura non dovrà nulla immettere di estraneo nella parola di Dio; ma dovrà essere puro strumento di penetrazione di essa.

La Parola di Dio è data a uomini in termini loro intelligibili, proporzionati alla capacità umana, nelle analogie dell'ente creato a cui è legata la nostra mente in questa vita.

Chi dell'ente creato ha una conoscenza più chiara, più profonda, più piena, possiede perciò stesso il migliore mezzo di penetrazione della Parola divina.

Il teologo è, tra gli uomini di fede, colui che ha più intelligenza e più cultura.

Perché scandalizzarsi dunque ( come mostrano di fare alcuni ) dell'elemento razionale introdotto nel procedimento teologico?

Non è possibile fare della teologia senza di esso: senza dare un Senso preciso alle nozioni rivelate, servendosi delle analogie tra il mondo creato e il mondo increato.

La quale analogia non « invenzione dell'Anticristo » come vorrebbe K. Barth ( Dogmatik, p. VITI ), ma è insita nella natura delle cose e nella rivelazione stessa, fatta a noi in speculo creaturarum.

Con questa sua errata concezione la teologia dialettica di Barth si conclude in un agnosticismo sterile, in un nominalismo morto e mortale, in un relativismo che è distruzione della stessa Parola di Dio e della Fede, che pur pretende di esaltare; mentre la teologia vera deve essere la massima vita dell' intelligenza, la cognizione più piena dell'oggetto della Fede, la contemplazione più alta dei misteri divini, l'analogo in terra della visione beatifica, scopo finale della Rivelazione.

Lo sviluppo che prende la dottrina rivelata, per quanto vasto, non altera la dottrina rivelata: la teologia si muove nell' interno della Rivelazione stessa, anche servendosi di sussidi razionali; e resta, pure distinta dalla fede, perfettamente omogenea con essa.

Non impoverisce la dottrina rivelata, come pretende qualcuno ripetendo un'accusa superficiale; ma ne mostra più esplicitamente l'infinita ricchezza.

La teologia non può limitarsi a ciò che è espressamente contenuto nella sacra Scrittura, ma va oltre, pur senza uscire dalla virtualità delle fonti della Rivelazione.

S. Tommaso non esita ad affermare: « Qualunque verità deducibile da ciò che è contenuto nella Scrittura, non è estranea alla teologia, anche se nella sacra Scrittura [ esplicitamente ] non sia contenuta » ( in Dionys. De Div. Nom., lect. 1 ).

Ripetiamo ancora che proprio la penetrazione del dato rivelato e non l'abbondanza dell'erudizione in sé, sta a cuore all'Angelico.

Egli venera la tradizione filosofica e patristica proprio per questo, conscio della intrinseca solidarietà del vero, la cui scoperta è opera di ognuno e di tutti.

Ma aggiunge che una pura cultura che non servisse a questo fine, non sarebbe desiderabile; poiché « non è il sapere quel che tu vuoi o quel che tu pensi, che costituisce la perfezione della mia intelligenza; ma soltanto il sapere la verità della cosa », solum quid rei veritas habeat ( I, q. 107, a. 2 ).

8. Insistendo sul processo teologico come fu attuato nella Summa Theologiae, intendiamo di giustificarne il valore.

Ma non vogliamo sostenere che proprio della teologia sia puramente dedurre delle conclusioni di principi rivelati.

Come è possibile infatti dedurre conclusioni vere e proprie che spieghino il reale ricco contenuto dei principi rivelati, se non approfondendo la conoscenza dei principi stessi, con lo studiarne seriamente le fonti, cioè la Scrittura e la Tradizione che nei Padri ha il suo canale sacro?

Se alla Scolastica decadente si può fare il grave appunto di aver trascurato questo necessarissimo studio, sarebbe supremamente ingiusto fare un tale rimprovero a S. Tommaso, che per i Padri ebbe la più grande venerazione e il più assiduo studio specialmente nella contemplazione della verità nelle questioni di S. Scrittura.

Ma anche in questo è necessario l'uso della dialettica, come si riscontra in particolare negli scritti dei santi [ Padri ] …. ». ( 1 Sent, Prol., q. 1, a. S. ).

Questa dottrina sulla natura della teologia è applicata in modo vivo in tutta la Somma.

Per questo la trattazione di S. Tommaso, seguita e penetrata con attenzione, produce sull'animo un effetto di riposante soddisfazione; che proviene appunto dal modo connaturale alla ragione, con cui egli procede.

Dottrina teologica autentica, non immessa nel dogma dalla filosofia, ma dedotta dai dogma, usando della filosofia ancella e non dominatrice ( q. 1, a. 5., ad 2 ).

Ancella tuttavia perfettamente libera nelle sue mosse, perché solo così, come osserva il Gilson, può prestare la sua valida opera di prezioso servizio alla Rivelazione.

9. S. Tommaso ha perfetta coscienza di quanto spetta al dominio proprio della fede e a quello proprio della ragione: distingue nettamente, più che qualsiasi teologo precedente, l'ordine soprannaturale dall'ordine naturale; ma non li separa, bensì li associa amichevolmente.

Oggi la dottrina dell'Aquinate è comune, si può dire, in tutta la Chiesa; ma ai suoi tempi egli fu considerato come un innovatore e fu accusato da alcuni teologi, più pii che illuminati, di laicizzare la teologia, non solo perché metteva a servizio di essa le dottrine profane dei filosofi ( l'accusa di alcuni modernissimi, dunque, è ben antica! ); ma soprattutto, allora, perché sembrava togliere ad essa, per abbandonarli a queste ultime, dei territori che, secondo loro, le appartenevano ( cfr. SOM. FRANC., Dieu, I. p. 329 ).

Accusa anche questa ben inconsistente.

In realtà S. Tommaso precisava i confini delle scienze profane e della teologia.

La teologia è scienza e sapienza nel suo ordine; e le dottrine profane sono scienze nel loro ordine.

La teologia lascia ad esse tutta la libertà di costituirsi e svilupparsi secondo la natura dei loro oggetto, secondo i loro propri principi e il loro proprio metodo.

Il contatto inevitabile fra scienza sacra e scienze profane non è intrusione di quella nei domini propri di queste, pretesa di dominarle e renderle schiave; ma collaborazione amica, anche se il primato di dignità, a causa della nobiltà del suo oggetto e della fonte da cui attinge, spetta alla teologia ( cfr. q. 1, a. 5. ).

10. Il giudizio che la teologia dà delle scienze, e la direzione che tiene in qualche modo su di esse, sono estrinseci; riguardano, cioè, le conclusioni delle scienze, le quali non possono essere contrarie alla verità della teologia, a causa dell'unità del vero, che scaturisce da una stessa fonte suprema, che è Dio; e a causa dell'unità della coscienza che non ammette doppia verità.

La teologia è nel suo pieno diritto di rigettare le conclusioni delle scienze profane realmente contrastanti con le sue verità dimostrate; ma non può pretendere di sostituirsi ad esse in nessun campo, neppur nel correggere l'errore.

Solo le scienze sono in grado di fare scientificamente questa correzione con ritorni riflessivi più esatti sul proprio oggetto e sui propri procedimenti.

L'espressione filosofia ancella della teologia, già antichissima, e che S. Tommaso richiama ( nella q. 1, a. 4, ad 2 ), non ha per nulla un significato mortificante per le scienze razionali.

Esse, infatti, sono libere ancelle e se rendono servigi alla teologia, ciò è un onore che le eleva, poiché entrano così, senza nulla perdere della loro libertà, in un nuovo campo, dove nuovi problemi prima sconosciuti, ma pieni di vitale interesse, sono sottoposti al loro esame e aspettano da loro una soluzione conforme a ragione, pur sotto il controllo estrinseco della Rivelazione; la quale, pur additando la mèta da conseguire e la via che vi conduce, non entra propriamente nell'interno dominio delle scienze, ma resta esterna, come il faro, che indica il porto e la rotta da seguire, resta esterno alla nave ( influsso negativo ).

11. I servigi che la filosofia rende alla teologia si possono così riassumere ( cfr. De Trinit., q. 2, a. 3 ):

a) La ragione naturale, come quella che è presupposta alla fede e in qualche modo conduce a essa, dimostra i « preamboli della fede », i quali vengono esposti e difesi nell'Apologetica.

b) Fornisce similitudini o analogie alla speculazione teologica per illustrare le verità della fede ( cfr. I Cont. Gent., c. 8 ).

c) Presta i suoi principi alla teologia, affinché per mezzo di essi metta in evidenza e più distintamente enuclei il ricchissimo contenuto della Rivelazione; e affinché possa confutare le obiezioni portate contro la fede, mostrandone razionalmente la falsità, o almeno la mancanza di forza cogente ( 2 Cont. Gent., cc. 3,4 ).

Questo metodo è stato applicato magistralmente da S. Tommaso.

Esso ha l'approvazione della Chiesa ( cfr. Syllabus, 13; DENZ., 1713; Leone XIII, « Aeterni Patris »; Pio X, « Pascendi »; Pio XI, « Studiorum Ducem » ) ed è ricco di ottimi frutti.

A proposito dei contrasti che possono sorgere tra filosofia e teologia, ecco un bel testo di S. Tommaso che chiarisce i rapporti tra esse ( De Trinit., 1. c. ) : « Come la sacra dottrina si fonda sul lume della fede, così la filosofia si fonda sul lume naturale della ragione.

Onde, è impossibile che gli « insegnamenti della filosofia siano contrari a quelli della fede » …

Che se nei detti dei filosofi si trova qualcosa contrario alla fede, ciò non è filosofia, ma piuttosto abuso della filosofia per difetto di ragione.

E perciò è possibile con i principi stessi della filosofia ( quindi su terreno prettamente filosofico e con mezzi filosofici ) confutare siffatto errore, o dimostrando che ciò che fu obiettato è affatto impossibile, o almeno che non è inoppugnabile.

Questa distinzione s'impone: come infatti le cose della fede non si possono provare dimostrativamente vere, così alcune coso contrarie alla fede non si possono provare dimostrativamente false; ma si può sempre dimostrare che non sono necessitanti ».

La teologia è così opus fidei et rationis - opera insieme della fede e della ragione - attinge alla sorgente pura della Parola di Dio, la elabora in concetti più espressivi, per soddisfare la sete di ogni anima.

I misteri divini infatti, come insegna il Concilio Vaticano I, pur restando sempre misteri, hanno una loro intelligibilità fruttuosissima per una mente religiosa che vi si applica, appunto per l'analogia col mondo creato e per il nesso che li lega tra loro e col fine ultimo dell'uomo ( cfr. Denz., 1796 ).

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